La Corte Edu condanna l’Austria per non aver adottato misure adeguate per far rispettare l’ordine di ritorno di bambini nell’ambito della Convenzione dell’Aia
Sentenza della Corte Edu (Sezione Quinta), 21 settembre 2017, rich. nn. 53661/15, Sévère c. Austria
Oggetto: Rispetto della vita familiare – Mancata adozione di misure adeguate per far rispettare l’ordine per il ritorno dei bambini nell’ambito della Convenzione dell’Aia
Il ricorrente, il sig. Sévère, è un cittadino francese, che ha avuto due figli con C.B., cittadina francese e austriaca, con la quale vive in Francia. Nel dicembre 2008, a seguito di una controversia, C.B. ha lasciato la Francia per Vienna, portando con sé i due figli.
In Francia e in Austria si sono susseguiti diversi processi. In Francia, il procedimento per la custodia sui minori, in cui si è deciso che i genitori avrebbero avuto una custodia congiunta e che la residenza principale dei figli sarebbe stata con il padre, nonché diversi procedimenti penali contro C.B. per il sequestro di minori, a seguito dei quali la donna è stata condannata a un anno di reclusione. In Austria, il procedimento contro il ricorrente per abusi sessuali, successivamente archiviato, e quello contro C.B. per il sequestro di minori.
Sévère ha anche presentato in Austria un ricorso per il ritorno dei figli ai sensi della Convenzione dell’Aia, che è stato accolto dai giudici, i quali hanno emesso un ordine per il ritorno dei bambini, divenuto definitivo nell’ottobre 2009. Nel dicembre 2009, le autorità austriache hanno fatto un primo tentativo di far eseguire l’ordine di ritorno, ma non sono state in grado di rintracciare né la madre né i figli.
Nei successivi cinque anni e mezzo si sono susseguiti diversi procedimenti giudiziari all’esito dei quali i tribunali austriaci hanno, infine, rifiutato di far eseguire l’ordine di ritorno. In particolare, secondo i giudici, il ritorno in Francia sarebbe stato un trauma per i bambini, sia a causa della separazione dalla madre (che stava affrontando una pena detentiva in Austria), sia in quanto ormai si erano adattati bene a vivere in Austria.
Basandosi sull’art. 8 Cedu (diritto al rispetto della vita privata e familiare), il sig. Sévère ha quindi denunciato che le autorità austriache non avevano adottato tutte le misure necessarie che si potrebbero ragionevolmente prevedere per garantire il rapido ritorno dei figli, lamentando che le autorità non avevano fatto tentativi sufficienti per individuare i bambini e che non avevano adottato alcuno strumento coercitivo.
La Corte di Strasburgo nella sentenza in commento ha ammesso che una modifica delle circostanze pertinenti del caso potrebbe giustificare, eccezionalmente, la mancata esecuzione di un ordine di ritorno definitivo. Tuttavia, tenuto conto degli obblighi positivi dello Stato a norma dell’art. 8 e dell’obbligo generale di rispettare lo Stato di diritto, a giudizio della Corte Edu, i giudici nazionali avrebbero dovuto accertare che la modifica non fosse stata determinata dalla mancata adozione, da parte dello Stato, delle misure che avrebbero potuto ragionevolmente facilitare l’esecuzione dell’ordine di ritorno.
Una volta divenuto definitivo l’ordine di ritorno e accertato il mancato ottemperamento da parte della madre, i giudici nazionali avevano reagito rapidamente ordinando l’esecuzione dell’ordine e cercando la madre e i figli agli indirizzi noti. Tuttavia, dopo quel primo tentativo negativo, le autorità non avevano più intrapreso ulteriori azioni al fine di ottenere l’esecuzione del suddetto ordine. Secondo la Corte Edu, il governo austriaco non ha presentato ragioni convincenti in merito al perché i giudici nazionali non avessero preso in considerazione altre misure coercitive, che avrebbero potuto convincere la madre della necessità di rispettare l’ordine di ritorno.
Quasi cinque anni e mezzo dopo il ricorso iniziale, i giudici hanno infine deciso di non eseguire l’ordine di ritorno, sulla base del fatto che i bambini si erano adattati bene a vivere in Austria e la separazione dalla madre avrebbe rappresentato per loro un trauma. A giudizio della Corte di Strasburgo la modifica delle circostanze è stata dunque determinata, oltre che dal passare del tempo, principalmente dal comportamento delle autorità austriache, che non hanno adottato ulteriori misure coercitive per individuare la famiglia del sig. Sévère. Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude che il ricorrente non ha ricevuto una protezione efficace del suo diritto al rispetto della vita familiare, con conseguente violazione dell’art. 8 Cedu.
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La Corte Edu respinge il ricorso presentato avverso il mancato accesso ad una prova determinante, classificata come “informazioni riservate”, durante la revisione giudiziale di una decisione amministrativa.
Oggetto: Articolo 6 – Equo processo – Contraddittorio – Parità di armi – Divieto di accesso a informazioni classificate come riservate che costituiscono elementi decisivi nel procedimento di ricorso giurisdizionale
Nel settembre 2006 l’Ufficio nazionale per la sicurezza (NSO) ha deciso di revocare l’autorizzazione di sicurezza rilasciata al ricorrente per svolgere le sue funzioni di vice-ministro della difesa, per il fatto che egli era stato ritenuto un rischio per la sicurezza nazionale. Siffatta decisione tuttavia non conteneva alcun riferimento alle informazioni su cui si era basata, essendo state le informazioni in questione classificate come «riservate» e, quindi, in base alla legge non potevano essere divulgate.
Il NSO ha respinto il ricorso presentato in via amministrativa dal ricorrente per ottenere il riesame della decisione, confermando l’esistenza del rischio per la sicurezza nazionale.
Il ricorrente ha agito quindi in via giudiziale, ma anche in questa sede i giudici nazionali, a cui i documenti in questione erano stati trasmessi dal NSO, hanno respinto il ricorso, e ciò senza autorizzare la consultazione della documentazione riservata né al ricorrente né al suo avvocato. Anche i successivi ricorsi presentati al Tribunale amministrativo supremo, prima, ed alla Corte costituzionale, poi, sono stati respinti.
Invocando l’art. 6 Cedu, il ricorrente ha denunciato che il procedimento nel suo caso era stato ingiusto in quanto non aveva avuto accesso a un elemento decisivo di prova, classificato come riservato, che era stato messo a disposizione dei tribunali dal NSO.
A giudizio della Corte, invece, i giudici nazionali hanno esercitato debitamente le competenze di controllo a loro disposizione, sia per quanto riguarda la necessità di preservare la riservatezza dei documenti classificati, sia per quanto riguarda la giustificazione della decisione di revocare l’autorizzazione del ricorrente. I tribunali nazionali hanno infatti correttamente ritenuto che la divulgazione dei documenti classificati avrebbe potuto determinare la divulgazione dei metodi di lavoro del servizio di intelligence, rivelando le sue fonti d’informazione o portando a tentativi di influenzare eventuali testimoni. Essi avevano altresì spiegato come non era legalmente possibile indicare esattamente quali considerazioni deponevano per la sussistenza di un rischio per la sicurezza, considerazioni che derivavano esclusivamente dalle informazioni classificate. Secondo i giudici nazionali nei documenti classificati era stato ampiamente chiarito che il ricorrente non avrebbe più soddisfatto le condizioni legali per essere affidato all’incarico in precedenza ricoperto. La sua condotta, infatti, aveva comportato un rischio per la sicurezza nazionale, essendo questi indagato per la partecipazione alla criminalità organizzata, abuso di potere pubblico, turbativa d’asta e altri reati. Era comprensibile quindi che ove esistessero tali sospetti, le autorità ritenevano necessario intraprendere azioni rapide senza aspettare l’esito dell’inchiesta penale, al fine di impedire la scoperta, in una fase iniziale, di sospetti, che avrebbero rischiato di ostacolare l’indagine penale.
La Corte Edu riconosce sì che sarebbe stato auspicabile, per quanto compatibile con la conservazione della riservatezza e l’efficacia delle indagini, che le autorità nazionali avessero spiegato, anche se sommariamente, la portata delle accuse mosse contro il ricorrente. Ciononostante, a giudizio della Corte, nel caso di specie le limitazioni subite dal ricorrente nell’esercizio del diritto al contraddittorio e alla parità delle armi erano state bilanciati in modo tale che il giusto equilibrio tra le parti non è stato pregiudicato in misura tale da compromettere l’essenza stessa del diritto del ricorrente ad un equo processo. Di conseguenza, la Corte non ha ravvisato alcuna violazione dell’art. 6 Cedu.