….Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
Pier Paolo Pasolini, Supplica a mia madre (Da Poesia in forma di rosa)
Film lirico di Nanni Moretti un po’ surclassato, nella recitazione, dalla memorabile interpretazione - nel ruolo della madre Ada – di Giulia Lazzarini (già, in anni passati, rapinosa Ariele, ne La Tempesta di Shakespeare, regia di Giorgio Strehler) .
E’ un film semplice, intessuto di quei sentimenti arcaici che l’ansia di vivere ha stemperato nei figli, i quali, tardi, ma non inutilmente, riscopriranno, nella morte imminente e fatale di Ada, insegnante di lettere in pensione, una loro identità.
La morte di ogni madre induce a fare, con dolore e sorpresa, un percorso all’indietro, costringe a relativizzare ed a soffermarsi sulla possibilità di vedere, forse per la prima volta, insospettabili legami, affetti sopiti, emotività negate nei luoghi e nelle situazioni più fuori ordine.
Dal disconoscimento di un’occupazione lavorativa, non più riconoscibile come parte di sé (il figlio ingegnere) fino alla fatica del film di Margherita, (la figlia regista) che non riesce a far decollare le riprese di una vicenda ispirata ad una crisi aziendale, complicate dalle inattendibili prestazioni di un attore spaccone (John Turturro) ma, forse, malato.
Proprio il ribaldo e istrionico attore, sarà ricondotto, solo alla fine del film, alla recitazione, dall’aggressiva Margherita, rigenerata, ora, in una sorta di maternità protettiva, ossia finalmente figlia, perché rinata dal dolore della malattia irreversibile di Ada.
Prima della malattia della madre non erano niente - da soli - questi due figli: né il perfezionista Nanni Moretti (la pasta corta cucinata a casa per la madre ricoverata, da preferire al formato precedente che si era incollato nella cottura) né l’incerta Margherita che non sa ascoltare gli affetti, non sa amare il compagno evitato ed abbandonato, quello stesso che, rivitalizzato dalla fragilità improvvisa di lei, le rovescia addosso –impietosamente- il fallimento affettivo di un legame troppo afasico per essere vissuto, strozzato dalla paura di una quotidianità che inquieta Margherita e che la paralizza in un intellettualismo che si rivela, in fondo, precario ed inutile: “Non essere attore, stai a fianco del personaggio..”.
Ora che la madre non ha più le forze per alzarsi dal letto Margherita, che fino ad allora ha, forse, scambiato il letterario con l’espressivismo, s’interroga su questa frase continuamente da lei rivolta agli attori che mai l’hanno compresa, e si domanda: “ Ma che vuol dire? ..Non so neanche io che cosa intendevo dire con questa frase…”,
La troupe subisce stoicamente le incertezze e i dispotismi di Margherita, ma sarà proprio lei, nel dolore della morte inevitabile di Ada, sognata ogni notte, a chiedere – rabbiosamente- ai propri collaboratori di essere contestata e contenuta nelle scelte sceniche improbabili e irrealizzabili.
Questo significa, perciò, la morte della madre: disvelare l’inautenticità dei linguaggi e delle relazioni, aprirsi alle proprie fragilità, rielaborare le proprie inconsistenti certezze, accettare la propria inadeguatezza.
Margherita regista impegnata, ma dispotica, non riesce a prendere una posizione chiara neanche nel suo rapporto con la figlia richiedente, perciò, l’agognato motorino verrà comprato all’adolescente Livia anche se l’impegno sullo studio del latino non è stato rispettato.
Ma il latino a che serve? domanda Livia a Margherita che, come madre, non sa rispondere con sicurezza.
Ada, madre morente, sì: serve a comunicare nella piena espressività di una lingua, perché è la cultura che crea i legami, anche quelli della stessa Ada, appartati e sconosciuti ai figli, con ex alunni cinquantenni che ancora cercano l’antica insegnante per una risposta sulla vita.
Le certezze di Ada daranno un senso definitivo all’incompletezza dei figli in una morte attesa ed accettata, via via,come crescita inevitabile di chi si deve separare per sempre.
Per questo il latino è importante, è una possibilità di bellezza, è un modo di reagire all’oblio e alla morte annunciata e, forse, sconfitta dagli affetti riscoperti da una generazione insicura e fragile.