L’Italia condannata a Strasburgo per violazione dell’art. 3 CEDU
Sentenza della Corte EDU (Seconda Sezione) 11 febbraio 2014, rich. n. 7509/08, Contrada c. Italia (no. 2).
Oggetto: Violazione dell’art. 3 CEDU – Trattamenti inumani e degradanti – Aspetto sostanziale – Importance level 3
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU in ragione della carcerazione applicata a Bruno Contrada. Nel ricorso presentato avanti ai giudici di Strasburgo, egli, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, aveva lamentato di avere richiesto alle autorità italiane l’applicazione della detenzione domiciliare in ragione delle sue precarie condizioni di salute (soffriva, in particolare, di disturbi agli occhi, malattie cardiache, depressione e diabete) ma che tale istanza, prima di essere accolta al quarto tentativo, era stata ripetutamente rigettata per nove mesi, costituendo pertanto un trattamento umano e degradante ai sensi dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte – analizzata la documentazione sanitaria prodotta dal ricorrente di cui disponevano l’autorità giudiziaria italiana al momento della decisione sulla richiesta che rendeva evidente la gravità del quadro clinico – giudica la reiterata negazione delle istanze contraria all’art. 3 della CEDU in quanto la situazione clinica dello stesso era palesemente incompatibile con la carcerazione, condannando quindi l’Italia per la violazione della disposizione convenzionale.
Rispetto della presunzione d’innocenza in Germania
Sentenza della Corte EDU (Quinta Sezione) 27 febbraio 2014, rich. n. 17103/10, Karaman c. Germania.
Oggetto: Non violazione dell’art. 6 par. 2 CEDU – Presunzione di innocenza – Importance level 1
La Corte europea non ritiene sussistente la violazione della presunzione di innocenza di cui all’art. 6 par. 2 CEDU conseguente alla menzione del nome dell’imputato in sentenze concernenti i coimputati le cui posizioni erano state stralciate e definite precedentemente. Il ricorrente, facente parte del Consiglio d’amministrazione di una stazione televisiva tedesca, era sotto processo per frode assieme ad altre persone per i quali si era proceduto separatamente. Poiché all’interno delle sentenze concernenti tali soggetti il nome del ricorrente era stato più volte menzionato nonostante il processo a suo carico non fosse stato ancora definito, egli lamenta la violazione del diritto alla presunzione di innocenza garantito dal secondo paragrafo dell’art. 6 della Convenzione.
Tale vicenda avrebbe comportato tra l’altro anche la diffusione mediatica del suo coinvolgimento nei reati ascritti alle altre persone. Il ricorrente pertanto lamenta che il suo diritto ad un processo imparziale sarebbe stato pregiudicato da tale situazione. La Corte riconosce che, in linea teorica, il contenuto di sentenze concernenti coindagati possa violare il succitato principio, tuttavia rileva in questi casi la necessità di contemperare i principi in oggetto: la presunzione di innocenza con la necessità che le sentenze emesse nei confronti dei correi accertino in maniera chiara la verità dei fatti.
Analizzando quindi le sentenze in cui compariva il nome del ricorrente, la Corte rileva che esse, limitando al necessario i riferimenti al ricorrente non esplicitando la sua colpevolezza, risultavano non violare la presunzione garantita dalla disposizione convenzionale poiché non vi era alcun motivo per ipotizzare che il processo che si doveva svolgere nei suoi confronti potesse essere influenzato dalle decisioni già emesse.