Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La legittimità della disciplina italiana contro il licenziamento collettivo

di Michele Mazzetti
dottorando di ricerca in International Studies, Università degli Studi di Trento
A cinque anni dal cd. Jobs Act e a otto anni dalla riforma Fornero la disciplina del licenziamento collettivo illegittimo approda alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia dell’Ue

1. Introduzione

Come risposta alla crisi economica del 2008, la disciplina del mercato del lavoro è stata oggetto di una serie di interventi legislativi di stampo liberista imperniati sul paradigma europeo della flexicurity. Prima con la riforma Fornero (l. n. 92/2012) e poi con quella Renzi (l. n. 183/2014) è stato perseguito l’obiettivo di flessibilizzare il mercato del lavoro italiano sia in entrata, che in uscita, ridimensionando le tutele contro il licenziamento illegittimo. Su questi interventi si sono innestati il cd. “Decreto dignità” (dl n. 87/2018 conv. in l. n. 96/2018) e la sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale così componendo un quadro di norme non coordinate che ha indotto, il 18 settembre 2019, la Corte di appello di Napoli a sollevare contestualmente e per la prima volta in Italia il giudizio incidentale di costituzionalità e la questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dubitando della legittimità della disciplina del licenziamento collettivo in vigore nel nostro Paese.

2. La vicenda processuale

Le due ordinanze della Corte d’Appello di Napoli nascono nell’ambito di una controversia promossa dalla dipendente di una impresa edile licenziata al termine di una procedura di riduzione del personale per ristrutturazione aziendale: la società datrice di lavoro, a seguito di passaggio di cantiere nei primi mesi del 2016 riassumeva i dipendenti della cedente, fra cui la lavoratrice ricorrente, a cui però non riconosceva la pregressa anzianità di servizio e che inquadrava con il neo-introdotto “contratto a tutele crescenti”. Il 1° luglio 2016 alla lavoratrice e ad altri otto colleghi veniva comunicato un licenziamento per riduzione del personale ai sensi dell’articolo 24, c. 1 della l. n. 223/1991; il licenziamento veniva impugnato per non essere state consideravate, nella scelta ai fini della comparazione, le altre figure professionali identiche presenti in organico in violazione dei criteri previsti agli artt. 4 e 5 della l. n. 223/1991 dal momento che la procedura riguardava l’intera azienda e non solo l’unità a cui la lavoratrice era addetta. Il Tribunale di Napoli respingeva il ricorso per genericità ed infondatezza dei motivi; la Corte d’appello, superando questa valutazione del giudice di primo grado, si poneva il problema della compatibilità con le norme costituzionali e di diritto comunitario delle conseguenze della illegittimità per violazione dei criteri di scelta del licenziamento intimato all’esito di una procedura di riduzione del personale sotto vari profili anche di diritto intertemporale[1].

3. La disciplina del licenziamento collettivo in Italia alla luce delle recenti riforme

Per comprendere i rilievi della Corte d’appello di Napoli è opportuno ripercorrere brevemente la disciplina del licenziamento per riduzione di personale.

La Legge n. 92/2012 ha modificato la disciplina del licenziamento individuale (art. 18 St. Lav.) e, richiamandone le sanzioni differenziate in base alla tipologia di comportamento illecito tenuto dal datore di lavoro, ha anche inciso sulla disciplina del licenziamento collettivo (art. 24 l. n. 223/91).

In particolare, in caso di mancanza della forma scritta sono previsti la reintegra nel posto di lavoro, il pagamento di una indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento e non inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, dedotto l’aliunde perceptum nonché il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali; il lavoratore può optare per una indennità sostitutiva non soggetta a contribuzione di quindici mensilità. In caso di inosservanza degli obblighi di comunicazione e di consultazione con le organizzazioni sindacali è prevista, invece, la risoluzione del rapporto di lavoro e la corresponsione di una indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Infine, in caso di violazione dei criteri di scelta (previsti all’art. 5, c. 1 l. 223/1991), la sanzione è la reintegra nel posto di lavoro, con il pagamento di una indennità risarcitoria non superiore a dodici mensilità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dedotto l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum; salva, sempre, la possibilità per il lavoratore di optare per una indennità sostitutiva pari a quindici mensilità[2].

La riforma Renzi ha rivisto al ribasso anche le tutele contro il licenziamento collettivo illegittimo. Ferma restando la reintegra per il licenziamento nullo per difetto di forma scritta, è stata infatti estesa, dall’art. 10 d.lgs n. 23/2015, ai licenziamenti collettivi la disciplina prevista per i licenziamenti individuali per motivi economici, con una sanzione monetaria uniforme per ogni altro vizio di legittimità collegata alla mera anzianità.

Questa disciplina è stata riformata dal cd. “Decreto dignità” (dl n. 87/2018, conv. l. n. 96/2018) il quale si è però limitato ad aumentare il massimale ed il minimale dell’indennizzo erogabile al lavoratore.

Con la sentenza n. 194/2018, la Corte costituzionale è intervenuta dichiarando l’illegittimità dell’art. 3, c. 1 d.lgs n. 23/2015 che legava le indennità risarcitorie per il licenziamento illegittimo al solo requisito dell’anzianità aziendale, attraverso un mero calcolo matematico, tale pronuncia ha avuto effetto anche sul profilo del licenziamento illegittimo collettivo attraverso il richiamo all’art. 3 contenuto nell’art. 10 del decreto. Pertanto, l’attuale disciplina contro il licenziamento collettivo illegittimo per gli assunti a partire dal 7 marzo 2015 prevede che per i vizi procedurali ovvero per violazione dei criteri di scelta indicati dalla legge o dall’accordo sindacale il giudice dichiari estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, con condanna al pagamento di una indennità risarcitoria non assoggettata a contribuzione compresa fra sei e trentasei mensilità della retribuzione ai fini del Tfr e calcolata sulla base dell’anzianità di servizio, ma anche, pur in assenza di rinvio espresso, come ritenuto dalla dottrina maggioritaria, degli indici previsti dall’art. 8 l. n. 604/66 (numero dei dipendenti dell’azienda, contesto socio-economico, comportamento tenuto dalle parti)[3].

Le due discipline sanzionatorie, previste dalla l. n. 92/2012 e dal d.lgs n. 23/2015, coesistono giustapposte nell’ordinamento determinando, come osserva il collegio partenopeo, disparità di trattamento in tutte quelle ipotesi, come quella del caso di specie, in cui vi sia una procedura di licenziamento collettivo che coinvolga lavoratori assunti prima e dopo la data del 7 Marzo 2015. Si tratta infatti di rimedi che, dal punto di vista sostanziale, palesano un possibile contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione dal momento che trattano situazioni uguali in modo diverso. Inoltre, essendo la disciplina della l. n. 223/1991 attuativa di una direttiva europea, il giudice di Napoli ha ritenuto necessario ottenere una pronuncia della Corte di Giustizia finalizzata a individuare i limiti della normativa europea, nonché la conformità del sistema sanzionatorio italiano ai principi giuridici eurounitari[4].

4. La doppia pregiudizialità

All’analisi delle questioni di merito circa la legittimità costituzionale e la non conformità ai principi dell’Unione Europea della disciplina del licenziamento collettivo vigente in Italia, la Corte d’appello di Napoli premette un profilo molto rilevante, quello della ammissibilità della doppia pregiudizialità. Il collegio partenopeo, nel sollevare congiuntamente un giudizio di conformità sia alla Costituzione che al diritto europeo, è conscio della novità della sua scelta, pertanto offre, soprattutto alla Consulta, una ben motivata giustificazione[5].

La Corte costituzionale, con la pronuncia n. 269/2017, ha infatti statuito che: “[ndr. nel] caso che la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei Diritti dell’Unione […] le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte [ndr. costituzionale]”[6]. In altre parole, nelle ipotesi di violazione di diritti fondamentali presenti anche nell’ordinamento eurounitario, la Consulta accentra su di sé il sindacato di legittimità.

La Corte d’appello di Napoli trova, però, che la posizione della Consulta debba essere inserita in un più generale dialogo fra Corti che non impedisce al giudice di merito di adire la Corte di Giustizia dell’Unione in qualsiasi stato e fase del giudizio qualora riscontri la necessità di una interpretazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE rilevante nel proprio procedimento[7]. I giudici partenopei giustificano inoltre la loro scelta sulla base dell’assunto che vi sia, all’interno dell’Unione Europea, un sistema di tutele complementare a quello nazionale finalizzato a proteggere i diritti dei cittadini degli Stati membri in quanto cittadini europei.

Fondamentale è anche il rilievo secondo il quale discende dall’articolo 117, c. 1 Cost. l’obbligo per i giudici di merito di applicare il diritto dell’Unione europea, ivi compresa la Carta di Nizza, e che pertanto qualora vi siano profili di illegittimità del diritto interno sia da un punto di vista costituzionale, che da un punto di vista del diritto eurounitario, sia necessario adire i due giudici di legittimità separatamente[8], ma simultaneamente perché competenti in ambiti diversi[9]. È infatti convinzione del giudice remittente che: “Qualsiasi prassi costituzionale interna, che impedisca di ritenere la supremazia del diritto dell’Unione, ostacolando anche temporaneamente la facoltà del giudice nazionale di adire ex articolo 257 Tfue la Corte di Giustizia, non sia compatibile con i vincoli assunti dall’Italia con l’adesione all’unione europea[10].

D’altro canto, le posizioni partenopee sono in linea con una consolidata giurisprudenza europea, avallata anche dalla giurisprudenza costituzionale[11] italiana, secondo cui “il principio del primato del diritto dell’Unione necessita che il giudice nazionale sia libero di adire in ogni fase del procedimento che reputi appropriata e finanche al termine di un procedimento incidentale di legittimità costituzionale, la Corte di Giustizia con qualsiasi questione pregiudiziale ritenga necessaria[12].

5. I profili di illegittimità costituzionale

Venendo al merito della questione di legittimità costituzionale, i giudici di Napoli censurano gli artt. 1, cc. 2 e 7 e 2, c. 2 della l. n. 183/2014, nonché gli artt. 3 e 10 del d.lgs n. 23/2015, indicando tre profili di non manifesta incostituzionalità[13].

In primo luogo, il collegio napoletano censura il regime sanzionatorio contro il licenziamento collettivo illegittimo perché introduce una disparità di trattamento irragionevole fra identiche violazioni della procedura di riduzione del personale relative a fattispecie del tutto omogenee e risulta inadeguato sotto il profilo della deterrenza e della ristorazione del danno effettivo subito dal lavoratore. Rileva, poi, il contrasto della normativa vigente con le disposizioni derivanti dal diritto primario e di quello derivato dell’Unione europea e della Carta Sociale Europea. Da ultimo evidenzia l’eccesso di delega, avendo il legislatore delegato travalicato i limiti contenuti nella legge di delega[14].

Da un punto di vista sostanziale, i giudici di appello ritengono che l’attuale sistema sanzionatorio violi il principio di ragionevolezza dato che si possono avere diverse e distinte tipologie di sanzione per violazioni fra loro omogenee in caso di licenziamento collettivo illegittimo. Il collegio enfatizza come, comparando i due modelli vigenti, quello introdotto con la riforma Renzi sia considerevolmente meno efficace rispetto al precedente. Da ciò discenderebbe quindi una violazione del principio di uguaglianza, nella sua accezione di principio di non discriminazione e parità di trattamento, non sanabile in base a quanto disposto con la sentenza della Consulta n. 194/2018 secondo cui “il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche[15]. Nel caso di specie, la Corte d’appello ritiene che il criterio temporale non sia idoneo “a giustificare l’applicazione di sanzioni adeguate e dissuasive per alcuni e non effettive per altri[16] soprattutto in virtù del fatto che la disciplina del licenziamento collettivo è tesa a prevenire l’arbitrio in procedure comparative. Appare, infatti “irragionevole e contrario ai principi di parità di posizioni sostanzialmente omogenee ritenere che medesimi diritti coinvolti nello stesso e simultaneo processo selettivo, finalizzato ad assicurare una valutazione imparziale, siano assoggettati a sistemi di tutela sostanzialmente difformi di cui uno inadeguato[17].

Critiche al tema del “fluire del tempo” sono state mosse anche dal Tribunale di Milano che, in un giudizio analogo a quello della Corte di appello di Napoli, ha sollevato la questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Lussemburgo. Il giudice meneghino afferma, infatti, che, pur essendo ammissibile che con lo scorrere del tempo mutino anche le tutele contro il licenziamento illegittimo, una disciplina differenziata in merito a diritti fondamentali in relazione a soggetti in posizioni omogenee viola il principio di ragionevolezza. Il Tribunale di Milano aggiunge poi che nonostante il diritto dell’UE non preveda l’obbligatorietà della reintegra come mezzo sanzionatorio per il licenziamento illegittimo, il principio di ragionevolezza implica che alla riduzione di una disciplina protettiva corrisponda un incremento di un’altra forma di tutela ugualmente deterrente. Infine, il giudice milanese richiama anche la sentenza Mangold[18] in cui la Corte di Giustizia afferma che al fine di superare il test di ragionevolezza il legislatore nazionale che approvi una disciplina compressiva di tutele giuridiche esistenti, deve fornire evidenze empiriche che in tale maniera si abbia un beneficio superiore al danno che la nuova regolamentazione introduce. In altre parole, lo scopo di incrementare l’occupazione come giustificazione per le riforme degli ultimi anni, non può essere soltanto dichiarato dal legislatore, ma deve essere provato con evidenze empiriche che possano dimostrare la sua possibile realizzazione.

Per quanto riguarda poi il profilo processuale, la Corte d’appello di Napoli ritiene che la soppressione del rito Fornero, definito dalla stessa Corte costituzionale un vantaggio per il lavoratore[19], comprometta l’effettività della tutela e costituisca un ulteriore vulnus al principio di ragionevolezza del sistema[20].

Il secondo profilo di incostituzionalità riguarda la violazione del diritto dell’Unione Europea e della Carta Sociale Europea, riconosciuti quali parametri di legittimità in virtù degli artt. 10 e 117, c. 1 Cost. La Corte d’appello sostiene che la disciplina dei licenziamenti collettivi appartenga all’ambito dell’acquis communautaire in virtù della direttiva 98/59/CE e dell’art. 30 della Carta di Nizza, tali atti vietano che il legislatore introduca discipline disomogenee per sanzionare il medesimo comportamento illegittimo[21]. Inoltre, sebbene l’Ue non abbia imposto una soluzione ripristinatoria o indennitaria, lasciando agli Stati la possibilità di applicare la normativa più opportuna in base ai loro ordinamenti, essa ha tuttavia stabilito che la sanzione contro condotte datoriali illegittime debba essere omogenea, adeguata e deterrente.

Più precisamente, i giudici partenopei argomentano come il combinato disposto della l. n. 92/2012 e del d.lgs n. 23/2015 contrasti con l’art. 30 della Carta di Nizza che dispone “ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”.

Tralasciando per un istante il contenuto generico della norma e concentrandosi sulla fonte, va detto che la Carta di Nizza ha una rilevanza concreta e fondamentale per valutare la normativa europea. L’art. 6 TUE ha infatti recepito questo atto parificandolo ai trattai istitutivi e rendendolo fonte primaria e parametro di riferimento per tutto il diritto derivato dell’UE (regolamenti, direttive, decisioni). Sulla validità giuridica della Carta vi sono, però, due orientamenti: da un lato la giurisprudenza precedente al 2017 della Corte costituzionale e quella costante della Corte di Giustizia che affermano che non è sufficiente che una materia sia tra quelle di competenza dell’Unione europea per poter richiamare la Carta come parametro, ma è necessario che vi sia una norma di attuazione. Dall’altro, autorevole dottrina e recente giurisprudenza costituzionale[22] ammettono la rilevanza della Carta anche senza disciplina attuativa. Indipendentemente dall’opinione sul punto, nel caso di specie la disciplina di recepimento sussiste, potendo essere rinvenuta nella Dir. n. 98/59/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, pertanto il collegio napoletano correttamente interpreta la rilevanza del diritto eurounitario in questa controversia[23].

Venendo al contenuto dell’art. 30 della Carta di Nizza, il tenore letterale è piuttosto generico, per questo motivo assumono rilievo le “Spiegazioni” allegate alla Carta, che riempiono di significato questa disposizione. Il valore giuridico delle cd. “Spiegazioni” è dibattuto, tuttavia la dottrina maggioritaria sposa la tesi di ritenere questo atto uno strumento interpretativo privilegiato, visto anche il suo esplicito richiamo contenuto nella stessa Carta. Nel commento all’art. 30 della Carta, le “Spiegazioni” fanno esplicito riferimento alla Carta Sociale Europea e in particolar modo all’art. 24 che prevede l’obbligo di una sanzione indennitaria o ripristinatoria in caso di licenziamento illegittimo[24]. Questo meccanismo di rimandi consente alla Corte napoletana di affermare che l’art. 30 della Carta di Nizza “costituisce il vincolo di razionalità e compatibilità della norma nazionale” ed è riempito attraverso un processo di esegesi sistematica dalle previsioni contenute all’art. 24 della Carta Sociale che impongono al legislatore di introdurre un “congruo indennizzo o altra misura adeguata”.

A dettagliare maggiormente il tenore dell’art. 24 della Carta sociale interviene la quasi-giurisprudenza del Comitato Europeo dei Diritti Sociali, che presidia ed interpreta la carta esprimendo dei pareri sulla base dei reclami presentati da organizzazioni collettive e ong. Per quanto non si possa parlare di giurisprudenza a carattere vincolante, come accade invece per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il valore delle pronunce del Comitato Europeo dei Diritti Sociali è, ai fini dell’interpretazione, assimilabile a quello delle Sezioni Unite nell’ordinamento italiano[25]. In altri termini, si tratta di una quasi-giurisprudenza che è a tutti gli effetti integrativa e vincolante, rilevando per l’applicazione della Carta Sociale[26]. Le pronunce del Comitato Europeo dei Diritti Sociali hanno esplicitato come l’art. 24 stabilisca l’obbligo per gli Stati di approntare una disciplina contro il licenziamento illegittimo caratterizzata da unitarietà, non discriminazione, deterrenza ed effettività[27].

La Corte di appello di Napoli richiama la vincolatività delle disposizioni della Carta Sociale Europea nel nostro ordinamento anche per un secondo motivo: la carta è un trattato internazionale ratificato dal nostro Paese. In ossequio ad una giurisprudenza costituzionale consolidata, nonché ad autorevole dottrina, benché la legge di ratifica della Carta Sociale sia ordinaria, in virtù della nuova formulazione dell’art. 117 Cost., tale atto è fonte sub-costituzionale dotato di particolare resistenza e funge da parametro interposto di costituzionalità[28]. In altre parole, pur non essendo dotata di effetto diretto e non ammettendosi disapplicazione delle norme di legge da parte del giudice ordinario, come avviene invece per il diritto europeo, in caso di violazione da parte delle disposizioni nazionali della Carta, a seguito di un giudizio incidentale di costituzionalità, la consulta può dichiarare illegittima la norma italiana in contrasto con quella internazionale[29].

A ulteriore supporto di questo secondo motivo di incostituzionalità, la Corte richiama i principi di uguaglianza e non discriminazione (artt. 20 e 21 Carta di Nizza) propri del diritto europeo quali parametri di valutazione per la legittimità della normativa nazionale. Così facendo la prima censura e la seconda si saldano perché per altro verso colpiscono la disciplina vigente sul piano del diritto nazionale e su quello del diritto sovranazionale, che, tramite i precisi richiami contenuti nella costituzione, diviene parametro di legittimità[30].

La terza e ultima censura riguarda l’eccesso di delega. L’argomentazione sul tema muove dall’analisi del dato normativo della l. n. 183/2014, che all’art 1, c. 7 demandava al governo il compito di approvare una “disciplina che preveda tutele crescenti con l’anzianità e che escluda per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore[31]. Il tenore letterale della disposizione, soprattutto se letto alla luce dei lavori parlamentari, appare chiaramente escludere il licenziamento collettivo dal novero della riforma. Nelle relazioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica si legge, infatti, che “l’esclusione per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti dall’applicazione dell’istituto della reintegra [ndr. deve] intendersi riferita alle sole fattispecie relative ai licenziamenti individuali non essendo in discussione la disciplina dei licenziamenti collettivi[32]. Un ultimo rilievo a carattere sistematico viene dall’uso del termine “licenziamento economico” da parte di dottrina e giurisprudenza, che lo impiegano solo in relazione alle ipotesi di recesso individuale per motivo oggettivo[33].

Queste tre censure hanno un rilievo fondamentale poiché individuano un serio problema applicativo della vigente disciplina del licenziamento collettivo e impongono una riflessione circa la sua applicazione.

6. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Con l’ordinanza di remissione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, la Corte d’appello di Napoli propone quattro quesiti tesi a misurare la legittimità della normativa italiana sul licenziamento collettivo alla luce del diritto dell’Unione, che ha una diretta incidenza sulla disciplina nazionale attraverso due strumenti: la Carta di Nizza e la Direttiva n. 98/59/CE.

I primi tre quesiti, pur con sfumature differenti, mirano a comprendere il perimetro applicativo della Carta di Nizza. Il collegio muove dall’assunto che il licenziamento collettivo sia materia dell’Unione alla luce del disposto dell’art. 30 della Carta di Nizza in cui si stabilisce il diritto del lavoratore ad una tutela effettiva contro il licenziamento.

Come si è detto, nonostante la disposizione sembri avere natura programmatica, i giudici partenopei ritengono che l’art. 30 della Carta di Nizza abbia un contenuto obbligatorio se interpretato alla luce delle “Spiegazioni” allegate all’atto[34]. D’altronde, come spiegato nel paragrafo precedente, le “Spiegazioni” trovano un esplicito riconoscimento come parametro interpretativo all’interno della stessa Carta di Nizza e assumono un ruolo integrativo[35]. Nella descrizione del contenuto dell’art. 30 le “Spiegazioni” richiamano l’articolo 24 della Carta Sociale Europea. Il combinato disposto fra questi due articoli ha quindi carattere precettivo vincolante per il legislatore ed il giudice nazionale, i quali devono, nel recepire e poi nell’applicare la disciplina del licenziamento collettivo, conformarsi ai principi generali del diritto eurounitario di adeguatezza, proporzionalità, efficacia e dissuasività della sanzione[36].

Alla luce di questi presupposti, la Corte d’appello chiede se possa essere o meno introdotta una normativa nazionale che non si conformi al combinato disposto dell’art. 30 della Carta di Nizza e dell’art. 24 della Carta Sociale[37].

Con il secondo e terzo quesito[38] il collegio partenopeo sviluppa il contenuto del primo dettagliandolo alla luce delle decisioni assunte dalla quasi-giurisprudenza del Comitato Europeo dei Diritti Sociali. In altre parole, posta la compenetrazione fra l’art. 30 della Carta di Nizza e dell’art. 24 della Carta Sociale, i giudici napoletani postulano la rilevanza, ai fini dello scrutinio di conformità con il diritto dell’Unione, anche di tutte quelle pronunce rese dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali[39]: se l’art. 24 della Carta Sociale integra il contenuto dell’art. 30 della Carta di Nizza, e se le decisioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali integrano il contenuto materiale dell’art. 24, allora tali decisioni hanno rilievo anche per il diritto dell’Ue.

Questo ragionamento permette di rendere vincolanti le decisioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali, che, va ricordato, hanno un valore esegetico fondamentale assimilabile, nell’ordinamento italiano, a quello di una sentenza delle sezioni unite della cassazione. Nel caso Finnish Society of Social Rights v. Finlandia, il Comitato ha affermato che in caso di licenziamento illegittimo il legislatore deve applicare una sanzione che sia caratterizzata da due elementi: una sanzione monetaria a titolo di risarcimento del danno finanziario subito dalla data del licenziamento a quella della decisone della controversia, la reintegrazione o la riassunzione nel posto precedentemente occupato, o, in alternativa, un indennizzo di livello sufficientemente elevato da dissuadere il datore di lavoro e da risarcire i danni subiti dal dipendente[40].

La Corte d’appello di Napoli chiede quindi se un meccanismo come quello previsto dalla riforma Renzi, che esclude la reintegrazione e introduce un indennizzo parametrato, tendenzialmente, all’anzianità di servizio e non al ristoro del danno effettivo, leda i caratteri di effettività, proporzionalità, dissuasività e adeguatezza del diritto dell’Ue interpretato alla luce della Carta Sociale Europea[41].

La quarta questione è diversa rispetto alle precedenti poiché la Corte si concentra sulla violazione del principio di uguaglianza così come riconosciuto in sede eurounitaria. Nel motivare la questione, i giudici ricordano la rilevanza, per il diritto dell’Unione e per la giurisprudenza della Corte di Giustizia, del principio di uguaglianza, nella duplice accezione di non discriminazione e parità di trattamento[42], sottolineando come la disciplina italiana contrasti con esso. La Corte rileva, infatti, che la sussistenza di un doppio meccanismo sanzionatorio nel nostro diritto nazionale che tratta fattispecie identiche in modo diverso non possa esse considerato in linea con il principio di uguaglianza. In altre parole, il diritto italiano violerebbe i principi di parità di trattamento e di non discriminazione di matrice europea dal momento che prevede una difforme tutela per i lavoratori oggetto di licenziamento illegittimo non in virtù di un differente abuso datoriale, ma unicamente in base alla data di assunzione[43].

7. Rilievi conclusivi

Le due ordinanze hanno il pregio di tentare di mettere dei punti fermi in un panorama complesso e controverso quale è quello sulla legittimità e sulle modalità di applicazione del sistema sanzionatorio contro il licenziamento illegittimo attualmente in vigore.

La scelta, senza dubbio unica e audace della Corte d’appello di Napoli, di operare un doppio rinvio è forse anche motivata dalla necessità di fare chiarezza rispetto ad alcune delle più recenti pronunce[44] della Consulta che sembrano voler limitare il rinvio pregiudiziale in materia di diritti fondamentali, ponendosi, peraltro, in antitesi con una consolidata e costante giurisprudenza della Corte stessa[45].

Tralasciando i profili processuali ed entrando nel merito delle questioni sollevate, queste ordinanze assumono particolare rilievo soprattutto perché affrontano la problematica del duplice sistema sanzionatorio in caso di licenziamento collettivo illegittimo che, lungi dall’essere risolta a seguito della citata sentenza n. 194/2018, permane una questione aperta e attuale.

I rilievi più convincenti mossi dal collegio partenopeo sono indubbiamente quelli relativi alla violazione del principio di uguaglianza che non può essere giustificata con il “fluire del tempo”. La disciplina del licenziamento collettivo, non essendo uniforme ed organica, ma ammettendo trattamenti disomogenei per situazioni identiche, viola il principio costituzionale ed europeo di uguaglianza. In altre parole, in caso di licenziamento collettivo possono essere espulse dall’impresa figure professionali identiche a cui, però, non si applica la medesima tutela in virtù non di differenze strutturali nella fattispecie, ma della mera data di assunzione, ciò viola manifestamente il principio di uguaglianza nella sua accezione di non discriminazione e parità di trattamento poiché a situazioni identiche sono riconnesse sanzioni immotivatamente diverse.

In merito alla ricostruzione del valore e dell’interconnessione fra la Carta di Nizza e la Carta Sociale Europea, entrambe le ordinanze scelgono una via poco battuta dalla giurisprudenza, ma solida nella dottrina, rivelando un approccio indubbiamente innovativo e importante. Il ricorso a fonti sovranazionali caratterizza sempre di più la giurisprudenza dei paesi europei, ciò è verosimilmente dovuto al diffondersi di legislazioni liberiste, compressive dei diritti sociali. Queste ordinanze si iscrivono, quindi, nell’ambito di un dialogo fra giudici nazionali e sovranazionali che si svilupperà sempre di più nei prossimi anni spostando il fuoco della tutela dei diritti sociali dal piano nazionale a quello europeo. Quest’ultima considerazione va però accompagnata da una precisazione: nell’epoca attuale la Corte di Giustizia sembra assestarsi su posizioni moderate, non sembra volere estendere ulteriormente, come aveva fatto invece in passato, il perimetro delle competenze dell’Unione. Questo approccio potrebbe porre un certo numero di problemi ai giudici nazionali rallentando il dialogo e non fungendo da argine alle politiche liberiste dei paesi europei. È pur vero che, anche se rallentato, il dialogo è continuato in modo proficuo e positivo negli scorsi anni, per questo le ordinanze della Corte d’appello di Napoli sono sicuramente rilevanti.

Per quanto riguarda, infine, le obiezioni mosse in sede di rinvio alla Consulta sul tema del fluire del tempo appare difficile ipotizzare un ripensamento della Corte vista la vicinanza con la sentena n. 194/2018. Un ruolo ben più rilevante va dato al tema dell’eccesso di delega, soprattutto alla luce del contenuto dei lavori parlamentari e dell’interpretazione sistematica data dalla Corte di Napoli. Su questo profilo la Consulta si è espressa in modo significativo in plurime occasioni, sanzionando l’eccesso di delega e travolgendo le discipline più diverse, per questo non è inverosimile ipotizzare un accoglimento.

 

 

[1] Cfr. Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18.09.2019, cap. 1-9 e Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18.09.2019, cap. 6-11.

[2] O. Mazzotta, Diritto del Lavoro, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 707-745 e 790-793.

[3] O. Mazzotta, Diritto del Lavoro, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 707-745 e 790-793.

[4] Cfr. Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18.09.2019, cap. 32, 33 e Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18.09.2019, cap. 43, 62, 76.

[5] Cfr. Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18.09.2019, capp. 14-30 e Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18.09.2019, capp. 17-20 e 42.

[6] Questa affermazione, espressa in Corte cost., sent. n. 269, 07.11.2017, si iscrive nel solco di altre pronunce di corti costituzionali europee, da ultimo cfr. Corte cost. Austriaca, sent. nn. U-466/11-18; U-1836/11-13, 14.03.2012, ma contrasta con la giurisprudenza consolidata del nostro giudice delle leggi v. Corte cost., sent. n. 170, 08.06.1984 (cd. sent. Granital).

[7] Come ricorda anche Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18.09.2019, cap. 18, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha plurime volte rimarcato il potere del giudice di merito di adire il giudice eurounitario nel corso del procedimento, a tal proposito cfr. Cgue, causa C-112/13, 11.09.2014 e Cgue, causa C-322/16, 20.12.2017.

[8] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18.09.2019, cap. 14, 19 e 20.

[9] I giudici partenopei, pur non esprimendosi in questi precisi termini, hanno certo in mente il caposaldo costituzionale, mai smentito dalla Consulta, contenuto in Corte cost., sent. n. 170, 08.06.1984 (cd. sent. Granital) in cui si affermava che i sistemi giuridici nazionale ed eurounitario erano fra loro “autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato”.

[10] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18.09.2019, cap. 21.

[11] Cfr. Corte cost., sent. n. 20, 23.01.2019.

[12] Cgue, causa C-112/13, 11.09.2014.

[13] L’analisi che segue prende in considerazione solo i profili più significativi delle censure mosse dalla Corte d’appello di Napoli al fine di focalizzare l’attenzione del lettore sul cuore della questione, per un’analisi più attenta si invita a v. Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019.

[14] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 31-38.

[15] Corte cost., sent. n. 194, 26.09.2018.

[16] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, cap. 47

[17] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, cap. 48.

[18] Cgue, causa C-144/04, 22 novembre 2005 (Mangold).

[19] Cfr. Corte cost., sent. n. 78, 13 maggio 2015.

[20] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, cap. 65.

[21] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 68-99.

[22] Corte cost., sent. n. 269, 07.11.2017 in cui si stabilisce che “laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del Tfue” e Corte cost., sent. n. 20, 21.03.2019.

[23] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 68-84.

[24] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 82 e 85-90.

[25] Cfr. V. Speziale, Il problema della legittimità costituzionale del contratto a tutele crescenti, e in La normativa italiana sui licenziamenti: quale compatibilità con la Costituzione e la Carta sociale europea? Atti del seminario in previsione dell’udienza pubblica della Corte costituzionale del 25 settembre 2018 sulla questione di costituzionalità sul d. lgs n. 23/2015, in Forum di Quaderni Costituzionali, Univeristà degli studi di Ferrara, 2018, pp. 56 ss., v. www.forumcostituzionale.it, consultato il 27.01.2020, nonché l. Borlini e l. Crema (2018), Il valore delle pronunce del Comitato Europeo dei Diritti Sociali ai fini della interpretazione della Carta Sociale Europea nel Diritto internazionale, in La normativa italiana sui licenziamenti: quale compatibilità con la Costituzione e la Carta sociale europea?, in La normativa italiana sui licenziamenti: quale compatibilità con la Costituzione e la Carta sociale europea? Atti del seminario in previsione dell’udienza pubblica della Corte costituzionale del 25 settembre 2018 sulla questione di costituzionalità sul d. lgs n. 23/2015, in Forum di Quaderni Costituzionali, Univeristà degli studi di Ferrara, 2018, p. 105 ss.

[26] Cfr. G. Bianchi, L’efficacia dei trattai internazionali alla luce dell’art. 117, c. 1 della Costituzione. Note a margine delle sentenze 348/07 e 349/07 della Corte costituzionale, in Altalex, 2008, p. 3-4, v. www.altalex.com, consultato il 27.01.2020.

[27] European Committee of Social Rights, Finnish Society of Social Rights v. Finland, Complaint n. 106/2014, Decision Jenuary 31 2017, 13.

[28] Corte cost., sent. n. 323, 06 giugno 1989, Corte. Cost., sent. nn. 348 e 349, 24 ottobre 2007, nonché B. Conforti, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006, p. 293.

[29] B. Conforti, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006, p. 293.

[30] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 90-99.

[31] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 101, 102.

[32] Cfr. Sessione della Commissione Lavoro della Camera dei deputati del 17 febbraio 2015.

[33] Corte App. Napoli, Ord. di rimessione alla Corte costituzionale, 18 settembre 2019, capp. 100-109.

[34] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, cap. 52.

[35] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, cap. 55.

[36] Cgue, causa C-14/83, 10.04.1984 (Von Colson) e Conclusioni dell’Avvocato Generale nella pronuncia Cgue, causa C- 494/16, 07 marzo 2018 (Santoro).

[37] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, capp. 43 e 61.

[38] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, capp. 62-75.

[39] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, capp. 66-71.

[40] Cfr. European Committee of Social Rights, Finnish Society of Social Rights v. Finland, Complaint n. 106/2014, Decision Jenuary 31 2017, 13.

[41] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, cap. 75.

[42] Cfr. Cgue, causa C-271/91, 02.08.1993 (Marshal II) e Cgue, cause riunite C- 117/76 e C-16/77, 19.10.1977 (Ruckdeschel).

[43] Corte App. Napoli, Ord. Ex art. 267 Tfue di rinvio alla Cgue, 18 settembre 2019, capp. 76-87.

[44] Cfr. Corte cost., sent. n. 269, 07 novembre 2017.

[45] Cfr. Corte cost., sent. n. 170, 08 giugno1984 (Granital) in cui si introduceva una forma di sindacato diffuso di “non applicazione” della disciplina interna incompatibile con quella comunitaria e la precedenza del rinvio pregiudiziale su quello incidentale di costituzionalità, confermato anche da Corte cost., ord. n. 100, 02 aprile 2009.

12/02/2020
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