Negli ultimi mesi, dopo un lungo silenzio, si è ravvivato il dibattito sulle REMS, o meglio su la riforma della esecuzione della misura di sicurezza, con articoli su riviste e questioni di legittimità Costituzionale che però sono rimaste sospeso in un limbo di inquietante incertezza.
Ci si riferisce all'articolo su questa rivista del Dr. Patarnello[1], al commento del collega Dr. Pietro Pellegrini, alla questione sollevata dal Gip di Tivoli sulla (il)-legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 c.p. e dell’art. 3 ter del D.L. n. 211/2011 come modificati con la L. 9/2012 e la L. n. 81/2014, in riferimento agli artt. 27 e 110 Cost.. Contestando la parte della nuova normativa in cui viene sancita la competenza esclusiva di Regioni e organi amministrativi in materia di misura di sicurezza detentiva del ricovero presso le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) sottraendola al Ministro della Giustizia, e agli artt. 2, 3, 25, 32 Cost. nella parte in cui consentono con atti amministrativi l’adozione di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza.
Infine ci si riferisce all'articolo a commento dei precedenti dell'Avv. Antonella Calcaterra[2] che spiega come le presunte soluzioni potrebbero essere peggio del problema, con una conseguente involuzione culturale del principio ispiratore delle nuove normative.
Ciò che accomuna tutti gli attori in tale scenario è la convinzione che il sistema così come è non funzioni e non possa proseguire senza una sostanziale modifica. Ne è convinto il Dr. Patarnello, il Dr. Pellegrini, il GIP di Tivoli Dr. Morgigni, e anche l'avvocato Calcaterra. Purtroppo, debbo aggiungere, ne sono convinti anche gli operatori e i responsabili dei dipartimenti di salute mentale.
Il disaccordo epistemologico è su cosa fare per cambiare questa situazione, in un contesto politico che di certo non ha nella propria agenda come priorità, la salute mentale, le REMS o la salute mentale in carcere.
Semplificando per utilità del lettore:
1) Patarnello propone l'aumento dei posti letto ritenendo inaccettabile dalla prospettiva di Magistrato di Sorveglianza sia il tema delle liste d'attesa come anche quello della permanenza illegittima in carcere per chi sia stato riconosciuto incapace di intendere e volere e quindi destinato ad una REMS.
2) Morgigni in realtà pone un problema di legittimità Costituzionale ma indirettamente propone (come ci evidenzia Calcaterra) quale soluzione del problema della "ineseguibilità" della misura di sicurezza detentiva (a causa delle liste d'attesa, n.d.r.) il ritorno della gestione al DAP, ovvero al Ministero della Giustizia piuttosto che alle Regioni.
3) Pellegrini richiama con buon senso clinico alla corretta utilizzazione delle REMS, destinate per usare le sue parole, a soggetti malati non a soggetti disturbanti, ribadendo con vigore che alle REMS non vanno inviati soggetti antisociali, criminali, psicopatici. Auspica modelli di stretta collaborazione tra Istituzioni e soluzioni alternative alla detenzione o all'internamento in strutture.
4) Calcaterra, pragmaticamente, invita le Regioni, a cui, in effetti è stata affidata la responsabilità del sistema REMS e carcere, ad una maggiore efficienza riguardo gli interventi in favore delle persone portatrici di malattie mentali, siano esse dentro o fuori del circuito penale. La Calcaterra insiste sul fatto che la sanità all'interno delle carceri vada rinforzata e rinvigorita per garantire il diritto alla salute e alle cure di ogni cittadino, come previsto dalla Costituzione. In effetti sic stantibus rebus dovrebbero essere le Regioni ad efficientare il sistema.
Riflessioni sul Tema
Come dare torto a Patarnello a proposito delle liste d'attesa?
Il Magistrato ha il compito di tutelare la società dal pericolo, eventualmente rappresentato, da chi, invece di essere curato nel luogo appropriato, si trovi in contesti che non solo non garantiscono, le cure ma anzi possono aggravare le condizioni psicopatologiche del soggetto (come il carcere), o esporre la collettività a rischi incomprimibili (come un paziente che attende il suo turno in Rems presso il proprio domicilio) considerata la lunghezza della lista d'attesa.
Sul tema della Costituzionalità posta da Morgigni ovviamente siamo tutti in attesa fiduciosa della Corte Costituzionale, ma su come il DAP possa risolvere il problema appare oscuro, se non utilizzando, come in carcere, un inaccettabile sovrannumero o aumentando i posti a disposizione.
Nel suo articolo Pellegrini da una parte afferma secondo i principi della legge 180/78 che la cura non si può imporre se non per brevi periodi e che le cure prevedono motivazione del paziente, dall'altra suggerisce che gli psicopatici, sex offender, antisociali abbiano programmi alternativi (non Rems) «offerte di trattamenti mirati ma nell’ambito di un’articolata risposta penitenziaria e di appropriati percorsi alternativi personalizzati come per altro indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 99/2019 in riferimento alla sopravvenuta infermità mentale in carcere (art 148)». E’ il caso qui di evidenziare come anche su questo tema la peculiarità italiana della psichiatria possa diventare essa stessa un problema e non una soluzione come enfatizzato in ambienti culturalmente circoscritti. Infatti per l'intera comunità scientifica internazionale non esistono trattamenti sanitari efficaci per questa tipologia di problemi e quindi per queste persone. In quasi tutto il mondo civile il trattamento di questi soggetti avviene in ambito carcerario, in sistemi umanizzati, ma con un sistema di regole assertivo e coerente. La psichiatria e la psicopatologia hanno poco a che fare con persone con queste caratteristiche ed è per tale ragione che è opportuno che la psichiatria sia fuori dalla gestione di problematiche che esulano dal suo campo scientifico di competenza
Ma siamo sicuri che l'impostazione data dalla legge 81/14 sia corretta da un punto di vista scientifico?
Si concorda con Patarnello quando nell'incipit del suo articolo afferma riguardo le normative REMS "Disciplina ideologica, assenza di risorse e indifferenza hanno abbandonato gli autori di reato psichiatrici e gravemente pericolosi in un groviglio normativo denso di ipocrisie, silenzi e trascuratezze".
La questione ideologica è stata posta nel considerare come obiettivo primario della riforma la chiusura degli OPG piuttosto che la creazione di percorsi sanitari adeguati alla letteratura scientifica e alle conoscenze attuali. Si è rimasti ancorati al concetto del "folle reo", e ad una idea della malattia mentale come una sorta di disagio generato dal contesto Istituzionale in cui veniva erogato il trattamento.
A tal proposito i tempi sono ormai maturi per un richiamo agli Ordini del giorno della seduta del dibattito parlamentare per l’approvazione della legge, tenutosi in data 28 maggio 2014. Citiamo a tal proposito l’Ordine del giorno 9/2325/5 a cura dei deputati Villecco Calipari, Lenzi, Verini, Capone, D’Incecco, Grassi, Carnevali, Scuvera, Fossati, Piccione, dei quali la Lenzi fu relatrice in aula per il PD, il partito che fortemente volle questa legge: “risulta inoltre essenziale non sovraccaricare i Servizi di salute mentale senza che vi sia una valutazione finalizzata alla piena comprensione della corrispondenza fra problematiche specifiche alla base del giudizio di « Infermità Mentale » con le strutture sanitarie ad esse collegate”. Il successivo Ordine del giorno, 9/2325/6 evidenzia che “tale formulazione ha fatto e fa nascere legittime preoccupazioni negli operatori sanitari attualmente operanti nei servizi psichiatrici del sistema sanitario nazionale in ordine alla possibile necessità di presa in carico di pazienti aventi profili patologici diversi dalla diagnosi psichiatrica”.
Non sono mancati, ma ne potremmo citare altri di ordini del giorno, dunque richiami e attenzioni da parte degli stessi proponenti legislativi poiché consideravano di come fosse intrisa di ideologia quella riforma dettata dalle immagini insopportabili e non tollerabili delle condizioni dei degenti negli OPG.
Bisogna avere il coraggio di dire che le REMS non trattano la sofferenza di chi ha commesso il reato devono trattare i disturbi psichiatrici più gravi, farmacoresistenti e riuscire dove ogni altro tentativo di cure precedenti è fallito. Solo in quei casi in cui il disturbo, psicotico, ha uno stretto nesso causale con il fatto che costituisce reato. Dovrebbero essere le strutture con il più alto rapporto personale/utenti (al momento la differenza tra una REMS e una comunità terapeutica consiste in una sola unità di personale!), con il personale migliore, con l'accesso ai sistemi di diagnosi e cura più sofisticati, per garantire il miglior trattamento possibile ai pazienti più gravi.
Questa impostazione è stata abbracciata dalla psichiatria canadese che considerano i servizi dove si erogano trattamenti forensi come "American Express Platinum", ovvero ai pazienti più gravi viene garantito il miglior livello di assistenza.
Le REMS avrebbero dovuto supplire la situazione infernale degli OPG documentata dalla commissione parlamentare di inchiesta, si è scelto un modello basato sul topos piuttosto che sul logos, ovvero si è scelto di modificare la struttura (da OPG a REMS) piuttosto che indicare la tipologia di interventi necessari per ridurre la psicopatologia alla base del comportamento violento. E' noto che il comportamento violento non è generato direttamente dalla psicopatologia, che comunque è una variabile significativa, ma da una serie di fattori, personali, sociali, contestuali ecc. Il comportamento violento è drammaticamente accentuato e amplificato dall'uso di sostanze. Quindi immaginare che la modifica della struttura o la semplice modifica di un trattamento riducano la violenza è un sillogismo semplicistico e fuorviante. Le Rems e gli altri trattamenti devono far parte di un sistema integrato, organizzato, ad alta integrazione sociosanitaria.
Le REMS funzionano bene per i pazienti affetti da disturbi psichiatrici maggiori che hanno necessità di trattamenti complessi, ad alta intensità, strutturati e di lungo periodo, questo è un dato condiviso da chi vi lavora da molti anni.
In sintesi il modello attuale di come è stata normata la REMS presenta evidenti problemi:
a) il primo è la sicurezza. Come anche segnalato da Pellegrini. Giusto a titolo di esempio, quando fu illustrata la normativa REMS presso l'Istituto superiore di Sanità nel 2015, un sottosegretario affermò che il problema della sicurezza nelle REMS non esisteva perché sarebbe bastato che gli operatori si fossero attenuti alle linee guida (che tra l'altro non esistono n.d.r.).
Di fatto era prevista una sola guardia giurata ogni 20 utenti, oggi tutte le REMS hanno dovuto potenziare a proprie spese il personale di sicurezza ed in alcuni casi sono stati proprio i Prefetti ad esortare ad un più elevato livello di tutela. Quindi ha ragione Patarnello quando afferma che il problema della sicurezza è da considerare, anche perché ideologicamente anche questo aspetto era stato scotomizzato. Non si può chiedere a chi lavora di dover contemporaneamente provvedere alla propria incolumità.
b) il secondo problema è il sistema di assegnazione per ordine cronologico senza alcuna valutazione del livello di pericolosità sociale. Ha ragione Pellegrini, ci sono utenti che hanno messo in atto crimini ridicoli (una volta capitò in una REMS un anziano che aveva forzato un distributore automatico perché affamato e stava serenamente da due anni in comunità terapeutica). Ma ci sono utenti che hanno buttato giù porte blindate, aggredito forze di polizia, fatto decine di migliaia di euro di danni, commesso reati mentre erano in Rems.
Quindi vanno tutelati gli utenti, ma anche il personale che devotamente vi lavora, e se si continua così si corre il serio rischio di demotivarlo.
c) la ridotta capienza delle strutture al massimo 20 posti, fa si che all'interno della stessa struttura si ritrovino utenti con necessità assistenziali completamente diverse e con livello di pericolosità completamente diversi. Quando in questi contesti capita un utente fisicamente dotato e con tratti psicopatici e antisociali per tutti, utenti e operatori, sarà un problema. Potrà serenamente minacciare operatori, personale e infrangere le poche regole di convivenza, difficilmente si ha la capacità di fermarlo. Sarà il boss della struttura inducendo una regressione totale dei processi di cura a danno di tutti. In alcuni casi commetterà dei reati, e come è già successo, dovrà essere curato dagli stessi operatori che lo hanno denunciato, contro ogni buon senso e codice deontologico.
d) Il calcolo dei posti letto è stato fatto nel 2014 considerando il numero di internati presenti negli OPG dopo una fortissima campagna di dimissione sollecitata in tutti i dipartimenti di salute mentale. Non si è, probabilmente, calcolato il tasso di nuovi ingressi e questo ha portato in breve tempo agli stessi numeri prima della riforma con una lista d'attesa insostenibile.
e) la dimissione avviene al massimo a scadenza della pena edittale senza valutare se la pericolosità sia cessata o meno, e se il paziente abbia o no seguito il programma di cure
f) assenza di un sistema di monitoraggio nazionale (lo accennava Pellegrini), per cui è vero che in 4 anni a livello complessivamente sono transitati nel sistema REMS 1580 persone e che il 65,1% è stato dimesso. Manca solo un dettaglio: con che esito? Dove si trova adesso l'utente? Come sta? La gran parte è in Comunità terapeutica, dove si è prodotto un intasamento delle liste d'attesa per la gran numerosità di utenti autori di reato con misura di sicurezza non detentiva o dimessi dalla REMS.
E soprattutto non si sa quali trattamenti avrebbero funzionato e quali no.
Quindi un osservatorio nazionale è necessario.
g) Lista d'attesa in uscita: il sistema delle Strutture residenziali è saturo per cui all'attesa per entrare in REMS si è aggiunta l'attesa per uscire dalla REMS per proseguire i trattamenti presso una struttura residenziale. In queste strutture si assiste ormai ad una commistione tra utenti autori di reato e utenti con solo storia psichiatrica con tutti i rischi derivanti da tale intreccio.
A questo quadro si aggiunge con sempre maggiore rilevanza l'aberrante incremento del ricorso alla sentenza 9163/2015 della Corte Cassazione a sezioni riunite «Anche i disturbi della personalità, come quelli da nevrosi e psicopatie, possono costituire causa idonea ad escludere o scemare grandemente, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere di un soggetto agente ai fini degli artt. 88 e 89 c.p., sempre che siano di consistenza, rilevanza, gravità e intensità tali da concretamente incidere sulla stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini della imputabilità le altre “anomalie caratteriali” e gli “stati emotivi e passionali”, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente; è inoltre necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo».
Per cui si ritrovano condotte come lo spaccio di stupefacenti (internazionale!!), o il taglieggiamento, o la rapina descritte come espressione di un disturbo di personalità grave, (confondendo la gravità del reato con la gravità del disturbo) e quindi con necessità di trattamento in REMS. Siamo l'unico paese al mondo a prevedere la semiinfermità e a considerare i disturbi di personalità come causa di incapacità, quindi abbiamo ancora di più l'obbligo di garantire al massimo appropriatezza nell'uso di tali percorsi assistenziali. Vi sono utenti che con la sola diagnosi di disturbo borderline di personalità hanno avuto accesso in REMS, senza nessuna menzione del nesso causale tra il disturbo e l'atto commesso. E' vero che in rarissimi casi un disturbo di personalità può avere uno scompenso psicotico, ma questo dura poco, ed è raro. Chi è coinvolto in rapine o in attività criminali abituali come può rientrare in queste definizioni?
Possibili soluzioni potrebbero essere:
1) strutturazione di percorsi di trattamento tipo comunitario presso le strutture carcerarie, soprattutto per quelle situazioni in cui le manifestazioni comportamentali sussumono gli aspetti psicopatologici. Non si può affrontare il tema REMS senza un intervento imponente per la salute mentale, in ambito carcerario.
2) Definizione chiara del paziente da inviare in REMS e condivisione con i dipartimenti di salute mentale dalle fase della cognizione, distinguendo da subito con chiarezza persone con disturbo mentale e persone con disturbo comportamentale. La REMS può trattare con successo i gravi disturbi mentali, garantendo continuità delle cure e trattamenti intensivi. Non può incidere sui comportamenti predeterminati e pianificati violenti in assenza di patologia psichiatrica.
3) L'implementazione di percorsi obbligatori extramurari e comunitari per i soggetti abusatori di sostanze: un soggetto con sola dipendenza da sostanze non deve essere inviato in REMS solo perché ha agiti eteroaggressivi sotto effetto di sostanze.
4) L'implementazione dei posti letto forensi adeguandoli agli standard europei ovvero di 1 ogni 15.000 abitanti. Non solo posti REMS, ma percorsi strutturati a gradiente di sicurezza progressivamente ridotto, come REMS attenuate fino a gruppi appartamento per chi conclude il percorso strettamente monitorate da equipe forensi. Ogni dipartimento di salute mentale dovrebbe avere delle equipe e dei percorsi dedicati con specifiche competenze forensi.
5) Creazione di una struttura sovranazionale, per quei pochi, ma comunque presenti, pazienti che presentano livelli elevatissimi di pericolosità non gestibili nelle attuali REMS che hanno standard di media /bassa sicurezza.
6) Incontri costanti e strutturati tra tutti gli attori di tale processo, Regione, Magistratura ordinaria e di sorveglianza, dipartimenti di salute mentale, DAP. Per garantire appropriatezza e tempestività nei ricoveri e nei percorsi da attuare.
In ultimo va anche considerato che ad oggi la legge prevede la REMS come ultima ratio, forse una espressione troppo forte, ma certamente ad oggi l'uso delle Rems appare di frequente utilizzata come se fosse l'unica risorsa.
In uno sforzo di sinergia istituzionale il numero di posti letto potrebbe essere sufficiente, ma è necessaria una volontà collettiva a erogare prestazioni sanitarie in carcere, e ad avere un modello collettivo condiviso, tra magistrati, sanitari, periti, ministero della giustizia di come le REMS debbano essere utilizzate e rimanere un modello di civiltà nel nostro Paese e non un contenitore indifferenziato che rischi davvero di farci tornare indietro di 40 anni.
In conclusione di questo articolo merita una riflessione la tenuta del sistema REMS Nazionale durante la pandemia, ma invero la tenuta del sistema dei dipartimenti di salute mentale.
In una situazione di sospensione di tutte le attività ambulatoriali del SSN, i dipartimenti di salute mentale, in tutta Italia hanno continuato ad assicurare prestazioni ambulatoriali, domiciliari, urgenze, ricoveri ordinari e in TSO presso il sistema di cure governato dai Dipartimenti territoriali, garantendo anche in carcere e in REMS livelli di cure immutati. Molte REMS purtroppo sono ancora "Rems provvisorie" o non hanno ancora uno spazio esterno, o che avrebbe permesso in questa pandemia di tollerare l'isolamento che tutti noi abbiamo attraversato, ma ancora di più chi ha un provvedimento restrittivo e una malattia mentale.
Riuscire a convincere gli utenti a fare gruppo, a mettere in atto uno sforzo di solidarietà con gli operatori in un momento di crisi collettiva è stata una operazione straordinaria, come anche garantire il rispetto delle norme di sicurezza, l'uso dei dispositivi di protezione individuale e l'esecuzione dei tamponi. Tutto si è svolto senza clamori e senza situazioni esplosive. Adesso con la disponibilità del vaccino, l'aderenza dei pazienti alla campagna vaccinale sembra andare nella migliore delle direzioni, e completate le vaccinazioni si ripristineranno molti posti letto.
Di fatto il problema degli spazi insufficienti, di poche camere singole, e l'assenza di spazi esterni in molti casi hanno reso difficile la gestione, ma ci si augura che tali problemi possano essere rapidamente risolti.
La pandemia Covid-19 purtroppo ha ridotto notevolmente il numero di posti disponibili nelle REMS, dovendo garantire isolamento a chi presentava sintomi (covid-like) durante la degenza o a i nuovi giunti. Il Covid ci ha insegnato quello che molti paesi applicano da molto tempo, ovvero necessità in salute mentale, di ampi spazi, camere singole e possibilità di muoversi in sicurezza all'interno e all'esterno delle aree di pertinenza delle strutture per l'esecuzione delle misure di sicurezza.
Di certo questo richiede un impegno economico notevole ma rappresenta uno sforzo di civiltà in un ambito in cui l'Italia può aspirare ad un ruolo di eccellenza scevro da ideologismi.
[1] M. Patarnello, Le REMS: uscire dall’inferno solo con le buone intenzioni, in Questione Giustizia online, 2 giugno 2020, https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-rems-uscire-dall-inferno-solo-con-le-buone-intenzioni_02-06-2020.php
[2] https://dirittopenaleuomo.org/contributi_dpu/misura-di-sicurezza-con-ricovero-in-rems-il-ritorno-al-passato-no/