GUERRA IN UCRAINA E COLPE DEI FIGLI
Sentenza del Tribunale nella causa T-212/22 | Prigozhina/Consiglio
Il Tribunale annulla le misure restrittive applicate alla sig.ra Violetta Prigozhina, madre del sig. Yevgeniy Prigozhin, nell’ambito della guerra della Russia contro l'Ucraina, non potendo ricadere sulla madre eventuali responsabilità del figlio.
Il Consiglio dell’Unione europea per reagire all’annessione illegale della Crimea e della città di Sebastopoli da parte della Russia nel marzo 2014, aveva adottato (con Decisione 2014/145/PESC del Consiglio, del 17 marzo 2014 e Regolamento (UE) n. 269/2014) una serie di misure restrittive volte ad impedire l’ingresso o il transito nel territorio degli Stati membri ed al sequestro delle risorse economiche di proprietà di talune persone fisiche responsabili, in particolare, di azioni o politiche che compromettevano o minacciavano l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina. Nel 2022,m nel quadro di ulteriori misure prese in materia (con Decisione (PESC) 2022/265 del Consiglio, del 23 febbraio 2022 e regolamento di esecuzione (UE) 2022/260 del Consiglio, del 23 febbraio 2022) aveva inserito nell’elenco delle anzidette persone il nome della sig.ra Violetta Prigozhina, proprietaria di società facenti parte di gruppo di imprese fondato dal figlio Yevgeniy Prigozhin, il quale era responsabile dello schieramento dei mercenari del Wagner Group in Ucraina ed aveva tratto vantaggi da grandi contratti pubblici con il ministero della difesa russo a seguito dell’annessione illegale della Crimea da parte della Russia e dell’occupazione dell’Ucraina orientale da parte di separatisti appoggiati dalla Russia.
Il Tribunale ritiene nella pronuncia in epigrafe che il legame tra le due persone associate, accertato al momento dell’adozione degli atti impugnati, si è fondato unicamente sul loro vincolo di parentela, il quale non è sufficiente a giustificare l’inserimento della sig.ra Prigozhina negli elenchi controversi.
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE E CONFLITTO IN SIRIA
Sentenza della Corte nella causa C-1/23 PPU | Afrin
Il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che richiede senza eccezioni che la presentazione di una domanda di ricongiungimento familiare sia fatta di persona presso una sede diplomatica competente.
Una coppia di coniugi siriani ha avuto due figli; il padre si è trasferito in Belgio, ove gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato, mentre il resto della famiglia è rimasto in Siria nella città di Afrin. Madre e figli hanno quindi presentato per posta elettronica, seguita da lettera raccomandata, una domanda di ingresso e di soggiorno a titolo del ricongiungimento familiare, deducendo di versare in «condizioni eccezionali che impediscono loro effettivamente di recarsi presso una sede diplomatica belga al fine di ivi presentare una domanda di ricongiungimento familiare», come invece richiede la legislazione belga.
Impugnato il diniego innanzi al tribunale belga e sollevata pregiudiziale comunitaria da quest’ultimo, la Corte di Giustizia nella decisione in epigrafe ha evidenziato in primo luogo l’indispensabilità che gli Stati membri diano prova della flessibilità necessaria per permettere agli interessati di presentare effettivamente la loro domanda di ricongiungimento familiare in tempo utile, tenendo conto degli eventuali ostacoli che potrebbero impedire la presentazione di tale domanda e comunque facilitando la presentazione della stessa, anche ammettendo, in particolare, il ricorso ai mezzi di comunicazione a distanza.
Infatti, in assenza di una tale flessibilità, l’obbligazione formale di comparire personalmente al momento della presentazione della domanda potrebbe rendere impossibile l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, come quando i familiari si trovano in un paese segnato da un conflitto armato e le possibilità di recarsi presso sedi diplomatiche o consolari competenti possono essere fortemente limitate. La Corte rileva altresì che una disposizione nazionale che richiede, senza eccezioni, la comparizione personale dei familiari del soggiornante per la presentazione di una domanda d ricongiungimento familiare, anche quando tale comparizione è impossibile o eccessivamente difficile, costituisce un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto dell’unità familiare in rapporto allo scopo, certamente legittimo, di combattere le frodi connesse al ricongiungimento familiare, e viola quindi il diritto al rispetto della unità della famiglia. Resta solo salva la possibilità per lo Stato membro interessato di richiedere la comparizione personale di tali familiari a uno stadio ulteriore della procedura di domanda di ricongiungimento familiare.
ORIENTAMENTO SESSUALE E LAVORO AUTONOMO
Sentenza della Corte nella causa C-356/21 | TP (Addetto al montaggio audiovisivo per la televisione pubblica)
L’orientamento sessuale non può essere un motivo per rifiutare di stipulare un contratto con un lavoratore autonomo
Tra il 2010 e il 2017 un lavoratore autonomo, sulla base di contratti d’opera consecutivi di breve durata, aveva realizzato montaggi audiovisivi, trailer e servizi di costume e società per le trasmissioni di un canale televisivo pubblico nazionale in Polonia. Nel 2017 la società aveva cancellato i turni di lavoro del lavoratore e non aveva più stipulato con lui alcun nuovo contratto d’opera, dopo che lo stesso aveva pubblicato per suo conto su YouTube un video musicale natalizio avente come scopo la promozione della tolleranza verso le coppie di persone dello stesso sesso.
A seguito dell’azione risarcitoria per discriminazione diretta proposta dal lavoratore e di pregiudiziale comunitaria sollevata dal Tribunale di Varsavia, la Corte afferma con la sentenza in epigrafe da un lato che la nozione di «condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo», la quale circoscrive le attività professionali rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, deve essere intesa in senso ampio, come relativa all’accesso a qualsiasi attività professionale, a prescindere dalla sua natura e dalle sue caratteristiche nonché dalla forma giuridica in cui tale lavoro viene svolto, sempre che le attività siano reali ed esercitate nel contesto di un rapporto giuridico caratterizzato da una certa stabilità; dall’altro lato, che anche una persona che ha esercitato un’attività autonoma può trovarsi costretta a cessare tale attività a causa della sua controparte contrattuale e, pertanto, trovarsi in una situazione di vulnerabilità paragonabile a quella di un lavoratore subordinato licenziato.
Né si può secondo la Corte di Giustizia ammettere che la libertà contrattuale possa permettere di rifiutare di contrarre con una persona in base all’orientamento sessuale, in quanto ciò priverebbe i divieti antidiscriminatori del loro effetto utile.
SPIAGGE
Sentenza della Corte nella causa C-348/22 | Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Comune di Ginosa)
Le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente I giudici nazionali e le autorità amministrative sono tenuti ad applicare le norme pertinenti di diritto dell’Unione, disapplicando le disposizioni di diritto nazionale non conformi alle stesse
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia la delibera del comune di Ginosa di proroga –in applicazione della Legge nazionale 30 dicembre 2018, n. 145- delle concessioni di occupazione del demanio marittimo nel suo territorio. Il TAR ha sollevato pregiudiziale in relazione, tra l’altro, al carattere non self-executing della disciplina comunitaria in materia.
In particolare, va ricordato che la Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno prevede, per l’assegnazione di concessioni di occupazione del demanio marittimo, che gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, e che l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico.
Nella decisione in epigrafe, la Corte dichiara, in primo luogo, che la direttiva si applica a tutte le concessioni di occupazione del demanio marittimo, a prescindere, a tal proposito, dal fatto che esse presentino un interesse transfrontaliero certo o che riguardino una situazione i cui elementi rilevanti rimangono tutti confinati all’interno di un solo Stato membro. Viene quindi ribadito che le norme della direttiva prevedono l’obbligo, per gli Stati membri, di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, nonché il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività, e che tali norme sono enunciate in modo incondizionato e sufficientemente preciso dalla direttiva e pertanto sono produttive di effetti diretti, dovendosi quindi essere disapplicate le norme di diritto nazionale non conformi alle stesse.
AVVOCATO AD ORA
Sentenza della Corte nella causa C-395/21 | D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria).
La clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi il prezzo secondo il principio della tariffa oraria, senza contenere altre precisazioni, non soddisfa l’obbligo di chiarezza e comprensibilità.
La Corte di Giustizia dichiara il criterio di quantificazione della parcella dell’avvocato, basato unicamente sulla tariffa oraria, non conforme alla direttiva 93/13.
La clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato e un consumatore che fissi l’onorario secondo il principio della tariffa oraria rientra nella nozione di “oggetto principale del contratto”, ed è pertanto soggetta all’obbligo di trasparenza posto a tutela del cliente-consumatore, in modo che quest’ultimo sia messo in condizione di valutare in ogni momento il sacrificio economico che possa derivargliene.
Il professionista, pertanto, è tenuto a informare con chiarezza il consumatore prima della conclusione del contratto, sia pur con il ragionevole grado di approssimazione connaturato alla natura della prestazione ed ai connessi obblighi deontologici,del costo totale approssimativo del servizio, della possibilità che si verifichino eventi imprevedibili e indipendenti dalla sua volontà e delle conseguenze economiche che li stessi comportano. Siffatto obbligo di informazione sarebbe soddisfatto dalla previsione del numero prevedibile o minimo di ore necessarie per adempiere all’incarico, oppure dall’impegno a inviare, ad intervalli ragionevoli, fatture o relazioni periodiche che indichino il numero di ore di lavoro svolte.
In assenza di tali informazioni, la clausola di un contratto di prestazione di servizi legali che fissi il prezzo secondo il principio della tariffa oraria è contraria al diritto dell’Unione.
Spetta al giudice nazionale il compito di valutare, caso per caso, se le informazioni comunicate dal professionista prima della conclusione del contratto abbiano consentito al consumatore di aderire alla clausola con prudenza e con piena cognizione delle conseguenze finanziarie da ciò derivanti. Ai fini dell’accertamento del carattere abusivo della clausola, tuttavia, il giudice nazionale deve altresì valutare, anzitutto,la possibile violazione del requisito della buona fede del professionista e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio a danno del consumatore.
Ciò premesso, la Corte rileva che agli Stati membri è consentito di introdurre norme volte a garantire un livello di protezione più elevato per i consumatori, per esempio prevedendo espressamente che la tariffa oraria debba qualificarsi tout court come clausola abusiva.
Dall’accertamento del carattere abusivo della clausola discende l’obbligo del giudice nazionale di disapplicarla, anche se ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per l’attività effettivamente svolta, salvo che il consumatore vi si opponga. Tuttavia, se la disapplicazione della clausola abusiva comporta l’invalidazione dell’intero contratto di prestazioni legali, esponendo in tal modo il cliente-consumatore a conseguenze particolarmente dannose, il giudice nazionale può eccezionalmente sostituire la clausola abusiva nulla con altra di natura suppletiva, a condizione che la legge nazionale lo consenta o vi sia accordo delle parti.
INTERCETTAZIONI A TARIFFA FORFETARIA
Sentenza della Corte nella causa C-339/21 | Colt Technology Services e a.
Gli operatori di telecomunicazioni possono essere obbligati a fornire, su richiesta di un’autorità giudiziaria, operazioni d’intercettazione di comunicazioni dietro pagamento di tariffe forfettarie. Il diritto dell’Unione non impone il rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti. In Italia, gli operatori di telecomunicazioni sono tenuti, in caso di richiesta proveniente dalle autorità giudiziarie, ad effettuare operazioni di intercettazione di comunicazioni (vocali, informatiche, telematiche e di dati), a fronte di tariffe forfettarie.
Nel 2017 gli operatori di telecomunicazioni operanti nel mercato italiano hanno presentato ricorso al giudice amministrativo, chiedendo l’annullamento di un decreto che aveva modificato i rimborsi delle spese relative a operazioni di intercettazione, riducendoli di oltre la metà.
Il Consiglio di Stato italiano ha chiesto alla Corte di giustizia se il decreto impugnato fosse conforme al diritto dell’Unione, dal momento che il dimezzamento dei rimborsi non permetteva agli operatori di coprire neppure i costi da questi effettivamente sostenuti per la fornitura del servizio.
A giudizio della Corte, gli Stati membri sono liberi di disciplinare discrezionalmente la materia dei rimborsi, poiché il legislatore dell’Unione nulla impone né esclude in materia, con il solo obbligo di rispettare criteri di non discriminazione, proporzionalità e trasparenza.
La Corte ritiene che il decreto impugnato sia rispettoso dei criteri menzionati, e che dunque l’Italia non abbia violato il diritto dell’Unione. Anzitutto, i rimborsi previsti sono analoghi per tutti gli operatori e sono previsti sulla base di tariffe forfettarie unitarie;inoltre, queste ultime sono calcolate tenendo conto dei progressi tecnologici del settore, che hanno reso meno onerose le prestazioni, nonché del fatto che tali prestazioni sono essenziali al perseguimento di finalità generali di primario interesse pubblico e che possono essere fornite solo dagli operatori di telecomunicazioni; infine, le tariffe sono fissate con un atto amministrativo formale, reso pubblico e liberamente consultabile.
TITOLO ESECUTIVO EUROPEO E SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE
Sentenza della Corte nella causa C-393/21 | Lufthansa Technik AERO Alzey
La Corte precisa la nozione di «circostanze eccezionali» che consentono all'autorità giudiziaria competente di sospendere l'esecuzione di una decisione certificata come titolo esecutivo europeo.
Con la sentenza in commento, la Corte precisa la nozione di «circostanze eccezionali» in presenza delle quali, ai sensi dell'art.23, lett. c), del regolamento n. 805/20042, è consentito al giudice o all’autorità nazionale incaricati di dare esecuzione ad un titolo esecutivo europeo nello Stato membro d’origine, di sospenderne l’esecutività.
Detta nozione è autonoma e più estesa rispetto a quella generale di «forza maggiore», che ricorre solo in presenza di situazioni imprevedibili ed ineluttabili, dovute a una causa estranea al debitore. Per il diritto dell’Unione, invero, sono «circostanze eccezionali» tutte quelle situazioni in cui la prosecuzione del procedimento di esecuzione di una decisione, certificata come titolo esecutivo europeo, esporrebbe il debitore (che ha proposto impugnazione e che ha chiesto espressamente la sospensione dell’esecutività della decisione impugnata) a un rischio reale di danno particolarmente grave. Detto rischio ricorre se, in caso di decisione favorevole al debitore e conseguente annullamento della decisione, il risarcimento del danno risulterebbe impossibile o estremamente difficoltoso. Spetta al giudice o alle autorità dello Stato membro dell'esecuzione la valutazione discrezionale delle circostanze eccezionali lamentate dal debitore.
La Corte precisa poi che, qualora l'esecutività di una decisione certificata come titolo esecutivo europeo sia stata sospesa nello Stato membro d'origine e il certificato di cui all'art. 6, par. 2, del regolamento n. 805/2004 sia stato presentato al giudice dello Stato membro dell'esecuzione, quest'ultimo è tenuto parimenti a sospendere il procedimento di esecuzione.
PRIVACY: OBBLIGO DI FORNIRE LE GENERALITA’ DEI DESTINATARI DI COMUNICAZIONI DI DATI PERSONALI
Sentenza della Corte nella causa C-154/21 | Österreichische Post
Ogni persona ha il diritto di sapere a chi sono stati comunicati i propri dati personali; il titolare del trattamento può tuttavia limitarsi a indicare le categorie di destinatari qualora sia impossibile o eccessivamente oneroso identificare questi ultimi.
Un cittadino austriaco aveva chiesto all’Österreichische Post, il principale operatore di servizi postali in Austria, di comunicargli l’identità dei destinatari a cui essa aveva comunicato i suoi dati personali, sulla base del regolamento europeo generale sulla protezione dei dati UE. L'Österreichische Post aveva risposto di utilizzare dati personali, nei limiti consentiti dalla legge, nell'ambito della sua attività di editore di elenchi telefonici e di aver fornito tali dati ai partner commerciali a fini di marketing, ed in particolare ad alcuni inserzionisti attivi nel settore della vendita per corrispondenza e del commercio tradizionale, imprese informatiche, editori di indirizzi e associazioni quali organizzazioni di beneficienza, organizzazioni non governative (ONG) o partiti politici.
Su referral della corte suprema austriaca (Oberster Gerichtshof), la Corte di giustizia statuisce che il titolare del trattamento è obbligato a fornire all’interessato, su sua richiesta, l'identità dei soggetti ai quali i dati sono stati comunicati, e che solo qualora non sia possibile identificare detti destinatari o sia eccessivamente oneroso, il titolare del trattamento può limitarsi a indicare unicamente le categorie di destinatari di cui trattasi.
ELETTRICITA’ E AUTORITA’ DI TUTELA DEL CONSUMATORE
Sentenza della Corte nella causa C-5/22 | Green Network (Ordine di restituzione di somme addebitate)
Nell’ambito della tutela dei consumatori (che rientra tra i compiti delle autorità di regolazione nazionali dell’energia), dette Autorità sono legittimate ad imporre alle società elettriche la restituzione delle somme percepite in violazione delle prescrizioni in materia di tutela dei consumatori.
La Direttiva 2009/72/CE detta norme comuni per i mercati interni dell’energia elettrica, a garanzia del rispetto degli obblighi di trasparenza a tutela dei consumatori. Nel perseguimento di tale obiettivo, essa obbliga gli Stati membri ad istituire un’autorità indipendente, l’Autorità di Regolazione Nazionale, con compiti di regolazione delle tariffe e di vigilanza sul rispetto delle stesse. Tra i poteri dell’autorità di regolazione, la Corte ritiene che rientrino non solo quello (espressamente disciplinato) di infliggere sanzioni pecuniarie effettive, proporzionate e dissuasive, alle società distributrici di elettricità e gas naturale che violano gli obblighi di trasparenza tariffaria, ma anche quello consequenziale di porre rimedio agli eventuali abusi posti in essere nei confronti degli utenti, in violazione dei predetti obblighi.
È dunque conforme al diritto dell’Unione la decisione dell’Autorità di Regolazione italiana di infliggere una sanzione amministrativa pecuniaria al distributore di elettricità, che abbia preteso dai consumatori il pagamento di somme di denaro a titolo di non trasparenti “costi di gestione amministrativa”, in forza di una clausola contrattuale considerata illegittima. Inoltre, non esula dai poteri dell’Autorità di ordinare alla società distributrice la restituzione di quanto versato dai consumatori in applicazione della clausola contrattuale illegittima.