Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

Le Sezioni Unite tornano a pronunciarsi sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 sulla legislazione vigente

di Matilde Brancaccio , Luigi Barone
magistrati addetti al Massimario della Corte di Cassazione
La sentenza n.44895, Pinna, esclude l’incidenza “ora per allora” sui termini cautelari di fase della declaratoria di incostituzionalità della disciplina sugli stupefacenti risalente al d.l. n. 272 del 2005, aderendo alla tesi del rapporto cautelare a struttura frazionata
Le Sezioni Unite tornano a pronunciarsi sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 sulla legislazione vigente

Premessa.

Continua il non facile cammino dei giudici di legittimità nel vero e proprio labirinto di ricadute processuali e procedimentali seguite alla dichiarata incostituzionalità degli articoli 4 bis e 4 vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, convertito nella legge n. 49 del 2006, i quali avevano innovato il d.P.R. n. 309 del 1990 in tema stupefacenti, unificando il trattamento sanzionatorio tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”. Come è noto, le valutazioni interpretative sono state ulteriormente complicate dal susseguirsi di modifiche normative quanto all’ipotesi lieve di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (ci si riferisce al d.l. n. 146 del 2013, convertito nella legge n. 10 del 2014, e all’ulteriore modifica apportata con d.l. n. 36 del 2014, convertito in legge n. 79 del 2014).

Dopo le innumerevoli pronunce in merito alla valenza della declaratoria di illegittimità costituzionale de quo sull’individuazione della disciplina più favorevole da applicarsi al caso concreto, sul computo dei termini di prescrizione, sulla ridefinizione delle esigenze cautelari al nuovo compasso edittale, nonché sulla legalità della pena inflitta prima del formarsi del giudicato e persino dopo che la sentenza sia divenuta definitiva, con la sentenza che si esamina le Sezioni unite si sono confrontate con un tema quanto mai spinoso: la possibilità che, in ragione del più mite trattamento sanzionatorio conseguente alla caducazione delle norme incostituzionali, si producano effetti sui termini di fase della custodia cautelare “ora per allora”, nel caso sia già avvenuto il passaggio alla fase successiva.

Il quesito sottoposto alle Sezioni unite.

Ecco il quesito specificamente proposto alle Sezioni unite: “Se la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 produca i suoi effetti, incidenti sul calcolo dei termini di fase di durata della misura cautelare, 'ora per allora' sui rapporti processuali cautelari per i quali la fase cui si riferisce il termine ridotto per effetto di tale declaratoria si sia esaurita prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale".

Il caso riguardava un soggetto sottoposto alla custodia cautelare in carcere per condotte continuate di detenzione illecita di sostanza stupefacente, nell’ambito di un procedimento per il quale la pronuncia di incostituzionalità era intervenuta, con la sua pubblicazione, in data successiva al passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella dibattimentale, introdotta con giudizio immediato; al momento della decisione delle Sezioni unite, era stato chiesto il rito abbreviato condizionato dalla difesa dell’imputato.

L’ordinanza di rimessione della Quarta sezione della Cassazione ha ritenuto assorbente il primo motivo d'impugnazione proposto dal ricorrente (riferito proprio alla scadenza dei termini di fase “ora per allora” in conseguenza della illegittimità costituzionale delle norme sanzionatorie sulla base delle quali era stato calcolato il termine durante la fase delle indagini preliminari), rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, segnalato anche nell’ordinanza impugnata, relativo alla questione interpretativa sorta con riferimento a un caso diverso, ma per molti aspetti assimilabile: quello degli effetti della sentenza della Corte cost. n. 253 del 2004 che aveva esteso ai termini di fase la disciplina dettata dall’art. 722 cod. proc. pen. in tema di custodia cautelare all’estero.

Il contesto interpretativo in cui si muove la sentenza.

Per rispondere al quesito, le Sezioni unite hanno operato una ricostruzione delle possibili ricadute sui termini di fase delle misure cautelari in atto della disciplina sostanziale che rivive in conseguenza della sentenza n. 32 del 2014, anche con un excursus relativo alla retroattività della lex mitior.

Non vi è dubbio, infatti, che, oramai, la giurisprudenza di legittimità abbia sviluppato canoni di confronto organico con questo tema, soprattutto dopo la pronuncia n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano (nota come sentenza “Ercolano” o “dei fratelli minori di Scoppola”, dalla pronuncia della Corte EDU, Scoppola c. Italia, del 17 luglio 2009, alla quale si ricollega da ultimo l’interpretazione della giurisprudenza europea sul principio della retroattività della lex mitior), in base alla quale, sulla scia della pronuncia n. 210 del 2013 della Corte costituzionale, si è stabilito che non può essere ulteriormente eseguita, ma deve essere sostituita con quella di anni trenta di reclusione, la pena dell'ergastolo inflitta in applicazione dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 341 del 2000, all'esito di giudizio abbreviato richiesto dall'interessato nella vigenza dell'art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999, anche se la condanna sia divenuta irrevocabile prima della dichiarazione di illegittimità della disposizione più rigorosa. Il dogma dell’intangibilità del giudicato, dunque, sembra definitivamente messo in crisi da visioni interpretative che, partendo dal fulcro costituzionale delle funzioni alle quali la pena deve essere ricondotta nel nostro sistema (prima fra tutte la tensione rieducativa), non tollerano il perdurare dell’esecuzione di una sanzione afflittiva derivante dall’applicazione di una norma dichiarata incostituzionale.

L’affermazione contenuta nella pronuncia Ercolano assume interesse specifico nel quadro della presente disamina, in quanto, nella fattispecie, ad una norma contenuta in una legge processuale (l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.) è stata attribuita valenza sostanziale, proprio in ragione del suo contenuto, concernente la pena da infliggere all’imputato, che ne determina l’inquadramento nel campo di applicazione dell'art. 7, § 1, CEDU. Tale norma, secondo la più recente interpretazione della Corte di Strasburgo, ricomprende, nel più generale ambito del principio di legalità della pena, non soltanto il divieto di irretroattività della norma penale più sfavorevole, ma anche il diritto dell'imputato di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato che preveda una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza. Sulla linea della sentenza “Ercolano”, si colloca la recentissima pronuncia (n. 42858 del 29 maggio 2014, Gatto) - depositata pochi giorni prima della sentenza Pinna - con la quale le Sezioni unite hanno esplicitato il principio, già desumibile dall’informazione provvisoria emessa dopo l’udienza, secondo il quale non può essere eseguita la pena derivante (anche) dall’impossibile bilanciamento nel giudizio di merito tra recidiva e attenuante del comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, applicato per effetto della disposizione normativa - art. 69, quarto comma, cod. pen. - poi dichiarata incostituzionale con la sentenza n.251 del 2012 del giudice delle leggi nella parte in cui vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.. La dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione. Quella pena, benché vi sia stato passaggio in giudicato, viene definita “illegittima e ingiusta” e, pertanto, non può continuare ad avere esecuzione in un sistema democratico e costituzionalmente orientato, poiché ne minerebbe le stesse basi ideologiche, svilendone la percezione funzionale da parte di chi vi sia sottoposto: se, subendola, la si ritenesse ingiusta perché contraria a Costituzione, se ne vanificherebbe il senso rieducativo voluto dal terzo comma dell’art. 27 Cost.

Tuttavia, occorre subito evidenziare, che le Sezioni unite, nella pronuncia Pinna, citando la stessa Corte EDU, ritengono che la retroattività “illimitata” della lex mitior non sia un principio assoluto dell'ordinamento processuale, tanto meno nell'ambito delle misure cautelari, ove, pertanto, resta ragionevole l'applicazione del principio tempus regit actum, con la precisazione, svolta dalla Corte, che le situazioni esaurite o il passaggio in giudicato della sentenza di condanna “potranno sopportare il vaglio di ulteriori valutazioni attraverso l’analisi del filtro di ragionevolezza riconducibile alla considerazione di ulteriori interessi confliggenti, come affermato, positivamente, in tema di prescrizione con la sentenza n. 393 del 2006 della Corte cost., in modo tale che l’esegesi applicativa delle norme aventi valore procedurale potrà trovare una ponderazione di sistema nelle previsioni cui per il cittadino sono legati interessi di natura prettamente sostanziale, primo fra tutti quello alla libertà, che trova il suo presidio costituzionale nell’art. 13 Cost.” Tale affermazione circa la necessità di una verifica dell’interprete che bilanci il principio del tempus regit actum con “ulteriori interessi confliggenti”, si ripropone, peraltro, in sentenza quando si afferma, nel solco della giurisprudenza costituzionale (citando Corte cost., sent. n. 381 del 2001 con riferimento alla successione di leggi penali nel tempo), che, se non sono penalizzate l'autonomia di azione e il diritto di difesa della parte processuale interessata, non può ritenersi violato “il punto minimo di compatibilità costituzionale”. E proprio ricostruendo gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale sul tema (Corte cost., n. 15 del 1982 e n. 265 del 2010[1]), i giudici di legittimità riaffermano la natura eminentemente processuale, e non sostanziale, delle norme che regolano la custodia cautelare, pur con le precisazioni di sistema predette in relazione all’incidenza di esse su un interesse individuale fondamentale quale è quello alla libertà personale.

La soluzione alla questione specifica sottoposta alle Sezioni Unite.

Se questo è il quadro della giurisprudenza sovranazionale, costituzionale e di legittimità che può delinearsi secondo rapidi cenni, appariva non certo di facile soluzione la questione sottoposta alle Sezioni unite quanto ai possibili effetti “ora per allora” dei nuovi termini cautelari conseguenti alla dichiarata incostituzionalità dei parametri di computo sulla base dei quali si erano effettuati i precedenti calcoli di fase.

Opportunamente i giudici, nell’affrontare la questione, hanno immediatamente sgombrato il campo da quegli arresti, anch’essi delle Sezioni Unite, che, pur occupandosi del tema della legittimità della scarcerazione “ora per allora”, hanno trattato il tema in relazione ad ipotesi del tutto diverse e non assimilabili a quella qui in esame (scarcerazione dell’imputato in una fase successiva, rispetto a quella ove avrebbe dovuto provvedersi per decorrenza dei termini della custodia cautelare: Sez. U, n. 26350 del 24/04/2002, Fiorenti; scarcerazione a seguito della declaratoria di illegittimità del provvedimento di proroga della custodia cautelare, giusta impugnazione dello stesso da parte dell’imputato detenuto: Sez. U, n. 33541 del 11/07/2001, Canavesi; scarcerazione disposta per decorrenza dei termini cautelari di una fase antecedente, derivante dalla nullità del provvedimento di sospensione dei termini medesimi: Sez. U, n. 40701 del 31/10/2001, Panella). In tutti questi casi, invero, si osserva nella sentenza in commento, si è prodotto, a differenza della fattispecie che qui interessa, un evento, che ha reso attuale il diritto alla scarcerazione immediata dell’interessato, la cui omessa tempestiva adozione ha leso, in maniera assoluta, lo “statuto” legale dell’imputato in stato di custodia cautelare, strutturalmente caratterizzato dal coinvolgimento del diritto fondamentale della libertà personale ex art. 13 Cost..

Poste tali premesse, le Sezioni Unite affrontano il thema decidendum sciogliendo in sequenza tre nodi fondamentali, riguardanti:

a) la diversa incidenza della lex mitior, a seconda se riferita a norme di diritto penale sostanziale oppure di rilievo procedimentale;

b) i confini di operatività tra il principio “tempus regit actum”, che governa la disciplina procedimentale, e l’annullamento per incostituzionalità di norme di diritto sostanziale, che (come nel caso che qui ci occupa) sia pure in via mediata assumono rilievo procedimentale;

c) la definizione di rapporto cautelare esaurito e la sua intangibilità rispetto anche agli effetti della lex mitior.    

In relazione al primo profilo, si afferma in sentenza (in linea con la consolidata giurisprudenza europea, cui sopra si è già fatto cenno) che il principio di retroattività della lex mitior va ricondotto, in via generale, alle norme concernenti le fattispecie penali e le sanzioni ivi previste, con esclusione delle norme processuali, che invece trovano il loro primo principio di riferimento nel diverso canone normativo del tempus regit actum di cui all’art. 11 disp. prel. cod. civ. Tale prima conclusione lascia, però, aperto il problema relativo a quei casi (tra i quali rientra la fattispecie in esame) in cui la modifica in melius delle disciplina processuale costituisce l’effetto mediato di un intervento su una normativa di diritto sostanziale.

L’ipotesi, come correttamente posto in evidenza nella motivazione della sentenza Pinna, non è nuova nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, che, nella pronuncia n.3 del 28 gennaio 1998, Budini, si sono spinte a riconoscere alle sentenze del giudice delle leggi efficacia invalidante e perciò retroattiva anche su norme di natura processuale. La questione concerneva gli effetti processuali della sentenza Corte cost. n. 77 del 1997, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 294, comma 1, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedeva che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice per le indagini preliminari procedesse all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, a pena di inefficacia della misura ai sensi dell'art. 302 cod. proc. pen., anch'esso dichiarato incostituzionale. Pertanto la misura cautelare applicata dal g.i.p. successivamente alla chiusura delle indagini preliminari, è stata dichiarata inefficace per omesso svolgimento di una delle attività considerate presupposto indefettibile per l’esercizio del potere coercitivo, avendo ritenuto le Sezioni Unite che il ricorrente aveva maturato, "ora per allora", il diritto a riacquistare lo status libertatis per omesso svolgimento dell'interrogatorio di garanzia nel termine di cinque giorni dall'esecuzione della misura.

L’arresto non è stato trascurato dai giudici della sentenza Pinna, che hanno, però, evidenziato la non sovrapponibilità delle due fattispecie, tale per cui le conclusioni raggiunte nella sentenza Budini risultano non mutuabili nella vicenda in esame. Si afferma, infatti - partendo dalla constatazione che la regola tempus regit actum non può non tenere conto della variegata tipologia degli atti processuali e va modulata in relazione alla differente situazione sulla quale questi incidono e che occorre di volta in volta governare (citando Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236535; Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221401; Sez. U, n. 7232 del 07/07/1984, Cunsolo, Rv. 165565; v. inoltre Corte cost., sent. n. 26 del 2007) -,   che, nel caso della pronuncia Budini, la funzione dell'interrogatorio di garanzia è indispensabile ed infungibile per la difesa dell'imputato, sicchè un vizio di illegittimità costituzionale riferito ad esso rende il diritto alla libertà personale illegittimamente compromesso in modo irreversibile. Diversamente, nella fattispecie all’esame delle Sezioni unite Pinna, si determina, secondo le motivazioni della sentenza, non una diretta compromissione del diritto alla libertà personale, poiché gli effetti dell’intervento abrogativo operato dalla Consulta sulla disciplina degli stupefacenti risultano di mera valenza processuale.

Da tale ragionamento, la sentenza deduce che l'effetto retroattivo della declaratoria di illegittimità costituzionale, incidendo su un rapporto, la cui natura si esaurisce sul piano eminentemente processuale e che si articola in vari segmenti tra loro autonomi, che si dipanano nel tempo, non può che riferirsi alla specifica fase in cui il processo si trova.

Tale conclusione viene messa in relazione, dai giudici di legittimità, con la richiamata questione seguita alla sentenza Corte cost., n. 253 del 2004, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 722 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato fosse computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. Nell’occasione, si è registrato nella giurisprudenza di legittimità un contrasto di orientamenti in merito all’incidenza del novum normativo, determinato per l’appunto dall’intervento della Consulta, sulle fasi cautelari antecedenti a quella nella quale la questione veniva posta. In tale contesto si sono confrontanti due indirizzi esegetici.

Il primo, sicuramente prevalente, ritiene che, in applicazione del principio di autonomia dei termini di custodia cautelare fissati per le singole fasi del procedimento, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non produce i suoi effetti "ora per allora" sui rapporti processuali cautelari, per i quali la fase delle indagini preliminari sia esaurita con il rinvio a giudizio prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Secondo tale impostazione, l’articolazione del rapporto processuale in varie fasi (indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento, impugnazioni), che si dipanano nel tempo e che rappresentano segmenti di una attività complessa finalizzata al risultato ultimo di una decisione irrevocabile su una notitia criminis, comporta la autonomia di ciascuna fase e l’esaurimento della stessa al subentrare della successiva. (Sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 11059, Gallo, Rv. 239642; Sez. VI, 2 maggio 2005,  n. 21019, Incantalupo, Rv. 231346; Sez. I, 5 luglio 2005,  n. 26036, Pedetta, Rv. 231348). Il secondo orientamento, minoritario, afferma invece che la sentenza n. 253 del 2004 della Corte costituzionale produce i suoi effetti sul rapporto processuale cautelare in corso, anche quando la fase delle indagini preliminari si sia conclusa prima della sua pubblicazione, con la conseguenza che la scarcerazione per decorrenza termini deve essere disposta "ora per allora". In questo caso il giudice di legittimità ha ritenuto che, mancando una sentenza irrevocabile, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da una norma sono sub iudice, il rapporto processuale non può considerarsi esaurito (Sez. 2, n. 23395 del 03/05/2005, Locatelli, Rv. 231347). In altre parole, ai fini specifici di tutela del soggetto sottoposto a misura restrittiva, il cosiddetto “rapporto processuale cautelare” va considerato nella sua unitarietà e non nelle singole fasi del procedimento frazionate, sicchè, ove anche la fase delle indagini preliminari fosse ormai conclusa, il rapporto processuale cautelare, anche nella fase successiva, è da considerarsi in corso e rimane sempre attuale la questione dello status libertatis, non essendo maturata alcuna preclusione per effetto di sentenza irrevocabile

Il discrimine tra i due indirizzi interpretativi risiede, come si può notare, nella “famigerata” nozione di rapporto cautelare “esaurito”, dalla cui definizione, una volta dichiarata l’applicabilità del principio del tempus regit actum nel caso di dichiarazione di incostituzionalità che colpisca una norma solo in via mediata incidente sui termini del rapporto cautelare, la Corte fa quindi derivare la soluzione della questione.

Con la sentenza Pinna i giudici delle Sezioni unite aderiscono al citato orientamento maggioritario, evidenziando, ancora una volta, l’eminente natura processuale delle norme che regolano il rapporto cautelare nei quattro suoi segmenti con i relativi termini di fase.

In particolare, si osserva che la pronuncia di incostituzionalità non ha determinato una patologia genetica del rapporto cautelare, bensì, al contrario, il riconoscimento della sua esistenza in un momento successivo rispetto ad una fase esaurita, o meglio rispetto ad un atto complesso che aveva esaurito i suoi effetti, è di ostacolo al rilevamento del differente calcolo della durata della custodia, derivante come effetto ulteriore dalla decisione della Corte costituzionale e quindi alla invocata scarcerazione automatica dell'indagato, con una decisione che produrrebbe i suoi effetti "ora per allora". A supporto della conclusione cui perviene, la Corte ne evidenzia ancora la coerenza e la compatibilità con il parametro interno di costituzionalità di cui all’art. 3 della Costituzione e con quello esterno di cui all’art. 7 della CEDU, operata la verifica già prima esposta (citando Corte cost., sent. n. 381 del 2001) del se vi sia stata penalizzazione dell'autonomia di azione e del diritto di difesa della parte processuale interessata, ed escludendola nel caso di specie. Difatti, si dice, se, successivamente alla fase considerata, il trattamento sanzionatorio ha trovato una definizione più blanda per la declaratoria di illegittimità costituzionale con effetti indiretti sul computo dei termini di fase cautelare, ciò non equivale a ritenere viziata di irragionevolezza la disciplina che, a suo tempo, aveva trovato corretta applicazione e di conseguenza esclude che gli effetti del novum possano incidere su una fase processuale, ritenuta ormai “esaurita”. 



[1] Le Sezioni unite operano un vero e proprio richiamo letterale alle affermazioni della Corte costituzionale, in particolare, per la sentenza n.15 del 1980, si sottolinea che il giudice delle leggi ha stabilito: «la pena e la misura cautelare detentiva sono somiglianti quanto alla loro materialità, alla limitazione di libertà ed al carico di sofferenza che comportano, ma diverse quanto agli scopi ed ai presupposti. Queste diversità chiamano in campo principi costituzionali importanti ma distinti»; per la più recente sentenza n.265 del 2010, le Sezioni unite si soffermano su come la Corte abbia ribadito: «affinché la restrizione della libertà personale nel corso del procedimento sia compatibile con la presunzione di non colpevolezza, è necessario che essa assuma connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l'accertamento definitivo della responsabilità; e ciò ancorché si tratti di misura ad essa corrispondente sul piano del contenuto afflittivo. La custodia cautelare deve soddisfare esigenze proprie del processo, diverse da quelle di anticipazione della pena, tali da giustificare, nel bilanciamento di interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è stato ancora giudicato colpevole in via definitiva»

18/11/2014
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