Le pronunce di settembre della Corte Edu qui selezionate riguardano l’esclusione dalla candidatura alle elezioni per motivi politici, le disposizioni anticipate di trattamento e la determinatezza della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
In Shlosberg c. Russia, la Corte ha valutato l’esclusione della candidatura di un politico dell’opposizione alle elezioni della Duma di Stato (la camera bassa dell'Assemblea federale della Federazione Russa) del 2021, a causa del suo coinvolgimento in un'organizzazione classificata come estremista dalle autorità russe. Tale “coinvolgimento”, secondo le autorità, consisteva nell'aver partecipato a una manifestazione pacifica a sostegno di Alexei Navalny e nell'aver incoraggiato altri a fare lo stesso. La Corte ha rilevato, in particolare, che l'esercizio del diritto di riunione pacifica, garantito dalla Convenzione, non poteva costituire motivo di sanzione, inclusa la squalifica dalla candidatura parlamentare. La motivazione addotta alle autorità, in quanto arbitraria, determinava una violazione di tale diritto.
In Pindo Mulla c. Spagna, la Grande Camera ha ravvisato una violazione dell’art. 8 nel processo decisionale che ha determinato la somministrazione di una trasfusione di sangue a una paziente testimone di Geova, nonostante la donna avesse da tempo registrato disposizioni anticipate di trattamento con cui chiaramente rifiutava di essere sottoposta a tale trattamento.
Infine, in Gangemi c. Italia, la Corte di Strasburgo ribadisce la mancanza di prevedibilità (al 2017) della base legale per imporre la misura di prevenzione personale in relazione sia ai suoi destinatari, nello specifico alla formulazione delle fattispecie di pericolosità generica, sia alle prescrizioni associate a tale misura. La Corte, richiamando la pronuncia della Grande Camera De Tommaso c. Italia (43395/09, 23.02.2017) ha ritenuto di non entrare nel merito della distinzione tra le fattispecie di cui all’art. 1 lett. (a) e (b) del Codice antimafia, e di non vagliare la tesi della raggiunta prevedibilità della seconda fattispecie in quanto affermata nell’ambito di un intervento costituzionale (n. 24/2019) successivo alla procedura preventiva nei confronti del ricorrente. In questo modo, risulta pretermesso quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esegesi tassativizzante sarebbe stata assicurata dai giudici di legittimità già prima della sentenza costituzionale e della condanna sovranazionale.
Sentenza della Corte Edu (Terza Sezione), 3 Settembre 2024, ric. n. 32648/22, Shlosberg c. Russia
Oggetto: articolo 3 Prot. 1 (Diritto a libere elezioni) - Cancellazione della registrazione di un candidato dell'opposizione per l'elezione a deputato – Motivazione arbitraria basata sulla sua partecipazione a una manifestazione ritenuta estremista – L'esercizio del diritto a riunirsi pacificamente non può costituire motivo di sanzione
Il ricorrente è un cittadino russo e politico di un partito di opposizione che, nel gennaio 2021, ha partecipato a una manifestazione a sostegno di Navalny, per cui gli è stata inflitta una multa amministrativa per aver organizzato un evento pubblico non autorizzato. Pochi mesi dopo il Ricorrente ha presentato la sua candidatura alle elezioni della Duma di Stato (la camera bassa del Parlamento russo) e la commissione elettorale del collegio competente ha approvato la sua candidatura.
Il giorno successivo all’approvazione, un candidato rivale ha intentato un'azione legale per invalidare la decisione, sostenendo che il Ricorrente doveva essere squalificato per il suo coinvolgimento nell'organizzazione “Navalny Headquarters”. Tale organizzazione era stata precedentemente classificata come estremista e bandita dal tribunale di Mosca con l’accusa di aver organizzato eventi pubblici non autorizzati a sostegno di Navalny a Mosca e in altre città.
Il tribunale di Mosca ha accolto l’istanza del candidato rivale. Tra le altre motivazioni, ha rilevato che il coinvolgimento del Ricorrente nell’organizzazione “Navalny Headquarters” era comprovato e che, in dichiarazioni pubblicate online, egli aveva espresso approvazione, ammirazione e gratitudine verso coloro che avevano partecipato alla manifestazione. Tali dichiarazioni sono state considerate una partecipazione alle attività di un’organizzazione estremista. Il Ricorrente ha presentato numerosi ricorsi contro questa decisione, tutti respinti. È stato quindi rimosso dalla lista dei candidati.
Si è così rivolto alla Corte di Strasburgo invocando l'Articolo 3 del Protocollo n. 1 (diritto a libere elezioni) della Convenzione per chiedere l’annullamento della sua registrazione come candidato alle elezioni della Duma del 2021.
La Corte ha innanzitutto affrontato la questione preliminare riguardante la sua giurisdizione per esaminare il presente caso. Poiché i fatti all’origine di esso sono avvenuti prima del 16 settembre 2022, data in cui la Federazione Russa ha cessato di essere parte della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo la Corte aveva la giurisdizione ratione temporis a decidere il caso. Né la mancata la mancata partecipazione del Governo russo al procedimento impediva l'esame del caso.
Nel merito, la Corte ha osservato che il Ricorrente è stato squalificato solo sei giorni dopo la sua registrazione come candidato per le elezioni della Duma e che i tribunali russi avevano basato la loro decisione sul sostegno espresso dal Ricorrente a Navalny, che si era manifestato attraverso la sua partecipazione a una manifestazione e il suo incoraggiamento agli altri a fare lo stesso.
La Corte ha ricordato inoltre che la libertà di riunione pacifica è un diritto fondamentale garantito dall'Articolo 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione e che già in un suo precedente questa aveva già stabilito che la condanna amministrativa del Ricorrente per l'esercizio di tale diritto aveva costituito una violazione dell'Articolo 11 (cfr. Decisione del Comitato, Golikov e Altri c. Russia, n. 44131/18, 27 giugno 2024).
Ne consegue che l’esercizio del diritto di riunione pacifica non poteva costituire motivo di sanzione, nella forma di un motivo di esclusione dalla candidatura parlamentare. Tale motivazione è quindi da considerarsi arbitraria. Questa conclusione è risultata ancora più rilevante considerando che l’azione per la quale il Ricorrente era stato criticato consisteva unicamente nell’aver incoraggiato altre persone a partecipare alla manifestazione.
Di conseguenza, la Corte ha stabilito che la squalifica del Ricorrente, pur formalmente conforme alla legge, era basata su motivazioni arbitrarie e ha pertanto riscontrato una violazione dell'Articolo 3 del Protocollo n. 1 della Convenzione.
Sentenza della Corte Edu (Grande Camera), 19 settembre 2024, Pindo Mulla c. Spagna, ric. n. 15541/20
Oggetto: articolo 8 (Vita privata e familiare) – violazione del diritto all’autodeterminazione sanitaria –direttive anticipate di trattamento – trasfusione di sangue – testimone di Geova.
Nel 2017, nel corso di un controllo medico, alla ricorrente, testimone di Geova, veniva prospettata la necessità di un intervento chirurgico. Per tale motivo, la stessa registrava direttive anticipate di trattamento e una procura permanente, nei quali esprimeva chiaramente il rifiuto di subire trasfusioni di sangue, anche in caso di pericolo di vita, consentendo, invece, all’impiego di qualsiasi altro tipo di trattamento sanitario.
Nel 2018, ricoverata in ospedale a causa di una grave emorragia interna, la donna ribadiva il rifiuto già espresso e, di conseguenza, ne veniva disposto il trasferimento all’Ospedale di Madrid, centro noto per la somministrazione di cure mediche alternative alla trasfusione di sangue.
In ragione della gravità delle condizioni della paziente, l’equipe medica della struttura ospedaliera rivolgeva al giudice competente una richiesta urgente per avere istruzioni su come procedere. La suddetta richiesta, senza recare il nominativo della donna, riportava solamente che una paziente testimone di Geova sarebbe stata trasferita nell’Ospedale con una grave emorragia e che la stessa aveva «espresso verbalmente il suo rifiuto di qualsiasi tipo di trattamento».
Sulla base di una serie di informazioni incomplete, l’autorità giudiziaria, sentito il parere del medico legale e del pubblico ministero, autorizzava la somministrazione di tutte le tipologie di trattamento medico-chirurgico per preservare la vita e l’integrità fisica della ricorrente.
Nel corso dell’intervento chirurgico a cui veniva sottoposta, a quest’ultima veniva, quindi, praticata trasfusione di sangue.
La decisione del juez de guardia del Juzgado de Instrucción veniva confermata in appello e il ricorso de amparo interposto dalla ricorrente al Tribunale costituzionale veniva rigettato.
La ricorrente, dunque, si rivolgeva alla Corte di Strasburgo lamentando la violazione degli artt. 8 e 9 della Convenzione.
Il Giudice europeo evidenzia, anzitutto, che il ricorso in esame concerne l’autodeterminazione sanitaria della paziente e che deve essere esaminato nella prospettiva del diritto al rispetto alla vita privata, di cui all’articolo 8, interpretato e applicato nel prisma dell’articolo 9 della Convenzione.
Tanto chiarito, la Corte sottolinea che un paziente adulto, capace di intendere e di volere, è libero di rifiutare trattamenti sanitari, comprese le trasfusioni di sangue, anche laddove dal suddetto rifiuto possano derivare conseguenze infauste. Ove non ricorra un’esigenza di protezione di soggetti terzi, lo Stato deve astenersi dal commettere interferenze nella libertà di scelta delle persone in termini di assistenza sanitaria.
Nondimeno, la Corte precisa che tale diritto non è assoluto e può essere soggetto a restrizioni, in conformità con l’articolo 8, par. 2, della Convenzione.
Invero, in una situazione connotata da un pericolo reale e imminente per la sopravvivenza del paziente, il diritto in questione deve essere contemperato con quello alla vita protetto dall’articolo 2 e la garanzia di entrambi rientra tra gli obblighi dello Stato.
Da questo punto di vista, appare centrale la questione circa l’applicabilità dell’eventuale rifiuto anticipatamente espresso dal paziente, che, in questo senso, deve essere chiaro, preciso e privo di ambiguità. Di talché, in una situazione di emergenza, ove, nonostante l’adozione di ogni ragionevole misura per eliminare il dubbio o l’incertezza che circonda il rifiuto del trattamento, vi siano motivi fondati per dubitare della attualità della decisione dell’interessato, la somministrazione di cure urgenti e vitali non può essere considerata una violazione dell’obbligo di rispettare l’autodeterminazione sanitaria, conformemente a quanto stabilito dalla Convenzione di Oviedo.
Ricostruita la cornice giurisprudenziale di riferimento ed evidenziato che, come già puntualizzato in Reyes Jimenez c. Spagna, il quadro normativo interno in materia di direttive anticipate di trattamento presenta un soddisfacente equilibrio tra i diritti in gioco, la Corte si concentra a esaminare il ruolo svolto dall’autorità giudiziaria.
In proposito, sottolinea come l’efficacia di tale intervento – frequentemente invocato in casi analoghi – dipenda necessariamente dalla completezza delle informazioni che vengono comunicate all’organo decidente o che quest’ultimo è in grado di ottenere.
Nel caso in esame, la richiesta inviata dai medici al giudice de quo conteneva informazioni parziali e imprecise, in quanto affermava che la ricorrente aveva rifiutato «tutti i tipi di trattamento» e che tale rifiuto era stato espresso in forma orale, risultando così totalmente trascurata la circostanza fondamentale che la donna avesse, invece, registrato per iscritto il rifiuto alle trasfusioni di sangue.
La base informativa incompleta e inesatta fornita dagli operatori del sistema sanitario al giudice ha, pertanto, influenzato negativamente la sua decisione.
La Corte, inoltre, osserva che nel processo decisionale non è neppure stata menzionata la considerazione in merito alla possibilità di consultare, ove le circostanze lo consentano, i parenti della paziente o comunque persone legate alla stessa, né sono state adottate misure di questo tipo a seguito della notifica della decisione all’ospedale, al fine di consentire agli interessati di opporsi in tempo utile al provvedimento in parola.
Sulla base delle carenze rilevate nel processo decisionale sviluppatosi nel caso di specie, le autorità interne non hanno, ad avviso della Corte, sufficientemente garantito il rispetto dell’autonomia della ricorrente, tutelata dall’articolo 8, che ella desiderava esercitare per conformarsi a un importante precetto posto dalla sua confessione religiosa.
Sentenza della Corte Edu (Prima Sezione), 26 Settembre 2024, ric. n. 59233/17, Gangemi c. Italia
Oggetto: articolo 2 Prot. 4 (libertà di circolazione) – adozione di un provvedimento di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – determinatezza/prevedibilità della fattispecie di pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. (a) e (b) del Codice antimafia – determinatezza/prevedibilità delle prescrizioni accessorie (in particolare, «vivere onestamente» e «rispettare le leggi») – procedura preventiva svoltasi tra il 2013 e il 2017, dunque avviata quattro anni dopo il deposito del ricorso De Tommaso c. Italia e conclusasi meno di un mese dopo la pronuncia della Grande Camera.
Il procedimento sovranazionale concerne l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e la prevedibilità della pertinente base legale.
Nel 2013, la Procura della Repubblica depositava una proposta di prevenzione personale nei confronti del ricorrente allegando indizi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. (a) e (b) del Codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011), in quanto persona che, sulla base di elementi fattuali, poteva esser considerata dedita a traffici delittuosi e che vivesse abitualmente di proventi illeciti.
Il Tribunale di Latina, nel 2014, ordinava la misura di prevenzione per un periodo di tre anni, imponendo le seguenti prescrizioni: trovare un lavoro stabile; condurre una vita onesta e rispettosa della legge e non dare adito a sospetti; non allontanarsi dal proprio domicilio senza averne dato comunicazione all’autorità di polizia incaricata della sorveglianza; presentarsi alla medesima autorità il lunedì e il venerdì, tra le 16 e le 18, e ogni volta che ne venga fatta richiesta; non rientrare a casa oltre le 22.00 e non uscire di casa prima delle 7.30, se non per necessità e solo dopo averne dato tempestiva comunicazione all’autorità; non detenere o portare armi; non frequentare persone con precedenti penali e sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza; risiedere nel Comune di Aprilia.
Su impugnazione del ricorrente, il provvedimento veniva confermato in appello il 23 febbraio 2016 e dalla Corte di cassazione il 6 marzo 2017.
Dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 2 Prot. 4 per mancanza di chiarezza e prevedibilità della base legale, nella parte in cui individuava i destinatari della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e imponeva una serie di prescrizioni accessorie.
Sotto il profilo dell’ammissibilità, in particolare con riguardo alle eccezioni di mancato esaurimento dei rimedi interni, la Corte di Strasburgo afferma che un’eventuale doglianza circa il deficit di prevedibilità dinanzi alla Corte di cassazione non rappresenta un rimedio effettivo nella misura in cui la violazione lamentata derivi direttamente dalla legge.
Inoltre, la possibilità di chiedere la revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del Codice antimafia era intervenuta in epoca successiva alla sentenza costituzionale n. 24/2019, dunque solo in seguito alla presentazione del ricorso.
Il governo convenuto sollevava altresì un’eccezione sullo status di vittima, per l’ipotetica constatazione della mancanza di prevedibilità solo in relazione alla fattispecie di cui alla lett. (a), evidenziando che tale constatazione non avrebbe inciso sulla validità della confisca, pur sempre fondata sulla fattispecie di cui alla lett. (b).
Sul punto, la Corte richiama la sentenza della Grande Camera De Tommaso c. Italia, entro cui entrambe le fattispecie di pericolosità generica sono state ritenute prive di chiarezza e prevedibilità ai fini della Convenzione.
Nel merito, la Corte rileva che la base legale della sorveglianza imposta al ricorrente presenta i difetti di determinatezza già stigmatizzati dalla Grande Camera e che pertanto non è necessario vagliare se, in base alla sentenza costituzionale n. 24/2019, la giurisprudenza interna abbia raggiunto o meno un sufficiente grado di prevedibilità con riguardo alla fattispecie di cui alla lett. (b), in quanto sentenza successiva alla chiusura della procedura preventiva.