L’Italia condannata a Strasburgo per alcuni maltrattamenti arrecati dalle forze dell’ordine ad un soggetto in stato di arresto.
Sentenza della Corte EDU (Seconda Sezione) 24 giugno 2014, rich. n. 15397/2011, Alberti c. Italia.
Oggetto: Violazione sostanziale e procedurale dell’art. 3 CEDU – Violenze nei confronti di persona in stato di arresto – Importance level 3
Il ricorrente, sig. Alberti, si doleva di essere stato aggredito da alcuni Carabinieri mentre si trovava in stato di arresto presso una Stazione ove era stato condotto in seguito ad un diverbio con il titolare di un bar. Trasferito presso il carcere di Verona, egli aveva raccontato al personale medico di essere stato picchiato dalle forze dell’ordine. L’esame condotto dal personale ospedaliero aveva rivelato la frattura di tre costole ed un ematoma al testicolo destro. L’indagine aperta dalla magistratura in ordine alle condotte tenute dai militari nei confronti del sig. Alberti si era conclusa con un’archiviazione. Il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 3 CEDU da un punto di vista sostanziale, quanto alle condotte tenute nei suoi confronti da parte delle autorità pubbliche, e procedurale, quanto all’assenza di un’indagine effettiva che fosse in grado di stabilire la verità dei fatti.
La Corte ritiene integrate entrambe le violazioni. In particolare, quanto alla prima, i Giudici di Strasburgo ribadiscono il proprio consolidato orientamento secondo il quale qualora un soggetto manifesti di aver subito lesioni dell’integrità fisica mentre si trova sotto il controllo delle autorità statali, sorge a carico dello Stato medesimo una presunzione di responsabilità per vincere la quale il Governo deve fornire adeguate spiegazioni, che tuttavia nel caso di specie non erano state fornite. Quanto alla seconda, la Corte ritiene sussistente la responsabilità dello Stato italiano sulla base prematuro e immotivato provvedimento di archiviazione, che aveva fatto seguito ad indagini superficiali comportanti la responsabilità dello Stato italiano anche per non aver adempiuto all’obbligo positivo gravante in capo ad esso di accertare la verità sulle lesioni patite dal ricorrente.
La Corte giudica in ordine al rispetto dell’art. 8 CEDU da parte della Svizzera in conseguenza di un provvedimento di espulsione.
Sentenza della Corte EDU (Seconda Sezione) 24 giugno 2014, rich, nn. 32493/08, Ukaj c. Svizzera
Oggetto: Non violazione dell’art. 8 CEDU – Espulsione e rispetto della vita privata e familiare – Importance level 3
Il ricorrente è un cittadino kosovaro residente in Svizzera dal 1998 e coniugato con una cittadina svizzera. A causa di alcuni crimini commessi dopo essere entrato nel territorio, egli venne condannato a due anni e mezzo di reclusione e conseguentemente espulso in base alla regola secondo la quale lo straniero che viene condannato ad una pena superiore a due anni di reclusione può essere espulso anche se coniugato con un cittadino. Lamenta il ricorrente che il provvedimento di espulsione ledeva l’art. 8 in considerazione del fatto che egli risultava sposato e integrato nel territorio ove risiedeva.
La Corte non ritiene sussistente la violazione sulla base della circostanza che l’integrazione nel territorio non risultava essere stata in alcun modo dimostrata dal ricorrente e che il matrimonio era stato contratto da questi mentre era in carcere con successivo divorzio poco prima del rientro in Kosovo in ottemperanza al provvedimento di espulsione. I giudici di Strasburgo ritengono pertanto che la limitazione imposta dalle autorità svizzere risulti necessaria e giustificata sulla base di quanto previsto dalla disposizione convenzionale.
Filiazione all’estero, riconoscimento della genitorialità e rispetto della vita privata e familiare
Sentenze della Corte EDU (Quinta Sezione) 26 giugno 2014, rich, nn. 65192/11 e 65941/11, Mennesson c. Francia, Labassee c. Francia
Oggetto: Violazione dell’art. 8 CEDU – Riconoscimento della filiazione realizzatasi all’estero mediante procedure non consentite dall’ordinamento interno – Importance level 2
Le due sentenze in oggetto concernono i ricorsi presentati da marito e moglie avverso il mancato riconoscimento di una filiazione avvenuta negli Stati Uniti d’Amedica mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita. Le autorità francesi non avevano infatti trascritto il riconoscimento della genitorialità conferito dalle autorità americane in conformità alla legislazione interna sulla base del fatto che le tecniche adottate dai ricorrenti risultavano non consentite dalla legge francese. Lamentano i ricorrenti la violazione dell’articolo 8 CEDU in proprio, in quanto il provvedimento avrebbe violato il rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti, ed in quanto rappresentanti legali dei figli, poiché tale decisione non avrebbe tutelato il superiore interesse del minore a vedersi riconosciuti i diritti connessi allo status di figli.
La Corte europea ritiene integrata solamente la seconda delle violazioni allegate dai coniugi. Con riguardo alla prima, infatti, i giudici di Strasburgo ritengono giustificata l’ingerenza da parte delle autorità giudicando i motivi posti a base della stessa, fondata su motivi di ordine pubblico, non soccombenti rispetto all’interesse dei genitori maggiorenni a vedere riconosciuto il proprio ruolo di padre e madre. La stessa argomentazione non viene invece sostenuta dalla Corte per quanto concerne la seconda violazione allegata in quanto, con riferimento ai diritti dei minorenni conseguenti alla nascita, l’ingerenza non risulta giustificata prevalendo l’interesse di costoro al rispetto della propria identità quali essere umani ed al riconoscimento certo della genitorialità, valori che risulterebbero compromessi da provvedimenti delle autorità francesi in senso distonico rispetto a quanto statuito sulla base delle leggi americane.