Per chi si è occupato di protezione internazionale, la visione di Princess, offre uno spaccato del fenomeno della “tratta” che conferma ancora di più la assoluta condivisibilità dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione in punto di “credibilità” delle richiedenti asilo, sia in relazione alle vicende raccontate che agli aspetti rimasti coperti dal silenzio.
Con i principi di diritto espressi in materia, infatti, sono state spesso cassate sentenze di merito in cui il ricorso volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, e/o della protezione umanitaria o speciale, era stato respinto proprio in ragione della mancanza di attendibilità dei fatti narrati, ritenuti spesso non plausibili agli occhi razionali del mondo occidentale e di chi deve valutare racconti di magie, riti iniziatori, usanze tribali e sacrifici inverosimili, ritenuti solo strumentali all’ottenimento della protezione invocata, ma privi di verosimiglianza.
L’orientamento, ormai assolutamente prevalente della Corte di Cassazione è giunto all’approdo secondo cui, tenuto conto delle particolari condizioni di vulnerabilità della vittima di tratta, poiché alcuni degli elementi caratteristici delle dichiarazioni di chi si trovi in questa situazione sono la contraddittorietà e la frammentazione del contenuto del racconto, anche a causa di una latente condizione di timore, la credibilità della storia (che opera ad un tempo sul piano dell'allegazione e della prova dei fatti) deve essere vagliata dal giudice di merito, in primo luogo, valutando il racconto in modo complessivo e non atomistico; ed, in secondo luogo, considerando la stretta vicinanza della complessità delle dichiarazioni rese agli elementi distintivi del fenomeno, in relazione al quale anche il silenzio della vittima assume un valore indiziario.
Partendo da questa premessa, l’obiettivo del film – e cioè convincere lo spettatore della veridicità della storia narrata e della umanità che emerge da tutti i personaggi che la interpretano - risulta pienamente centrato in quanto il racconto è espresso dalla voce narrante dell’anima della protagonista.
Princess è il nome di una prostituta diciottenne proveniente dalla Nigeria che vende il suo corpo nella pineta ai bordi di una delle strade della periferia romana, fra Ostia e Castelfusano. Per ogni cliente cambia nome fino a dimenticare il proprio: chiede protezione al Dio che ha imparato a pregare, del quale si fida tanto e che torna anche ad onorare in una chiesa nel giorno del suo compleanno, insieme a tutte le componenti della comunità in cui vive.
Racconta con convinzione, che attraverso il rito al quale è stata sottoposta nel paese di origine per essere avviata alla prostituzione, percepisce il proprio corpo come estraneo a se stessa e, quando “lavora”, lo “trasferisce” nel corpo di un’altra donna rimasta “laggiù”, in modo da diventare insensibile al dolore ed alla mortificazione.
In questo modo si estranea da ogni incontro e lo vive come un naturale scambio tempo-denaro. Sempre allegra e priva di mortificazione, cerca di trovare una soluzione pratica per i mille inconvenienti della sua “professione” fra cui quello di essere lasciata senza vestiti al centro della pineta da un cliente che voleva soltanto vederla nuda, fuori dalla macchina, durante il proprio autoerotismo e che poi fugge per sottrarsi all’obbligo di pagarla.
Ma il momento centrale della storia è l’incontro con un ragazzo, ironico e gentile, che va spesso in quel luogo per passeggiare con il proprio cane e che non le chiede prestazioni sessuali, ma la apprezza divertito dal suo modo di fare, parlando con lei la lingua (inglese) conosciuta da entrambi; e che cerca di accoglierla nella sua vita e nella sua casa con amore. Ma questa parola è sconosciuta a Princess che vuole, comunque, essere pagata perché «se non mi paghi vuol dire che mi hai usato e basta. Io non voglio essere usata»: avvolta nell’abbraccio, però, percepisce nuovamente il suo corpo e fugge, impaurita, per ritornare alla vita “schermata” cui è abituata, nella quale l’amore, la passione e l’abbandono non sono contemplati.
L’opera è scritta con la collaborazione di ragazze nigeriane che sono state vittime della tratta, e che raccontano loro stesse: eccellente l’interpretazione della protagonista.
Ne nasce uno sguardo mai compassionevole e neppure retorico rispetto all’intera vicenda, ma assolutamente convincente della bontà degli approdi giurisprudenziali in punto di “credibilità” dei racconti delle vittime di tratta: tutte le loro storie sono, ai nostri occhi, inverosimili ma, purtroppo, accadono.
Se il cinema ci aiuta a comprenderle, ha compiuto una delle sue missioni.
photo credits: Roberto De Paolis/Indigo Film