Magistratura democratica
Diritti senza confini

L'incostituzionalità dell'art. 14 d.lgs. 286/98 nella parte in cui non contiene una disciplina sufficientemente precisa dei "modi" del trattenimento nei CPR

di Luca Masera
professore ordinario di diritto penale, Università degli Studi di Brescia

Spunti di riflessione alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale sulle REMS

1. Premessa: la questione della legittimità costituzionale del trattenimento amministrativo degli stranieri in vista della loro espulsione

La disciplina relativa al trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) tanto degli stranieri irregolari, quanto dei richiedenti protezione, presenta a nostro avviso un evidentissimo profilo di incostituzionalità, che purtroppo non è stato sinora mai portato all’attenzione del Giudice delle leggi.

A partire dalla storica sentenza n. 105/2001 della Corte costituzionale, è fuori discussione che il trattenimento amministrativo dello straniero in vista dell’espulsione costituisce una forma di privazione della libertà personale, in quanto tale meritevole delle tutele previste dall’art. 13 Cost.

Le parole del Giudice delle leggi, per quanto ormai risalenti a più di vent’anni fa, costituiscono ancora oggi il presupposto ineludibile di ogni riflessione in ordine alla legittimità costituzionale del trattenimento amministrativo dello straniero e meritano di essere ricordate in apertura della nostra riflessione:

“Il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13; e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata.

Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale.

Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Che un tale ordine di idee abbia ispirato la disciplina dell’istituto emerge del resto dallo stesso articolo 14 censurato, là dove, con evidente riecheggiamento della disciplina dell’articolo 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta, si prevede che il provvedimento di trattenimento dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto”.

Sono parole che delineano con insuperabile chiarezza il perimetro entro cui deve rientrare il trattenimento amministrativo dello straniero: in quanto misura incidente sulla libertà personale, le fondamentali garanzie apprestate dall’art. 13 Cost. (la riserva di legge e di giurisdizione) devono essere rispettate, senza che siano ammissibili attenuazioni di tali garanzie dovute alla particolare condizione giuridica del destinatario della misura.

In realtà, i dubbi circa l’effettivo rispetto di tali garanzie sono numerosi.

Per quanto riguarda la riserva di giurisdizione, come già notava la Corte nel 2001 il legislatore, proprio in ragione della riconducibilità del trattenimento pre-espulsivo all’ambito di applicazione dell’art. 13 Cost., ha previsto un meccanismo di convalida del provvedimento amministrativo di trattenimento da parte del giudice di pace (o del giudice ordinario, in caso di trattenimento dei richiedenti asilo) che esplicitamente richiama nella tempistica (48+48 ore) il dettato della norma costituzionale. Tuttavia, non mancano le ragioni per dubitare della compatibilità con l’art. 13 Cost. della scelta di affidare al giudice di pace, invece che al giudice ordinario, il compito di assumere decisioni rilevanti in materia di libertà personale, almeno per quanto riguarda gli stranieri non richiedenti asilo. Di recente, un autorevole commentatore ha condivisibilmente affermato che in questo modo verrebbe violato “il contenuto sostanziale” della riserva di giurisdizione[1]: ma non è su questo punto che vogliamo ora concentrare l’attenzione.

 

2. La mancanza di adeguata disciplina di rango primario in ordine ai “modi” della privazione della libertà

Il profilo di illegittimità che in questa sede vogliamo porre in evidenza riguarda la riserva di legge garantita dall’art. 13 co. 2 Cost., che secondo il disposto costituzionale concerne “i casi ed i modi” della privazione di libertà.

Per quanto riguarda la disciplina dei “casi” in cui è consentito il ricorso al trattenimento amministrativo, l’art. 14 co. 1 TUI prevede in effetti una sia pur sintetica indicazione delle situazioni che legittimano il trattenimento dello straniero in attesa del rimpatrio (impossibilità di effettuare immediatamente il rimpatrio, ricorrenza del rischio di fuga come definito all’art. 13 co. 4bis TUI, necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto).

Dove invece la riserva di legge è platealmente disattesa è in ordine alla disciplina normativa dei “modi” della privazione di libertà[2], che è ora necessario ricostruire nei suoi tratti essenziali.

 

2.1. La disciplina di rango primario

A livello di fonti di rango primario (le uniche, si badi bene, che possono venire prese in considerazione al fine della verifica del rispetto dell’art. 13 Cost., che riserva alla “legge” la disciplina dei modi della privazione di libertà) la sola disposizione dedicata alle modalità del trattenimento è l’art. 14 co. 2 TUI, che nella sua versione originaria, rimasta in vigore inalterata sino al 2020, prevedeva soltanto che “Lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Oltre a quanto previsto dall'art. 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno”.

La norma in esame è stata modificata dal d.l. n. 130/2020, conv. in l. n. 173/2020, e attualmente recita così: “Lo straniero è trattenuto nel centro, presso cui sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l'assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, secondo quanto disposto dall'articolo 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. Oltre a quanto previsto dall'articolo 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno”. La novella del 2020 ha poi inserito all’art. 14 TUI un nuovo co. 2bis, per cui “Lo straniero trattenuto può rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale”.

 

2.2. La disciplina di rango secondario

Le modalità del trattenimento sono poi oggetto di regolamentazione, a livello di fonti di rango secondario, da parte dell’art. 21 del DPR n. 394/1999 (contenente il regolamento di attuazione del TUI del 1998), il cui co. 8 è oggi espressamente richiamato, come appena visto, dal co. 2 dell’art. 14 TUI[3].

Sempre a livello di fonti secondarie, una disciplina assai più analitica delle condizioni di trattenimento è infine contenuta nel Regolamento per l’organizzazione e la gestione dei centri, approvato con decreto del Ministro dell’interno n. 12700 del 20 ottobre 2014, che in 14 articoli prende in considerazione gli aspetti più rilevanti della vita nei centri (dall’informazione agli stranieri ai servizi che devono fornire i gestori dei centri, dall’accesso alla struttura ai contatti con l’esterno e al regime di vigilanza).

 

2.3. Prime conclusioni

Tale breve ricostruzione del dato normativo rilevante in relazione alla disciplina dei “modi” del trattenimento amministrativo dello straniero rende evidente la violazione della riserva di legge di cui all’art. 13 Cost.

L’unica fonte di rango legislativo che disciplina la materia, come visto sopra, è l’art. 14 co. 2 TUI, che tuttavia non può certo ritenersi idonea a soddisfare la riserva di legge prevista in sede costituzionale. Tale norma, infatti, per quanto riguarda il suo espresso contenuto precettivo, si limita ad enunciazioni generiche e meramente di principio, ben al di sotto dello standard di precisione richiesto dalla riserva di legge in materia di privazione della libertà personale.

In effetti, con l’intervento del 2020, il legislatore si è mostrato consapevole dei profili di illegittimità di una disciplina delle modalità del trattenimento che si limitava a prevedere che “lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità” (così, oltre a prevedere “la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno”, recitava il testo originario dell’art. 14 o. 2), e ha provato a fornire qualche precisazione ulteriore, aggiungendo al disposto normativo originario che devono essere assicurati “standard igienico-sanitari adeguati”, e altresì che deve essere fornita allo straniero trattenuto “la necessaria informazione relativa al suo status”. Si tratta, tuttavia, di modifiche meramente cosmetiche, con cui vengono ribaditi principi che già sarebbero dovuti risultare ovvi (prima del 2020, qualcuno poteva forse ritenere, ad esempio, che nei centri fossero consentiti standard igienico-sanitari “non adeguati”?), e che comunque si limitano, come nella versione originaria della norma, a generiche e ridondanti raccomandazioni di principio, senza fornire alcuna vera indicazione all’autorità amministrativa in ordine ai “modi” di gestione dei centri.

Il senso profondo della garanzia costituzionale risiede proprio nella volontà dei costituenti di considerare i “modi” di esecuzione delle forme di privazione della libertà talmente importanti, visto che la loro concreta determinazione incide sul bene più prezioso della persona, che in relazione ad essi fosse necessaria l’assunzione politica della responsabilità da parte del Parlamento, mediante l’approvazione di una legge, che adempisse al compito di definire cosa significhi in concreto essere privati della libertà personale nel nostro Paese. Non può essere l’autorità amministrativa a decidere quali sono nella realtà i limiti entro cui si esercita il potere dello Stato di privare taluno della propria libertà, perché la materia è così delicata da richiedere che la questione sia discussa e decisa dall’organo direttamente espressivo della volontà popolare: è questa la ratio della riserva di legge rispetto ai “modi” del trattenimento.

Il punto di riferimento, per determinare il grado di precisione che deve avere la disciplina di rango primario per assolvere alla riserva di legge, non può poi che essere rappresentato dalla legge sull’ordinamento penitenziario, ove trovano collocazione le norme che regolano i “modi” della detenzione in sede penale. Come in tale ambito è il legislatore a disciplinare anche in maniera minuta le modalità in cui deve svolgersi la privazione di libertà, posto che, come affermato dalla Corte costituzionale, “l’ordinamento penitenziario è materia di legge alla stregua dell’art. 13 Cost.”[4], così è indifferibile la necessità che anche per il trattenimento nei CPR sia la legge a formulare una disciplina accurata di tale forma di privazione di libertà, senza limitarsi come ora a generiche petizioni di principio lontane dal porre alcun vincolo alla discrezionalità dell’autorità amministrativa.

La novella del 2020 sembra invece andare esattamente nella direzione opposta, quando, oltre alle modifiche viste sopra, prevede, nel testo dell’art. 14 co. 2 TUI, il rinvio espresso a quanto disposto dall’art. 21 co. 8 DPR 394/1999, che – come riportato sopra – affida al prefetto, sentito il questore, il compito di adottare “le disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all'interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l'incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite”.

L’introduzione di tale clausola è in certo modo rivelatrice del vero intendimento del legislatore, che con la tecnica del rinvio a una fonte subordinata intende aggirare la riserva di legge dettata dall’art. 13 Cost., che non può essere talmente diluita da consentire un rinvio tout court all’autorità amministrativa, come quello previsto nel nuovo art. 14 co. 2 TUI.

Il punto è centrale, e merita un breve approfondimento, anche in prospettiva diacronica. Sino al 2014, la gestione dei centri di trattenimento amministrativo era affidata in via pressoché esclusiva alla discrezionalità dei singoli uffici di prefettura: a livello di fonti primarie, l’art. 14 co. 2 TUI si limitava a richiedere il rispetto della dignità dei trattenuti, e a livello regolamentare mancava un testo generale che disciplinasse in modo analitico la gestione dei centri. Nel 2014 viene approvato un Regolamento del ministero dell’interno sull’“organizzazione e gestione” dei centri, che costituisce il tentativo di apprestare per la prima volta una sorta di “mini-ordinamento penitenziario” all’interno dei centri, con la fissazione di alcuni parametri generali di riferimento validi in ogni struttura. Nel 2020, come visto, si assiste ad un intervento di cosmesi normativa dell’art. 14 TUI, con l’introduzione di un espresso rinvio alla potestà regolamentare di prefetti e questori.

La traiettoria appare allora molto chiara. Di fronte ad un ventennale vuoto normativo rispetto alla disciplina dei centri di trattenimento per stranieri, il legislatore negli ultimi anni ha in qualche modo provato a ridurre il deficit di legalità, ma con risultati del tutto insoddisfacenti. Invece, infatti, di intervenire regolando finalmente con fonti di rango primario i modi del trattenimento, la scelta è stata quella di rinviare a fonti subordinate alla legge (regolamenti governativi o decreti prefettizi) la disciplina di tale materia, con il risultato non di rimediare, ma piuttosto di rendere ancora più evidente il vulnus costituzionale venutosi a creare.

Non può essere un regolamento ministeriale come quello del 2014 a regolare le modalità del trattenimento nei centri. Se tale regolamento avesse rango legislativo, si potrebbe discutere se ritenere soddisfatta la riserva di legge di cui all’art. 13 Cost.; ma sino a che saranno soltanto fonti secondarie a regolare i “modi” del trattenimento, mentre le fonti primarie si limitano a prescrizioni generiche e indeterminate, la violazione della norma costituzionale appare davvero eclatante.

 

3. La sentenza n. 22/2022 della Corte costituzionale e i modi della privazione di libertà nelle REMS

La speranza che gli argomenti sinora riportati, presenti nel dibattito ormai da molti anni, trovino infine riscontro nella proposizione di una questione di legittimità costituzionale, risulta oggi corroborata da una recente decisione della Corte costituzionale in materia di REMS, che per la prima volta ha espressamente argomentato in ordine alle caratteristiche della disciplina dei “modi” della privazione della libertà personale ai sensi dell’art. 13 Cost.

La questione sollevata davanti alla Corte aveva ad oggetto, come noto, due distinti profili: uno (qui poco rilevante) relativo al ruolo del Ministero della giustizia nel procedimento di esecuzione della misura di sicurezza detentiva del ricovero nelle REMS; l’altro, che interessa da vicino la nostra questione, relativo alla legittimità di una disciplina delle concrete modalità di funzionamento delle REMS pressoché integralmente affidata alla normativa subordinata.

Quanto alla disciplina dei “modi” della libertà personale, in effetti, il quadro delle REMS è mutatis mutandis molto simile a quello dei CPR. Nel caso delle REMS, la disciplina di rango primario è costituita dal solo art. 3ter del d.l. n. 211/2011, come convertito con l. n. 9/2012: con le parole della Corte, “la disposizione in parola – inserita in sede di conversione del decreto-legge in questione con lo scopo essenziale di dare avvio al processo di definitivo superamento degli OPG, i cui gravi difetti erano apparsi vieppiù evidenti alla luce delle conclusioni della commissione di inchiesta parlamentare, pubblicate appena qualche mese prima (supra, punto 4) – contiene al comma 4, come poc’anzi rammentato, la clausola di “trasformazione automatica” nella nuova misura dei ricoveri in OPG e dell’assegnazione a casa di cura e di custodia disposte dall’autorità giudiziaria; e si limita poi, al comma 3, a dettare tre principi generali – esclusiva gestione sanitaria, attività di vigilanza perimetrale e di sicurezza esterna, destinazione di norma delle strutture a soggetti residenti nella regione – cui si sarebbe dovuta attenere la regolamentazione delle nuove «strutture», ancora neppure individuate con il nome di REMS. Il comma 2 demanda poi pressoché interamente tale regolamentazione a un successivo decreto non regolamentare del Ministro della salute, da adottarsi di concerto con il Ministro della giustizia e d’intesa con la Conferenza Stato e autonomie territoriali. Conseguentemente, la gran parte della disciplina vigente delle REMS si fonda oggi su atti distinti dalla legge: sul decreto ministeriale del 1° ottobre 2012 (supra, punto 4.3.), sull’accordo adottato in Conferenza unificata il 26 febbraio 2015 (supra, punto 4.4.) e, a cascata, su tutti gli atti conseguenti adottati a livello delle singole Regioni e Province autonome”[5].

La situazione, come ricordato, non è dissimile da quella che abbiamo analizzato sopra a proposito dei CPR: una normativa di rango primario che non disciplina i modi del trattenimento, la cui regolamentazione è affidata alla normativa subordinata. La valutazione operata dalla Corte in ordine alla compatibilità di tale disciplina con la riserva di legge di cui all’art. 13 Cost. risulta allora di grandissimo interesse, e anche in questo caso ci pare utile riportare testualmente il passaggio rilevante della sentenza: “ L’attuale disciplina in materia di assegnazione alle REMS – come giustamente rileva l’ordinanza di rimessione – rivela però evidenti profili di frizione con tali principi (i principi di cui agli artt. 13, 25 e 32: n.d.r).Il risultato è che, se oggi la fonte primaria – e in particolare le norme del codice penale, in combinato disposto con l’art. 3-ter, comma 4, del d.l. n. 211 del 2011, come convertito – indica in quali «casi» può trovare applicazione la nuova misura di sicurezza (…), i «modi» di esecuzione della misura, e dunque della privazione di libertà che ne è connaturata, restano invece pressoché esclusivamente affidati a fonti subordinate e accordi tra il Governo e le autonomie territoriali. (…) La necessità che una fonte primaria disciplini organicamente tale misura a livello statale, stabilita dalla Costituzione, risponde d’altronde a ineludibili esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei suoi destinatari, particolarmente vulnerabili proprio in ragione della loro malattia. (…) Ancora, la legge non può non farsi carico della necessità di disciplinare in modo chiaro, e uniforme per l’intero territorio italiano, il ruolo e i poteri dell’autorità giudiziaria, e in particolare della magistratura di sorveglianza, rispetto al trattamento degli internati nelle REMS e ai loro strumenti di tutela giurisdizionale nei confronti delle decisioni delle relative amministrazioni (sull’obbligo costituzionale, gravante sull’ordinamento, di assicurare «garanzie giurisdizionali entro le istituzioni preposte all’esecuzione delle misure restrittive della libertà personale», sentenza n. 26 del 1999)”[6].

Si tratta di conclusioni molto chiare, che si attagliano perfettamente a nostro avviso anche alla realtà dei CPR. La Corte dice chiaramente che, quando si tratta di misure incidenti sulla libertà personale (come è pacifico che sia il trattenimento nei CPR), la riserva di legge sancita all’art. 13 Cost. in ordine ai “modi” della libertà personale impone che la fonte primaria disciplini in modo chiaro ed organico le modalità della privazione della libertà, non essendo consentito un aggiramento della riserva di legge mediante il pressoché integrale rinvio a fonti subordinate.

Nonostante la rilevata illegittimità della disciplina normativa delle REMS, la Corte dichiara peraltro inammissibile la questione prospettata: “Una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione delle riserve di legge poste dall’art. 25, terzo comma, e dall’art. 32 Cost. determinerebbe, d’altra parte, l’integrale caducazione del sistema delle REMS, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG; e produrrebbe non solo un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, ma anche un risultato diametralmente opposto a quello auspicato dal rimettente, che mira invece a rendere più efficiente il sistema esistente, mediante il superamento delle difficoltà che impediscono la tempestiva collocazione degli interessati in una struttura idonea (sulla inammissibilità di questioni il cui accoglimento produrrebbe un risultato incongruo rispetto all’obiettivo perseguito, sentenze n. 21 del 2020, n. 239 del 2019 e n. 280 del 2016)”[7].

La dichiarazione di inammissibilità si accompagna ad un monito molto deciso al legislatore affinché intervenga a sanare i vulnera messi in evidenza dalla sentenza; per quanto riguarda la questione che ci interessa, secondo la Corte “le considerazioni sin qui svolte hanno, piuttosto, evidenziato l’urgente necessità di una complessiva riforma di sistema, che assicuri, assieme: un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza, secondo i principi poc’anzi enunciati (…) Nel dichiarare l’inammissibilità delle odierne questioni, questa Corte non può peraltro non sottolineare – come in altre analoghe occasioni (segnatamente, sentenza n. 279 del 2013; nonché recentemente, in diverso contesto, sentenza n. 32 del 2021) – che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati dalla presente pronuncia”[8].

 

4. Le possibili ricadute della sentenza della Corte costituzionale rispetto alla disciplina dei CPR

La decisione della Corte, per cui ogni forma di privazione della libertà deve essere regolata da una normativa di rango primario sufficientemente chiara e precisa, non deve rimanere senza conseguenze anche rispetto alla privazione di libertà amministrativa dello straniero irregolare.

E’ vero che, nel caso concreto, la Corte ha dichiarato la questione inammissibile, per le ragioni riportate appena sopra, ma non bisogna dimenticare che l’iniziativa del giudice rimettente ha comunque portato alla pronuncia di una sentenza-monito, in cui viene esplicitata la necessità che il legislatore introduca una “adeguata base legislativa” delle modalità di applicazione della misura limitativa della libertà, e la Corte afferma anche in toni perentori che “non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa”: la Corte non è arrivata al punto di formulare una cd. incostituzionalità differita, con la previsione di un lasso temporale predefinito per l’intervento del legislatore, come in noti casi recenti, ma le parole usate dalla Corte lasciano presagire che, qualora la questione le venisse nuovamente sottoposta, la decisione potrebbe essere più radicale. Anche nell’ipotesi in cui la Corte decidesse di giungere alla medesima conclusione in ordine ad un’eventuale eccezione relativa ai CPR, le conseguenze sarebbero dunque tutt’altro che trascurabili, imponendo al legislatore di intervenire su una materia che sinora, come abbiamo ampiamente visto sopra, continua pervicacemente a venire affidata a fonti subordinate.

A ben vedere, poi, non ci pare nemmeno scontato che gli argomenti che hanno portato alla dichiarazione di inammissibilità della questione nel caso delle REMS siano replicabili anche rispetto ad un’eventuale questione di costituzionalità in ordine al trattenimento nei CPR. La sentenza, come visto sopra, si richiama all’orientamento per cui è da dichiarare l’inammissibilità di questioni il cui accoglimento produrrebbe un risultato incongruo rispetto all’obiettivo perseguito: nel caso di specie, la dichiarazione di illegittimità della disciplina delle REMS avrebbe condotto ad un vuoto normativo di cui non sarebbero state chiare le conseguenze (forse anche un ritorno alla disciplina di quegli OPG, che le REMS sono infine andate a sostituire), e invece di rendere più efficiente il sistema, come si proponeva il giudice rimettente (che, è utile ricordarlo, lamentava l’incapacità del sistema di dare esecuzione alla misura di internamento in una REMS disposta nell’ambito del procedimento a quo), l’accoglimento avrebbe creato una crisi globale del vigente modello di gestione dell’autore di reato pericoloso, affetto da patologie psichiatriche.

Nel caso che ci interessa, però, la questione costituzionale dovrebbe a nostro avviso essere impostata diversamente, non più e non tanto rispetto al profilo della maggiore efficienza che può derivare al sistema da una disciplina uniforme di rango legislativo (tale esigenza risulta nel caso dei CPR assai meno avvertita rispetto a quello delle REMS, posto che nel caso dei centri per stranieri la normativa, per quanto regolamentare, è di provenienza statale e non regionale), bensì a tutela del diritto fondamentale dello straniero a vedere disciplinate dalla legge le modalità della propria detenzione. L’art. 13 Cost. deve essere letto nella sua portata di garanzia della persona di fronte al potere coercitivo dello Stato, come norma-gemella dell’art. 5 CEDU, ove il principio della riserva di legge anche sui “modi” della privazione di libertà è univocamente scolpito nei termini di un diritto fondamentale del singolo: “Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi e nei modi previsti dalla legge”.

E la previsione di una fonte di rango primario è anche il primo presupposto perché possa venire soddisfatta l’altra fondamentale garanzia comune all’art. 13 Cost. e all’art. 5 CEDU, la riserva di giurisdizione in ordine alle misure privative della libertà che, come ricorda la Corte nella sentenza delle REMS, impone che siano ben chiare le competenze delle autorità deputate ad esercitare il controllo di legalità sulle strutture ove si esplica la privazione di libertà. Nel caso delle REMS, la questione ruotava intorno al ruolo e ai poteri da attribuire alla magistratura di sorveglianza. Nel caso dei CPR, ancora a monte, manca la chiara indicazione normativa di quale sia il giudice competente a controllare il rispetto dei diritti dei detenuti; nel silenzio della legge, è il giudice che ha convalidato il trattenimento (il giudice di pace, nei casi di stranieri irregolari; il giudice ordinario, nel caso di richiedenti protezione internazionale) a dover garantire che lo stesso venga eseguito in modo conforme alla legge, ma la mancanza di alcuna normativa ad hoc per eventuali reclami rende in concreto assai difficile per lo straniero trattenuto fare valere le proprie ragioni in sede giudiziaria. Nel 2020, come visto sopra, il legislatore ha previsto al nuovo co. 2bis dell’art. 14 TUI la possibilità di rivolgere istanze e reclami al Garante nazionale e a quelli regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale; ma rimane immutata la necessità di una riforma che determini in modo chiaro le autorità competenti e le procedure esperibili dallo straniero trattenuto in un CPR per vedere tutelati davanti all’autorità giudiziaria i propri diritti relativi alle modalità di esecuzione della misura privativa della libertà. La legge deve insomma prevedere per lo straniero trattenuto in un CPR un meccanismo simile al ricorso alla magistratura di sorveglianza per il soggetto privato della libertà in sede penale: al momento, siamo lontanissimi da alcunché di nemmeno lontanamente paragonabile.

Impostata la questione nei termini del rispetto di diritti fondamentali, inderogabili in sede sia costituzionale che convenzionale, ci pare perdere pregnanza l’argomento, utilizzato dalla Corte nel caso delle REMS, dell’effetto incongruo rispetto agli intendimenti che sarebbe derivato da un eventuale accoglimento della questione, con conseguente inapplicabilità tout court della misura. I diritti fondamentali non sono nella disponibilità del legislatore, che se intende avvalersi dello strumento del trattenimento dello straniero espellendo ha il dovere di predisporne una disciplina conforme al dettato costituzionale; in caso contrario, l’esito non può che essere la dichiarazione di incostituzionalità della misura, solo in tal modo potendosi evitare la lesione del diritto alla libertà personale. Un risultato, dunque, del tutto congruo rispetto ad un petitum formulato in chiave di tutela personalistica dei diritti dello straniero trattenuto.

Non bisogna poi dimenticare che, anche ponendosi nella prospettiva degli interessi generali garantiti dalla misura che risulterebbe caducata dall’intervento ablativo dei giudici delle leggi, la situazione delle REMS è molto diversa da quella dei CPR. Nel primo caso, l’internamento del delinquente pericoloso affetto da patologie psichiatriche è uno strumento volto alla “specifica funzione di contenimento della pericolosità sociale di chi abbia già commesso un reato, o sia gravemente indiziato di averlo commesso, in una condizione di vizio totale o parziale di mente”[9]; una finalità di tutela dei possibili destinatari delle aggressioni del malato psichiatrico cui lo Stato non può rinunciare, anche perché convenzionalmente obbligatovi dall’interpretazione dell’art. 2 CEDU fornita dai giudici di Strasburgo, per cui come noto la tutela del diritto alla vita comporta per gli organi dello Stato il dovere di predisporre adeguate misure di contenimento del malato di mente pericoloso.

Nel caso dei CPR, invece, il solo interesse generale che il trattenimento dello straniero nei CPR intende garantire è quello dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento del territorio; è importante infatti ricordare che il trattenimento dello straniero irregolare non si fonda su alcuna valutazione relativa alla sua pericolosità sociale, né è in alcun modo dipendente dall’aver commesso un reato, ma rappresenta lo strumento cui lo Stato può ricorrere quando vi sia il pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento espulsivo, di cui l’autorità amministrativa non è in grado di dare immediata attuazione in forma coattiva[10]. La caducazione di tale misura non cagionerebbe alcun vuoto normativo paragonabile a quello relativo alla REMS, in quanto non è in gioco la tutela della collettività da individui pericolosi e rimarrebbero comunque applicabili allo straniero espellendo le altre misure cautelari previste dalla legge[11]; ed è ben noto peraltro come già ora il ridotto numero di posti disponibili nei CPR faccia sì che il trattenimento venga disposto in un numero assai limitato di casi rispetto a quelli in cui sarebbe astrattamente applicabile. Insomma, mentre il venir meno delle REMS avrebbe posto l’enorme problema di come tutelare altrimenti la comunità da delinquenti pericolosi affetti da patologie psichiatriche, nel caso dei CPR si tratterebbe solo di eliminare dal sistema una delle misure previste dall’ordinamento in materia di esecuzione delle espulsioni. Gli spazi per una sentenza della Corte costituzionale che, constatata la mancanza di una adeguata regolamentazione di rango primario del trattenimento nei CPR, giungesse ad una decisione di accoglimento, e non già di inammissibilità, ci paiono dunque decisamente più ampi che rispetto alle REMS.

   

5. Conclusioni: la “rilevanza” processuale e politica della questione

La recente sentenza della Corte sulle REMS ci pare fornire argomenti molto solidi anche a sostegno di una eccezione di costituzionalità relativa alla disciplina dei “modi” del trattenimento nei CPR, nei termini che abbiamo provato a delineare sopra.

L’individuazione di un procedimento a quo nel quale la questione sia rilevante ci pare poi un passaggio privo di difficoltà. Posto che l’ipotizzata violazione costituzionale deriverebbe dalla mancanza di una disciplina di rango primario che regoli le modalità del trattenimento degli stranieri in attesa di rimpatrio, la questione risulterebbe rilevante ogniqualvolta un giudice si trovasse a dover decidere se convalidare il provvedimento di trattenimento disposto dall’autorità amministrativa. Sia quindi che si tratti del trattenimento di uno straniero irregolare, la cui convalida è affidata al giudice di pace, sia che si tratti del trattenimento di un richiedente protezione, ove la competenza è del giudice ordinario, la questione è sempre rilevante, posto che, in mancanza di una disciplina legislativa dei “modi” del trattenimento, la convalida del provvedimento risulta sempre e di per sé lesiva del disposto costituzionale, postulando il trattenimento in strutture la cui disciplina normativa non è conforme al disposto dell’art. 13 Cost.

Davvero ci auguriamo che sia arrivato il momento perché la Corte costituzionale torni ad occuparsi della detenzione amministrativa degli stranieri. Conosciamo bene (e condividiamo a fondo) le radicali critiche che ormai da anni larga parte della dottrina muove rispetto alla legittimità in sé di tale forma di privazione della libertà[12], l’unica nel nostro ordinamento che prescinde dalla commissione di un reato o da esigenze di cura di pazienti affetti da patologie psichiatriche. La questione di costituzionalità argomentata in questo saggio, qualora venisse accolta, non comporterebbe invece l’illegittimità tout court della detenzione amministrativa, che nella prospettiva qui adottata risulterebbe legittima ove il legislatore adottasse con norma di rango primario un testo di precisione paragonabile alle legge sull’ordinamento penitenziario, ed introducesse un meccanismo di controllo sulla legalità delle modalità di trattenimento simile a quello attribuito alla magistratura di sorveglianza per la detenzione in sede penale.

Ci pare tuttavia che un tale risultato sarebbe comunque da salutare come un grande passo avanti rispetto alla situazione attuale. Il rispetto del principio di legalità rispetto ad ogni forma di privazione della libertà personale costituisce il cardine di un ordinamento democratico, e ci pare davvero intollerabile che da più da 20 anni una forma di privazione della libertà che ha interessato decine di migliaia di cittadini stranieri sia rimasta affidata a fonti regolamentari, senza che il Parlamento abbia mai trovato l’occasione di discutere di fronte all’opinione pubblica il reale contenuto del trattenimento nei CPR. La sentenza della Corte sulle REMS può fornire la spinta decisiva affinché almeno questo vulnus venga sanato, e al contempo trovi nuovo slancio un processo culturale e politico che possa infine condurre al definitivo superamento di tale istituto.  


 
[1] Cfr. A. Caputo, in Profili processual-penalistici del “diritto speciale” dell’immigrazione, in Foro it., num. spec. n. 3/2021, c. 420.

[2] Cfr. in dottrina, con argomentazioni chiarissime proprio rispetto allo specifico profilo di incostituzionalità qui oggetto di attenzione, già dieci anni fa A. Di Martino, La disciplina dei CIE è incostituzionale – Un pamphlet, in Dir. pen. cont., 11.5.2012, le cui argomentazioni in questo saggio ci limitiamo in sostanza a riproporre ed attualizzare.

[3] Art. 21 DPR n. 394/1999: “1. Le modalità del trattenimento devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatori provenienti dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona, fermo restando l'assoluto divieto per lo straniero di allontanarsi dal centro. 2. Nell'ambito del centro sono assicurati, oltre ai servizi occorrenti per il mantenimento e l'assistenza degli stranieri trattenuti o ospitati, i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà del culto, nei limiti previsti dalla Costituzione. 3. Allo scopo di assicurare la libertà di corrispondenza, anche telefonica, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono definite le modalità per l'utilizzo dei servizi telefonici, telegrafici e postali, nonché i limiti di contribuzione alle spese da parte del centro. 4. Il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell'art. 14, comma 1 del testo unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario. 5. Nel caso in cui lo straniero debba essere ricoverato in luogo di cura, debba recarsi nell'ufficio giudiziario per essere sentito dal giudice che procede, ovvero presso la competente rappresentanza diplomatica o consolare per espletare le procedure occorrenti al rilascio dei documenti occorrenti per il rimpatrio, il questore provvede all'accompagnamento a mezzo della forza pubblica. 6. Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente residente in Italia, o per altri gravi motivi di carattere eccezionale, il giudice che procede, sentito il questore, può autorizzare lo straniero ad allontanarsi dal centro per il tempo strettamente necessario, informando il questore che ne dispone l'accompagnamento. 7. Oltre al personale addetto alla gestione dei centri e agli appartenenti alla forza pubblica, al giudice competente e all'autorità di pubblica sicurezza, ai centri possono accedere i familiari conviventi e il difensore delle persone trattenute o ospitate, i ministri di culto, il personale della rappresentanza diplomatica o consolare, e gli appartenenti ad enti, associazioni del volontariato e cooperative di solidarietà sociale, ammessi a svolgervi attività di assistenza a norma dell'art. 22 ovvero sulla base di appositi progetti di collaborazione concordati con il prefetto della provincia in cui è istituito il centro. 8. Le disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all'interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l'incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite, sono adottate dal prefetto, sentito il questore, in attuazione delle disposizioni recate nel decreto di costituzione del centro e delle direttive impartite dal Ministro dell'interno per assicurare la rispondenza delle modalità di trattenimento alle finalità di cui all'art. 14, comma 2, del testo unico. 9. Il questore adotta ogni altro provvedimento e le misure occorrenti per la sicurezza e l'ordine pubblico nel centro, comprese quelle per l'identificazione delle persone e di sicurezza all'ingresso del centro, nonché quelle per impedire l'indebito allontanamento delle persone trattenute e per ripristinare la misura nel caso che questa venga violata. Il questore, anche a mezzo degli ufficiali di pubblica sicurezza, richiede la necessaria collaborazione da parte del gestore e del personale del centro che sono tenuti a fornirla”.

[4] C. Cost. n. 26/1999.

[5] C. Cost. n. 22/2022, § 5.3.2 del “considerato in diritto”.

[6] Ibidem.

[7] C. Cost. n. 22/2022, § 6 del “considerato in diritto”.

[8] Ibidem.

[9] C. Cost. n. 22/2022, § 5.2 del “considerato in diritto”.

[10] Come noto, l’autorità amministrativa può procedere con l’esecuzione coattiva dell’espulsione quando sussista il rischio di fuga (art. 13 co. 4 TUI, ove il riferimento è anche ad altre situazioni legittimanti la mancata concessione del termine per partenza volontari), e all’interno di tale procedura il trattenimento è ammesso “quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento” (art. 14 co. 1 TUI).

[11] Il riferimento è alle misure della consegna del passaporto, dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di presentazione presso un ufficio della forza pubblica, previste rispettivamente dall’art. 13 co. 5.2 TUI (per le ipotesi di concessione di un termine per la partenza volontaria) e dall’art. 14 co. 1bis TUI (per le ipotesi di esecuzione coattiva del provvedimento espulsivo).

[12] Per una radicale critica nei confronti delle legittimità costituzionale del trattenimento amministrativo dello straniero, cfr. da ultimo il saggio di A. Cavaliere, Le vite dei migranti e il sistema punitivo, in Sist. pen., n. 4/2022, p. 43 ss., cui rinviamo anche per gli ampi riferimenti bibliografici in argomento.

10/05/2022
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