Chi si è occupato di diritto costituzionale intorno agli inizi degli anni duemila – come è capitato a chi scrive – conoscerà già questa storia, ma è forse il caso di riassumerla, perché penso che abbia una qualche importanza - in sé e come chiave di lettura del libro che cercherò d'introdurre.
Parlando del diritto dell'Unione europea, i vecchi maestri della nostra disciplina rammentavano i tempi – che a noi allievi apparivano già accademicamente e "politicamente' assai lontani – nei quali il territorio di quella neonata disciplina era "conteso", peraltro senza molto slancio, tra gli studiosi del diritto internazionale e, appunto, i costituzionalisti.
Quella che noi studenti e giovani ricercatori ricordavamo personalmente era, invece, la fase successiva, nella quale l'importanza "istituzionale" del diritto europeo era divenuta tale che la disciplina si era resa autonoma dai due "padri nobili", ricavando un proprio spazio e un proprio statuto accademico indipendenti, seppure nell'incertezza che caratterizza i primi passi, anche quelli (soprattutto quelli) di una creatura dalle altissime, e certamente non nascoste, ambizioni.
Gli sviluppi ai quali assistemmo personalmente, e da adulti, furono più turbolenti, quantomeno da un punto di vista strettamente universitario. Il diritto internazionale, sempre saldo nella sicurezza del proprio statuto, prese ad ignorare sempre più apertamente i 'capricci' teoretici di quell'enfant terrible che, dopo una comunità, pretendeva addirittura un'unione (senza che, peraltro, si comprendesse esattamente la differenza tra le due), e si risolse a tornare ai propri affari di sempre, ai quali, peraltro, partecipava sempre più di frequente un nuovo "attore" (europeo), debuttante sulla scena del diritto delle organizzazioni internazionali e dei trattati, seguendo schemi comportamentali comunque sussumibili in categorie che, per l'internazionalista, rappresentavano un tranquillizzante business as usual.
Il rapporto tra costituzionalismo e diritto dell'Unione volse, invece, francamente al dramma.
Sicuro della propria inevitability, il diritto unionale prese ad erodere sistematicamente il piedistallo su cui poggiavano l'indipendenza e l'ultimatività delle costituzioni dei paesi del continente. Senza che si manifestasse una qualche significativa resistenza, fummo spettatori della capitolazione intellettuale del costituzionalismo statale, poco abile nel reinventarsi – e, malgrado l'entusiasmo esibito, riluttante a pensarsi – come "costituzionalismo" sub-sovrano (come quello espresso, per dire, dall'ordinamento dell'Alaska nel contesto di quello statunitense, o da quello dei Grigioni in quello della Confederazione Elvetica) e, infine, persino incapace di lasciare al proprio figlioccio continentale i beni di maggior pregio, rappresentati da quelle categorie concettuali, affinate in secoli di lotta tra, e di riflessione su, potere e libertà che, nell'ordinamento eurounitario, avevano ancora una collocazione incerta e ambigua, a causa dell'altrettanto incerta e ambigua corrispondenza tra la struttura del potere europeo e quella del potere statale 'tradizionale'.
Per farla breve, il costituzionalismo 'nazionale', nella sua inedita variante 'sub-unionale', viveva la più grande crisi d'identità dal dopoguerra, avendo perduto, almeno in parte, la propria funzione di guardiano degli eccessi di un 'sovrano' che trascendeva, ormai, almeno in parte, la sua dimensione politica. D'altra parte, l'Unione non possedeva ancora la forza per affermarsi come ordinamento compiutamente federale, e necessitava di stati nazionali relativamente 'forti', sia per mettere in pratica le proprie politiche, che per delegare quelle che non poteva (o non intendeva) avocare a sé. Vide la luce, dunque, più per necessità strumentale che per progetto, un proto-costituzionalismo 'europeo' sui generis, magmatico e, come si addice al magma, difficile sia da descrivere che da maneggiare.
La risposta del costituzionalismo "tradizionale" di quell'epoca – o, per meglio dire, l'aveu dell'incapacità di fornire una risposta – si materializzò nell'inconcludente (per i suoi esiti descrittivi, teorici e sistematici) stagione del 'costituzionalismo multilivello ingenuo', o 'prima maniera'.
Una cacofonia di tentativi di "quadratura del cerchio", volti a dimostrare la possibile coesistenza di due sovranità (statale e unionale) "piene" e "perfette" entrambe, ma "coordinate", e purtuttavia non inquadrate in un sistema regionale/federale, non raggiunse altro risultato se non quello di suscitare il rimpianto della chiarezza e dell'inscalfibilità teoretica della costruzione kelseniana (e – sia consentito ricordarla - della magistrale limpidezza della Teoria dell'Ordinamento Giuridico di Bobbio), delegittimando un legato filosofico, normativo, epistemico e dogmatico che avrebbe meritato ben altra ricezione.
Non cade nella trappola dell'ingenuità, e non è impresa di poco conto, il n. 47 dei Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento, intitolato Effettività delle tutele e diritto europeo – un percorso di ricerca per e con la formazione giudiziaria, a cura di Paola Iamiceli (disponibile gratuitamente su internet).
L'argomento principale della collettanea, che raccoglie interventi di accademici, magistrati - ordinari e amministrativi - e giovani ricercatori, è costituito da talune aree di applicazione del diritto ad un rimedio effettivo, sancito dalla Carta di Nizza al primo comma dell'art. 47 con queste parole: “Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo”.
L'opera riflette, come segnalato dalla curatrice nella ricca e approfondita introduzione, una lunga collaborazione tra professori e magistrati, mirata a riguardare da molteplici angoli l'oggetto dello studio, così da ricavarne un'immagine più fedele alla sfaccettata realtà di un principio che, isolato dalle sue applicazioni pratiche, correrebbe il serio rischio di fare oggetto di una trattazione arida ed autoreferenziale.
Così non è.
All'inquadramento iniziale della problematica, operato dalla curatrice all'interno di una cornice dogmatica inappuntabile, segue un'ulteriore trattazione, che può considerarsi anch'essa d'introduzione generale, ad opera di Fabrizio Cafaggi, il quale si sofferma inoltre sulle suggestioni che la norma propone in relazione ad ipotesi di enforcement del diritto unionale attraverso strumenti non giurisdizionali, in particolare (ma non solo) di carattere amministrativo.
Seguono più di un centinaio di pagine, articolate in cinque contributi (di Davide Strazzari, Martina Flamini, Simone Penasa, Antonino Alì e Madalina Moraru) e centrate sulle interferenze tra art. 47 della Carta, diritto eurounitario e diritto statale (soprattutto procedurale e processuale) in materia di asilo, immigrazione e protezione internazionale.
Il settore si presta particolarmente all'indagine, in quanto vede un elevato impegno delle risorse amministrative e giurisdizionali degli stati membri, inquadrato in una cornice normativa segnata da interventi unionali "forti", con un costante interessamento dei diritti fondamentali della persona che richiede accoglienza e, tra questi, primi, in ordine logico, quelli ad un fair trial e al due process, stante il vitale interesse del richiedente ad una valutazione il più possibile imparziale, informata e partecipata della propria istanza, volta alla permanenza nello 'spazio europeo'. I temi più approfonditamente trattati sono quelli relativi al diritto all'ascolto del richiedente, al diritto alla permanenza nel paese d'ingresso fino all'esaurimento dei ricorsi giurisdizionali avverso un provvedimento, amministrativo o giurisdizionale, di diniego dell'accoglienza e alle ricadute della legislazione emergenziale antiterrorismo sull'interesse all'accoglienza e alla permanenza.
Seguono quattro contributi (di Diana Ungureanu, Giuseppe Fiengo, Fabrizio Cafaggi e Gianmatteo Sabatino) relativi all'attuazione della normativa unionale in materia di diritti del consumatore, sia – e principalmente - per quanto riguarda la repressione delle clausole abusive nella contrattazione di massa, che per ciò che concerne le ricadute, dirette e indirette, del diritto antitrust sull'effettività della tutela consumeristica. Di particolare interesse per il giudice nazionale sono quei contributi che si soffermano sulla notevole forza, "scardinatrice" di consolidati meccanismi processuali domestici, esercitata dall'art. 47 della Carta di Nizza, in combinato disposto con il diritto derivato sul contrasto alle clausole abusive, anche in caso d'inerzia del soggetto protetto nell'allegazione e nella prova degli elementi rilevanti, sia nel giudizio di cognizione che in fase di esecuzione.
Può ritenersi contiguo ai quattro contributi che si sono da ultimo richiamati quello, di Chiara Angiolini, sulla tutela, articolata tra Unione e stati membri, in materia di trattamento dei dati personali, sempre riguardata attraverso il prisma dell'art. 47 della Carta.
Segue il contributo di Giovanni Armone, nel quale si tracciano le linee direttrici di una feconda ricerca relativa all'applicazione del principio unionale di effettività alla sempre più frammentata realtà dei rapporti di lavoro, in particolare per quanto riguarda le tutele contro i licenziamenti illegittimi.
Chiudono il volume il contributo di Federica Casarosa, che declina il principio di effettività nell'analisi delle azioni collettive, a livello sia europeo che italiano, e quello di Lucia Busatta, dolorosamente attuale, in quanto intraprende la declinazione sul terreno del diritto del 'cittadino dell'Unione' a ricevere cure gratuite in un paese europeo diverso da quello solitamente tenuto a fornirgliele.
Ho già scritto: un volume non ingenuo, anzi, approfondito e stimolante. Perchè?
Perché, con un lavoro attento, sistematico, intelligente e accademicamente impeccabile, aiuta il lettore ad interrogare criticamente l'outil oggetto di studio - il già menzionato art. 47 - sollecitando diverse riflessioni, come avvenuto con questo recensore, che riporta le proprie:
i. Non è l'art. 47 in sé a dover essere oggetto di stupore o ammirazione. Non di stupore, perché mai è stato in dubbio, né avrebbe dovuto esserlo, che il diritto dell'Unione pretendesse di venire effettivamente applicato, e la giurisprudenza della CGUE non ne ha mai fatto mistero. Non di ammirazione, in quanto il diritto ad un rimedio effettivo era già ben meditato ed espresso, per quanto ci riguarda, nell'art. 6 della CEDU, e nell'art. 24 della Costituzione italiana;
ii. L'art. 47 è piuttosto espressione, tra altre, della supremazia dell'ordinamento unionale, ed in questo senso la sua principale funzione è quella gerarchizzante;
iii. La lettura del lavoro richiama l'attenzione sulle differenti ricadute del principio di effettività, ove applicato, da una parte, a provvedimenti di c.d. armonizzazione minima (che individuano un interesse prevalentemente tutelato, restando consentito agli stati membri di munirlo di protezioni ulteriori) o a provvedimenti di c.d. armonizzazione massima (che presuppongono che gli interessi coinvolti dalla normativa unionale siano stati oggetto di un bilanciamento definitivo da parte del legislatore eurounitario, escludendo così che quello nazionale possa alterare, anche minimamente, e in un qualsiasi senso, questo equilibrio) – in altre parole: il principio di effettività, in sé, è procedurale, non valoriale;
iv. Ancora, vengono opportunamente messi in luce la mancanza di proporzione ed il disequilibrio che possono discendere da un'affermazione 'massimalista' del principio di effettività, laddove si pretenda di ignorare, con uno slancio eccessivamente volontarista, l'architettura processuale d'inveramento delle tutele nei singoli stati membri, la quale è, fino a prova contraria, espressione di quel patrimonio costituzionale comune, che pure il 'diritto costituzionale europeo' interroga, per trarne i propri principi;
v. Anche laddove non si giunga agli eccessi dell'ipervolontarismo, resta tuttavia la questione della 'traduzione' dei comandi unionali nel linguaggio, in qualche modo sempre 'straniero', dei sistemi giurisdizionali statali: la stessa situazione giuridica, munita della stessa tutela formale, verrà comunque declinata diversamente in dipendenza dei diversi 'lessici' costituzionali e giuridici (e quindi storici, filosofici e culturali) che innervano, e costruiscono, in ultima analisi, i diversi ordinamenti;
vi. Il 'dialogo' tra gli ordinamenti, e tra le corti, già problematico, si complica ulteriormente ove nel quadro faccia il suo ingresso, come nella materia esaminata, anche la CEDU, corte di diritti (fondamentali) per definizione, che sempre più si troverà in 'concorrenza' con la CGUE, la quale non può rinunciare all'ambizione di divenire, pienamente e compiutamente, corte di diritti (fondamentali) anch'essa, pena la rinuncia alla primazia, anche simbolica, dell'ordinamento che rappresenta;
vii. Infine, cosa sia questo 'dialogo', se non un'evoluzione verso una compiuta gerarchizzazione di livelli costituzionali (ed endo-costituzionali, e sub-costituzionali), di cui uno (quello unionale) destinato a divenire supremo, e gli altri a convivere negli spazi che questo riterrà di lasciare, come in tutti gli ordinamenti federali/regionali, non è dato comprendere, e deve forse prendersene atto senza infingimenti.
Per chiudere, ancora un ricordo personale: quando, agli inizi del decennio appena trascorso, studente presso un'università inglese, seguivo corsi e seminari di diritto dell'Unione europea insieme a donne e uomini di tutto il continente, era ancora vivo l'approccio 'fideistico' alla 'trinità' UE-Consiglio d'Europa-Stati membri di entrambi, e il problema di un rigoroso inquadramento sistematico dei rapporti gerarchici e di competenza tra i tre, che superasse il feticcio superstizioso e inconcludente del 'dialogo tra le corti' e del 'costituzionalismo multilivello' ingenui, era ancora oggetto di un imbarazzato refoulement dans l'inconscient.
Meno di dieci anni dopo, in quel paese, la materia è oramai 'diritto estero', e l'Unione si trascina e dibatte nella convivenza con 'democrazie illiberali', attive nel suo stesso Consiglio.
Questo libro, tra le altre cose, ci chiama ad una riflessione compiutamente costituzionale, intellettualmente spregiudicata e onesta, sulle basi dell'integrazione europea, una riflessione che non appare più rinviabile, quantomeno se si è interessati ad impedire che l'inconscio represso, turbato da una troppo lunga abdicazione al nostro dovere di giuristi, difensori della democrazia costituzionale liberale, generi mostri.