Oggetto: art. 6 § 1 (penale), processo equo, giudizio abbreviato, riforma dell’assoluzione di primo grado, mancata audizione dei testimoni dell’accusa da parte del giudice di appello, rinuncia alla prova orale senza pregiudizio dei diritti della difesa.
I ricorrenti, accusati di reati quali associazione di stampo mafioso e traffico di stupefacenti, chiedevano di essere giudicati nelle forme del rito abbreviato. Il giudice dell’udienza preliminare accoglieva la richiesta ma disponeva, su istanza del pubblico ministero, l’assunzione della testimonianza di un collaboratore di giustizia, ad integrazione del materiale probatorio risultante dal fascicolo per le indagini.
Mentre la sentenza di primo grado assolveva gli imputati per taluni capi d’imputazione, il giudice di appello li condannava in relazione a ciascuno di essi. Infine, la Corte di cassazione respingeva la censura avente ad oggetto la reformatio in pejus senza nuova audizione dei testimoni, sottolineando come l’adozione dell’abbreviato avesse determinato una rinuncia ai principi di oralità e immediatezza nella formazione della prova. Inoltre, rispetto all’unico testimone sentito in udienza preliminare, i giudici di legittimità escludevano la necessità di rivalutarne la credibilità, non ricorrendo le condizioni elaborate nella sentenza europea Dan c. Moldavia: la testimonianza non era né decisiva né discussa in termini di credibilità.
Dinanzi alla Corte di Strasburgo, i ricorrenti lamentavano il vulnus al diritto di difesa subito a causa della mancata audizione di testimoni cruciali per la condanna, riferendosi sia a quelli sentiti in fase di indagine e non ascoltati in primo grado che al collaboratore ammesso eccezionalmente dal giudice dell'udienza preliminare. Così facendo, le autorità nazionali avrebbero ricollegato alla richiesta di abbreviato una rinuncia incompatibile con le garanzie di un processo equo, rinuncia che non poteva dirsi volontaria, consapevole né informata e che oltretutto verteva su prova decisiva (come dimostra l’ammissione della medesima in virtù dell’eccezione di cui all’art. 441, comma 5, c.p.p.).
La Corte EDU conferma che, in linea di principio, il giudice chiamato a decidere sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato deve ascoltare di persona i testimoni, non potendo valutarne la credibilità, semplicemente leggendo il contenuto di dichiarazioni previamente rese. Tuttavia, non si tratta di una regola automatica, sicché non è detto che la sua mancata osservanza renda di per sé ingiusto il processo. A tal fine, la giurisprudenza convenzionale si avvale di un test in tre fasi: quando le dichiarazioni di un testimone non comparso o non interrogato durante il processo sono utilizzate come prova è importante esaminare se c’era un motivo serio per la mancata comparizione, se la prova del testimone assente sia stata l’unica o quella decisiva per la condanna, se ci fossero sufficienti fattori compensativi delle difficoltà derivanti alla difesa dall’ammissione di tale prova, per assicurare l’equità complessiva del procedimento (Al Khawaja e Tahery c. Regno Unito (GC), nn. 26766/05 e 22228/06, § 131, 2011; Schatschaschwili c. Germania (GC), n. 9154/10, § 123, 2015; Dadayan c. Armenia, n. 14078/12, §§ 39-43, 6 settembre 2018).
Nell’applicare siffatti principi al caso di specie, la Corte considera separatamente la mancata audizione dei testimoni sentiti in fase d’indagine e quella del testimone ammesso su istanza del pubblico ministero in udienza preliminare.
Quanto ai primi, viene ricordato che la procedura abbreviata italiana è stata vagliata più volte alla luce dell’art. 6 della Convenzione (Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 6 novembre 2007; Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, 17 settembre 2009), norma che non preclude la rinuncia alle prerogative di un processo equo purché spontanea, inequivocabile, circondata da garanzie proporzionate e non in conflitto con interessi pubblici rilevanti. Gli odierni ricorrenti, assistiti dai loro avvocati, hanno accettato di basare la loro difesa sul materiale raccolto durante le indagini sicché non v’è ragione di ritenere che la rinuncia al diritto di sentire i testimoni non fosse consapevole ed informata; sapevano o avrebbero dovuto sapere che, in caso di assoluzione, l’eventuale appello avrebbe potuto ribaltare il giudizio di responsabilità sulla scorta dello stesso materiale.
Quanto alle garanzie, posto che gli Stati sono liberi di prevedere o meno procedure semplificate, i principi del giusto processo impongono che l’imputato non sia arbitrariamente privato dei vantaggi ad esse associati. Nulla del genere si è verificato (esemplificativamente, la condanna di appello ha computato lo sconto processuale dell’abbreviato).
Infine, il caso non ha sollevato questioni di interesse pubblico ostativi alla rinuncia.
Riepilogando, la Corte ravvisa una scelta libera, consapevole, compensata.
Con riguardo all’unico testimone escusso dinanzi al giudice dell’udienza preliminare, stante esistenza di una base legale accessibile e prevedibile per l’eccezione ex art. 441, comma 5, c.p.p., la Corte ha verificato le modalità in cui l’eccezione è stata applicata. Ha concluso che, in concreto, la mancata audizione in appello non ha limitato i diritti di difesa dei ricorrenti sul presupposto che la testimonianza controversa non ha avuto né in primo né in secondo grado un peso decisivo, ancorché la sua ammissione fosse giustificata da una prognosi di rilevanza.
In conclusione – ritiene la Corte - il procedimento contro i ricorrenti è stato, nel suo complesso, equo.
Particolarmente significativo è un obiter dedicato alla giurisprudenza di legittimità italiana, nella parte in cui interpreta estensivamente l’art. 603 c.p.p.: i giudici di appello dispongono d’ufficio l’audizione di testimoni decisivi per la condanna nei procedimenti svolti sia con rito ordinario che con rito abbreviato (Da ultimo, Cass. pen., Sez. 4, sentenza n. 5890 del 21/12/2018 - dep. 07/02/2019), Rv. 275119). Secondo la Corte, l’esegesi in parola rappresenta un livello di protezione dei diritti umani più ampio rispetto a quello esigibile in forza della Convenzione (§ 39).
Nella prospettiva europea, il requisito della decisività della prova orale (su cui v. Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 27620 del 28/04/2016 - dep. 06/07/2016, Rv. 267491), ai fini della sua rinnovazione dinanzi al giudice che per primo intenda condannare l’imputato, rileva in ogni caso nel procedimento svolto con rito ordinario; qualora l’imputato sia stato giudicato con rito abbreviato, solo con riguardo alla testimonianza ammessa in via eccezionale ad integrazione del materiale probatorio (per abbreviato condizionato su richiesta di parte). Viceversa, non è oggetto di verifica nell’ambito dell’abbreviato semplice.