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Giurisprudenza e documenti

Nomofilachia, Sezioni Unite e questione di "particolare importanza"

di Giuseppe Miccolis
professore ordinario di Diritto processuale civile dell’Università del Salento

Le modifiche normative susseguitesi negli ultimi anni valorizzano la funzione nomofilattica della Suprema corte, ma evidenziano criticità del dettato normativo, anche per l’uso a volte distorto che ne fa il giudice di legittimità. Si auspica una maggiore ed efficace collaborazione tra gli stakeholders per il migliore funzionamento della giustizia. 

1. Premessa

Il tema della nomofilachia è di grande attualità, non soltanto per la “gratificazione” ricevuta dal legislatore con la riforma del 2006, ma anche, e soprattutto, perché sotto la sua bandiera la Cassazione sta dando vita a comportamenti non sempre apprezzati dalla dottrina[1] e dalla classe forense. 

Se volessimo spiegare la funzione nomofilattica ai non addetti ai lavori potremmo semplificare il tutto definendo il giudice, che, al vertice della “catena giudiziaria”, nell’interpretare la norma giuridica, esercita tale funzione, influencer, mentre i giudici a cui è diretta l’interpretazione nomofilattica, followers. I primi, rendendo prevedibile la decisione finale[2], determinano una sorta di “imposizione psicologica” sui secondi, conseguente alla consapevolezza di questi ultimi che solo uniformandosi all’interpretazione nomofilattica della Corte suprema la loro decisione sarà confermata sino alla fine. Il che dovrebbe anche costituire un deterrente per le parti sin dall’origine della controversia. 

Negli ordinamenti di civil law la nomofilachia è una funzione esercitata naturalmente e logicamente dal vertice giudiziario, ossia dal giudice destinato a pronunciarsi per ultimo sull’esito del giudizio. 

All’indomani dell’unità d’Italia, in un ordinamento che sino al 1923 contava ben cinque Corti delocalizzate, l’art. 122 del r.d. 6 dicembre 1865, n. 2626 aveva previsto che «La corte di cassazione è istituita per mantenere l'esatta osservanza delle leggi». Con cinque corti supreme, il giovane ordinamento giudiziario italiano non poteva acquisire una coscienza della “funzione nomofilattica” nazionale.

Con la unificazione delle Corti regionali, la nuova legge sull’Ordinamento giudiziario, ossia il r.d. 30 dicembre 1923, n. 2786, all’art. 61, alla disposizione precedente, aveva solo aggiunto «ed è unica per tutto il regno, con sede in Roma». 

Il riconoscimento giuridico della funzione nomofilattica esercitata dalla nostra Corte suprema arriva, sotto la spinta di Calamandrei, con l’art. 65, comma 1, T.U. sull’Ordinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, tutt’ora in vigore, in virtù del quale «la corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza della legge e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale». 

Le uniche tracce della funzione nomofilattica contenute nel codice di procedura civile del 1940, prima della riforma del 2006, erano contenute nell’art. 363 cpc, norma pressoché inutilizzata, e nell’art. 374 cpc che disciplina l’affidamento della decisione alle sezioni unite per l’esercizio, appunto, della funzione nomofilattica. In tale contesto normativo, sino alla riforma del 2006, le due funzioni sono rimaste strettamente collegate tra loro, nel senso che l’interpretazione della legge espressa mediante il principio di diritto contenuta nella decisione implica l’esercizio sia della funzione di giudice di terza sia della naturale funzione nomofilattica. 

 

2. L’esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di cassazione dopo il 2006

La riforma del 2006 ha valorizzato la funzione nomofilattica della Cassazione, con la riscrittura dell’art. 363 cpc e l’inserimento dell’inedito comma 3 dell’art. 374 cpc. Ciò ha aperto un varco che ha consentito alla Corte, che nel frattempo aveva preso ampia coscienza della propria funzione nomofilattica, di avviare un percorso diretto a valorizzare tale funzione e renderla autonoma rispetto al c.d. jus litigatoris, invertendone, talvolta, le priorità. 

Sennonché la condizione attuale in cui versa la nostra Corte suprema non agevola l’esercizio della funzione nomofilattica[3]. Questa, infatti, può essere assicurata da un’impugnazione straordinaria, al­l’interno di un “tempio” composto da venti “sacerdoti” che indicano una unica interpretazione delle “sacre scritture”, non già, come nel nostro caso, da un’impugnazione ordinaria costituzionalmente garantita per tutte le sentenze, nella forma e nella sostanza, all’interno di una ”fabbrica” con circa 170 addetti alla “catena di montaggio” che sfornano circa 33/34.000 provvedimenti all’anno (a fine 2019 i giudizi pendenti nel settore civile/tributario erano circa 117.000)[4].

I contrasti giurisprudenziali, connessi all’elevato numero di giudici chiamati a decidere e alla quantità di sentenze emesse ogni anno, rendono assai arduo per la Corte di cassazione assicurare e garantire «l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale»; il che traspare in ogni contesto e in ogni provvedimento o esternazione del Primo Presidente o anche del Procuratore generale, finanche quando la Corte di cassazione interloquisce efficacemente con il legislatore, con la partecipazione dei suoi magistrati nelle varie commissioni di riforma o negli uffici legislativi[5]

Dopo l’entrata in vigore della riforma del 2006 e l’introduzione dell’art. 366 bis cpc, la Cassazione avrebbe potuto sapientemente utilizzare lo strumento del “quesito di diritto” per smascherare e liquidare in “quattro e quattro otto” i ricorsi manifestamente “incomprensibili” ovvero fondati esclusivamente su censure di merito (una sorta di “superappello”). La Corte, invece, ha maldestramente utilizzato lo strumento del “quesito di diritto” per reagire alla invasione dei ricorsi. 

È noto a tutti quale sia stata la reazione del legislatore con la riforma del 2009 (l. n. 69) alle esagerazioni della Cassazione. Nonostante l’abrogazione dell’art. 366 bis cpc, la Corte non ha modificato di molto, almeno nell’immediato, il suo operare, in quanto ha solo modificato il presupposto dell’inammissibilità, mentre è rimasta immutata la propensione a dichiararla: il vizio del quesito di diritto è stato sostituito con il difetto di autosufficienza, di sinteticità, di specificità, ecc. del ricorso.

La riforma del 2006, con l’inedito art. 363, comma 3 cpc, ha anche legittimato la Corte a “slegare” l’esercizio della funzione nomofilattica dalla decisione del caso concreto, o meglio a non rinunciare all’esercizio di tale funzione anche qualora liquidi il caso concreto con l’inammissibilità del ricorso. Infatti, la norma prevede che in caso di ricorso dichiarato inammissibile la Corte possa pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge se ravvisa la «particolare importanza» della «questione decisa». 

Si è soliti ritenere che tale disposizione possa essere applicata anche nel caso in cui la Corte dichiari l’improcedibilità o l’estinzione per rinuncia del processo[6]. La Cassazione l’ha addirittura ritenuta applicabile in caso di cessazione della materia del contendere[7]. In realtà nel caso di specie la Corte ha impiegato l’art. 363, comma 3, cpc per sollevare la questione di legittimità costituzionale, compiendo, così, un “triplo salto mortale” interpretativo: ha applicato l’art. 363, comma 3, cpc. senza dichiarare l’inammissibilità, senza pronunciare il principio di diritto, senza esercitare la funzione nomofilattica.

L’art. 363, comma 3, cpc è applicabile anche alla inammissibilità pronunciata ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 cpc, dopo il revirement della Cassazione che ha definito tale inammissibilità “meritale”[8], sempre che i motivi di ricorso siano viziati tanto da non offrire alla Corte elementi per «mutare» (giacché appare improbabile che il ricorso possa contenere gli elementi per «confermare») l’orientamento della stessa. Il che rende comunque inammissibile il ricorso anche per violazione dell’art. 366 n. 4 cpc[9].

Di certo la norma non può essere applicata in caso di regolamento di giurisdizione inammissibile, giacché mal si concilierebbe con il comma 4, pure modificato dalla riforma del 2006.

La frequente applicazione dell’art. 363, comma 3, cpc preoccupa non poco anche la classe forense, giacché la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, unitamente alla pronuncia del principio di diritto nell’interesse della legge, nel caso in cui questo sia favorevole al ricorrente, potrebbero costituire il presupposto dell’azione di responsabilità promossa da quest’ultimo nei confronti del suo difensore.

La riscrittura dell’art. 363 cpc ha anche “rinvigorito”, in tale ambito, il dialogo tra Corte di cassazione e Procura generale[10]. Tanto è vero che lo strumento dell’iniziativa del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, prima del 2006 del tutto inutilizzato, agevolato dalla modifica del comma 1 e dall’introduzione dell’inedito comma 2, ha iniziato a funzionare[11]. Dall’entrata in vigore della norma risultano proposte dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 363, comma 1, cpc, sette istanze (di cui le ultime cinque negli ultimi cinque anni), l’ultima depositata in data 30 luglio 2020, a firma, per il P.g., del S.P.G. Anna Maria Soldi, avente ad oggetto, dopo l’abrogazione delle tariffe forensi, l’attuale sopravvivenza dell’art. 636 cpc e, conseguentemente, la legittimazione dell’avvocato ad ottenere il decreto ingiuntivo sulla base della parcella e del parere di congruità rilasciato dal competente Consiglio dell’Ordine. La Corte non si è ancora pronunciata. L’ultima decisione della Corte è quella relativa alla reclamabilità del provvedimento sulla sospensione adottato dal giudice dell’opposizione ai sensi dell’art. 615, comma 1, cpc[12].

In caso di iniziativa del P.g., l’astrazione della funzione nomofilattica è ancora più accentuata, non essendo proprio pervenuto in Cassazione il caso sottostante, ma soltanto il provvedimento non impugnato o non impugnabile. Il fatto che le parti non abbiano sottoposto il caso all’attenzione della Corte suprema implica che questa e il P.g. “se la suonino e se cantino” in perfetta solitudine, senza il contributo prezioso del contraddittorio tra le parti[13].

Prima della riforma del 2006, l’art. 363, comma 1, cpc legittimava l’iniziativa del Procuratore generale presso la Corte di cassazione solo per i provvedimenti impugnabili in Cassazione nel caso in cui le parti non avessero proposto ricorso o vi avessero rinunciato ed era finalizzata alla cassazione della sentenza. Pertanto, l’interesse della legge, presupposto dell’iniziativa del P.g., era, sino al 2006, finalizzato, almeno secondo il tenore letterale della norma, a togliere di mezzo, ancorché senza alcuna conseguenza per le parti (come prevedeva il comma 2, oggi, ancorché riscritto, comma 4), la sentenza non impugnata, non già a consentire alla Corte di enunciare «nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi». 

La riforma, sempre nell’ambito del potenziamento della funzione nomofilattica della Corte, ha ampliato l’iniziativa del P.g. anche al provvedimento che «non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile». Costituiscono presupposti per l’attivazione del procedimento (i) l’iniziativa del P.g.; (ii) la sussistenza di un provvedimento non impugnato (o la cui impugnazione sia stata rinunciata) o non impugnabile; (iii) la reputata illegittimità del provvedimento stesso; (iv) «un interesse della legge, quale interesse pubblico o trascendente quello delle parti, all'affermazione di un principio di diritto per l'importanza di una sua formulazione espressa». La sussistenza di tali presupposti è accertata dalla Corte, che può anche negare la legittimazione del Procuratore generale a promuovere l’istanza[14]. Questo, però, solo “sulla carta” considerato il dialogo preventivo instaurato tra i due organi giudiziari. 

La funzione nomofilattica esercitata dalla Corte suprema, nell’ipotesi in cui il provvedimento che ha occasionato l’iniziativa del P.g. non è impugnabile in Cassazione, è del tutto peculiare, in quanto l’”influenza” si baserebbe esclusivamente sull’autorevolezza dell’Organo giudiziario, non già sull’effetto naturale di essere al vertice della giurisdizione: i giudici di merito potrebbero tranquillamente disattendere il “principio di diritto” pronunciato in tale circostanza dalla Corte di cassazione nella consapevolezza che il loro provvedimento non verrebbe mai sottoposto alla attenzione di quest’ultima. Occorre, però, considerare che, in virtù di una recente sentenza delle sezioni unite, la decisione del giudice di merito “difforme” dai precedenti della Cassazione, soprattutto se pronunciati dalle sezioni unite, se “immotivata”, o “gratuita” o “immediata” potrebbe avere conseguenze disciplinari a carico del giudice di merito.

È singolare che il giudice potrebbe tranquillamente e “immotivatamente” o “gratuitamente” emettere una sentenza contra legem, senza alcuna conseguenza personale, se non la riforma in fase di gravame, mentre se pronunciasse una sentenza difforme dall’orientamento nomofilattico della Cassazione, “immotivatamente” o “gratuitamente”, rischierebbe la sanzione disciplinare.

Ne consegue che, se questo orientamento venisse confermato e, soprattutto, pervicacemente attuato, il “precedente” della Corte suprema diventerebbe, nonostante il nostro non sia un ordinamento di common law, più “vincolante” della legge, giacché il giudice “pagherebbe di tasca propria” la decisione “immotivatamente” o “gratuitamente” difforme.

 

3. La funzione nomofilattica e le Sezioni unite

La più alta espressione della funzione nomofilattica è esercitata dalle sezioni unite. Del resto, la ragione, forse unica, dell’intervento delle sezioni unite è proprio quella di consentire alla Corte suprema di esercitare appieno e al massimo livello la funzione nomofilattica. E ciò anche se in passato le sezioni unite avevano una diversa funzione, come, peraltro, l’aveva la Cassazione nata in Francia a fianco del potere legislativo per controllare e arginare lo strapotere interpretativo dei giudici[15]

All’indomani dell’Unità d’Italia, le sezioni unite ebbero la funzione fondamentale di sottrarre alle Corti regionali le cause che avrebbero potuto determinare la “bancarotta” del neonato Stato unitario; e ciò avvenne attraverso lo strumento del Regolamento di giurisdizione, la cui introduzione fu strategicamente e politicamente “caldeggiata” da Pasquale Stanislao Mancini che prevalse sull’opposizione del giurista puro Giuseppe Mantellini; il retaggio di tale istituto ce lo portiamo dietro ancora oggi, oltre che con gli artt. 41, 367 e 362 cpc, con l’art. 374, comma 1, cpc attenuato, quest’ultimo, soltanto con la riforma del 2006[16]

Il codice del 1940 pone gli artt. 374 e 376 cpc a presidio della funzione nomofilattica esercitata dalle sezioni unite.

La riforma del 2006, che, come si è visto, con la modifica dell’art. 363 cpc ha dato grande risalto normativo alla funzione nomofilattica della Cassazione, ha, con l’art. 374, comma 3, cpc conferito una certa stabilità all’interpretazione nomofilattica delle sezioni unite. 

Dopo la riforma del 2006, ai sensi dell’art. 363, comma 2, cpc, coerentemente con quanto previsto dall’art. 374, comma 2, cpc, le sezioni unite sono chiamate ad intervenire sull’istanza promossa dal Procuratore generale presso la Cassazione se il Primo Presidente «ritiene che la questione è di particolare importanza»[17]

In realtà non sembra possa avere una qualche rilevanza la differenza tra la “questione” dell’art. 363, comma 2, cpc e la “questione di massima” dell’art. 374, comma 2, cpc vuoi perché per entrambe, se di «particolare importanza», la decisione è rimessa dal Primo Presidente alle sezioni unite, vuoi perché l’individuazione di un criterio distintivo appare impresa davvero impossibile. Forse la distinzione riguarda l’angolo visuale del Primo Presidente, il quale nelle decine di migliaia di ricorsi proposti dalle parti ogni anno ha necessariamente una percezione della “questione” solo “di massima”, mentre nelle pochissime istanze proposte dal Procuratore generale, anche in considerazione della eccezionalità dell’istituto e dell’autorevolezza istituzionale dell’istante, la percezione della “questione” che ne ha il Primo Presidente è ben più approfondita e non soltanto “di massima”. 

Per contro, la «questione» o la «questione di massima» di «particolare importanza» deve necessariamente distinguersi dalla «particolare rilevanza della questione di diritto», per la quale, è prevista, ai sensi comma 2 dell’art. 375 cpc, introdotto dal d.l. 168/2016, convertito in l. 197/2016, per la sezione semplice, l’udienza pubblica, fuori dai casi indicati dal comma 1 della medesima disposizione[18]

Ne consegue che dobbiamo distinguere tre tipologie di “questioni” sottoposte all’attenzione della Corte oggetto del ricorso: (i) questione “di diritto di non particolare rilevanza” e “di massima di non particolare importanza” decisa dalla sezione semplice in camera di consiglio; (ii) questione “di diritto di particolare rilevanza”, ma, al contempo, “di massima non di particolare importanza”, decisa, fatte salve le ipotesi di cui all’art. 375, comma 1, cpc, dalla sezione semplice in udienza pubblica; (iii) questione “di massima di particolare importanza” decisa dalle sezioni unite, prescindendo dal fatto che sia, oppure no, anche “di diritto di particolare rilevanza”, giacché le sezioni unite decidono in camera di consiglio solo nei casi indicati dal comma 1 dell’art. 375 cpc, non applicandosi alla decisione pronunciata da esse anche il comma 2. 

Al pari della classificazione delle “questioni” per la ripartizione tra sezioni unite e sezioni semplici e tra udienza pubblica e camera di consiglio, è possibile classificare la nomofilachia della Corte suprema: quella delle sezioni unite è certamente di serie ”A”, quella delle sezioni semplici trattate in udienza pubblica è di serie “A2”, infine quella delle sezioni semplici decise in camera di consiglio, soprattutto se ai sensi dell’art. 375, comma 2, cpc, è di serie “B”, semmai nemmeno idonea a creare la giurisprudenza conforme di cui al n. 1 dell’art. 360 cpc o la decisione difforme tra le sezioni semplici di cui all’art. 374, comma 2, cpc.

Al di là dell’acrobazia interpretativa per differenziare la questione “di diritto di particolare rilevanza” dalla questione “di massima di particolare importanza”, la disciplina positiva pone un punto fermo: se il ricorso presenta una “questione” o “questione di massima” «di particolare importanza», il Primo Presidente rimette la decisione alle sezioni unite, anche se sulla questione di diritto non vi sia contrasto tra le sezioni semplici. Se la «particolare importanza», sfuggita al Primo Presidente, è rilevata dalla sezione semplice, questa, all’udienza con ordinanza, rimette il fascicolo al Primo Presidente affinché affidi la decisione alle sezioni unite (art. 376, comma 3, cpc).

In tale contesto si pone il quesito se anche le sezioni semplici possano pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc, in caso di ricorso dichiarato inammissibile, giacché l’applicazione della norma è subordinata al presupposto che «la questione decisa – sia - di particolare importanza». 

Poiché il principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc ha ad oggetto, non già la questione relativa all’inammissibilità, ma quella che la Corte avrebbe dovuto decidere se il ricorso avesse passato il vaglio iniziale, il termine “decisa” dovrebbe riferirsi alla questione trattata dal provvedimento impugnato in Cassazione che poi non può che essere la stessa questione che la Corte avrebbe dovuto, appunto, decidere se il ricorso non fosse stato dichiarato inammissibile.

Quindi, «a meno di non voler inutilmente triturare i concetti e inserire un gradino intermedio»[19] per il quale la «questione decisa» sia di particolare importanza, mentre la «questione di massima» non sia «di particolare importanza», il presupposto per l’applicazione dell’art. 363, comma 3, cpc è il medesimo del presupposto per il quale il Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, cpc o dell’art. 363, comma 2, cpc, o dell’art. 376, commi 2 e 3 cpc, rimette la decisione alle sezioni unite. Ne consegue che la sezione semplice, nel caso in cui ritenga il ricorso inammissibile e la questione decisa di particolare importanza, non può pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc, ma deve necessariamente richiedere con ordinanza al Primo Presidente, la rimessione della decisione alle sezioni unite, ai sensi degli artt. 347, comma 2 e 376, comma 3, cpc. 

 Sennonché, la Cassazione non limita affatto la pronuncia del principio di diritto ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc alle sole sezioni unite; addirittura nemmeno la esclude nel caso di decisione assunta dalla sezione semplice in camera di consiglio[20]. La Corte, per giustificare la sua interpretazione, non si addentra in una impossibile acrobazia interpretativa, ma esprime semplicemente i due concetti del tutto contraddittori tra di loro. Nella sostanza il ragionamento della Corte è il seguente: “ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc, ferma restando la possibilità di rimettere la decisione, ai sensi dell’art. 376, comma 3, cpc, al Primo Presidente nel caso in cui la questione di massima sia di «particolare importanza», se la «questione giuridica» è di «particolare importanza» la sezione semplice, in caso di ricorso inammissibile, enuncia il principio di diritto nell’interesse della legge”.

Questa interpretazione è stata immediatamente condivisa e ribadita dalle sezioni semplici[21].

Appare ragionevole ritenere che la Corte, o meglio la sezione semplice della Corte, nonostante la lettera della legge la “inchiodi”, non intenda affatto rinunciare alla sua insindacabile discrezionalità nel decidere chi deve decidere.  

Del resto, giacché la decisione assunta ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc è per il futuro, non già per le parti di quel processo liquidato con l’inammissibilità, non è forse opportuno che essa venga confezionata dal “sarto migliore”, che garantisce un “prodotto” duraturo, in forza della stabilità prevista dall’art. 374, comma 3, cpc? Non costituisce forse una lamentela diffusa, soprattutto nella Cassazione, il fatto che non si possa fare nomofilachia quando occorre decidere un gran numero di ricorsi per i quali sono necessari un gran numero di giudici? Ed allora, per quale ragione, allorché è la Corte a sollecitare la sola funzione nomofilattica, poi faccia esercitare questa dalla “fabbrica” composta da circa 170 giudici e non dal “tempio” composto da circa 40 giudici, che peraltro, come detto, garantirebbe una nomofilachia più stabile? 

Non a caso dopo il 2006 le sei istanze sino ad oggi proposte dal Procuratore generale e definite ai sensi dell’art. 363, commi 1 e 2, cpc sono state tutte decise dalle sezioni unite. 

Del resto (e ciò costituisce una incongruenza della disciplina che prevede l’opzione per il Primo Presidente), come potrebbe non essere di “particolare importanza” la questione che induce il Procuratore generale ad avviare un procedimento che si caratterizza per l’eccezionalità? Allo stesso modo come potrebbe non essere “di particolare importanza” la questione che induce la sezione semplice a pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge su un ricorso dichiarato inammissibile? Se la questione non fosse di “particolare importanza”, perché la Corte dovrebbe “impiegare il suo tempo prezioso” per esercitare la sola funzione nomofilattica senza esservi costretta dall’esercizio della funzione di giudice di terza istanza? 

 
[1] B. Sassani, La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, in Riv. dir. proc., 2019, 43 ss. e in www.judicium.it, 3 giugno 2019; B. Capponi, La Corte di cassazione e la «nomofilachia» (a proposito dell’art. 363 c.p.c.), ivi, 6 aprile 2020; F. Auletta, Sulla dubbia «opportunità» e i limiti certi della pronuncia d’ufficio ai sensi dell'art. 363, 3° comma, c.p.c. («ovvero quali siano le conseguenze della mancata apposizione della formula esecutiva sul titolo notificato al debitore»), in www.judicium.it, 8 luglio 2019, in nota critica a Cass. 12 febbraio 2019, n. 3967. Dall’altra parte E. Scoditti, La nomofilachia naturale della Corte di cassazione. A proposito di un recente scritto sulla «deriva della Cassazione», in Foro it., 2019, V, 415 ss.

[2] G. Costantino, La prevedibilità della decisione tra uguaglianza e appartenenza, in Riv. dir. proc., 2015, 646 ss.; D. Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, in Foro it., 2018, V, 385 ss.

[3] V. C. Consolo, La base partecipativa e la aspirazione alla nomofilachia, in Corr. giur, 2019, 1567 ss.

[4] «”Quando sono entrato la Corte era un tempio, oggi è una fabbrica”. Parole di un autorevole Presidente di Sezione della Cassazione che rendono icasticamente la situazione nell’anno di grazia 2018». Così Sassani, La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, cit.

[5] V. il Decreto 14 settembre 2016 intitolato «La motivazione dei provvedimenti civili: in particolare, la motivazione sintetica» con cui il Primo Presidente, all’indomani della modifica introdotta con il d.l. n. 168/2016, che ha inserito il comma 2 all’art. 375 cpc, ha precisato che per tutti i giudizi in cui non vi sia una evidente valenza nomofilattica «debbono essere adottate tecniche più snelle di redazione motivazionale». V. G. Scarselli, Sulla distinzione tra ius constitutionis e ius litigatoris, in questa rivista on line https://www.questionegiustizia.it/articolo/sulla-distinzione-tra-ius-constitutionis-e-ius-litigatoris_13-01-2017.php.

[6]Sulle “potenzialità” dell’art. 363, comma 3, cpc v. Fornaciari, L’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. in Riv. dir. proc., 2013, 32 ss. e in www.judicium.it, 4 giugno 2013.

[7] Cass. s.u. 1° ottobre 2014, n. 20661.

[8] Cass. s.u. 21 marzo 2017, n. 7155, che ha ribaltato l’orientamento di Cass. s.u. 6 settembre 2010, n. 19051, secondo la quale la conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza della corte determina non già una inammissibilità, bensì la manifesta infondatezza del ricorso.

[9] V. Cass. 2 marzo 2018, n. 5001, commentata da F.S. Damiani, La Corte di cassazione e il culto dell’inammissibilità, in Giusto proc. civ., 2018, 741 ss.

[10] V., a tale proposito, la lettera datata 31 gennaio 2017 inviata al Presidente del CNF dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione con la quale questo auspica la partecipazione dell’avvocatura, per il tramite, appunto, del CNF, a questa rinnovata interlocuzione con la Corte di cassazione al fine di rendere proficua l’applicazione dell’art. 363, commi 1 e 2, cpc.

[11] Sull’iniziativa del Procuratore generale v. ampiamente L. Salvaneschi, L’iniziativa nomofilattica del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione nell’interesse della legge, in Riv. dir. proc., 2019, 65 ss.

[12] Cass. s.u. 23 luglio 2019, n. 19889 (rel. De Stefano).

[13] V. Capponi, La Corte di cassazione e la «nomofilachia» (a proposito dell’art. 363 c.p.c.), cit., 13 s.

[14] Così espressamente Cass. s.u. 18 novembre 2016, n. 23469 (rel. De Stefano). V. Salvaneschi, L’iniziativa nomofilattica del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione nell’interesse della legge, cit., 74 ss.

[15] V. C. Punzi, La Cassazione da custode dei custodi a novella fonte di diritto?, in Rivista di storia giuridica dell’età medioevale e moderna, http://www.historiaetius.eu  - 1/2012 - paper 4.

[16] V. l’ampio studio di Franco Cipriani con il suo Il regolamento di giurisdizione, Jovene, Napoli, prima edizione, 1977.

[17] Nelle sei decisioni post 2006 la Corte si è sempre pronunciata, ai sensi dell’art. 363, comma 2, cpc, a sezioni unite. V. Salvaneschi, L’iniziativa nomofilattica del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione nell’interesse della legge, cit., 70 ss., che ne indica cinque, giacché la sesta, Cass. s.u. 23 luglio 2019, n 19889, è successiva allo scritto.

[18] V. G. Scarselli, La “particolare rilevanza delle questioni” tra camera di consiglio e udienza pubblica, in questa rivista on line https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-particolare-rilevanza-delle-questioni-tra-camera-di-consiglio-e-udienza-pubblica_30-03-2017.php, cit.

[19] Per usare un inciso impiegato dalle sezioni unite, Cass. ss.uu. 4 maggio 2017, n. 10790, per azzerare la distinzione tra «prova rilevante» e «prova indispensabile», in relazione alla disciplina dei nova in appello ai sensi dell’art. 345, comma 3, cpc ante riforma del 2012 (d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. l.7 agosto 2012 n. 134) nonché ai sensi degli artt. 437, comma 2 e 702 quater cpc.

[20] Cass. 20 maggio 2011, n. 11185, in Foro it., 2011, I, 2036, con nota di richiami di C.M. Barone. In dottrina conforme Briguglio, in Commentario alla riforma del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, III, tomo I, Ricorso per cassazione, Padova, 2009, 118; cfr. anche Reali in La riforma del giudizio di cassazione, a cura di F. Cipriani, Padova, 2009, 181 s. V. in senso contrario F. Auletta, Sulla dubbia «opportunità» e i limiti certi della pronuncia d’ufficio ai sensi dell'art. 363, 3° comma, c.p.c. («ovvero quali siano le conseguenze della mancata apposizione della formula esecutiva sul titolo notificato al debitore»), cit. Questa sentenza è pubblicata in Rass. esec. forz., 2019, 385 ss., con a seguire note di commento S. Rusciano, F. Auletta, M. Farina, B. Capponi, A più voci sui principi di diritto pronunciati d’ufficio in tema di spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione. Per contro Cass. 31 dicembre 2009, n. 28327 ritiene che «l’esercizio del potere officioso della Corte di Cassazione di pronunciare, ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c., il principio di diritto quando il ricorso è inammissibile non si concilia con il rito camerale di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c., atteso che tale rito costituisce uno strumento acceleratorio del giudizio per l’esercizio di ben definite tipologie decisionali, tra le quali non rientra l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge».

[21] Da ultimo, nel senso che la decisione ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc possa essere assunta anche dalla sezione semplice, v. Cass. 13 marzo 2020, n. 7149; con espresso riferimento all’apertura anche alla decisione in camera di consiglio, dopo il d.l. 168/2016, convertito in l. 197/2016 che ha introdotto il comma 2 dell’art. 375 cpc, v. Cass. 22 giugno 2017, n. 15482.

03/11/2020
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