La sentenza che si annota è di indubbio interesse perché la Suprema Corte si esprime in merito alla delicata questione se il nuovo istituto dell'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, regolato dall'art. 131bis c.p., “introduca una forma di abolitio criminis, come tale rilevabile anche davanti al giudice dell'esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen.”
Per una migliore comprensione della questione è necessario però ripercorrere, seppur brevemente, i fatti di causa.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno, che, riformando parzialmente quella emessa in primo grado, rideterminava la pena inflitta.
Il Giudice di prime cure aveva condannato l'imputato per il reato di cui all'art. 10ter D. L. vo n. 74/2000, perché, nella sua veste di legale rappresentante della omonima ditta individuale, aveva omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto, per l'importo di euro 131.753,00, dovuta in base alla dichiarazione relativa all'anno 2006, entro il termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo.
Nel ricorso l'imputato articola due motivi: con il primo, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata si era basata sull'accertamento tributario in modo acritico, non essendo stata spiegata la ragione per cui tale accertamento era stato posto a fondamento della condanna; con il secondo, il ricorrente lamenta la carenza motivazionale riguardo all'intenzionalità della condotta, non avendo i Giudici del merito preso in considerazione “l'esistenza di eventi esterni alla volontà” dell'imputato, come la crisi economica e le difficoltà che da tempo attanagliano la classe imprenditoriale.
Successivamente, nelle more del giudizio di legittimità, l'imputato deposita memoria con motivi aggiunti, chiedendo l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi del nuovo art. 131bis c.p ed evidenziando, da ultimo, l'intervenuta prescrizione del reato.
Con la sentenza che si annota, la Corte Suprema ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso in ragione della manifesta infondatezza dei motivi proposti.
In particolare, dopo avere ricordato che, in caso di doppia conforme, la motivazione della sentenza di appello può rinviare per relationem a quella della sentenza di primo grado, ad eccezione del caso in cui le censure del ricorrente non contengano argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, i Giudici di legittimità ritengono del tutto congrue le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello salernitana, non avendo la Corte territoriale recepito, passivamente ed acriticamente, gli esiti dell'accertamento tributario, che hanno invece trovato oggettivo riscontro, sul piano probatorio, nel corso dell'istruttoria dibattimentale e avendo, altresì, la Corte territoriale correttamente ritenuto sussistente il dolo generico, richiesto per integrare l'elemento soggettivo del reato in esame, non potendo essere invocata per escludere la colpevolezza la crisi di liquidità.
La manifesta infondatezza dei motivi proposti, determinando l'inammissibilità del ricorso, ha fatto sorgere la questione, che è oggetto di questa nota e che adesso si passa sinteticamente ad esaminare più nel dettaglio.
Come prima cosa, la Corte di Cassazione si domanda “se, a fronte di un ricorso da dichiarare inammissibile per manifesta infondatezza, possa essere presa in considerazione … la proposta questione circa la non punibilità del fatto per particolare tenuità ex art. 131bis cod. pen.”
La risposta è la seguente.
Poiché un ricorso per cassazione inammissibile “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione”, la proposta questione circa la non punibilità del fatto per particolare tenuità ex art. 131bis c.p. non potrà più essere presa in considerazione, a meno che non si ritenga che “il nuovo istituto introduca una forma di abolitio criminis”.
I Giudici di legittimità, però, escludono categoricamente che la nuova causa di esclusione della punibilità integri una tipica ipotesi di abrogazione della norma punitiva.
“Non pare, infatti, che una disposizione recante una nuova causa di non punibilità”, scrive la Corte, “operi una, sia pur parziale, abolitio criminis. Ostacoli alla revocabilità della sentenza per abolitio criminis, quale conseguenza della sopravvenuta esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sembrano peraltro emergere sia dall'art. 2, secondo comma, cod. pen., sia dall'art. 673, comma 1, cod. proc. pen … In effetti non può trascurarsi che, qualora ricorrono i presupposti dell'istituto previsto dall'art. 131-bis cod. pen., il fatto è pur sempre qualificabile - e qualificato dalla legge - come reato (va ricordato, tra l'altro, che il nuovo art. 651-bis attribuisce efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi alla sentenza dibattimentale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto anche quanto all'accertamento … della sua illiceità penale)”.
In altri termini, secondo la Corte di legittimità, la nuova causa di non punibilità lascia perfettamente intatta la rilevanza penale del fatto, che, sulla base del combinato disposto degli artt. 2, secondo comma, c.p. e 673, primo comma, c.p.p., può venire meno soltanto nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.
Sicché la nuova causa di non punibilità va ad incidere solo sull'applicabilità della pena, nel senso che quest'ultima potrà essere esclusa se il fatto, pur sempre rilevante sul piano penale, si presenta non meritevole di essere punito per la sua scarsissima offensività.