Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La tutela del lavoro nell'impresa frammentata (in modo fittizio o genuino): due nitide pronunce della Suprema Corte

di Giorgio Flaim
giudice del lavoro presso il tribunale di Trento

La Corte evidenzia il rilievo di una pluralità di indici sintomatici ai fini della qualificazione in termini di somministrazione vietata di manodopera di un apparente appalto labour intensive (Cass. n. 12551/2020) e precisa l’elemento essenziale della responsabilità del committente in ordine agli infortuni accaduti nello svolgimento dell’attività esecutiva dei successivi subappalti (Cass. n. 12465/2020).

1.

Le pronunce  in commento, che riguardano due vicende di frammentazione endoaziendale (una fittizia, l’altra genuina) dell’impresa esercitata dal committente, si rivelano particolarmente preziose per i giudici di merito in quanto la S.C. (come precisato esplicitamente nella prima pronuncia sub § 2 e § 8) ha esercitato il potere di controllo sulla valutazione giuridica effettuata dal giudice di appello non solo in ordine alla corretta interpretazione delle norme di legge applicate, ma anche riguardo al giudizio di sussunzione nei precetti generali e astratti della vicenda concreta accertata in giudizio[1]

In particolare nella controversia definita da Cass. n. 12465/2020 veniva in rilievo l’interpretazione e l’applicazione di una norma, qual è l’art. 29 comma 1 d.lgs 10.9.2003, n. 276[2], la cui fattispecie (contratto di appalto) viene delineata dal legislatore (in relazione ad altra fattispecie, costituita dalla somministrazione illecita di lavoro) in modo che la sua ricorrenza nel caso concreto possa essere meglio verificata dall’interprete attraverso il  metodo tipologico piuttosto che mediante  quello tradizionale, di natura sussuntiva, vale a dire accertando  la corrispondenza della vicenda concreta alla fattispecie legale in riferimento non già soltanto agli elementi che  compongono il c.d. tipo normativo, ma anche a quelle circostanze, che, pur non essendo state espressamente considerate dal legislatore, maggiormente si approssimano agli  elementi che si rinvengono nel  cd. tipo empirico, ossia in quello esistente nella realtà sociale[3]

La ragione è evidente. Infatti il legislatore, oltre a richiamare gli elementi essenziali fissati dalla nozione codicistica dell’appalto ex art. 1655 cc (compimento di un opera o di un servizio costituenti il risultato distinto dalle prestazioni che hanno concorso a produrli e realizzato da parte dell’appaltatore con l’organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio), precisa, recependo il consolidato orientamento della Suprema Corte[4], che l’organizzazione dei mezzi necessaria (a compiere l’opera o il servizio) può anche risultare, «in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto», dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto.

Trova così conferma il rilievo della dottrina secondo cui sussiste un nesso tra l’individuazione degli elementi che differenziano l’appalto lecito di opere o servizi dalla somministrazione illecita di sola manodopera e la subordinazione[5], che rappresenta il tema di diritto del lavoro rispetto al quale si è maggiormente sviluppato il dibattito intorno ai metodi di qualificazione giuridica delle vicende concrete.

Mentre il tradizionale metodo sussuntivo conduce a un giudizio di identità tra vicenda concreta e fattispecie astratta nel senso che la prima è  riconducibile alla seconda solamente se presenti tutti gli elementi individuati dal legislatore, alla luce del metodo tipologico la qualificazione giuridica può solo consistere in un giudizio di approssimazione della vicenda concreta rispetto al tipo normativo elaborato dal legislatore, di talché nel caso specifico il rapporto di lavoro può ritenersi di natura subordinata quando sia presente non la totalità, ma la maggiore e la più significativa parte degli elementi e delle caratteristiche riscontrabili nel cd. tipo empirico ossia nel modello socialmente prevalente di lavoratore subordinato[6]

In questo senso opera la giurisprudenza allorquando, specie nelle vicende concrete in cui la qualificazione giuridica non è agevole alla luce degli elementi costituenti il tipo normativo elaborato dal legislatore nell’art. 2094 cc (soprattutto l’eterodeterminazione o, più ampiamente, secondo un orientamento dottrinale[7] che valorizza la locuzione «alle dipendenze» e che trova riscontro nel pensiero della Corte costituzionale[8], la doppia alienità rispetto alla destinazione del risultato e all’organizzazione produttiva), fa ricorso a una serie di circostanze (cd. indici sintomatici) che trae dal tipo empirico di lavoratore subordinato e dall’ordinaria disciplina del rapporto di lavoro subordinato[9].

Accanto al metodo tipologico classico, che, pur nell’ambito della valutazione delle situazioni nel loro significato globale, attribuisce rilievo alle caratteristiche intrinseche degli elementi che vanno a configurare il  tipo empirico in via tendenziale (dato che nel caso concreto non possono essere sempre presenti tutti insieme e nella stessa misura), si è andata affermando  una versione funzionale dello stesso metodo: sussistendo la necessità di una maggiore specificazione del criterio volto a disciplinare la reciproca interscambiabilità degli elementi riconducibili al tipo, vengono soprattutto evidenziate le relazioni che intercorrono tra detti elementi così da individuare la funzione che ciascuno svolge nell’ambito del tipo; quindi l’interscambiabilità viene fondata sull’idoneità a esercitare la medesima funzione. 

Un insigne giurista[10] ha osservato che: «Il metodo tipologico implica sì un discorso su due piani, non però nel senso di una duplicazione delle fattispecie, l’una, definita dall’art. 2094, per la classificazione del rapporto nella categoria della subordinazione, l’altra determinata volta a volta confrontando col tipo normativo gli elementi (tipologicamente) descrittivi del caso concreto, per la determinazione della disciplina applicabile…  I due piani di discorso si riferiscono a un’unica fattispecie, quella legale, e si differenziano nei termini della teoria analitica del significato, distinguendo un nucleo comune a tutte le situazioni applicative e varianti di senso adeguate ai vari contesti…  È sufficiente che le varianti contestuali, che traducono il significato astratto della fattispecie legale in una proposizione applicabile al caso concreto (cioè in una regola concreta di decisione), siano identiche ai concetti della proposizione iniziale quanto a valore operazionale, non quanto a contenuto…  È sufficiente una relazione di equivalenza funzionale tra le varianti di significato definite in base al contesto delle concrete situazioni applicative e il contenuto proposizionale del testo, così da giustificare l’attribuzione anche a quelle, malgrado la diversità di contenuto, del nome di “subordinazione”… Nei limiti del principio di equivalenza… la premessa minore della decisione  può avere, alla stregua della ricostruzione tipologica del caso concreto, un contenuto diverso da quello della proposizione iniziale in cui si esprime la premessa maggiore, mantenendo però un significato equipollente».

Quindi il valore discretivo degli indici sintomatici utilizzati dalla giurisprudenza e delle “varianti di senso” in relazione funzionale con gli elementi del tipo normativo della subordinazione elaborato dal legislatore nell’art. 2094 cc muta a seconda delle peculiarità che caratterizzano il concreto rapporto di lavoro oggetto di qualificazione[11].

Il legislatore del 2003 ha adottato una regola simile allorquando nell’art. 29 comma 1 d.lgs 276/2003 ha prescritto che l’elemento essenziale della fattispecie lecita dell’appalto e costituito dall’organizzazione dei mezzi necessari, da parte dell’appaltatore, per la realizzazione dell’opera o per lo svolgimento del servizio, può anche risultare dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, ma non in ogni caso, bensì «in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto».

Secondo opinione concorde[12] alla luce di questa disposizione, se negli appalti che richiedono l’utilizzo di rilevanti mezzi materiali la genuinità dell’appalto esige che l’appaltatore organizzi quei beni ai fini della realizzazione dell’opera o dello svolgimento del servizio, di contro negli appalti in cui per la loro esecuzione è sufficiente, in linea di massima, il compimento di prestazioni lavorative, mentre è marginale l’impiego di mezzi materiali (i cd. appalti labour intensive ossia ad alta intensità di lavoro), l’organizzazione costituente elemento essenziale dell’appalto, ossia quella necessaria per la realizzazione dell’opera o dello svolgimento del servizio, può consistere anche nell’esercizio, da parte dell’appaltatore, del potere organizzativo e direttivo, vale a dire occorre soltanto che l’appaltatore si avvalga, nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, delle prerogative proprie del datore di lavoro.

 

2.

La vicenda concreta sottesa alla pronuncia Cass. n. 12551/2020 concerne un rapporto di appalto intercorso tra il committente Banco di Napoli s.p.a. e l’apparente appaltatore I.C. Servizi s.r.l. avente a oggetto servizi di facchinaggio, spostamento mobili ed arredi e sistemazione degli archivi. Sette lavoratori formalmente alle dipendenze dell’appaltatore e utilizzati nell’esecuzione dell’appalto hanno agito, ai sensi dell’art. 29 comma 3-bis d.lgs 276/2003, per la costituzione di rapporti di lavoro alle dipendenze del committente.

La Corte d’Appello di Napoli ha rigettato le domande proposte dai lavoratori, escludendo che il committente si fosse ingerito o avesse interferito in ordine alle modalità tecniche di realizzazione dei servizi oggetto dell’appalto.

Ciò in ragione delle seguenti circostanze:

a) il committente si era limitato a prendere atto della lista dei nominativi degli operai inviati dall'appaltatrice a svolgere il servizio, astenendosi, quindi, dal sollecitare l’utilizzo di determinati lavoratori, il che aveva escluso l’insorgenza di un rapporto fiduciario tra committente e lavoratori;

b) irrilevante era la circostanza che presso i luoghi di esecuzione dell’appalto non fosse costantemente presente un preposto dell’appaltatore con l’’incarico di supervisione delle prestazioni svolte dai lavoratori alle dipendenze dello stesso appaltatore, il che aveva comportato che costoro agissero in una condizione di autonomia;

c) irrilevante era anche la circostanza che il committente avesse fornito ai dipendenti dell’appaltatore indicazioni circa i mobili e gli arredi da movimentare, nonché gli spazi da occupare, trattandosi non già di istruzioni o direttive assimilabili a quelle impartite da un datore di lavoro, ma di mere informazioni volte a individuare l’oggetto della prestazioni al fine di garantire la realizzazione del servizio appaltato;

d) irrilevante era anche la circostanza che su appositi fogli venisse registrato l’orario osservato dai lavoratori alle dipendenze del committente in quanto l’incombente aveva l’unico scopo di quantificare il lavoro svolto da costoro ai fini della contabilizzazione del costo del servizio; 

e) irrilevante era anche la circostanza che i dipendenti dell’appaltatore disponessero di un locale all’interno dell’edificio della banca dove poter indossare la divisa e conservare gli strumenti di lavoro;

f) irrilevante era anche la circostanza che costoro potessero avvalersi di alcuni carrelli elevatori di proprietà del committente e utilizzati anche dai dipendenti di quest’ultimo;

g) irrilevante era anche la circostanza che costoro dovessero utilizzare un badge per poter entrare e uscire dai locali della banca, essendo evidenti le sottese esigenze di sicurezza.

Il Supremo Collegio sottopone a serrata e puntuale critica la motivazione del giudice di appello, esercitando, come si è evidenziato in limine, il potere di controllo afferente al giudizio di sussunzione della vicenda concreta alla fattispecie dell’appalto lecito di servizi ex art. 1655 cc ed ex art. 29 comma 1 d.lgs 276/2003.

Una volta ricordati gli elementi costitutivi di tale fattispecie (servizio autonomo, organizzazione autonoma anche tramite esercizio del potere direttivo e rischio d'impresa) e la necessità, propria del metodo tipologico, di considerare le peculiarità dell’appalto (nel caso in esame labour intensive), censura la portata qualificatoria attribuita dal giudice di merito delle seguenti circostanze indiziarie dallo stesso individuate:

ad a)

l’invio, da parte dell’appaltatore, di una lista di nominativi di operai assume un rilievo discretivo opposto a quello indicato dalla Corte di appello, trattandosi della sola attività compiuta dall’appaltatore in ordine allo svolgimento delle prestazioni effettuate dai propri dipendenti nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto e come tale largamente insufficiente a integrare un effettivo esercizio dei poteri organizzativi e direttivi propri di un datore di lavoro; 

quanto all’assenza di un rapporto fiduciario tra il committente e i dipendenti dell’appaltatore, si tratta di una circostanza che non esclude affatto la ricorrenza di una somministrazione illecita di manodopera in quanto è proprio in tale ipotesi che il rapporto fiduciario intercorre tra i lavoratori e il somministratore, il quale provvede alla scelta e al reperimento della manodopera, talvolta organizzandola anche sul piano amministrativo, per metterla poi a disposizione dell’effettivo utilizzatore, reale datore di lavoro;

a b) 

l’assenza presso i luoghi di esecuzione dell’appalto di un preposto dell’appaltatore con l’incarico di supervisione delle prestazioni svolte dai lavoratori alle dipendenze dello stesso appaltatore deve considerarsi tutt’altro che irrilevante sotto il profilo qualificatorio, costituendo «un elemento altamente indiziario della presenza della fattispecie vietata dalla norma», ossia di un’ipotesi di  somministrazione di mera manodopera, in quanto esclude la ricorrenza  nel caso concreto della principale modalità con cui solitamente l’appaltatore esercita il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei propri dipendenti addetti a prestazioni esecutive dell’appalto; è lo stesso giudice di appello che finisce per ammettere che l’appaltatore non si è avvalso delle proprie prerogative di datore di lavoro allorquando afferma che i lavoratori realizzavano il servizio «in condizioni di autonomia esecutiva»;

a c)

in ragione della natura labour intensive dell’appalto de quo e nel contesto emergente dalle circostanze sub a) e b), caratterizzato dal mancato esercizio, da parte dell’appaltatore, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei propri dipendenti, ossia dall’assenza della circostanza in cui negli appalti di quella natura secondo l’art. 29 comma 1 d.lgs 276/2003 si manifesta l’elemento essenziale ex art. 1655 cc dell’organizzazione, da parte dell’appaltatore, dei mezzi necessari ai fini della realizzazione del servizio – il fatto che il committente fornisse ai dipendenti dell’appaltatore indicazioni circa i mobili e gli arredi da movimentare  nonché gli spazi da occupare assume un rilievo selettivo radicalmente diverso da quello attribuitogli dal giudice di appello: quelle indicazioni non costituivano affatto mere “informazioni”, ma erano  riconducibili ad atti di esercizio del potere direttivo volti a conformare le prestazioni dei lavoratori alle esigenze del committente; non vi osta il loro contenuto elementare atteso che in un appalto relativo a servizi di facchinaggio, spostamento mobili ed arredi e sistemazione degli archivi il potere direttivo si esprime proprio indicando i mobili o gli arredi da movimentare e gli spazi da occupare, mentre risulta superfluo, stante la semplicità delle prestazioni, impartire disposizioni  circa le modalità tecniche con cui devono essere eseguite;

a d), e), f) g)  

le circostanze per cui l’orario osservato dai lavoratori in apparenza alle dipendenze dell’appaltatore venisse registrato dal committente, quei lavoratori, per accedere al luogo di esecuzione delle prestazioni, dovessero servirsi  di un badge fornito dal committente e  costoro utilizzassero strumenti (carrelli elevatori) di proprietà del committente (al pari di quanto accadeva ai dipendenti di quest’ultimo), appaiono confermative del loro inserimento nell’organizzazione del committente  (e della correlativa  mancanza in capo all’appaltatore di un’organizzazione di mezzi direttamente attinente al concreto svolgimento delle prestazioni).

In definitiva la Suprema Corte ha esercitato la funzione nomofilattica che le è propria  evidenziando il rilievo, ai fini della qualificazione in termini di somministrazione vietata di manodopera,  di un apparente appalto labour intensive, di circostanze quali il mero invio, da parte dell’apparente appaltatore, di una lista di nominativi di lavoratori al committente da impiegare nell’esecuzione dell’appalto, l’assenza sul luogo di svolgimento delle prestazioni di un preposto dell’appaltatore con compiti di supervisione e l’assegnazione, da parte del committente e verso i dipendenti dell’appaltatore, di disposizioni, anche solo di contenuto elementare, concernenti le modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro.

 

3.

Come già ricordato, la pronuncia Cass. n. 12465/2020 si riferisce, invece, a una vicenda di frammentazione endoaziendale dell’impresa esercitata dal committente, di cui non è contestata la genuinità.

La controversia scaturisce da un infortunio sul lavoro accaduto all’interno del cantiere navale del committente Azimut Benetti di Viareggio, il quale aveva stipulato con la società Mobilart s.r.l. un contratto di appalto avente a oggetto la posa in opera di arredi a bordo di un'imbarcazione; nel prosieguo Mobilart s.r.l. aveva subappaltato parte dei lavori alla società Nuovi Arredi s.a.s di Chiara & C., la quale, a sua volta, li aveva ulteriormente subappaltati alla società Alpha Yacht & C. s.a.s. alle cui dipendenze prestava la sua attività il lavoratore infortunato. Più specificamente, questi, al momento del sinistro, si trovava nel locale falegnameria dotato di chiave e messo a disposizione esclusivamente della Mobilart s.r.l. (tanto da esservi affisso un cartello recante il logo Mobilart s.r.l.) e dei suoi subappaltatori e stava utilizzando, senza aver ricevuto un’adeguata formazione in ordine al suo funzionamento, una macchina squadratrice di proprietà della stessa Mobilart s.r.l. e ivi custodita.

L’I.N.A.I.L. agiva nei confronti della società Mobilart s.r.l. (oltre che della società datrice Alpha Yacht s.a.s. e del suo legale rappresentante) in via di regresso ex art. 11 d.P.R. 30.6.1965, n. 1124[13] per il recupero delle somme pagate a titolo di indennità e delle spese accessorie erogate al lavoratore infortunato.

Il giudice di appello accoglieva la domanda in ragione della ritenuta conoscenza e, quindi, dell’autorizzazione ex art. 1656 cc[14], da parte di Mobilart s.r.l., del subappalto stipulato dalla società Nuovi Arredi s.a.s. con la società Alpha Yacht s.a.s..

La società Mobilart s.r.l. ricorreva per cassazione contestando la valutazione presuntiva formulata dal giudice d’appello, negando fosse possibile inferire la conoscenza, da parte di Mobilart s.r.l., del subappalto tra Nuovi Arredi s.a.s. e Alpha Yacht s.r.l. sulla base della sola circostanza che il lavoratore al momento dell’infortunio si trovava nei locali riservati alla Mobilart s.r.l., nell’area del cantiere navale Azimut Benetti.

Il Suprema Collegio rigetta il ricorso, ma corregge, ai sensi dell’art. 384 ultimo comma cpc, la motivazione della sentenza di appello.

Infatti nega rilievo decisivo al fatto che Mobilart s.r.l. fosse o meno a conoscenza del subappalto  intercorso tra Nuovi Arredi s.a.s. e Alpha Yacht s.r.l., trattandosi di circostanza non essenziale rispetto alla fattispecie delineata dal legislatore (all’epoca dei fatti art. 7 d.lgs 19.9.1994, n. 626 , ora art. 26 d.lgs 9.4.2008, n.81) al fine di disciplinare la responsabilità del datore di lavoro committente (o appaltatore subcommittente) in ordine agli infortuni ricollegabili ai rischi insiti nelle attività produttive oggetto di appalto (o subappalto) da svolgersi nella propria azienda.

In proposito la Suprema Corte fornisce ai giudici di merito una preziosa indicazione per la soluzione delle controversie aventi ad oggetto tale responsabilità in relazione ai subappalti intervenuti successivamente all’appalto (o al subappalto) stipulato personalmente dal committente datore (o dal subcommittente datore): a tal fine è  decisivo non già l’effettivo stato soggettivo del committente datore (o del subcommittente datore) circa la conoscenza di detti subappalti (in particolare la responsabilità non è esclusa per il semplice fatto della mancata conoscenza), bensì se costoro abbiano o meno adempiuto gli obblighi loro imposti dall’art. 7 d.lgs 626/1994 ora art. 26 d.lgs 81/2008 (verifica dell’idoneità tecnico-professionale del subappaltatore, informazioni ai subappaltatori dei rischi presenti nell’ambiente e delle misure di prevenzione adottate, elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi,  cooperazione all'attuazione delle misure, coordinamento degli interventi di protezione e di prevenzione dei rischi)[15].

Ciò vale, come evidenzia la pronuncia in commento, non solo per il committente, ma anche per l’appaltatore subcommittente, che si rende «responsabile di una scelta di per sé rischiosa secondo la legge (quella dell'ulteriore segmentazione dell'attività produttiva) che incide, elevandoli, sui rischi relativi al processo produttivo; tanto più quando mantenga sotto il proprio controllo un'area aziendale e metta a disposizione dei subappaltatori proprie macchine pericolose».

In definitiva la Suprema Corte ribadisce il superamento, in materia di infortuni sul lavoro, del tradizionale orientamento che, considerando un elemento naturale del contratto di appalto l’autonomia e la responsabilità dell’appaltatore, configurava la responsabilità del committente quale ipotesi eccezionale ricorrente solo nei casi o di culpa in eligendo o di ingerenza nell’esecuzione dell’appalto[16] o alla luce del fatto concreto[17]


 
[1] E’ consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (Cass., Sez. Un. Civ., n. 5/2001; Cass. L., n.15930/2020; n. 13625/2020; n. 11530/2020;) l’orientamento secondo cui, in tema di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell'ipotesi normativa.

[2] «1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa».

[3] In proposito D. De Nova, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974; L. Nogler, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., 1990, I, 182.

[4] Ex multis Cass., L, n.11957/2000; n. 4046/1999; n. 5087/1998.

[5] O. Mazzotta, Diritto del lavoro, 7 ed., Milano, Giuffré, 2019,  p. 230 e 234.  

[6] Così F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, 10 ed., Torino, UTET, 2019, p. 49.

[7] R. Del Punta, Diritto del lavoro, 10 ed., Milano, Giuffré, 2018, p. 375.  

[8] Sentenza n. 30 del 1996, rel. Mengoni.  

[9] E’ consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, di recente, Cass., L, n. 14975/2020;  n. 12707/2020; n. 5436/2020;) l’orientamento secondo cui, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari - come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, dell’esclusività della dipendenza da un solo datore di lavoro, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro,  che,  privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione.

[10] L. Mengoni, Il contratto individuale di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2000, fasc. 86.

[11] In realtà non si tratta di una regola afferente esclusivamente la qualificazione dei rapporti di lavoro. Basti ricordare che la Corte di giustizia si esprime in termini analoghi a proposito della verifica circa la ricorrenza della fattispecie del trasferimento di azienda in contrapposizione al trasferimento di singoli beni. Già da tempo la Corte (sentenza del 19 maggio 1992, Redmond Stichting, C-29/91, EU:C:1992:220, punto 24; sentenza del 18 marzo 1986, Spijkers, C-24/85, EU:C:1986:127, punto 13) la Corte aveva ritenuto che, per poter determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un'entità, occorresse ricorrere al cd. metodo qualificatorio tipologico-per approssimazione, prendendo in considerazione una serie di circostanze di fatto costituenti o meno indici sintomatici del trasferimento, quali il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggioranza dei lavoratori da parte del nuovo datore di lavoro, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la “cessione” e la durata di un'eventuale sospensione di tali attività; tali circostanze di fatto costituiscono solo elementi indiziari e, quindi, devono essere presi in considerazione nell'ambito di una valutazione complessiva e non già considerati isolatamente. La sentenza del 11 marzo 1997, Süzen,  C-13/95, EU:C:1997: 141, punto 18, ha ulteriormente precisato che i criteri sintomatici della sussistenza di un trasferimento d'azienda assumono una diversa importanza «in funzione dell'attività esercitata, o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell'impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento in questione»;  quindi, nel caso di un’attività economica labour intensive, in cui la manodopera presenta carattere preminente per lo svolgimento dell'attività d'impresa, la circostanza che assume maggior rilievo ai fini della conservazione dell’identità dell’entità economica posta in circolazione è rappresentata dalla riassunzione o meno della maggior parte del personale ad opera del  nuovo imprenditore.

[12] O.Mazzotta, cit., p. 240; R. Del Punta, cit. p. 796; C. Cordella, Appalti labour intensive fittizi e irregolari: spunti di riflessione, in Lavoro nella giurisprudenza, 2017, 6, p. 549; Alvino, Profili problematici della distinzione fra appalto e somministrazione nella recente giurisprudenza, in Lavoro nella giurisprudenza, 2011, 11 – Allegato 1, p. 20;  L. Valente, Appalto dei servizi e somministrazione di manodopera, in Riv. giur. lav. 2008, 1, II, p. 182; F. Chiantera, Meccanismi di conversione delle collaborazioni prive di progetto e criteri di liceità degli appalti ad alta intensità di lavoro, in Riv. it. dir. lav. 2007, 4, p. 809. In senso critico circa l’idoneità del criterio a distinguere gli appalti genuini da quelli fittizi P. Alleva, La nuova disciplina degli appalti di lavoro, in (a cura di) G. Ghezzi, Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n. 276/2003, Bari, 2004, p. 174.

[13] Non in via di surrogazione ex art. 1916 cod. civ. alla luce dell’orientamento della Suprema Corte (Cass. sez. un. civ., n. 3288/1997; Cass., L, n. 12561/2017), secondo cui l’azione di regresso è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso tutti i soggetti - come l'appaltante o il subappaltante - che, chiamati a collaborare a vario titolo nell'assolvimento dell'obbligo di sicurezza in ragione dell'attività svolta, siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori assoggettati a rischio.

[14] Che secondo Cass.,II, n. 2757/1982 può risultare anche da facta concludentia.  

[15] In questo senso già Cass., L, n. 26614/2019; n. 5419/2019; n. 12561/2017; n. 798/2017; n. 21894/2016; n. 21694/2011. Ricorrente è la massima secondo cui «ai sensi degli arti. 2087 c.c. e 7 del d.lgs n. 626 del 1994, che disciplina l'affidamento di lavori in appalto all'interno dell'azienda, il committente, nella cui disponibilità permanga l'ambiente di lavoro, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice, e che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza  degli impianti e nel cooperare con l'appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata».

[16] Cass., L, n. 11757/2011, secondo cui: «In tema di appalto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile quando si versi nell'ipotesi di culpa in eligendo, che ricorre qualora il compimento dell'opera o del servizio siano stati affidati ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi, ovvero risulti provato che il fatto lesivo è stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull'opera oggetto del contratto, abbia in tal modo esercitato una concreta ingerenza sull'attività dell'appaltatore, al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore»; n. 10588/2008; n. 21540/2007; n. 9065/2006; n. 15185/2004; l’orientamento è stato ripreso di recente da Cass., II, n. 1234/2016, ma in controversia  non di lavoro.  

[17] Cass., III, n. 25758/2013, secondo cui: «La circostanza che l'esecuzione di un'opera abbia formato oggetto di subappalto non esclude, di per sé, l'affermazione di una concorrente responsabilità di appaltatore e subappaltatore per i danni causati dal cantiere a terzi, dovendosi avere riguardo alla specificità dei singoli episodi ed alle modalità con le quali si è verificato l'evento dannoso. (Nel caso di specie, la S.C. - in relazione ai danni subiti da un artigiano a causa della caduta da un'impalcatura alta dodici metri, ove si era arrampicato, privo di cinture di sicurezza e di altri dispositivi di protezione, per eseguire su incarico della società subappaltatrice un intervento all'interno di un cantiere edile della società appaltatrice - ha riconosciuto un concorso di colpa delle due società, sul presupposto che la vittima del sinistro, abilitato ad accedere al cantiere, avrebbe dovuto trovare "in loco" tutte le provvidenze necessarie a garantirgli di lavorare in condizioni di sicurezza, non essendo stato provato che l'onere dell'apprestamento delle necessarie cautele gravasse, in via esclusiva, sulla società subappaltatrice)».  

10/09/2020
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