In questa breve presentazione dell’iniziativa di tradurre in italiano le Letters from the Turkish Judiciary 2016-2017, pubblicate da Medel-Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés nell’ottobre 2017 [1], cercherò di non ripetere quanto – in modo chiaro e con autorevolezza – ha scritto il Bureau nella sua introduzione all’e-book che raccoglie i messaggi arrivati dalla Turchia dopo il tentativo di coup d’État del luglio 2016, inviati da magistrati in procinto di essere arrestati o appena rimessi in libertà provvisoria, oppure spediti da loro congiunti. Sono testimonianze drammatiche e dignitosissime invocazioni di aiuto e di solidarietà.
Parto da quest’ultima parola: solidarietà. È il sentimento che ha voluto esprimere l’incontro organizzato a Genova nei primi di giugno 2018 dall’Associazione nazionale magistrati e dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ospitando un dibattito sulla brutale repressione messa in atto dal regime turco e sul dramma che tanti nostri amici continuano a vivere.
Per l’occasione erano state stampate alcune copie delle Letters, nella versione originale in lingua inglese. Da quell’incontro è nata l’idea di consentirne una più ampia divulgazione con la traduzione in italiano, accolta con entusiasmo in Medel e dai colleghi che si sono detti disponibili a ripetere questo lavoro in altre lingue.
Con la pubblicazione dell’e-book contenente le Letters, Medel ha voluto lasciare traccia degli avvenimenti tragici del luglio 2016 che hanno colpito direttamente anche Yarsav, l’associazione di giudici e pubblici ministeri turchi aderente a Medel.
Durante il periodo della mia presidenza di Medel, erano avvenuti i primi contatti e poi la adesione a Medel di Yarsav. Avevamo seguito con attenzione la creazione della prima associazione di magistrati in Turchia e la loro adesione a Medel avvenne in tempi molto stretti. Ho un ricordo vivissimo dei rapporti molto positivi che Yarsav aveva con l’Avvocatura ed il mondo accademico, delle sale gremite e del clima di entusiasmo che caratterizzava gli incontri, un entusiasmo contagioso che, in un mio intervento ad un convegno ad Ankara con avvocati ed universitari, mi spingeva a dire che – in quella sala – parlavamo tutti un’unica “mother tongue”, basata sui principi dello stato di diritto.
Concludo questa breve introduzione con il ricordo di un episodio.
Quando, nel 2008, Yarsav era stata costituita e immediatamente sciolta dal Governo, i colleghi turchi presentarono un ricorso al Consiglio di Stato contro l’atto di scioglimento e mi suggerirono di scrivere una lettera a tutte le più alte cariche dello Stato. Lo feci, con la convinzione di scrivere sulla sabbia. E invece ricevetti una risposta dall’Ambasciatore di Turchia a Roma che mi indirizzò una lettera rispettosissima ed amicale. Scriveva «a nome del mio Presidente», forniva rassicurazioni sul rispetto che il suo Paese aveva verso i principi dello stato di diritto e ricordava le riforme già introdotte nel settore della giustizia. Il Primo ministro dell’epoca era Recep Tayyip Erdoğan.
Il Consiglio di Stato accolse il ricorso e Yarsav iniziò il suo non lunghissimo periodo di esistenza.
Se penso alla drammatica conclusione che tutto questo ha avuto, mi interrogo sul senso di tutto quel che accadde in quel breve contesto temporale e sul fatto che la Turchia era ed è un Paese troppo grande ed importante per essere tenuto sulla soglia dell’Ue così a lungo.
Torno all’oggi. Dalla data della lettera dell’Ambasciatore turco a Roma, da quell’epoca di riforme istituzionali, all’estate del 2016, erano passati poco meno di otto anni. Sembrano una eternità.
Il mio auspicio forte è che tutti si impegnino perché in Europa resti viva la memoria di quei fatti e di quella Turchia, il ricordo di quegli avvenimenti e l’attenzione verso tanti amici ancora privati della libertà personale e dei loro beni.