La Corte europea condanna il Portogallo in ragione di una condanna penale al pagamento di una modica somma di denaro inflitta per il reato di diffamazione.
Sentenza della Corte EDU (Prima Sezione) 22 gennaio 2015, rich. nn. 26671/2009, Pinto Pinheiro Marques c. Portogallo
Oggetto: Violazione dell’art. 10 CEDU – Condanna per diffamazione al pagamento di una somma di denaro – Illegittimità – Importance level 2
Il ricorrente, sig. Pinto Pinheiro, in qualità di presidente di un’associazione culturale aveva siglato un accordo con il Comune di una città portoghese al fine di divulgare un’opera di un poeta locale. Dopo una prima pubblicazione di una raccolta di opere, curata dal ricorrente, una seconda collezione fu pubblicata per iniziativa dello stesso Municipio della città.
Il signor Pinheiro aveva quindi pubblicato un articolo fortemente critico in cui si era lamentato del fatto che le autorità municipali non si erano comportate correttamente pubblicando autonomamente le opere e, per tale articolo, egli era stato condannato in primo grado per diffamazione al pagamento di una somma di denaro.
La Corte d’appello, avverso la quale aveva presentato gravame il sig. Pinheiro, aveva confermato la sentenza di condanna, affermando che il diritto alla preservazione della reputazione dell’autorità pubblica sarebbe risultato prevalente su quello alla libertà di espressione.
Lamenta il ricorrente avanti ai giudici di Strasburgo che la condanna penale inflitta avrebbe leso il proprio diritto alla libertà d’espressione, garantito dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte accoglie il ricorso sulla base del fatto che le limitazioni previste dallo Stato Portoghese alle critiche poste in essere dal ricorrente tutelate dalla sanzione penale non risultavano necessarie in una società democratica, come richiesto dalla disposizione convenzionale, ed erano conseguentemente ingiustificate. Tale assunto, tra l’altro, sulla base del fatto che la critica concerneva un’autorità pubblica verso la quale in una società democratica essa deve considerarsi ammessa in ragione della sua utilità ai fini dell’informazione dell’opinione pubblica.
La Finlandia nuovamente condannata a Strasburgo per il doppio binario sanzionatorio (penale/amministrativo) in materia tributaria.
Sentenza della Corte EDU (Quarta Sezione) 27 gennaio 2015, rich. nn. 17039/13, Rinas c. Finlandia
Oggetto: Violazione dell’art. 4 Prot. n. 7 CEDU – Divieto del doppio binario sanzionatorio (penale/amministrativo) in materia tributaria – Sussistenza di bis in idem – Importance level 3
Il ricorrente, cittadino finlandese, era stato condannato al pagamento di alcune tasse addizionali su delle imposte evase nell’ambito di un procedimento amministrativo conseguente a irregolarità fiscali. Per le medesime condotte, era stato inoltre avviato un procedimento penale che aveva comportato la condanna del sig. Rinas alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle autorità fiscali.
Lamenta il ricorrente che il procedimento penale posto in essere nei suoi confronti sarebbe stato effettuato in violazione del divieto di bis in idem in quanto la soprattassa applicata sulle somme evase sarebbe già stata una sanzione “penale” ai sensi dell’art. 4 prot. 7 CEDU come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
I giudici di Strasburgo accolgono il ricorso, giudicando illegittimo il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria (penale e amministrativo) sulla base dei propri precedenti (cfr. tra le tanti sent. Nykanen c. Finlandia del 20 maggio 2014 e Lucky Dev c. Svezia del 27 novembre 2014) in cui la previsione del pagamento di tali soprattasse è stata ritenuta “sanzione penale” in ragione dell’afflittività delle medesime e dell’effetto di dissuasione che esse avrebbero nei confronti dei soggetti cui vengono applicate.
La Germania condannata per alcune affermazioni incriminanti contenute in una sentenza di assoluzione.
Sentenza della Corte EDU (Quinta Sezione) 15 gennaio 2015, rich. nn. 48144/09, Cleve c. Germania
Oggetto: Violazione dell’art. 6 CEDU – Diritto ad un equo processo – Sentenza di assoluzione in cui sono contenute affermazioni chiaramente attributive dei fatti contestati all’imputato – Importance level 3
Il ricorrente, cittadino tedesco, era stato assolto nell’ambito di un procedimento penale dall’accusa di avere abusato sessualmente di sua figlia.
All’interno della sentenza il giudice motivava l’assoluzione in base al difetto di prove sufficienti a fondare la penale responsabilità dell’imputato, anche se, in maniera parzialmente contraddittoria, veniva affermato che l’accusa nei suoi confronti avrebbe avuto una sufficiente base fattuale e che conseguentemente era emerso nel corso dell’istruzione che lo stesso aveva effettivamente abusato della piccola.
Lamenta il ricorrente che il tenore della sentenza di assoluzione, sostanzialmente confermativa dell’affermazione della sua responsabilità in ordine alle gravissime condotte di abuso sessuale che gli erano state contestate, avrebbe violato il diritto ad un equo processo garantito dall’articolo 6 CEDU.
La Corte accoglie il ricorso sulla base del fatto che dal tenore letterale della sentenza emergeva chiaramente la circostanza che il ricorrente fosse stato considerato dalla Corte responsabile dei comportamenti a lui contestati nonostante l’impossibilità di pronunciare condanna sulla base dei principi del diritto processuale tedesco.