Le più rilevanti sentenze di luglio della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardano alcuni diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto a libere elezioni, il rispetto del principio del ne bis in idem e la tutela della proprietà. Le questioni decise sono molto importanti: la Grande Camera ha affrontato, nella causa Mugemangango c. Belgio, il diritto alle libere elezioni sancito dall’art. 3 del Protocollo addizionale e, nella causa Albert e altri c. Ungheria, la tutela della proprietà, poiché diversi azionisti di una banca hanno lamentato i danni prodotti dalla nuova legislazione statale. La quarta sezione si è occupata, nel caso Pormes c. Paesi Bassi, del diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dall’art. 8 della Convenzione e, nel caso Velkov c. Bulgaria, ha riscontrato la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7, che garantisce il rispetto del principio del ne bis in idem.
Sentenza della Corte Edu (Sezione IV) 28 luglio 2020 rich. nn. 25402/14, Pormes c. Paesi Bassi
Oggetto: articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), vita privata, permesso di soggiorno, precedenti penali, pericolosità sociale, bilanciamento degli interessi
La Corte Edu ha statuito, all’unanimità, la non violazione dell’art. 8 della Convenzione.
La causa nasce dal ricorso del sig. Pormes, nato in Indonesia, da madre indonesiana e padre dei Paesi Bassi, e cresciuto nei Paesi Bassi, senza mai legalizzare però la sua presenza nello Stato. Nel 2006 il ricorrente fece richiesta di cittadinanza nei Paesi Bassi, ma il viceministro della Giustizia rigettò la richiesta sostenendo la mancata allegazione dei documenti necessari e la pericolosità del ricorrente, dati i numerosi e gravi reati commessi (aggressioni sessuali); motivo ritenuto sufficiente a rigettare la richiesta. Nonostante l’opposizione del ricorrente, la decisione del viceministro rimase invariata; quest’ultimo aggiunse che il sig. Pormes avrebbe potuto proseguire la sua vita, senza nessun impedimento, in Indonesia. Successivamente, il ricorrente si appellò alla Corte Regionale: secondo tale Corte il viceministro non aveva operato in maniera sufficientemente chiara e precisa il bilanciamento degli interessi in gioco e aveva argomentato in modo sommario il rigetto della richiesta; il viceministro si era limitato infatti a considerare il ricorrente un soggetto pericoloso senza tenere conto del fatto che fosse cresciuto nei Paesi Bassi. Infine, il Ministro per l’immigrazione, l’integrazione e l’asilo politico presentò appello contro la pronuncia della Corte Regionale alla Corte Amministrativa (divisione del Consiglio di Stato), la quale annullò la sentenza e respinse il ricorso di appello del sig. Pormes. Nel 2016 quest’ultimo lasciò i Paesi Bassi e partì per l’Indonesia.
La Corte Edu, anzitutto, sottolinea come il caso possa essere esaminato alla luce dell’art. 37 della Convenzione, in quanto il ricorrente ha lasciato i Paesi Bassi acconsentendo a porre fine a tutti i procedimenti pendenti, ma è uscito dal Paese per costrizione, poiché non gli fu riconosciuto il permesso di soggiorno. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 8, dunque del suo diritto al rispetto alla propria vita familiare e privata: i giudici di Strasburgo, di fronte a tale richiesta, evidenziano che non è in loro potere rilasciare il permesso di soggiorno, ma che rientra nelle competenze della Corte stabilire se lo Stato abbia violato una delle disposizioni della Convenzione (§ 34). Nel merito della violazione, la Corte, in primo luogo, si sofferma sul significato di «vita privata e familiare», affermando che le relazioni familiari non necessariamente rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 8: il ricorrente aveva evidenziato che nei Paesi Bassi risiedevano i genitori adottivi, ma dal 2011 non viveva più con gli stessi (§§ 47-48). La Corte considera appropriato inquadrare il caso in questione nella fattispecie della «vita privata».
I giudici di Strasburgo ritengono che lo Stato non possa ritenere responsabile il ricorrente per non essersi registrato legalmente da bambino, poiché tale obbligo ricade sotto la responsabilità dei genitori, e riconoscono che il sig. Pormes sia cresciuto nei Paesi Bassi. Tuttavia, considerati i gravi reati commessi dal ricorrente, consapevole del proprio status precario, e considerata la possibilità per lo stesso di costruirsi una vita in Indonesia, con la libertà di far visita alla propria famiglia nei Paesi Bassi, la Corte Edu non riscontra alcuna violazione dell’art. 8 della Convenzione. Le autorità locali hanno dunque operato un giusto bilanciamento degli interessi in campo (§ 69).
Sentenza della Corte Edu (Grande Camera) 7 luglio 2020 rich. nn. 5294/14, Albert e altri c. Ungheria
Oggetto: articolo 1 Protocollo addizionale (protezione della proprietà), diritti delle banche, diritti degli azionisti, ordinamento bancario, legittimazione ad agire
La Corte ha statuito, all’unanimità, l’inammissibilità del ricorso ex art. 35 della Convenzione.
La causa nasce dal ricorso di 237 azionisti appartenenti a due banche di risparmio ungheresi, i quali possedevano la maggioranza delle azioni in entrambi gli istituti di credito. Lamentano davanti alla Corte la violazione dei loro diritti, derivante dall’introduzione di una legislazione (Legge n. CXXXV e Emendamento su alcune leggi in materia economica, entrati in vigore nel 2013) volta a inserire le banche all’interno di un sistema di controllo statale. La nuova normativa prevedeva la creazione di due organi centrali, l’Organizzazione degli Istituti di Credito Cooperativo e la Cassa di Risparmio, indirettamente controllate dallo Stato o di proprietà dello stesso. Fu, inoltre, introdotto l’obbligo di iscriversi all’organizzazione, obbligo associato a condizioni finanziarie e formali gravose, nonché a vincoli di tempo. Il campo di applicazione della normativa comprese anche le banche dei ricorrenti, le quali dovettero scegliere se rimanere membri e sottostare alle condizioni previste oppure lasciare l’organizzazione con conseguenti obblighi e vincoli. Le banche decisero di rimanere membri e alcuni soci impugnarono il nuovo statuto adottato in linea con l’Organizzazione, ma la Corte Edu non ha ricevuto alcuna informazione sull’esito di tali procedimenti legali.
I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione, affermando che la nuova legislazione interferisce con i loro diritti di azionisti, quali modificare l’atto costitutivo, nominare i membri del consiglio, determinare il capitale sociale e i dividendi. In base alla nuova legislazione, tutto ciò deve essere approvato dall’Organizzazione e dalla Cassa di Risparmio. Il 29 gennaio 2019 la quarta sezione della Corte Edu, a cui fu assegnato il caso, pronunciò una sentenza di non violazione della Convenzione e i ricorrenti presentarono il ricorso alla Grande Camera.
Anzitutto, la Grande Camera sottolinea che, in accordo con l’art. 34 della Convenzione, i ricorrenti non possono lamentare una violazione in astratto, in quanto è necessario che siano direttamente colpiti nei loro diritti (§ 120-121). Deve, quindi, essere fatta una distinzione tra le interferenze nei diritti delle banche e le interferenze nei diritti degli azionisti. In due circostanze, tuttavia, tale differenza non sussiste: quando le banche e i suoi azionisti sono strettamente identificabili le une negli altri e in casi eccezionali. Nella presente causa, i giudici di Strasburgo evidenziano che tali circostanze non sussistono e che la normativa in questione non ha inciso direttamente sui diritti degli azionisti. In aggiunta, gli esempi di violazione riportati dai ricorrenti riguardano i poteri degli organi societari e non dei singoli azionisti. I ricorrenti non sono dunque legittimati ad agire. La Grande Camera, infine, ritiene che i ricorrenti avrebbero potuto indirizzare le banche a contestare la normativa davanti alla Corte Costituzionale, come fecero altri istituti di credito.
Il ricorso è, quindi, da considerarsi inammissibile ex art. 35 della Convenzione.
Sentenza della Corte Edu (Grande Camera) 10 luglio 2020 rich. nn. 310/15, Mugemangango c. Belgio
Oggetto: articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo), 3 protocollo n. 1 (diritto alle libere elezioni), distribuzione dei seggi, riconteggio delle schede, imparzialità dell’organo, potere discrezionale, motivazione delle decisioni, effettività dei rimedi
La Corte ha statuito, all’unanimità, la violazione dell’art. 3 del Protocollo addizionale e dell’art. 13 della Convenzione.
La causa nasce dal ricorso del sig. Mugemangango, candidato del Partito dei Lavoratori nel 2014 alle elezioni del Parlamento della Regione Vallonia. La lista del ricorrente superò la soglia del 5% nella circoscrizione elettorale di Charleroy, ma per 14 voti in meno non ottenne un seggio al Parlamento della Vallonia. 21.385 schede furono annullate perché bianche, rovinate o contestate, perciò il ricorrente presentò una denuncia al Parlamento della Vallonia, dichiarando che vi erano state alcune irregolarità nel conteggio dei voti, portando a sostegno delle proprie accuse articoli di quotidiani e testimonianze. La denuncia fu esaminata dal Credentials Committee che dichiarò ammissibile e fondato il ricorso e propose di conteggiare nuovamente tutte le schede della circoscrizione di Charleroy, sottolineando che il riconteggio avrebbe potuto influire sulla distribuzione dei seggi. Il Parlamento della Vallonia tuttavia votò contro la decisione della commissione, ritenendo che la maggior parte delle lamentele del ricorrente riguardasse il sistema elettorale nel suo complesso e che, quindi, fosse una decisione al di fuori dei poteri del parlamento.
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 del Protocollo addizionale, a tutela del diritto a libere elezioni, e dell’art. 13 della Convenzione, in tema di effettività dei rimedi. La sezione ha rinviato la questione alla Grande Camera in data 11 giugno 2019.
Nonostante la verifica della sussistenza delle irregolarità lamentate dal ricorrente, o se queste abbiano influenzato l’esito delle elezioni, non sia di competenza della Corte Edu, quest’ultima ritiene che le accuse del sig. Mugemangango siano da considerarsi sufficientemente serie – considerando che anche il Credentials Committee ha dichiarato il suo ricorso fondato. Sottolinea poi che il concetto di «elezioni libere», cui fa riferimento l’art. 3 del Protocollo addizionale, può considerarsi a rischio solo in caso di evidenti violazioni procedurali, che ostacolino la libera espressione dei cittadini, o qualora le denunce rispetto a tali violazioni non ricevano un esame effettivo a livello nazionale (§ 78). In merito a quest’ultimo punto, la Corte evidenzia, in primo luogo, che i membri della commissione e del parlamento che hanno esaminato la richiesta sono stati eletti nella tornata elettorale contestata dal ricorrente: non è stata quindi assicurata l’imparzialità dell’organo che ha preso la decisione; in secondo luogo, la Grande Camera ritiene di dover esaminare l’estensione del potere discrezionale del parlamento e se la procedura abbia o meno garantito una decisione equa e sufficientemente motivata (§ 93). I giudici di Strasburgo ritengono che, sul primo punto, la discrezionalità del Parlamento della Vallonia non è stata adeguatamente circoscritta dal diritto interno. Sul secondo punto, rilevano che il parlamento non ha motivato in modo sufficiente le ragioni del rifiuto di procedere al riconteggio dei voti, come richiesto dalla commissione.
La Grande Camera conclude quindi riconoscendo la violazione dell’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione. Ritiene, inoltre, che sia stato violato anche l’art. 13 della Convenzione, poiché le autorità nazionali non hanno garantito l’effettività dei rimedi.
Sentenza della Corte Edu (Sezione IV) 21 luglio 2020 rich. nn. 34503/10, Velkov c. Bulgaria
Oggetto: articolo 4 Protocollo n. 7 (diritto a non essere giudicato due volte per lo stesso reato), principio del ne bis in idem, natura penale, medesimi fatti, ripetizione del procedimento, criteri Engel
La Corte ha statuito, all’unanimità, la violazione dell’art. 4 Protocollo n. 7 della Convenzione.
Il ricorrente, il sig. Velkov, nel 2008 fu arrestato durante una partita di calcio per aver tentato di entrare nello stadio, aver lanciato oggetti contro i tifosi e la polizia e aver rotto i vetri di diversi veicoli parcheggiati. Venne quindi avviato un procedimento amministrativo nel quale il ricorrente fu dichiarato colpevole di disturbo dell’ordine pubblico e venne condannato – sulla base di una legge del 2004, sulla protezione dell’ordine pubblico durante le competizioni sportive – a un periodo di reclusione di 15 giorni e al divieto di partecipare a manifestazioni sportive per due anni. Parallelamente, fu aperto anche un procedimento penale contro il ricorrente per disturbo dell’ordine pubblico ai sensi dell’art. 325 del codice penale e nel 2009 lo stesso venne condannato a due anni di reclusione. La sentenza di primo grado venne impugnata di fronte alla Corte d’appello, sostenendo che non fosse supportata da prove sufficienti, ma l’appello venne respinto. Anche la Corte di Cassazione, allineandosi alle pronunce precedenti, rigettò il ricorso del ricorrente.
Il ricorrente lamenta la violazione del principio del ne bis in idem, garantito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione. La Corte ricorda anzitutto che, in base alla formulazione del primo comma di tale articolo, esistono tre componenti del principio in questione: i due procedimenti devono essere di natura penale, devono riguardare gli stessi fatti e deve sussistere una ripetizione di procedimento (§ 44). Inoltre, il concetto di «accusa penale», come espresso nell’art. 6 § 1 della Convenzione, si basa su tre criteri (c.d. criteri Engel[1]): la qualificazione giuridica nel diritto interno, la natura del reato e la gravità della sanzione (§ 45). Nel presente caso, il ricorrente e il Governo non concordano sulla natura del primo procedimento: il ricorrente lo considera un procedimento penale, mentre il Governo un procedimento amministrativo, data la sua qualificazione interna (§ 46). La Corte tuttavia sottolinea che la sanzione a cui è stato condannato il ricorrente include la privazione della libertà personale, e ciò le attribuisce carattere penale.
L’art. 4 ammette la possibilità di procedimenti misti, purché abbiano un legame materiale e temporale sufficientemente stretto (§ 70): ad esempio, se i procedimenti perseguono scopi complementari e se l’insieme delle pene è proporzionato (§ 71). Nel caso di specie, la Corte ritiene che il legame temporale sia stato soddisfatto, poiché i due procedimenti sono iniziati simultaneamente, ma che sia carente il legame materiale: il procedimento penale infatti non ha tenuto conto dell’accertamento dei fatti condotto durante il procedimento amministrativo e della sanzione inflitta al ricorrente. Alla luce di tali considerazioni, i giudici di Strasburgo ritengono che i due procedimenti non abbiano avuto un legame materiale sufficientemente stretto e non possono essere perciò considerati come facenti parte di un meccanismo integrato di sanzioni di diritto interno, volto a combattere il fenomeno del «teppismo sportivo» (§ 80). Poiché il ricorrente è stato punito due volte per il medesimo fatto, non è stato garantito il principio del ne bis in idem: secondo la Corte Edu vi è stata dunque violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione.
[1] V. Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22; A e B c. Norvegia [GC], nn. 24130/11 et 29758/11, § 107, 15 novembre 2016; e Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 122, 6 novembre 2018.
Marika Ikonomu, Università Statale di Milano, già tirocinante presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa
Agnese Galatà, Università degli Studi di Milano, tirocinante ex. art.73 del dl 69/2013, presso il Tribunale per i Minorenni di Milano