Un’altra condanna da parte della Corte europea in ragione della previsione di un doppio binario sanzionatorio in materia tributaria.
Sentenza della Corte EDU (Quinta Sezione) 27 novembre 2014, rich. nn. 7356/2010, Lucky Dev c. Svezia
Oggetto: Violazione dell’art. 4 prot. 7 CEDU – Doppio binario sanzionatorio penale/amministrativo in materia tributaria – Sanzioni rientranti nella nozione di materia penale elaborata dalla Corte – Importance level 2
Alla ricorrente, cittadina svedese, veniva contestata dall’Agenzia delle entrate una omessa dichiarazione di redditi di 83.000 euro ed una mancata corresponsione di IVA per una cifra di 41.000 euro. Venivano quindi avviati due distinti procedimenti. Un primo, penale, che si concludeva con l’assoluzione per i reati di frode fiscale e omesso versamento dell’IVA e con la condanna per la diversa circostanza dell’irregolare tenuta delle scritture contabili, pronuncia che diventava definitiva nel gennaio del 2009. Un secondo, amministrativo, che si concludeva nell’ottobre del medesimo anno ed all’esito del quale la ricorrente veniva condannata al pagamento di una soprattassa del 40 per cento delle cifre non dichiarate e del 20 per cento dell’Iva non versata. Lamenta la ricorrente che la condanna al pagamento della soprattassa subita nell’ambito del procedimento amministrativo violerebbe il divieto di bis in idem in materia penale garantito dall’art. 4 prot. 7 CEDU, essendo ella stata assolta per i medesimi fatti nell’ambito del procedimento penale conclusosi in epoca antecedente e costituendo la soprattassa una sanzione penale ai sensi della disposizione convenzionale.
La Corte accoglie il ricorso ritenendo anzitutto, sulla base della propria giurisprudenza oramai costante (da ultimo si veda sentenza Nykanen c. Finlandia del 20 maggio 2014) che la soprattassa inflitta alla ricorrente nell’ambito del processo amministrativo afferisca a tutti gli effetti alla matiere penale sulla base dei canoni definiti dalla nota sentenza Engel. Ritiene inoltre che il fatto contestato nei due procedimenti fosse identico, ad eccezione di quello concernente l’errata tenuta delle scritture contabili che risulta invece sufficientemente distinto e per il quale pertanto la condanna riportata nel procedimento appare corretta. Ritiene altresì che la norma convenzionale non preclude di per sé la celebrazione di procedimenti paralleli, ma impone che uno dei due si interrompa non appena l’altro divenga definitivo, circostanza non avvenuta nel caso di specie in cui, a dispetto dell’assoluzione ottenuta dalla ricorrente nel processo penale, il procedimento amministrativo per il medesimo fatto era andato avanti.
Una cugina della sentenza Torreggiani: il Belgio condannato per le condizioni di sovraffollamento carcerario, di carattere strutturale, delle proprie carceri.
Sentenza della Corte EDU (Seconda Sezione) 25 novembre 2014, rich. nn. 64682/12, Vasilescu c. Belgio
Il ricorrente, cittadino rumeno arrestato in Belgio, era stato in un primo momento detenuto per diverso tempo presso il carcere di Anvers, assieme ad altre due persone, in una cella di otto metri quadrati con un materasso posto direttamente in terra. Successivamente, era stato trasferito nel carcere Merksplas, dove era stato posto, dapprima, in una cella senza acqua corrente e con servizi igienici in condivisione con un altro detenuto e, poi, in una cella di sedici metri quadrati in condivisione con altri due carcerati. Lamenta la violazione dell’art. 3 CEDU, sub specie del divieto infliggere trattamenti inumani e degradanti, in ragione delle condizioni di detenzione.
La Corte ritiene sussistente la violazione in ragione del fatto che il ricorrente era stato detenuto, per primo un periodo, avendo a disposizione uno spazio personale inferiore ai 4 metri quadrati, parametro fissato dalla Corte per le celle collettive, e per quindici giorni addirittura con uno spazio disponibile inferiore tre metri quadri, anch’esso idoneo a integrare la violazione.
I giudici di Strasburgo valorizzavano inoltre la circostanza, ulteriormente integrante la violazione della disposizione convenzionale, che il signor Vasilescu era stato posto dapprima su un materasso direttamente a contatto con il suolo ed in seguito in una cella senza acqua corrente e con bagni in condivisione. Rileva peraltro la Corte, richiamando interi passaggi della nota sentenza Torreggiani emessa nei confronti dell’Italia, che i problemi di detenzione lamentati dal ricorrente abbiano in Belgio carattere strutturale, raccomandando allo Stato i) di adottare misure idonee a porre rimedio alla situazione, garantendo il rispetto dei parametri previsti dall’art. 3 CEDU e ii) di introdurre un sistema interno di ricorsi idoneo a riparare le violazioni in atto.
L’Olanda condannata a Strasburgo per una violazione procedurale dell’art. 2 CEDU in conseguenza delle mancate indagini sull’uccisione di un cittadino iracheno da parte di militari olandesi nel corso di una missione in Iraq.
Sentenza della Corte EDU (Grande Camera), 20 novembre 2014, rich. nn. 47708/11, Jaloud c. Olanda
Oggetto: Violazione procedurale dell’art. 2 CEDU – Ineffettività delle indagini da parte di uno Stato membro sull’uccisione di un cittadino straniero da parte di propri militari nel corso di una missione.
Il ricorrente, cittadino iracheno, è il padre di un soggetto ucciso da forze militari olandesi di stanza in Iraq. I militari, in particolare, avevano reagito al superamento del posto di blocco da parte di una macchina di cui lui era passeggero sparando all’indirizzo della medesima e cagionando così la morte del figlio del ricorrente. Il signor Jaloud lamenta la violazione procedurale dell’art. 2 CEDU, allegando la circostanza che l’indagine sulla morte del proprio congiunto, successiva all’avvenimento, non era stata caratterizzata da indipendenza ed efficacia.
La Corte accoglie la doglianza, rigettando le considerazioni del governo olandese che aveva eccepito la circostanza che la missione fosse sottoposta al comando degli Stati Uniti e del Regno Unito, in quanto “forze occupanti” ai sensi delle disposizioni internazionali, e che pertanto le eventuali responsabilità dell’accaduto fossero attribuibili solamente al personale di tali Paesi.
La Corte statuisce, nello specifico, che il solo fatto di essere sottoposti a direzione di un altro Stato nel corso di una missione non risulta sufficiente a sollevare un Paese contraente dall’osservanza degli obblighi su di esso gravanti in conseguenza dell’adesione alla Convenzione. Rilevano quindi i Giudici di Strasburgo che le indagini, svolte da organi militari, erano state carenti in quanto si erano limitate a recepire la tesi dei membri del contingente olandese protagonisti dell’accaduto, i quali avevano affermato di avere agito per legittima difesa, senza accertare se l’uso della forza risultasse davvero assolutamente necessario e proporzionato ai sensi dei principi derivanti dalla disposizione convenzionale.