Con la sentenza qui segnalata, la Suprema Corte ha statuito che è «abnorme il provvedimento con il quale il Gip, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al Pubblico Ministero, ritenendo sussistente la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen.»[1].
Nella specie era accaduto che il gip aveva respinto la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, proposta dal pubblico ministero contro l'imputato, con contestuale restituzione degli atti, in quanto secondo il giudice la condotta contestata poteva ragionevolmente farsi rientrare nell'alveo applicativo dell'art. 131 bis c.p. «trattandosi di discussione per questioni di viabilità, in seguito alla quale verosimilmente l'indagato non ha neppure percepito di essere obbligato a fornire le proprie generalità».
Il pubblico ministero, nel proporre ricorso avverso tale provvedimento, lo aveva criticato censurandone l'abnormità, avendo determinato una regressione non consentita del procedimento.
Con la sentenza in esame, la Corte accoglie il ricorso del pubblico ministero sulla base del seguente ragionamento.
Innanzitutto la Corte premette che il gip, che sia investito da una richiesta di emissione del decreto penale di condanna, può restituire gli atti al pubblico ministero soltanto in tre casi e, cioè, per questioni attinenti ai profili di legittimità del rito, di qualificazione giuridica del fatto, oppure, di idoneità e/o adeguatezza della pena da infliggere in concreto.
Al di fuori delle suddette tre ipotesi e sempre che non debba pronunciare una sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p., il gip è obbligato ad emettere il decreto penale oggetto di richiesta.
Di talché la restituzione degli atti che si basi, come è avvenuto nel caso in esame, «su una ipotetica valutazione di applicabilità della particolare causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. non può ritenersi consentita dal sistema processuale e concretizza, effettivamente, una ipotesi di abnormità».
La sentenza, però, va oltre e suscita un particolare interesse laddove cerca di conciliare la procedura monitoria di cui agli artt. 459 e ss. c.p.p., caratterizzata dall'assenza di un previo contraddittorio, con il nuovo istituto della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p.
In particolare, la Corte esclude che il giudice delle indagini preliminari, destinatario di una richiesta di emissione del decreto penale di condanna, possa pronunciare ai sensi dell'art. 129 c.p.p. una sentenza di proscioglimento immediato per la ritenuta particolare tenuità del fatto, in quanto la mancanza in tale ipotesi di un previo contraddittorio impedirebbe all'imputato e alla eventuale persona offesa di esercitare il proprio diritto di interloquire in merito alla sussistenza dei requisiti applicativi dell'art. 131 bis c.p.[2].
Un diritto di interlocuzione che il sistema processuale tutela con speciale rigore come risulta dal fatto che, già in sede di procedimento di archiviazione, con l'attuale art. 411 comma 1 bis c.p.p., il legislatore ha imposto al giudice di dichiarare, sussistendone i presupposti, la particolare tenuità del fatto soltanto a condizione che si sia previamente instaurato un contraddittorio con l'indagato e la eventuale persona offesa, dal momento che la dichiarazione della nuova causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p. implica comunque l'accertamento di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole[3].
Conseguentemente, pur essendo il giudice delle indagini preliminari destinatario di una richiesta di emissione del decreto penale di condanna, titolare del potere di emettere la sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., «tale possibilità è da escludersi», precisa la Corte, «nella ipotesi di ritenuta sussistenza − da parte del giudice − della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art.131 bis cod. pen. e ciò in ragione della particolare natura di tale istituto, che implica la instaurazione del contraddittorio e che comporta l'emissione di un provvedimento non pienamente liberatorio, data la ricorrenza di effetti pregiudizievoli, tra cui la iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento dichiarativo».
Pertanto, secondo la Corte, in sede di procedimento monitorio, la particolare tenuità del fatto potrà trovare applicazione esclusivamente «in sede di formulazione della opposizione al decreto penale già emesso, e dunque dopo l'instaurazione del contraddittorio, nell'ambito delle opzioni processuali spettanti all'opponente».
Nel complesso la pronuncia in esame è di sicuro condivisibile e, per certi aspetti, consente di fare alcune previsioni con specifico riferimento al giudizio immediato e alla sospensione del processo per assenza dell'imputato.
Infatti, sulla scorta del ragionamento seguito dalla Corte, analogamente a quanto previsto per il procedimento per decreto, il gip, destinatario di una richiesta di giudizio immediato, non potrebbe emettere una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ritenendo sussistente la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p., in quanto tale pronuncia verrebbe resa al di fuori di un contraddittorio «in violazione, appunto, della regola della necessaria preventiva interlocuzione delle parti in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 131 bis c.p.»[4].
Ugualmente, una pronuncia liberatoria ai sensi dell'art. 129 c.p.p. dichiarativa della particolare tenuità del fatto non potrebbe neppure essere adottata, in forza dell'art. 420 quater secondo comma c.p.p., in sede di sospensione del processo nei confronti dell'irreperibile, essendo in questo caso assente per definizione l'imputato, che conseguentemente si vedrebbe deprivato del suo diritto di interloquire preventivamente in merito alla applicabilità della causa di non punibilità in questione.
[1] La massima è tratta direttamente dal sito della Corte Suprema www.cortedicassazione.it.
[2] In questi termini si sono già espresse M. Guerra e A. Pompei, Depenalizzazione e particolare tenuità del fatto, a cura di Domenico Carcano, Giuffrè Editore, pag. 172.
[3] Non va dimenticato, poi, che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento o a norma dell'art. 442 c.p.p., salvo in quest'ultimo caso che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno quanto a sussistenza del fatto, illiceità penale e attribuibilità al suo autore e il relativo provvedimento, anche se di archiviazione, va iscritto nel casellario giudiziale.
[4] Le parole sono di M. Guerra e A. Pompei, Depenalizzazione e particolare tenuità del fatto, cit., pag. 172; peraltro, nella stessa pagina proprio con riferimento al rito immediato, le Autrici proseguono, testualmente, ricordando che «secondo l'opinione prevalente della giurisprudenza di legittimità, questa tipologia procedimentale non consente al giudice, nemmeno in linea generale, la pronuncia di una sentenza ex articolo 129 c.p.p., ma solo la possibilità di emettere il decreto che dispone il giudizio o, in alternativa, di rigettare la richiesta ordinando la restituzione degli atti al pubblico ministero».