La Corte Edu si pronuncia sul Caso Politkovskaja
Oggetto: violazione art. 2 Cedu – diritto alla vita – indagine efficace – uccisione su commissione di un giornalista investigativo
La sentenza in rassegna verte sull’omicidio di Anna Politkovskaya, la nota giornalista investigativa assassinata a Mosca nel 2006. Benché il mandante dell’omicidio non sia mai stato scoperto, nel 2014 cinque persone sono state condannate per l’omicidio della giornalista. Il Tribunale di Mosca ha accertato che l’omicidio è stato commesso da un gruppo organizzato a pagamento in relazione all’esercizio delle funzioni professionali e civiche della vittima, che, come noto, si occupava di inchieste concernenti la violazione dei diritti umani nella Repubblica cecena ed era molto critica della politica del presidente Putin.
Secondo Corte Edu, l’indagine condotta dalle autorità nazionali ha portato a risultati tangibili poiché ha determinato la condanna di cinque persone direttamente responsabili dell’uccisione. Tuttavia, quando si indagava su un omicidio su commissione, a giudizio della Corte, è necessario compiere sforzi investigativi al fine di identificare anche l’autore intellettuale del crimine, cioè la persona o le persone che avevano commissionato l’assassinio. Sotto questo profilo, la Corte osserva che le indagini delle autorità si erano concentrate su un’ipotesi riguardante l’identità della persona che aveva commissionato l’omicidio, vale a dire «un noto ex politico russo a Londra» deceduto nel 2013. Tuttavia, lo Stato convenuto non aveva spiegato perché l’inchiesta aveva scelto di concentrarsi per un considerevole numero di anni su quella singola linea di indagine, che era rimasta peraltro non supportata da prove tangibili. Inoltre, dato il lavoro di Anna Politkovskaya sul conflitto in Cecenia, le autorità investigative avrebbero dovuto esplorare le presunte implicazioni dei funzionari del Servizio di sicurezza federale o dell’amministrazione della Repubblica cecena. Ciò non è avvenuto e l’indagine sull’omicidio di Anna Politkovskaya non aveva integrato il requisito dell’adeguatezza.
Alla luce delle considerazioni sopra riportate, la Corte Edu ha quindi condannato la Russia per non aver «attuato le opportune misure investigative per identificare gli sponsor dell’omicidio» della giornalista. Più in particolare, lo Stato non ha adempiuto agli obblighi relativi all’efficacia e alla durata dell’indagine ai sensi della Cedu.
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La Corte Edu si pronuncia in tema di sfruttamento della prostituzione
Sentenza della Corte Edu (Sezione Prima) 19 luglio 2018, rich. n. 60561/14, S.M. v. Croazia
Oggetto: violazione art. 4 Cedu – tratta esseri umani – sfruttamento della prostituzione – mancanza di un’indagine efficace
La ricorrente, la sig.ra S.M., è una cittadina croata nata nel 1990 che ha presentato una denuncia penale nel settembre 2012, sostenendo che un uomo l’aveva costretta a prostituirsi per diversi mesi a metà del 2011. Ha affermato che l’uomo, un ex agente di polizia, l’aveva spinta a incontrare i clienti, l’aveva obbligata a dargli metà dei soldi che aveva guadagnato fornendo servizi sessuali e l’aveva minacciata di punirla se non avesse rispettato le sue richieste. Alla fine del 2012 l’uomo è stato incriminato e alla ricorrente è stato ufficialmente riconosciuto lo status di vittima della tratta di esseri umani. All’esito dell’indagine, l’uomo è tuttavia stato assolto, in quanto i tribunali hanno ritenuto che la testimonianza della ricorrente fosse incoerente e inaffidabile. Hanno quindi concluso che l’accusa non aveva fornito prove sufficienti per una condanna e che la ricorrente aveva prestato volontariamente i servizi sessuali.
Dopo aver riconosciuto che la tratta delle donne e lo sfruttamento della prostituzione rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 4 della Convenzione, la Corte si è soffermata sull’indagine condotta a seguito della denuncia della ricorrente, ravvisandone diverse carenze. Invero, le autorità non avevano intervistato alcuni testimoni chiave, compresi i clienti della ricorrente e altri individui che avrebbero potuto testimoniare sulla vera natura della sua relazione con l’imputato. Né avevano fatto alcun serio tentativo di indagare sulla accusa di minacce. Infine, non avevano valutato il possibile impatto del trauma psicologico sulla capacità di esporre in modo chiaro e coerente le circostanze del suo sfruttamento, etichettando la sua testimonianza come inaffidabile. Inoltre, accertando che la ricorrente aveva prestato volontariamente i servizi sessuali e non era stata coartato, i tribunali nazionali non avevano preso in considerazione il diritto internazionale in materia di tratta di esseri umani, compresa la Convenzione anti-tratta del Consiglio d’Europa, secondo cui il consenso della vittima è irrilevante.
Alla luce dei rilievi esposti, la Corte ha concluso che le autorità nazionali competenti non hanno adempiuto agli obblighi procedurali ai sensi dell’art. 4 della CEDU e ha condannato la Croazia a pagare alla ricorrente 5.000 euro a titolo di danno non patrimoniale.