1. La sentenza in rassegna, nella parte in cui dichiara l’adozione da parte di una donna, ai sensi dell’art. 44, lett. d., l. 4.5.1983, n. 184 (d’ora innanzi, per brevità, anche solo “l. ad.”), della figlia della propria convivente, si inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza di merito[1] e di legittimità[2] favorevole alla cosiddetta “step-child adoption”.
Con questa espressione – che letteralmente significa “adozione del figliastro” - si vuole sinteticamente indicare l’adozione del figlio del partner, in applicazione del citato art. 44, lett. d), l. ad., a mente del quale «i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7: (…omissis…) d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo».
La “step-child adoption” viene solitamente in rilievo in presenza di coppie omosessuali; non è escluso, tuttavia, che ad essa possano fare ricorso anche le coppie eterosessuali, non legate da vincolo matrimoniale.
L’istituto è oramai da diversi anni al centro di un intenso dibattito giurisprudenziale e dottrinale, che ruota attorno alla “genitorialità sociale”, intesa come forma di genitorialità disgiunta da quella biologica; all’interno di tale dibattito si collocano anche le questioni relative alla trascrizione nell’atto di nascita della doppia maternità o paternità e alla maternità surrogata.
Si tratta, a ben vedere, di questioni assai diverse tra loro, che, spesso, vengono – più o meno consapevolmente – confuse e sovrapposte, e che, tuttavia, hanno come comune denominatore la finalità di assicurare un adeguato sistema di tutele giuridiche, da un lato, alle coppie omosessuali desiderose di portare a compimento un progetto genitoriale e, dall’altro, al minore che di quel progetto costituisce il compimento.
2. Il caso in esame riguarda due donne che, dopo essersi conosciute ai tempi dell’Università, decidono di intraprendere una relazione sentimentale, poi sfociata in una stabile convivenza.
Poiché intendono sperimentare la maternità, entrambe si rivolgono ad un centro di medicina riproduttiva in Belgio.
Una delle due dà alla luce una bambina; a distanza di alcuni anni, anche l’altra mette al mondo due gemelli maschi.
Entrambe si dedicano alla cura e alla crescita dei tre minori, instaurando con gli stessi un solido legame affettivo.
La bimba, in particolare, chiama ciascuna di loro “mamma”, talvolta aggiungendo il nome di ciascuna per distinguerle.
Al fine di ottenere un riconoscimento giuridico del legame con la figlia della propria compagna, la donna chiede al Tribunale per i minorenni la pronunzia dichiarativa dell’adozione ai sensi dell’art. 44, lett. d) l. ad.
Inoltre, la donna chiede al medesimo Tribunale che venga costituito il rapporto di parentela tra i propri figli e l’adottanda ai sensi dell’art. 74 c.c.
Il Tribunale, dopo aver svolto le opportune indagini attraverso gli operatori dei Servizi Sociali, accoglie entrambe le domande, dichiarando la minore figlia adottiva della compagna della madre e riconoscendo il vincolo di parentela di secondo grado tra l’adottata e i figli dell’adottante.
3. Un primo aspetto da analizzare riguarda la parte della sentenza nella quale si fa applicazione dell’art. 44, lett. d) l. ad.
Sotto questo profilo la decisione in rassegna si distingue per la completa ricognizione dell’istituto alla luce della normativa vigente e della relativa interpretazione giurisprudenziale.
Dopo aver delineato i tratti essenziali dell’adozione «piena o legittimante», il Collegio si sofferma ad analizzare la disciplina riservata dal legislatore all’adozione “in casi particolari”[3].
In particolare, all’art. 44, comma 1, lett. d) l. ad., è riconosciuta l’adozione di minori «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo».
Sul significato della locuzione «impossibilità di affidamento preadottivo» la giurisprudenza è passata da un’interpretazione restrittiva, in base alla quale si doveva fare riferimento a situazioni di minori “in stato di abbandono”, di fatto rimasti senza proposte adottive, ad esempio perché affetti da patologie psichiatriche o fisiche invalidanti (impossibilità “di fatto”), ad un’interpretazione più estensiva, comprensiva delle ipotesi in cui non vi è uno stato di abbandono e, tuttavia, si rende opportuno procedere all’adozione per una migliore tutela dell’interesse del minore (impossibilità “di diritto”)[4].
Proprio muovendo da quest’ultima interpretazione, la giurisprudenza di merito è giunta a riconoscere la possibilità di adozione del minore nell’ambito di una coppia omosessuale[5]. Tali conclusioni hanno ricevuto l’avallo autorevole della giurisprudenza di legittimità[6].
Gli approdi giurisprudenziali in tema di adozione di minore da parte di coppia omosessuale sono stati tenuti in considerazione anche da parte del legislatore, che, in tempi recenti, ha disciplinato le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
In particolare, all’art. 1, comma 20 l. 20.5.2016, n. 76 viene enunciata la regola generale per cui il termine «coniuge» deve essere equiparato all’ «unito civilmente».
Tale regola non si applica alle disposizioni contenute nella legge sull’adozione.
Ciò vuol dire che all’unito civilmente non può estendersi la disciplina contenuta all’art. 44, comma 1, lett. b) l. ad., che consente l’adozione del minore da parte del coniuge.
E tuttavia, la clausola di salvaguardia contenuta nel medesimo articolo («Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti») sta a significare che è fatto salvo quanto consentito dalla giurisprudenza in tema di “step-child adoption”.
4. La seconda parte della sentenza in esame affronta la questione relativa alla possibilità di riconoscere il vincolo di parentela tra l’adottando e i figli dell’adottante.
La norma di riferimento è costituita dall’art. 74 c.c. che, nella sua formulazione attuale, introdotta a seguito delle modifiche operata dall’art. 1 l. 10.12.2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), così recita: «La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti».
L'art. 1, l. n. 219/2012 ha sostituito alla versione originaria dell’art. 74 c.c. una disposizione che si pone maggiormente in linea con l'esigenza di garantire la piena eguaglianza tra i figli, nel rispetto degli artt. 2, 3 e 30 Cost., sì da riconoscere che il vincolo di parentela si stabilisce tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia per il caso in cui la filiazione sia avvenuta al di fuori del matrimonio, sia per il caso in cui la filiazione sia avvenuta in costanza di matrimonio, sia, infine, in caso di filiazione adottiva.
L'art. 74 c.c., per questa via, così come riformulato, permette la piena attuazione del principio di eguaglianza tra i figli, qualsivoglia sia il titolo della filiazione.
In armonia coi principî generali, tuttavia, tale norma ribadisce che il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori d'età.
L’art. 300, comma 2 c.c., infatti, stabilisce che l’adozione del maggiore di età «non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge».
Ora, la dottrina si è chiesta se l'inciso contenuto nell’art. 74 c.c., secondo il quale il vincolo di parentela «non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli artt. 291 ss. cod. civ.» sia, in realtà, da riferire anche ai casi di adozione "in casi particolari" prevista dall'art. 44, l. ad., atteso il richiamo posto dall'art. 55 l. cit. all’art. 300 c.c.
Parte degli Autori afferma che l'esclusione del vincolo di parentela sia da ritenere estesa anche ai casi di adozione in "casi particolari" ex art. 44 l. ad., stante la sostanziale identità, quanto agli effetti, della disciplina tra adozione dei maggiorenni e adozione in casi particolari; la contraria soluzione comporterebbe l'abrogazione del combinato disposto dell'art. 55, l. n. 184/1983 e delle norme del codice civile da esso richiamate, abrogazione di cui non vi è traccia nella legge che, se così interpretata, finirebbe per stravolgere gli effetti dell'adozione in casi particolari, che verrebbe equiparata a quella ordinaria[7].
La dottrina maggioritaria, invece, ritiene arbitrario estendere l'eccezione disposta dall'art. 74 c.c. anche agli adottati in "casi particolari", in quanto il legislatore avrebbe, comunque, inteso riferirsi a costoro riconoscendo l'insorgenza del vincolo di parentela verso i "figli adottivi" ed escludendo esplicitamente solo gli adottati maggiori di età[8].
Secondo questa impostazione, il nuovo art. 74 c.c. si presta ad essere letto nel senso di un suo superamento, non essendo irragionevole, vista la diversa funzione delle adozioni del maggiorenne e del minore, sia pur in casi particolari, una diversa estensione degli effetti dell'una e dell'altra nei confronti dei parenti[9].
In questo scenario si colloca la decisione in commento che riconosce la sussistenza del vincolo di parentela tra il minore adottato ed i figli dell’adottante.
In particolare, il Tribunale ritiene che la l. n. 219/2012 abbia operato un'abrogazione tacita dell'art. 55 l. ad. nella parte in cui richiama l'art. 300, comma 2, c.c., ultimo periodo, soprattutto per ragioni di ordine sistematico e di armonia formale.
La soluzione dell’abrogazione tacita del precetto ostativo alla sussistenza di rapporti di parentela tra adottato e genitori dell’adottante viene fatta discendere, in primo luogo, dal principio della unicità di status affermato dalla l. n. 219/2012. Secondo il Collegio bolognese, una diversa interpretazione creerebbe un “ingiustificato doppio binario” tra adottati con adozione piena o legittimante (per i quali non opera il divieto di rapporti di parentela con i parenti dell’adottante) e adottati con adozione in casi particolari, con la conseguenza che verrebbe ad essere frustrata la ratio della novella sulla filiazione che è quella di eliminare ogni tipo di discriminazione tra i figli.
Inoltre, ove non fosse consentito un riconoscimento del vincolo di fratellanza con i figli dell’adottante, gli adottivi vivrebbero una distorsione tra la realtà fattuale e la realtà giuridica, con pregiudizio del principio del best interest e del principio di ragionevolezza.
5. La soluzione offerta dal Tribunale di Bologna in ordine all’applicazione ai figli adottivi ex art. 44, comma 1 lett. d, l. ad. non appare condivisibile per almeno due diversi ordini di ragioni.
La prima attiene al criterio dell’abrogazione tacita utilizzato per risolvere l’apparente antinomia tra l’art. 74 c.c. e l’art. 55 l. ad.
Come noto, tra i modi tipici e tradizionali attraverso i quali si realizza l'effetto estintivo dell'efficacia di una norma di legge in virtù di altra norma successiva (cosiddetta “abrogazione”)[10], si distingue tra dichiarazione tacita e dichiarazione espressa.
Se quell'effetto deriva da apposita dichiarazione contenuta nella legge successiva si parla di abrogazione espressa; si ha, invece, un’abrogazione tacita «per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia regolata dalla legge anteriore» (art. 15 disp. prel. c.c.).
Ora, non pare che tra la norma introdotta con la l. n. 219/2012 e la norma contenuta nell’art. 55 l. ad. si sia verificato un fenomeno di abrogazione tacita nei termini sopra indicati.
Innanzitutto, la l. n. 219/2012, intitolata Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, non ha, di certo, inteso regolare la materia dell’adozione, disciplinata dalla legge del 1983.
Inoltre, neppure si ravvisa una “incompatibilità” tra le due disposizioni.
L’una, infatti, fa discendere il vincolo di parentela da una nozione ampia di “filiazione”, comprensiva non solo della filiazione legittima, ma anche della filiazione naturale e della filiazione adottiva.
L’altra, invece, nel disciplinare l’adozione in casi particolari, richiama alcune disposizioni relative all’adozione di maggiore d’età, tra le quali quella contenuta nell’art. 300, comma 1 c.c. («l’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante»), che viene espressamente esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 74 c.c.
Piuttosto, dall’esame delle due disposizioni a confronto risulta confermato un modello che vede come regola generale quella per cui l’adozione costituisce un vincolo di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante (art. 74 c.c.); l’eccezione è costituita dall’adozione del maggiore d’età (art. 300 c.c.) e dall’adozione in casi particolari (art. 55 l. ad.), che non comportano quale effetto la costituzione di un vincolo siffatto.
Questa impostazione, del resto, è condivisa nella relazione allo schema di decreto legislativo, volto a dare attuazione alla delega contenuta nella l. 10.12.2012, n. 219, recante Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, nella quale si legge: «il primo comma dell'articolo 2 della legge delega stabilisce che deve essere eliminata ogni discriminazione tra figli, "anche adottivi". Il riferimento ai figli adottivi, contenuto nella disposizione, deve essere inteso in relazione alla così detta adozione "piena", cioè all'adozione dei minori di età che, ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 184/1983, per effetto dell'adozione acquistano lo stato di figlio "legittimo" (da ora "nato nel matrimonio") degli adottanti. Il legislatore delegante ha, infatti, espressamente escluso dalla equiparazione gli adottati maggiori di età, di cui agli articoli 291 e ss. c.c. , nei confronti dei quali, ai sensi dell'articolo 74 c.c., come novellato dalla citata legge delega non sorge alcun vincolo di parentela con i parenti degli adottanti. (…omissis…) Quanto alla posizione dei minori adottati ai sensi dell'articolo 44 della legge n. 184/1983, che disciplina l'adozione in casi particolari, in questa ipotesi è la stessa legge, che richiama, all'articolo 55, le norme del codice civile che disciplinano l'adozione dei maggiori di età (in particolare gli artt. 293, 294, 295, 299, 300 e 304), evidenziando l'analogia tra gli istituti, che trova il suo fondamento nella conservazione, anche nell'adozione in casi particolari, dei legami tra adottato e famiglia di origine».
D’altro canto, ove si accedesse alla tesi dell’abrogazione tacita, si finirebbe con l’attribuire al novellato art. 74 c.c. una portata che va ben oltre le intenzioni del legislatore.
Si ritiene, infatti, tra i commentatori che la norma debba essere letta in combinato con l’art. 315 c.c. («tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico»), nel senso che tutti i figli (sia quelli nati nel matrimonio, sia quelli nati fuori dal matrimonio, sia, infine, una parte di quelli adottivi) allacciano sempre rapporti di parentela con ascendenti e collaterali.
Il legislatore ha, però, tenuto conto dell’esistenza nell’ordinamento di modelli di adozione diversi da quella “piena” o “legittimante” rispetto ai quali si pone l’esigenza non già di riconoscere il vincolo con i parenti dell’adottante, ma, piuttosto, di preservare i rapporti con il nucleo familiare di origine dell’adottato.
In questo quadro, è, perciò, da escludere che il legislatore abbia voluto riconoscere all’art. 74 c.c. l’effetto di abrogazione tacita di una disposizione extracodicistica (quale è l’art. 55 l. ad.), nella parte in cui si disciplina uno dei tratti caratterizzanti l’istituto dell’adozione in casi particolari.
E che non si possa far questione di abrogazione tacita nella materia in esame lo si ricava indirettamente dal fatto che, per finalità di coordinamento e di armonizzazione del sistema, il legislatore, all’art. 2 della l. n. 219/212, ha delegato al Governo l’adozione di uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'articolo 30 della Costituzione.
6. Un ulteriore aspetto critico della decisione in esame merita di essere adeguatamente illustrato, con riguardo alla competenza del Tribunale per i minorenni a decidere sulla domanda di riconoscimento della parentela tra adottato e figli dell’adottante.
Come si è detto, il Tribunale dedica la seconda parte della sentenza alla questione relativa all’applicabilità dell’art. 74 c.c. nell’ipotesi di adozione in casi particolari.
La risoluzione della questione è strumentale rispetto alla decisione sull’ulteriore domanda avanzata dalla ricorrente di dichiarazione del vincolo di parentela tra i figli della medesima ed il minore adottando.
Orbene, il Tribunale afferma che la competenza a decidere su tale domanda deriverebbe dal combinato disposto degli artt. 38 disp. att. c.c. e 277 c.c.; invece, per quanto concerne il legame di parentela rispetto agli ascendenti la competenza sarebbe riservata in via esclusiva al Tribunale ordinario.
Questa conclusione, tuttavia, non appare per nulla convincente.
L’art. 277 c.c. disciplina gli effetti della sentenza dichiarativa della filiazione e, in particolare, al comma 2, prevede che il giudice possa emanare i provvedimenti ritenuti utili «per l’affidamento, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui».
Da una piana lettura della norma si ricava che non sono in essa ricompresi i provvedimenti relativi al riconoscimento del vincolo di parentela ex art. 74 c.c.
Detti provvedimenti, peraltro, non risultano neppure tra quelli che l’art. 38 disp. att. c.c. riserva alla competenza del Tribunale per i Minorenni.
Al riguardo, giova ricordare che la disposizione testé citata, al comma 2, attribuisce al Tribunale ordinario la competenza ad emanare «i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria».
Non si vede, dunque, in base a quale criterio normativo possa ritenersi radicata in capo al Tribunale per i Minorenni la competenza a decidere sulla domanda di riconoscimento del vincolo di parentela con i figli dell’adottante.
Ancor meno si comprende il fondamento della competenza giurisdizionale “a geometria variabile” affermata nella sentenza che si annota. Ed, invero, con motivazione apodittica, il Collegio bolognese, da un lato, si ritiene competente a decidere sulla domanda di riconoscimento del vincolo di parentela tra fratelli, dall’altro, declina a favore del Tribunale ordinario la competenza a decidere sulla domanda relativa ai rapporti con gli ascendenti.
Più correttamente, il Tribunale minorile avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare l’adozione ex art. 44 lett. d) della minore, dichiarandosi incompetente sulle ulteriori domande.
7. Un’ultima considerazione può essere svolta a conclusione di queste brevi note.
Pur con le criticità sino ad ora segnalate, la sentenza in commento ha il merito di porre all’attenzione dell’interprete una questione di indubbio rilievo.
La questione è quella relativa alla compatibilità con il nostro ordinamento della persistente vigenza – pur dopo l’entrata in vigore della l. n. 219/2012 - di una norma (quella posta, cioè, dall’art. 55 l. ad.), che esclude l’instaurazione del vincolo di parentela tra adottato e parenti dell’adottante, nell’ipotesi di adozione “in casi particolari”.
Scartata la via dell’abrogazione tacita per le ragioni sopra indicate, l’unica strada percorribile per eliminare tale disposizione, potenzialmente in contrasto con gli artt. 3 e 30 Cost., rimane quella del giudizio di costituzionalità.
Non vi è spazio per un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma in questione.
Invero, il dato letterale contenuto nell’art. 300 c.c., cui fa richiamo l’art. 55 l. ad. – («L’adozione non induce alcun rapporto tra l’adottato e i parenti dell’adottante») – è talmente chiaro e perentorio da ostacolarne un’interpretazione conforme alla Carta fondamentale[11].
Non resta, dunque, che sollevare alla Corte la questione di costituzionalità della norma che, con particolare riferimento al caso della “step-child adoption”, si rivela irragionevole: se la ratio del divieto posto dall’art. 55 l. ad. è anche quella di preservare il nucleo familiare d’origine del minore, nell’ipotesi in esame – come è stato opportunamente evidenziato dalla sentenza in commento – una siffatta esigenza non sussiste: il minore, infatti, non ha un nucleo familiare diverso da quello costituito dal genitore biologico e l’adottante.
Ora, gli esiti di questo ipotetico giudizio costituzionalità sono, allo stato, difficilmente prevedibili.
Tuttavia, da una rapida disamina della giurisprudenza costituzionale è possibile trarre alcune utili indicazioni.
Particolarmente significativa appare, al riguardo, una risalente pronuncia della Corte proprio in tema di adozione in casi particolari[12].
Esaminando il caso dell’adozione da parte del coniuge del genitore (art. 44, lett. b) l. ad.), il Giudice delle leggi ha evidenziato la «congiunta esigenza, per un verso, di consolidare l'unità familiare, agevolando l'inserimento in essa del minore che sia figlio (anche adottivo) di uno solo dei coniugi»; «per altro verso, di evitare che l'instaurazione del nuovo rapporto comporti la rottura di quello esistente con l'altro genitore biologico e/o con i di lui parenti, pur quando con costoro il minore abbia instaurato e mantenga legami significativi».
La Corte ha, altresì, affermato che l’istituto in esame è stato concepito dal legislatore al fine di provvedere alla «non facile composizione di tali esigenze», nell’ottica di un’effettiva «tutela del preminente interesse del minore».
Nella parte conclusiva della pronuncia citata, si registrano alcune timide aperture verso una diversa conformazione dell’istituto: «Certo, una regolamentazione più analitica della materia, che cioè tenesse conto del vario atteggiarsi dei rapporti del minore col genitore biologico non convivente, avrebbe forse potuto suggerire soluzioni parzialmente diverse e magari far propendere, in alcune peculiari situazioni, per l'instaurazione di un rapporto di adozione piena».
A queste aperture – che andrebbero proprio nel senso di una diversa disciplina dell’istituto, conforme all’interpretazione suggerita dal Tribunale bolognese – fanno seguito, tuttavia, negli ultimi tempi, delle posizioni più conservatrici.
E’ questa la lettura che si ritiene di poter dare della pronuncia con cui la Corte – rigettando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. (nella formulazione ratione temporis applicabile) nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all'interesse dello stesso – qualifica l’ “adozione in casi particolari” come uno strumento legale che consente «la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento»[13].
Si può scorgere una linea di continuità tra quest’ultima posizione della Corte e la giurisprudenza – formatasi anteriormente all’entrata in vigore della legge di riforma della filiazione - con la quale si negava rilevanza alla c.d. "parentela naturale", affermandosi che l'equiparazione fra filiazione legittima e filiazione naturale richiesta dall'art. 30, comma 3 Cost. riguarda solo il rapporto che si instaura tra il genitore ed il figlio[14].
E, dunque, gli ultimi approdi della giurisprudenza costituzionale sembrerebbero lasciare poco spazio ad una soluzione del tipo di quella adottata dal Tribunale bolognese.
Se, infatti, con riguardo ai figli naturali, si era negata la rilevanza della cosiddetta “parentela naturale”, a fortiori, dovrebbe escludersi - a legge invariata - l’ammissibilità di una “parentela adottiva”, nell’ipotesi di “adozione in casi particolari” (nella quale vengono in rilievo solo legami affettivi e non anche di sangue), trattandosi – come affermato da ultimo dal Giudice delle leggi - di uno strumento volto a riconoscere valore giuridico unicamente alla relazione tra adottante e adottato.
[1] Trib. Min. Roma, 23.12.2015, in Nuova Giur. Civ., 2016, 7-8, 969, con nota di M. Farina, Adozione e affidamento - «adozione in casi particolari», omogenitorialità e superiore interesse del minore.
[2] Cass. Civ., Sez. I, 26.5.2016, n. 12962, in Fam. e Dir., 2016, 11, 1025 con nota di S. Veronesi, La corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption.
[3] Per un inquadramento dell’istituto si veda, per tutti, G. Ferrando, L’adozione in casi particolari del figlio naturale del coniuge, in Corriere Giur., 2012, 1, 91 (nota a sentenza). Si veda, inoltre, A. Zini, Commento all’art. 44 l. ad., in Commentario Breve al Diritto della Famiglia, 2020.
[4] Secondo un primo orientamento (sostenuto dalla giurisprudenza minoritaria: così Trib. min. Potenza 15.1.1984, in Dir. fam. e pers., 1984, 1039; Trib. Roma 22.12.1992, in Giur. mer., 1993, 924; App. Torino 9.6.1993, in Dir. fam. e pers., 1994, 165; Trib. min. Ancona 15.1.1998, in Giust. civ., 1998, I, 1711; Trib. min. Piemonte e Valle d'Aosta 11.9.2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 205 ss.), la constatata impossibilità di affidamento preadottivo implica necessariamente lo stato di abbandono del minore, dovendo essere intesa come impossibilità di natura oggettiva (cosiddetta “impossibilità di fatto”) di trovare in concreto una famiglia adottiva per un minore in stato di abbandono. Secondo un diverso orientamento, seguito dalla giurisprudenza ormai prevalente, l'impossibilità di affidamento preadottivo può aversi anche nei casi di mera impossibilità di diritto, quando, cioè, il minore non è in stato di abbandono ed è, tuttavia, nel suo interesse provvedere al riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più completi. Ipotesi di impossibilità di affidamento preadottivo di diritto si possono riscontrare in situazioni del tipo di quella oggetto del provvedimento che si annota, quando, cioè, il minore vive in forme familiari altre rispetto alla coppia coniugata, come nei casi di conviventi more uxorio eterosessuali o omosessuali.
[5] Trib. Min. Roma 30.7.2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 2, 109; Trib. Min. Roma 29.10.2015, in Fam e dir., 2015, 574 ss.
[6] Cass. Civ., Sez. I, n. 12962/2016, cit.
[7] C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. Dir. Civ., 2013, 2; M. Sesta, L'unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, 236, e Id., Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. Dir. Civ., 2014, 14. Così pure R. Campione, Parentela e consanguineità, in Giur. It., 2014, 5.
[8] L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, II, 203 e ss; Morozzo della Rocca, Il nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari, in Fam. e Dir., 2013, 838; M. Dossetti, La parentela, in M. Dossetti, Moretti M., Moretti C., La riforma della filiazione. Aspetti personali successori e processuali l. 10 dicembre 2012, n. 219, Bologna, 2013, 25 e segg.; F. Prosperi, Unicità dello «status filiationis » e rilevanza della famiglia non fondata sul matrimonio, in Riv. critica dir. privato, 2013, 278; così pure, con qualche esitazione, G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. Giur., 2013, 4, 528.
[9] G. Ferrando, op. cit., 525.
[10] Sul concetto di “abrogazione” si vedano le considerazioni sempre attuali di S. Pugliatti, Abrogazione degli atti normativi, in Enc. Dir., Milano, I, 1958: «Il concetto di abrogazione, dunque, presenta all'analisi i seguenti elementi: a) l'esistenza di un potere giuridico permanente e potenzialmente inesauribile; b) l'esercizio concreto e individuato di tale potere, da cui deriva un determinato atto giuridico; c) il rinnovato esercizio, sempre concreto e individuato, del potere medesimo, da cui deriva un ulteriore atto, idoneo a far cessare (ex nunc) l'efficacia giuridica del precedente. Il risultato della relazione tra b) e c), sul presupposto di a) è precisamente ciò che si designa col termine abrogazione».
[11] «L’obbligo di addivenire ad un’interpretazione conforme alla Costituzione cede il passo all’incidente di legittimità costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si riveli del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca» (Corte Cost., 19.2.2016, n. 36; si veda anche Corte Cost., 6.12.2017, n. 253).
[12] Corte Cost. 17.1.1991, n. 27.
[13] Corte Cost., 18.12.2017, n. 272.
[14] Corte Cost., 23.11.2000, n. 532. Già, in precedenza, con le sentenze 7.11.1994, n. 377 e 12.4.1990, n. 184, la Corte aveva osservato come dall'art. 30 Cost. non discende in maniera costituzionalmente necessitata la parificazione di tutti i parenti naturali ai parenti legittimi; un ampio concetto di "parentela naturale" non è stato recepito dal legislatore costituente, il quale si è limitato a prevedere la filiazione naturale ed a stabilirne l'equiparazione a quella legittima, peraltro con la clausola di compatibilità; tale equiparazione, pertanto, riguarda fondamentalmente il rapporto che si instaura tra il genitore che ha provveduto al riconoscimento del figlio naturale (o nei cui confronti la paternità o maternità sia stata giudizialmente accertata) ed il figlio stesso; i rapporti tra la prole naturale ed i parenti del genitore, invece, non trovano riferimenti nella Carta fondamentale e restano quindi estranei all'ambito di operatività dell'invocato parametro.