La Corte Edu condanna l’Italia per il mancato riconoscimento legale delle unioni omossessuali in Italia di sei coppie sposate all’estero
Oggetto: Rispetto della vita familiare − Mancata trascrizione di matrimoni omosessuali contratti all’estero
Nel 2012 sei coppie omosessuali che avevano contratto matrimonio all’estero, hanno chiesto la registrazione dei loro matrimoni in Italia. La registrazione è stata rifiutata sulla base del fatto che l’ordinamento giuridico italiano non consentiva il matrimonio tra coppie dello stesso sesso. In particolare, di fronte alla Corte Edu i ricorrenti si sono lamentati in base agli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione), in combinato disposto con gli artt. 8 e 12 (diritto al matrimonio), del rifiuto delle autorità di registrare i loro matrimoni contratti all’estero.
La Corte ha osservato che gli Stati godevano di un ampio margine di apprezzamento in merito alla scelta di per consentire o meno la registrazione dei matrimoni omosessuali. Tuttavia, ha concluso che le coppie dopo il matrimonio all’estero non godevano di alcuna tutela nell’ordinamento italiano prima entrata in vigore della legislazione sulle unioni civili omosessuali e avevano bisogno di riconoscimento legale e protezione delle loro unioni.
A seguito della sentenza del 2015 nel caso di Oliari e altri c. Italia, il legislatore italiano ha sì provveduto a disciplinare le unioni civili in Italia, stabilendo che le coppie che avevano contratto matrimonio, unione civile o qualsiasi altra unione corrispondente all’estero potevano registrare la loro unione come unione civile ai sensi della legge italiana. Quest’ultima legislazione è tuttavia entrata in vigore nel 2017 e la maggior parte delle coppie ricorrenti ha potuto beneficiarne solo di recente.
La Corte ha dovuto stabilire unicamente se rifiuto di registrare il matrimonio dei ricorrenti sotto qualsiasi forma, prima che la nuova legislazione entrasse in vigore, e con il risultato di aver lasciato le coppie ricorrenti in un vuoto giuridico e prive di qualsiasi protezione, integrasse una violazione dei diritti di cui all’art. 8.
Il governo non aveva avanzato un interesse comunitario prevalente contro il quale bilanciare gli interessi dei richiedenti né indicato alcun obiettivo legittimo per la mancata registrazione dei matrimoni, facendo laconicamente appello all’ordine pubblico interno. Sennonché, a differenza di altre disposizioni della Cedu, l’articolo 8 non ha previsto la nozione di ordine pubblico come uno degli scopi legittimi nell’interesse del quale uno Stato potrebbe interferire con i diritti di un individuo. Tenendo presente che spetta principalmente alla legislazione nazionale stabilire le norme sulla validità dei matrimoni e trarne le conseguenze giuridiche, la Corte Edu aveva in precedenza accettato che la regolamentazione nazionale della registrazione del matrimonio potesse servire allo scopo legittimo della prevenzione di disordini interni. Il punto cruciale della causa era tuttavia che la situazione dei ricorrenti, fosse essa un’unione di fatto o un’unione di diritto riconosciuto ai sensi della legge di uno stato straniero, non era tutelata in alcun modo dal diritto nazionale.
Invero, il rifiuto di registrare i matrimoni dei ricorrenti non li privò di alcun diritto precedentemente riconosciuto in Italia e i ricorrenti potevano ancora beneficiare, nello Stato in cui contraevano il matrimonio, di qualsiasi diritto e obbligo acquisito attraverso tale matrimonio. Tuttavia, i dinieghi nazionali di riconoscere in Italia i matrimoni sotto qualsiasi forma, lasciando così i ricorrenti in un vuoto giuridico (prima delle nuove leggi), a giudizio della Corte, non teneva conto della realtà sociale esistente. In assenza di interessi comunitari prevalenti per giustificare il diniego di riconoscimento e, quindi, di protezione, lo Stato italiano non poteva ragionevolmente ignorare la situazione dei ricorrenti, che corrispondeva ad una vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Cedu, senza offrire loro un mezzo per salvaguardare la loro unione. Le autorità nazionali non avevano riconosciuto tale unione o fornito alcuna forma di protezione alle relazioni dei ricorrenti, a causa del vuoto giuridico esistente nella legislazione italiana. Ne consegue che lo Stato non era riuscito a trovare un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco e che le coppie omosessuali erano state lese nei loro diritti.
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La mancata esecuzione della sentenza che aveva disposto la graduale ripresa dei contatti tra nonni e nipoti costituisce violazione del diritto alla vita familiare
I ricorrenti, il sig. Enrico Beccarini e la sig.ra Rita Ridolfi, sono i nonni materni di tre bambini nati nel 2001, 2002 e 2004 a Bruxelles. Tra il 2003 e il 2004, avendo constatato l'incapacità della madre di svolgere il ruolo di genitore, il Tribunale di Bruxelles ha assegnato ai ricorrenti la custodia dei tre bambini che sono stati trasferiti in Italia e assistiti dai servizi sociali di Ferrara fino al 2010. I tre bambini hanno avuto varie difficoltà e problemi comportamentali legati alla separazione dalla madre.
Nel giugno 2012, i servizi sociali hanno inviato una relazione al Tribunale dei minori di Ferrara in cui si suggeriva di separare i bambini dai nonni a causa dell'impossibilità di quest’ultimi di prendersi cura dei nipoti, proprio per le difficoltà dei minori. Sicché l'11 giugno 2012, su richiesta dei servizi sociali, i bambini sono stati posti in un centro di accoglienza e sottoposti ad una procedura per verificare l'esistenza di uno stato di abbandono e la loro adottabilità. Da quella data, i ricorrenti non hanno mai più rivisto i nipoti fino al 2017. Con una decisione del 9 maggio 2014, il Tribunale ha ordinato una graduale ripresa dei contatti, nelle aree protette, tra i richiedenti e i minori, ma nel 2015 i servizi sociali hanno informato il Tribunale che nessun incontro con i ricorrenti aveva avuto luogo, essendo stata data priorità al ripristino dei legami dei figli con la madre, con la quale erano tornati a vivere.
In data 27 ottobre 2015, il Tribunale ha affidato la custodia dei figli ai servizi sociali con collocamento presso la madre e ha ordinato ai servizi sociali di organizzare incontri tra nonni e bambini, secondo le modalità più appropriato per gli interessi dei bambini. A maggio e ottobre 2016, i nonni si sono incontrati con i servizi sociali per chiedere notizie ai bambini e scoprire le modalità di riunione, senza avere alcuna notizia dei nipoti. Ad oggi, nonostante le numerose richieste dei ricorrenti, e nonostante le due decisioni giudiziarie del 2014 e del 2015, non sono stati organizzati incontri dai servizi sociali. I ricorrenti hanno potuto vedere i bambini una volta nell'aprile 2017 e una volta a maggio 2017, solo grazie all'accordo dato dalla madre.
Invocando l’art. 8 (diritto al rispetto della vita familiare) Cedu, i ricorrenti lamentano l'impossibilità di vedere i loro nipoti, adducendo che nessuna decisione giudiziaria aveva ordinato l'interruzione dei loro rapporti con i nipoti e che la sentenza del 27 ottobre 2015, che aveva ordinato l'organizzazione di incontri con i nipoti, non è stata eseguita.
Compito della Corte Edu è esaminare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che potevano essere ragionevolmente richiestegli per mantenere i legami tra i ricorrenti e i nipoti, nel rispetto degli obblighi positivi di cui all'art. 8 Cedu.
La Corte rileva che l'impossibilità per i ricorrenti di vedere i nipoti era la conseguenza della mancanza di diligenza delle autorità competenti. La Corte osserva che tra il 2014 e il 2017 i servizi sociali non hanno dato esecuzione alla decisione dell'autorità giudiziaria che autorizzava le riunioni e che non è stata presa alcuna misura per attuare il diritto di visita dei richiedenti. Sebbene la Corte sia consapevole del fatto che le misure per proteggere il minore possano comportare una limitazione dei contatti con i familiari, essa ritiene che, in questo caso, le autorità competenti non abbiano compiuto gli sforzi necessari per salvaguardare il legame familiare. Le decisioni emesse dal Tribunale nel 2014 e nel 2015 che concedono i diritti di visita ai nonni non sono mai state applicate, ed i ricorrenti non sono stati in grado di vedere i loro nipoti per ben cinque anni, nonostante avessero chiesto l'istituzione di un percorso di avvicinamento con i bambini. Ad oggi alcun progetto di riavvicinamento è stato istituito dai servizi sociali e gli unici due incontri sono avvenuti grazie al consenso della madre dei bambini.
Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che le autorità nazionali non abbiano compiuto sforzi adeguati e sufficienti per preservare i legami familiari tra i nonni ed i loro nipoti e che hanno violato il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare garantita dall'art. 8 Cedu.