UDIENZE
La Grande Camera della CEDU ha tenuto una udienza nel mese di febbraio 2013, relativamente al caso Janowiec and others v. Russia (no. 55508/07, 29520/09), trattato il 13 febbraio. Il caso riguarda un ricorso di 15 cittadini polacchi, parenti delle vittime del massacro di Katyn del 1940, che lamentano l'inadeguatezza delle indagini da parte delle autorità russe.
E' opportuno rievocare i fatti storici. Dopo la seconda guerra mondiale vennero trovate in Polonia nelle fosse comuni i corpi di oltre 21mila soldati polacchi. Per molto tempo si pensò che si trattasse di vittime dei militari tedeschi, ma si scoprì molto tempo dopo che erano soldati catturati dopo l'invasione dell'Armata Rossa della Repubblica di Polonia nel Settembre 1939, quindi portati nei campi sovietici o prigioni e poi uccisi dalla polizia segreta sovietica senza processo, nell'aprile e maggio del 1940, e sepolti in fosse comuni nella foresta di Katyn vicino Smolensk, e anche nei villaggi e Pyatikhatki Mednoye.
Le indagini sugli omicidi di massa furono avviati solo nel 1990. Il procedimento penale durò fino al 2004, quando si decise di interrompere le indagini sulla base di decisione rimasta classificata fino ad oggi. I ricorrenti non hanno avuto accesso a tal decisione, essendo stato opposto il segreto di Stato anche inanzi ai tribunali, né hanno potuto accedere per la stessa ragione a qualsiasi altra informazione sulle indagini sul massacro. Solo nel novembre 2010 la Duma russa ha approvato una dichiarazione sulla "tragedia di Katyń", in cui ha ribadito che lo"sterminio di massa di cittadini polacchi nel territorio dell'URSS durante la seconda guerra mondiale "era stato effettuato su ordine di Stalin e che era necessario continuare a "verificare gli elenchi di vittime, ripristinando il buon nome di coloro che sono morti a Katyn e in altri luoghi, e scoprire le circostanze della tragedia".
Invocando gli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (trattamenti disumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, i ricorrenti lamentano il fatto che le autorità russe non hanno effettuato un'indagine efficace sulla morte dei loro parenti, e stigmatizzano un atteggiamento sprezzante delle autorità verso tutte le loro richieste di informazioni sulla sorte dei loro parenti. Il caso ha posto interessanti questioni preliminari di ammissibilità del ricorso in relazione alla a questione della competenza temporale della Corte, essendosi posto il problema se la Corte possa esaminare l'adeguatezza di un'indagine relativa ad eventi che si sono verificati prima che la Russia abbia ratificato la Convenzione (e addirittura prima della firma della Convenzione medesima).
La Corte, a sezione semplice, ha dichiarato ricevibile il ricorso e, all'esito dell'udienza del 6 ottobre 2011 ha pronunciato sentenza, ravvisando nel caso la violazione dell'art. 3 della Convenzione, e qualificando quali trattamento disumano e degradante quello inferto ai parenti delle vittime per il modo in cui le autorità russe avevano reagito alle loro richieste, ritenendo per converso -a maggioranza- di non poter esaminare la dedotta violazione dell'art.2 (norma che sancisce, secondo la giurisprudenza, un obbligo di indagare sui casi di perdita della vita) in relazione all'inadeguatezza delle investigazioni sul massacro.
Il 24 settembre 2012, a seguito di “referral” dei ricorrenti, la causa è stata rinviata dal Panel alla Grande Chambre ed il 13 febbraio 2013 si è tenuta l'udienza innanzi a questa.
SENTENZE
Nella sentenza della Grande Camera del 7 febbraio 2013, nel caso Fabris contro Francia (ricorso n. 16574/08), la Corte ha ritenuto ingiustificato e discriminatorio il rifiuto di concedere diritti di successione a un figlio adulterino, ravvisando violazione dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 1 del Protocollo n ° 1 (protezione della proprietà).
Il problema in particolare riguardava l'impossibilità di beneficiare della parificazione stabilita tra figli legittimi ed adulterini dalla legge nazionale del 2001, in ragione dell'irretroattività della stessa e dell'applicabilità della stessa solo alle divisioni successive alla sua entrata in vigore.
La Corte ha ritenuto legittimo lo scopo perseguito dal legislatore di salvaguardare i diritti acquisiti dagli eredi al momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, ma ha ritenuto non proporzionata la discriminazione in relazione a casi, come quello di specie, in cui gli eredi erano a conoscenza delle pretese, pendenti giudizialmente al tempo di entrata in vigore delle nuove disposizioni, di altri figli adulterini.
Nella sentenza della Grande Camera del 19 febbraio 2013 (X et al. c. Austria, ric. n 19010/07), la Corte ha ritenuto discriminatoria la mancanza di accesso all'adozione per le coppie omosessuali.
Nel caso, due donne che vivevano insieme in una relazione stabile omosessuale lamentavano il rifiuto dei giudici austriaci di accogliere la richiesta di una di loro di adottare il figlio dell'altra senza rottura del legame giuridico tra madre e figlio (adozione co-genitoriale).
La Corte ha rilevato intanto che il diritto austriaco consente l'adozione cogenitoriale a coppie eterosessuali non sposate: infatti, il codice civile autorizza il genitore all'adozione e alcuna disposizione osta a che uno dei membri di una coppia non sposata eterosessuale adotti il figlio dell’altro senza rompere il legame di filiazione tra questi. Per converso, è giuridicamente impossibile per una coppia omosessuale di fare una adozione co-genitoriale, in quanto il codice civile prevede che l'adottante sostituisce il genitore biologico dello stesso sesso. In questo contesto, secondo la sentenza, il governo austriaco non ha fornito alcuna prova che sarebbe dannoso per un bambino essere allevato da una coppia gay o avere due madri legalmente o due padri, tanto più che la legge austriaca permette l'adozione da parte di una sola persona, anche gay (salvo, se questa vive con un partner registrato, la necessità del consenso di quest'ultimo).
Pertanto, ha osservato la Corte, lo stesso legislatore austriaco riconosce che un bambino può crescere in una famiglia basata su una coppia omosessuale, riconoscendo che la situazione non è dannosa per il bambino.
In sintesi, la Corte ha ritenuto che il Governo non ha fornito motivazioni convincenti a dimostrare che l'esclusione delle coppie dello stesso sesso dal campo di adozione co-genitoriale, aperto a coppie eterosessuali non sposate, sia volta a proteggere la conservazione della famiglia tradizionale o la tutela degli interessi del minore.
Ne deriva la discriminatorietà della distinzione operata dalla legge austriaca, e dunque la violazione dell'articolo 14, in combinato disposto con l'articolo 8.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha concluso, quindi, a maggioranza, la violazione dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo a causa della differenza di trattamento subito dai ricorrenti a confronto con la situazione garantita ad una coppia eterosessuale non sposata, uno dei cui membri abbia voluto adottare un bambino, e, all'unanimità, la non violazione dell'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 8, ove si confronta la situazione dei ricorrenti con quello di una coppia sposata da membri ciascuno dei quali ha voluto adottare il figlio dell'altro.
La sentenza è stata commentata sulla Rivista da Roberto Conti.