1. Rifiuti e sottoprodotti. Cenni
Chiunque si sia occupato dell’applicazione della normativa sui rifiuti sa bene che molto spesso la prima linea difensiva di chi ha violato la legge si basa sulla contestazione della qualifica di rifiuto, ricevendo, spesso, un valido aiuto dal nostro legislatore che, per anni, ha tentato di sottrarre rifiuti al relativo ambito di applicazione, ricorrendo a fantasiosi espedienti terminologici quali "residui", "materiali quotati in borsa", " materie prime secondarie" ecc.; tutti severamente bocciati dalla Commissione UE e dalla Corte europea di giustizia. Rinviando ad altre opere per approfondimenti e richiami in proposito[1], sembra sufficiente, in questa sede ricordare che l’attuale definizione di “rifiuto” contenuta nel TUA (D. Lgs 152/06), ricalcando quella comunitaria si riferisce (art. 183, comma 1, lett. a) «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi»; e che, come evidenziato sin dal 2013 dalla Corte europea di Giustizia[2]:
a) «il termine “disfarsi” comprende al contempo lo “smaltimento” e il “recupero” di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettere e) e f), di tale direttiva....»;
b) «occorre prestare particolare attenzione alla circostanza che l’oggetto o la sostanza di cui trattasi non abbia o non abbia più alcuna utilità per il suo detentore, sicché tale oggetto o tale sostanza costituirebbe un ingombro di cui egli cerchi di disfarsi... Infatti, ove ricorra tale caso, sussiste un rischio che il detentore si disfi dell’oggetto o della sostanza in suo possesso con modalità atte a cagionare un danno ambientale, in particolare mediante abbandono, scarico o smaltimento incontrollati»;
c) di converso, «non sarebbe in alcun modo giustificato assoggettare alle disposizioni della direttiva 2006/12, che mirano ad assicurare che le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti siano eseguite senza mettere in pericolo la salute umana e senza che vengano usati procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente, beni, sostanze o prodotti che il detentore intende sfruttare o commercializzare in condizioni vantaggiose indipendentemente da una qualsiasi operazione di recupero…».
Conclusione totalmente condivisa dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale più volte ha ribadito con forza che la qualifica di "rifiuto" può essere esclusa solo se, - con riferimento alla figura del produttore-detentore-, vi è la prova della certezza oggettiva del riutilizzo e cioè la certezza che una cosa non più utile per chi la detiene non venga considerata un ingombro di cui disfarsi, con conseguente pericolo per l'ambiente.
In questo quadro va collocata la nozione di “sottoprodotto”, elaborata, in un primo tempo, dalla Corte europea di giustizia e successivamente accolta nella legislazione comunitaria e recepita (con qualche sbavatura)[3] dalla normativa italiana con l’art. 184bis del TUA a norma del quale:
«1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti garantendo un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana favorendo, altresì, l'utilizzazione attenta e razionale delle risorse naturale dando priorità alle pratiche replicabili di simbiosi industriale. All'adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria».
2. La disciplina delle terre e rocce da scavo. Cenni
Da quanto sommariamente accennato, appare evidente che le regole di cui sopra hanno una valenza generale e che, pertanto, occorre valutare con molta cautela ogni disposizione che vi apporti modificazioni significative. Questo, per quanto concerne il nostro paese, deve essere tenuto presente soprattutto con riferimento alla qualifica da attribuire alle terre e rocce da scavo, la cui storia, a nostro sommesso avviso, costituisce uno dei più vergognosi capitoli della normativa ambientale italiana, da cui si capisce con chiarezza che, per il nostro paese, quando si tratta di terre da scavo, tutto è possibile pur di arrivare a dire che non sono rifiuti (e, quindi, non sono sottoposte alla relativa disciplina). Specie se si tratta di terre da scavo derivanti da grandi opere come, ad esempio, la T.A.V. e l’ampliamento del G.R.A. di Roma.
Rinviando ad altre opere per dettagli e approfondimenti[4], sembra sufficiente ricordare, in questa sede, che già nel 2007 il nostro Paese era stato condannato, con riferimento alla disciplina delle terre da scavo contenuta nella legge 21 dicembre 2001, n. 443 per «il rilancio delle attività produttive», dalla CGCE in quanto «è giocoforza constatare che tali disposizioni finiscono per sottrarre alla qualifica di rifiuto, ai sensi dell’ordinamento italiano, taluni residui che invece corrispondono alla definizione sancita dall’art. 1, lett. a), della direttiva»[5]. E che negli anni successivi si assisteva, sempre con lo stesso intento e senza alcun coordinamento, ad un frenetico accavallarsi di modifiche normative, culminate nel D.P.R. 13 giugno 2017 n. 120 (Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’art. 8 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164), che tuttavia, nonostante consti di ben trentuno articoli e dieci allegati, non sembra sia stato sufficiente a chiarire la situazione normativa se appena cinque mesi dopo, il 10 novembre 2017, la Direzione generale sui rifiuti del Ministero dell’ambiente era costretta ad emanare una circolare intitolata «Disciplina delle matrici materiali di riporto - chiarimenti interpretativi»[6].
In sostanza, mentre per la direttiva comunitaria sui rifiuti (2008/98/CE), sono esclusi dall’ambito di applicazione della relativa normativa «il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato» (art. 2 comma 1, lett. c), la nostra normativa, facendo ricorso alla nozione, tutta italiana, delle «matrici materiali di riporto», aggiunge che le terre da scavo, purché non vengano superati certi limiti, possono anche essere contaminate da rifiuti di origine antropica con materiali artificiali di ogni tipo, dal calcestruzzo alla vetroresina[7].
Più in generale, il citato DPR del 2017 ha introdotto (ai sensi dell’art. 8 del d.l. 12/09/2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11/11/2014, n. 164) una nuova disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo con particolare riferimento ai seguenti ambiti: 1) alla gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, provenienti da cantieri di piccole dimensioni, di grandi dimensioni e di grandi dimensioni non assoggettati a VIA o a AIA, compresi quelli finalizzati alla costruzione o alla manutenzione di reti e infrastrutture; 2) alla disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate rifiuti; 3) all’utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti; 4) alla gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica.
In sintesi, quindi, per quanto interessa in questa sede:
DISCIPLINA TERRE E ROCCE DA SCAVO
1) Le terre e rocce da scavo possono essere escluse dalla disciplina dei rifiuti ai sensi dell’art. 185, comma 1, D. Lgs. 152/06, qualora si tratti di «terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli articoli 239 e seguenti relativamente alla bonifica di siti contaminati, ovvero di “suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato…».
2) Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, secondo l’art. 185, comma 4, devono essere valutati ai sensi, nell'ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a) (rifiuto), 184-bis (sottoprodotto) e 184-ter (fine rifiuto).
3) Il regolamento del 2017, sopra citato, dal canto suo, precisa le condizioni alle quali i materiali da scavo possono essere considerati sottoprodotti (e non rifiuti), aggiungendo alcuni obblighi formali a seconda che siano stati prodotti in cantieri di grandi dimensioni ovvero in cantieri non superiori a 6000 mc[8]. La gestione effettuata senza il rispetto delle condizioni e modalità previste (ad esempio la mancata o tardiva presentazione della “dichiarazione di avvenuto utilizzo”) comporta la perdita della qualità di sottoprodotto e il ritorno alla disciplina sui rifiuti, incluse le sanzioni ivi previste (art. 7 comma 3 D.P.R. 120/2017)[9].
3. Cassazione e CGCE a confronto: conclusioni
Delineato, quindi, molto sommariamente il quadro generale della normativa comunitaria e nazionale in tema di rifiuti, sottoprodotti e terre da scavo, è ora di affrontare, in particolare, il tema dei requisiti necessari per qualificare come sottoprodotto una terra da scavo sottraendola agli obblighi della normativa sui rifiuti, tenendo presente che, come abbiamo visto, ai sensi dell’art. 185, comma 4 TUA, il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell'ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a) (rifiuto), 184-bis (sottoprodotto) e 184-ter (fine rifiuto): argomento che è stato oggetto di una recente sentenza della Cassazione[10].
Ovviamente, per iniziare, occorre rifarsi alla normativa vigente che, per il nostro paese, è costituita dall’art. 4, del citato D.P.R. del 2017, rubricato «Criteri per qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti», il quale (comma 2) stabilisce che le terre e rocce da scavo per essere qualificate come sottoprodotti devono soddisfare i seguenti requisiti:
a) sono generate durante la realizzazione di un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;
b) il loro utilizzo è conforme alle disposizioni del piano di utilizzo di cui all’articolo 9 o della dichiarazione di cui all’articolo 21, e si realizza: 1) nel corso dell’esecuzione della stessa opera nella quale è stato generato o di un’opera diversa, per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali; 2) in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava;
c) sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III o dal Capo IV del presente regolamento, per le modalità di utilizzo specifico di cui alla lettera b)», aggiungendo specifiche disposizioni qualora esse contengano materiali da riporto (comma 3) ovvero sull’utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo contenenti amianto presente negli affioramenti geologici naturali (comma 4); concludendo, infine, che «la sussistenza delle condizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 è attestata tramite la predisposizione e la trasmissione del piano di utilizzo o della dichiarazione di cui all’articolo 21, nonché della dichiarazione di avvenuto utilizzo in conformità alle previsioni del presente regolamento».
Come è evidente, quindi, per ottenere la qualificazione di sottoprodotto la legge italiana prevede numerosi requisiti e adempimenti, anche formali cui attribuisce potere tassativo. Non a caso la richiamata sentenza della Cassazione ricorda espressamente che l’art. 21 del regolamento stabilisce che «per i cantieri di piccole dimensioni, quale quello in esame, la sussistenza delle condizioni di esclusione dalla disciplina dei rifiuti (previste dall'articolo 4) è attestata dal produttore tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con la trasmissione, anche solo in via telematica, almeno 15 giorni prima dell'inizio dei lavori di scavo», aggiungendo, subito dopo (con numerosi richiami) che, secondo la costante e “granitica” giurisprudenza della Cassazione, l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo, nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria; e che «tale prova, inoltre, deve riguardare la sussistenza di “tutti” i presupposti previsti dalla legge…». Prova che, nel caso in esame, non era stata fornita, portando, quindi, alla conclusione che, nel caso di specie, era applicabile la disciplina sui rifiuti e non quella, più favorevole, dei sottoprodotti.
Appare interessante, a questo punto, confrontare questa ultima sentenza della Suprema Corte con altra recente sentenza della Corte di Giustizia Europea[11] emessa con riferimento alla normativa austriaca, la quale non solo non prevede la nozione di «sottoprodotto» ma sancisce altresì che i materiali da scavo perdono la qualifica di rifiuto solo quando siano direttamente utilizzati come sostituti e il loro detentore abbia soddisfatto criteri formali irrilevanti ai fini della protezione dell’ambiente. In proposito, la CGCE, rifacendosi alla direttiva sui rifiuti, evidenzia che nel caso di specie, si trattava di «materiali di scavo che erano stati classificati, a seguito di un’analisi di qualità effettuata prima del loro reimpiego, come rientranti nella classe di qualità più elevata di materiali di scavo non contaminati, come definita dalla normativa austriaca, in particolare nell’ambito del piano federale di gestione dei rifiuti, che prevede requisiti specifici riguardanti la riduzione delle quantità di rifiuti, dei loro inquinanti e dei loro effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute umana»; aggiungendo che vi era anche la certezza del loro utilizzo, visto che vi era stata una richiesta preventiva di agricoltori. E, pertanto, occorre rilevare che «l’utilizzo di terreni di sterro e di scavo sotto forma di materiali da costruzione, nei limiti in cui gli stessi soddisfano stretti requisiti di qualità, presenta un vantaggio significativo per l’ambiente in quanto contribuisce, come richiesto dall’art. 11, par. 2, lett. b), di tale direttiva, alla riduzione dei rifiuti, alla preservazione delle risorse naturali nonché allo sviluppo di un’economia circolare»; concludendo, quindi, che in quel caso di trattava di sottoprodotto e non di rifiuto.
Conclusione che appare esattamente opposta a quella cui conduce la normativa italiana, la quale, come si è visto, consente, invece, di qualificare come sottoprodotto anche terre da scavo contaminate pesantemente da rifiuti antropici di vario genere; e che, pertanto, dovrebbero essere considerate e trattate come rifiuti[12].
Ed è interessante notare, in conclusione, che, visto il quadro normativo italiano, la sentenza della Cassazione in commento giunge ad escludere la qualifica di sottoprodotto, confermando quella di rifiuto, non, come sarebbe logico, in base alla qualità delle terre da scavo ma per il mancato rispetto di requisiti formali. Paradossalmente, proprio quei requisiti formale che, invece, la CGCE considera irrilevanti!.
4. Ma non finisce qui
Purtroppo non finisce qui. Perché nell’indifferenza generale, l’art. 48 del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, coordinato con la legge di conversione 21 aprile 2023, n. 41 (per l’attuazione del PNRR), preannuncia l’abrogazione della normativa esistente per terre e rocce da scavo che verrà sostituita da un nuovo decreto dai contenuti totalmente indeterminati ma, in ogni caso, “semplificativi”. Ecco il testo:
Art. 48 - Disposizioni per la disciplina delle terre e delle rocce da scavo: 1. Al fine di assicurare il rispetto delle tempistiche di attuazione del PNRR per la realizzazione degli impianti, delle opere e delle infrastrutture ivi previste, nonché per la realizzazione degli impianti necessari a garantire la sicurezza energetica, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e sentito il Ministro della salute, adotta, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un decreto avente ad oggetto la disciplina semplificata per la gestione delle terre e delle rocce da scavo, con particolare riferimento:
a) alla gestione delle terre e delle rocce da scavo qualificate come sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, provenienti da cantieri di piccole dimensioni, di grandi dimensioni e di grandi dimensioni non assoggettati a VIA o ad AIA, compresi quelli finalizzati alla costruzione o alla manutenzione di reti e infrastrutture;
b) ai casi di cui all'articolo 185, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, di esclusione dalla disciplina di cui alla parte quarta del medesimo decreto del suolo non contaminato e di altro materiale allo stato naturale escavato;
c) alla disciplina del deposito temporaneo delle terre e delle rocce da scavo qualificate come rifiuti;
d) all'utilizzo nel sito di produzione delle terre e delle rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti;
e) alla gestione delle terre e delle rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica;
e-bis) ad ulteriori disposizioni di semplificazione per i cantieri di micro-dimensioni, per i quali e' attesa una produzione di terre e rocce non superiore a 1.000 metri cubi;
f) alle disposizioni intertemporali, transitorie e finali.
2. Il decreto di cui al comma 1, in attuazione e adeguamento ai principi e alle disposizioni della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, come modificata dalla direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, disciplina le attività di gestione delle terre e rocce da scavo, assicurando adeguati livelli di tutela ambientale e sanitaria e garantendo controlli efficaci, al fine di razionalizzare e semplificare le modalità di utilizzo delle stesse, anche ai fini della piena attuazione del PNRR.
3. A partire dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1 sono abrogati l'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2017, n. 120.
3-bis. All'articolo 1, comma 128, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, dopo la parola: “elettrificazione” sono inserite le seguenti: “e ammodernamento”».
Se, infine, a questo punto aggiungiamo che pochi giorni fa il Ministro per l’Ambiente ha varato un D.M. con il quale «è costituita presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica una Commissione interministeriale con i seguenti compiti: a) elaborare uno schema di legge delega per il riassetto e la codificazione delle normative vigenti in materia ambientale, onde raccoglierle in un unico testo normativo coerente con la legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 e con i principi euro-unitari e internazionali; b) elaborare lo schema di uno o più decreti legislativi attuativi dei principi e criteri direttivi della legge delega di cui alla lett. a)», appare evidente che probabilmente ben presto la normativa di tutela ambientale spirerà l’ultimo respiro a causa dell’inquinamento da leggi.
[1] Cfr. per tutti, da ultimo, il nostro Diritto penale ambientale, Pacini, Pisa 2022, pag. 101 e segg.
[2] CGCE (Prima Sezione) 12 dicembre 2013, cause riunite C‑241/12 e C‑242/12.
[3] Per approfondimenti e richiami si rinvia, ancora, al nostro Diritto penale ambientale, cit, pag. 106 e segg.
[4] Per una sintetica panoramica normativa di questi interventi fino al 2013, cfr. il nostro L’apoteosi del partito delle terre da scavo, in www.lexambiente.it, settembre 2013. Più di recente, cfr. il nostro Il miracolo italiano delle terre da scavo che non sono contaminate e non sono rifiuti anche se contaminate da rifiuti in www.rivistadga.it, 2017, n. 6, nonchè Il nuovo regolamento per le terre da scavo: una «semplificazione» per gli inquinatori, in www.lexambiente.it, ottobre 2017. Da ultimo, cfr. BERTUZZI-BARBUTI, Terre e rocce da scavo. Il punto sulla normativa alla luce del pacchetto ‘circular economy’, in www.lexambiente.it, 22 marzo 2021 e il nostro Diritto penale ambientale, cit., pag. 126 e segg.
[5] Corte di giustizia CE, Sez. III 18 dicembre 2007, in causa C-194/05, in www.rivistadga.it 2008, 687.
[6] Si ricorda che il regolamento del 2017, sopra citato precisa anche le condizioni alle quali i materiali da scavo possono essere considerati sottoprodotti (e non rifiuti) distinguendo a seconda che siano stati prodotti in cantieri di grandi dimensioni ovvero in cantieri non superiori a 6000 mc.
[7] Cfr. art. 2, comma 1, lett. c) del citato regolamento, secondo cui «le terre e rocce da scavo possono contenere anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato, purché le terre e rocce contenenti tali materiali non presentino concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di cui alle colonne A e B, tabella 1, allegato 5, al titolo V, della parte IV, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per la specifica destinazione d’uso».
[8] In estrema sintesi (cfr. anche appresso): a) per le terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di grandi dimensioni, ossia maggiori di 6000 mc prodotti in opere/attività soggette a VIA o ad AIA, occorre rifarsi agli artt. 8-19, i quali prevedono, tra l’altro, la presentazione di un Piano di Utilizzo; b) per le terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di piccole dimensioni, ossia non superiori a 6000 mc comprese quelle prodotte in opere/attività soggette a VIA/AIA, occorre rifarsi agli artt. 20-21, i quali prevedono, tra l’altro la presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa ai sensi del DPR 445/2000; c) per le terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA/AIA, l’art. 22 rimanda all’art. 20 prevedendo la stessa dichiarazione sostitutiva di cui alla lettera b). In tutti i casi è prevista, al termine delle operazioni di utilizzo, la presentazione di una “dichiarazione di avvenuto utilizzo”.
[9] In dottrina, cfr. CORBELLA, Il trattamento sanzionatorio in tema di terre e rocce da scavo alla luce delle innovazioni introdotte dal d.p.r. 120/2017 e dalla l. 68/2015: analisi dei primi orientamenti della magistratura inquirente, in www.lexambiente.it, 6 aprile 2020 nonchè, da ultimo, BERTUZZI-BARBUTI, Terre e rocce da scavo. Il punto sulla normativa alla luce del pacchetto ‘circular economy’,ivi, 22 marzo 2021.
[10] Cass. Pen. Sez. 3, 17 ottobre 2023 (UP 14 set 2023) n. 42237, Bonfè, in www.lexambiente.it, 24 ottobre 2023.
[11] Corte di giustizia UE, Sez. I 17 novembre 2022, causa C‑238/21 in www.osservatorioagromafie.it, 23 novembre 2022.
[12] Per approfondimenti e richiami si rinvia, da ultimo, al nostro Corte europea: terre da scavo su terreni agricoli: rifiuti, sottoprodotti o EoW? in Rivista DGA, nov-dic. 2022 e in www.lexambiente.it 2 dicembre 2022.