Oggetto: articolo 2 (diritto alla vita), persona ricoverata in reparto psichiatrico, suicidio, responsabilità dello Stato, estensioni, obbligazioni procedurali.
La Corte ha statuito la violazione dell’articolo 2 sotto il profilo procedurale
La questione decisa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo riguarda il suicidio di un soggetto affetto da patologie psichiatriche comprovate, quali schizofrenia e depressione critica, aggravati da una dipendenza patologica dall’alcol e dai farmaci.
L’uomo in questione, la cui madre ha presentato il ricorso alla Corte, era stato più volte collocato in un ospedale psichiatrico pubblico; l’ultima volta si era ricoverato volontariamente, in seguito ad un tentativo di suicidio. L’ospedale era già a conoscenza dei molteplici pregressi tentativi di suicidio, tuttavia, il 27 aprile 2000, il paziente era riuscito a fuggire dall’ospedale per porre fine alla propria vita. La madre aveva agito in giudizio, senza successo, contro la struttura sanitaria (Hospital Psiquiátrico Sobral Cid-HSC), al fine di ottenere un risarcimento per la morte del figlio.
La questione è giunta alla Grande Camera su richiesta del Governo, poiché la IV Sezione della Corte Edu aveva stabilito la violazione dell’art. 2, sotto il profilo materiale: il personale dell’ospedale, alle prese con un paziente affetto da patologie mentali che aveva già tentato il suicidio ed incline a fuggire, avrebbe dovuto prendere delle precauzioni, per evitare che il paziente lasciasse la struttura, ed assoggettarlo ad una sorveglianza più attenta.
La Grande Camera, al contrario, non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 2 per quanto attiene al profilo materiale, ma ha statuito la violazione dell’articolo appena citato esclusivamente in merito al profilo procedurale.
Per quanto concerne il primo profilo i giudici di Strasburgo ritengono che il regime aperto, posto in essere dall’ospedale, aveva l’obiettivo di preservare il diritto del paziente di circolare liberamente. Il personale del servizio, ad ogni modo, assicurava una sorveglianza generale e personale dei pazienti sottopostisi volontariamente al trattamento: la procedura di sorveglianza applicata al soggetto in questione voleva, difatti, rispettare la vita privata, in conformità al principio secondo cui i pazienti devono ricevere un trattamento meno restrittivo possibile. Al contrario, un regime di sorveglianza più intrusivo sarebbe stato incompatibile con i diritti sanciti dagli artt. 3 (proibizione della tortura), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Edu, avendo il soggetto prestato il proprio consenso all’ospedalizzazione. Inoltre, il giorno della fuga, la procedura d’urgenza posta in essere dalla struttura fu ritenuta adeguata.
Altra questione sollevata dalla sentenza riguarda l’obbligazione generale delle autorità di adottare misure volte a proteggere i soggetti da rischi reali ed immediati di suicidio. Il soggetto, durante i 25 giorni precedenti, non aveva manifestato alcun atteggiamento preoccupante. Al contrario, l’ospedale gli aveva concesso un’ampia libertà di movimento al fine di rinforzare il suo senso di responsabilità e permettergli la reintegrazione nella società e nella propria famiglia. I giudici della Corte riconoscono l’impossibilità di prevenire totalmente un atto suicidario in un paziente come quello in questione, le cui decisioni non sono facilmente intuibili. Inoltre, l’obbligazione di prevenzione in capo alle autorità non deve costituire un «fardello insopportabile o eccessivo», afferma la Corte, qualora il rischio non sia prevedibile.
La violazione dell’art. 2 della Convenzione riguarda, perciò, esclusivamente il profilo procedurale, avendo avuto, la procedura interna, una durata di undici anni, due mesi e quindici giorni per concludere due gradi di giurisdizione. La Corte ha ritenuto la procedura eccessivamente lunga, tale da non costituire una durata ragionevole, e da non soddisfare l’esigenza che lo Stato ponga in essere un rapido ed effettivo controllo giudiziario delle violazioni eventuali dell’articolo 2.
***
Sentenza della Corte Edu (Sezione V) 10 gennaio 2019 rich. nn. 18925/15 Wunderlich c. Germania
Oggetto: art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), collocamento temporaneo di minori in struttura d’accoglienza, necessità in una società democratica, interesse superiore del minore.
La Corte non ha rilevato alcuna violazione dell’art. 8 per la collocazione temporanea in una casa-famiglia in seguito al rifiuto dei genitori di scolarizzare i figli
I ricorrenti, nella causa Wunderlich c. Germania, genitori di quattro figli, hanno adito alla Corte Edu perché contrari al sistema educativo tedesco e alla frequenza scolastica obbligatoria. Rifiutando, «deliberatamente e con insistenza», di delegare l’istruzione dei propri figli al sistema educativo statale, i coniugi persistevano nella scelta di offrire ai loro figli un’istruzione scolastica a casa. L’autorità competente in campo educativo concluse che i figli stavano vivendo in un “mondo parallelo”, senza alcun contatto con i loro coetanei, senza alcuna possibilità di partecipazione alla vita pubblica e comunitaria. Pertanto, si affermò che, la costante privazione di opportunità a partecipare ad una “vita normale”, danneggiava il superiore interesse dei minori (children’s best interests).
I ricorrenti, nonostante le sanzioni pecuniarie, non cambiarono la loro posizione, finché il tribunale (Family Court) il 6 settembre 2013 decise di limitare la responsabilità genitoriale, limitando il diritto a scegliere la residenza dei propri figli ed il diritto a prendere decisioni su questioni scolastiche, trasferendo dunque questi diritti all’assistenza sociale. Inoltre, il 29 agosto 2013, i minori furono collocati in una casa-famiglia, finché i genitori non permisero loro di frequentare la scuola dell’obbligo.
Nel caso descritto, i ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’art. 8 della Convenzione da parte delle autorità tedesche, le quali hanno interferito nel loro diritto al rispetto della vita privata, non solo limitando parzialmente la responsabilità genitoriale, ma soprattutto collocando i loro figli in una casa-famiglia per tre settimane. Questa decisione delle autorità, ritenuta ingiustificata, non tendeva alla protezione della salute, dei diritti e delle libertà dei minori, reputando così le interferenze non necessarie in una società democratica.
Non è la prima volta che la Corte Edu si pronuncia in tema di istruzione obbligatoria in Germania e afferma che la condotta dello Stato si dimostra in linea con la giurisprudenza della Corte stessa, oltre al fatto che le decisioni adottate rientrano nel margine di apprezzamento dell’ordinamento. L’obiettivo dell’obbligatorietà dell’istruzione, spiega la Corte, è quello di prevenire l’isolamento sociale dei figli ed assicurare la loro integrazione nella società, considerandole dunque giustificazioni rilevanti e bilanciate ad una limitazione parziale della responsabilità genitoriale. La V Sezione della Corte considera ragionevole il parere delle autorità, vale a dire che l’assenza da scuola e la convivenza con un ambiente familiare “simbiotico” avrebbero certamente danneggiato i minori. Le informazioni fornite alle autorità al momento della decisione, infatti, dimostravano l’isolamento e la mancanza di contatti al di fuori dell’ambiente familiare, nonché un rischio per l’integrità fisica dei figli.
La Corte, inoltre, ritiene che il processo decisionale sia stato svolto con le adeguate garanzie, assicurate a tutti i soggetti coinvolti. La dura decisione del tribunale interno è stata presa perché l’unica consona di fronte alla continua ostinazione dei genitori nel rifiutare l’istruzione obbligatoria statale: la Corte la considera dunque una «decisione ragionevole e proporzionata».
L’effettivo allontanamento dei minori non si è dimostrato eccessivo, né particolarmente rigido, secondo i giudici di Strasburgo, operando in favore degli interessi dei minori. Di conseguenza, la Corte Edu non ha rilevato alcuna violazione dell’art. 8, considerando l’intervento delle autorità interne un «equo bilanciamento tra l’interesse superiore dei minori e gli interessi dei ricorrenti».
***
Sentenza della Corte Edu (Sezione I) 24 gennaio 2019 rich. nn. 76577/13 Knox c. Italia
Per quanto concerne l’Italia, la Corte di Strasburgo, nel mese di gennaio, ha rilevato una violazione degli artt. 3 e 6 § 3 della Convenzione nel caso Knox c. Italia. Le violazioni accertate dai giudici del Consiglio d’Europa sono l’assenza di indagini in merito alle accuse di maltrattamenti perpetrati da parte della polizia, durante l’audizione, nei confronti di un soggetto in stato di shock. Inoltre, si accusa lo Stato italiano di non aver garantito un equo processo, non assicurando pienamente il diritto di difesa e l’assistenza gratuita di un interprete.
La Corte ha anche condannato l’Italia per violazione degli artt. 8 e 13 della Convenzione nel caso Cordella c. Italia, riguardante gli effetti nocivi dell’attività produttiva della società Ilva di Taranto.
Per un’analisi più dettagliata dei due casi italiani, si rimanda all’articolo di Emma Rizzato pubblicato in questa Rivista on-line il 24 gennaio 2019: Casi Amanda Knox e Ilva, dalla Cedu doppia condanna per l'Italia, http://questionegiustizia.it/articolo/casi-amanda-knox-e-ilva-dalla-cedu-doppia-condanna-per-l-italia_24-01-2019.php