Magistratura democratica
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La tragedia di Ischia e la vicenda delle plastiche monouso: la sostenibilità all'italiana

di Gianfranco Amendola
già magistrato e parlamentare europeo

Il disastro annunciato di Casamicciola è il migliore esempio della inefficienza del nostro apparato legislativo di tutela dell’ambiente. Anzi, se vogliamo dirla tutta, è il migliore esempio di come il nostro paese consideri la tutela dell’ambiente un valore marginale e, in ogni caso, secondario e sacrificabile di fronte ad altri interessi. Anche se, formalmente, può sembrare il contrario. E così si fanno leggi che, attraverso continui rinvii, non entrano mai in vigore, oppure rinviano la esecutività a futuri atti che non vengono emessi o vengono emessi con un contenuto contrario alla legge. Oppure si fanno leggi di difficile comprensione ovvero rimesse ad organismi di esecuzione e controllo del tutto insufficienti e privi di adeguate risorse. A volte si gioca addirittura sulle definizioni, come quando gli inceneritori di rifiuti, diventano “termovalorizzatori” o come quando si confonde il “riciclabile” con il “riciclato”; a volte si gioca sui numeri, pasticciando sui dati; altre volte, ancora si introducono procedure tecniche di difficile esecuzione e controllo oppure si azzera tutto con condoni e sanatorie; e l’elenco potrebbe continuare.

Nel frattempo, chi non conosce sosta è il cambiamento climatico, con tutti i tragici sconvolgimenti connessi, rispetto al quale il dato, a nostro sommesso avviso più preoccupante, è la ostinata volontà di gran parte della classe dirigente a non prenderne atto e a cambiare il meno possibile.

Emblematico è, in proposito, quanto sta avvenendo nel settore cruciale della plastica, in cui, da tempo, stanno emergendo i gravissimi pericoli connessi con il suo abuso, dalla produzione al consumo, rendendo sempre più evidente che essa è una importante protagonista in negativo di questa nostra civiltà dei consumi e dei rifiuti, basata su un modello di sviluppo che, per il profitto di pochi, distrugge le risorse naturali sempre più scarse. Soprattutto se si tratta di plastica monouso e cioè di quelle plastiche per combattere le quali, sin dal 2019, l’Unione europea ha varato una direttiva apposita, premettendo che in Europa «dall’80 all’85 % dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50 % e gli oggetti collegati alla pesca il 27 % del totale», costituiscono «un problema particolarmente serio nel contesto dei rifiuti marini, mettono pesantemente a rischio gli ecosistemi marini, la biodiversità e la salute umana, oltre a danneggiare attività quali il turismo, la pesca e i trasporti marittimi».

Eppure, il nostro paese prima ha preso tempo: la direttiva doveva essere resa operativa entro il 3 luglio 2021 ma, nonostante avesse avuto due anni di tempo, il nostro paese, per farlo, ha aspettato, con il D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 196[1], di arrivare al 14 gennaio 2022, apportando, in più, alcuni significativi depotenziamenti[2].

Basta ricordare che la direttiva prevedeva per gli Stati membri il divieto di immettere sul mercato alcuni prodotti di plastica monouso fra cui bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, contenitori per alimenti e per bevande di polietilene espanso nonché tutti i prodotti di plastica oxo-degradabile, e cioè contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica. Ebbene, non solo abbiamo recepito in ritardo questo divieto, ma abbiamo aggiunto che, comunque, il divieto vale solo «dopo l'esaurimento delle scorte», e, quindi, con data incerta (tanto più in un paese dove i controlli sono quasi inesistenti). Come se non bastasse, il nostro paese ha aggiunto anche che il divieto non vale per i prodotti in materiale biodegradabile e compostabile, aprendo, così, la porta a numerosi dubbi e ponendosi in diretta antitesi con la Commissione UE, la quale, nelle Linee guida emanate il 7 giugno 2021, ricorda che la direttiva riguarda anche «la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo»; ed aggiunge, negli Orientamenti per l'applicazione delle norme sulla plastica monouso (Bruxelles 31 maggio 2021), che «attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell'ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all'ambiente»[3]. Ed anche il CNR, nella sua relazione al Senato, ha evidenziato giustamente il pericolo di imbrogli citando il caso della Coca Cola che ha presentato la sua “plant battle” come bottiglia 100% da materia prima rinnovabile mentre, in realtà, non si biodegrada affatto. Né la conclusione cambia se, come sostiene l’Italia, si tratta di oggetti in carta ricoperti di plastica. Basta leggere la definizione (art. 3, n. 2 della direttiva) di «prodotto di plastica monouso» per vedere che essa comprende anche «il prodotto fatto di plastica in tutto o in parte». Peraltro, come spiega la Commissione U.E, «quando questo tipo di prodotti - come tazze, contenitori o piatti per alimenti - vengono gettati via, la carta si degrada in maniera relativamente rapida, ma la parte di plastica può rimanere nell'ambiente per molti anni e può potenzialmente disintegrarsi ulteriormente in particelle di microplastica. L'esclusione di tali prodotti dall'ambito di applicazione della direttiva indebolirebbe il suo impatto sulla riduzione dei rifiuti marini e sulla promozione di un'economia più circolare, non da ultimo a causa del rischio che le tazze fatte interamente di plastica siano semplicemente sostituite da altre a base di carta con rivestimenti o strati di plastica, senza modificare i relativi modelli di consumo che incoraggiano gli sprechi».

Del resto, anche ammettendo che possa esservi plastica biodegradabile, in tal modo ci siamo posti, comunque, al di fuori della legalità europea che, per quanto riguarda i rifiuti, si basa su una precisa “gerarchia” dove, al primo posto, troviamo la “prevenzione” perché «il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto», non quello che si biodegrada (non si sa come e non si sa quando); seguito dal riciclo, dal riutilizzo (anche energetico) e dallo smaltimento.

E, come se non bastasse, l’art. 4, comma 7 della legge italiana, «al fine di promuovere l'acquisto e l'utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso», riconosce addirittura un contributo pubblico a tutte le imprese che acquistano e utilizzano prodotti «che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002», anche se si tratta dei prodotti espressamente vietati in sede comunitaria ma ammessi dalla deroga italiana Insomma, veramente una vergogna. Tanto è vero che la Ue ha già iniziato contro l’Italia una procedura di infrazione il cui esito è largamente scontato[4].

Ancora una volta, quindi, l’economia prevale sulla tutela dell’ambiente e della salute. Del resto, non bisogna dimenticare che il nostro paese si colloca al decimo posto della classifica mondiale di rifiuti in plastica pro-capite (23 chili), ma detiene, purtroppo, il 60% del mercato europeo dell’usa e getta e produce il 66% di tutta la plastica biodegradabile d’Europa. E così, come accade sempre in questi casi, il nostro governo si è ricordato della “sostenibilità” e i ministri Giorgetti e Cingolani hanno voluto «dare respiro alle nostre aziende» perché «la sostenibilità è un equilibrio tra istanze diverse».

Ma è proprio questo il punto. Perché evidentemente, per i nostri governanti, la “sostenibilità” significa fare cose “sostenibili” per l’industria, non per l’ambiente. Anche se, come dice la UE, -ed è bene ripeterlo- i prodotti di plastica monouso «mettono pesantemente a rischio gli ecosistemi marini, la biodiversità e la salute umana, oltre a danneggiare attività quali il turismo, la pesca e i trasporti marittimi».

Sia chiaro, comunque, che non è solo una questione di leggi. Sono i dati stessi ad essere inattendibili. Se leggiamo le statistiche ufficiali, sembra, infatti, che l’Italia ricicli enormi quantità di plastica; ma recentemente la Corte dei Conti UE[5], illustrando alcune modifiche normative, ha, invece, evidenziato la inattendibilità di questi dati a causa della carenza di controlli sul territorio, di stime imprecise degli imballaggi di plastica immessi sul mercato e dell’ampia diversità dei metodi di calcolo e delle procedure di verifica, soprattutto per quanto concerne il punto di misurazione, per cui viene calcolata come riciclata anche la plastica (“plasmix”: circa il 40%) che non viene realmente mandata a riciclo per inadeguatezza della raccolta differenziata. Così come viene calcolata come riciclata la plastica inviata all’estero che finisce, invece, molto spesso in immonde discariche. La migliore conferma, peraltro, viene da ISPRA (la nostra agenzia nazionale per i controlli ambientali) secondo cui nel 2020 su circa 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti in Italia, neppure 1,6 milioni sono stati differenziati (quasi tutti imballaggi) e, di questi, sono state avviate al riciclo circa 620mila tonnellate[6]. Tanto è vero che, da quando (giugno 2022) l’Europa chiede calcoli più rigidi per contabilizzare i materiali effettivamente riciclati, appare sempre più lontano l’obiettivo di riciclo del 50% della raccolta al 2025.

Pertanto – conclude la Corte dei Conti UE- , «se gli Stati membri non provvederanno con urgenza ad aumentare e migliorare la loro capacità di riciclaggio, queste modifiche normative, certamente condivisibili, rischiano paradossalmente di aumentare ed aggravare lo smaltimento illegale di questi rifiuti sia entro le frontiere dell’UE, sia in caso di spedizione nei paesi terzi».

Ed è significativo che alla stessa conclusione perviene INTERPOL la quale, in un recente rapporto[7], evidenzia che «questa situazione, unita alla mancanza di tracciabilità dei rifiuti di plastica, presenta un grande rischio per alcuni individui e gruppi criminali di trarre vantaggio da scappatoie legali, lacune informative tra la comunità di contrasto e nuove rotte commerciali nel mercato dei rifiuti di plastica che non sono pienamente ancora monitorate….»; aggiungendo che «i criminali dei rifiuti hanno dimostrato di adattare il loro modus operandi ai rapidi cambiamenti normativi e le tendenze criminali hanno mostrato rapide evoluzioni negli ultimi due anni. Inoltre, quando i cambiamenti non sono ben regolamentati, possono offrire opportunità per la crescita di nuove attività criminali. È quindi cruciale che la comunità globale delle forze dell'ordine continui a monitorare le tendenze criminali nel settore dei rifiuti di plastica, per adattare i metodi di applicazione ai rapidi cambiamenti nelle tendenze criminali...»[8].

In sostanza, quindi, la vicenda delle plastiche monouso dimostra con chiarezza che per l’Italia le regole Ue valgono solo se non comportano problemi per il mercato. Altrimenti la gerarchia comunitaria e le altre norme di tutela dai rifiuti non esistono più. Con buona pace della politica comunitaria sulla transizione ecologica che vuole, appunto, modificare un tipo di sviluppo basato sul consumismo quale quello dell’usa e getta e richiede una profonda modifica dei modelli di vita, di produzione e di consumo in funzione della sostenibilità ambientale e della limitatezza delle risorse.

La stessa logica distorta, cioè, che ha portato alla tragedia di Ischia favorita da leggi carenti, condoni e assenza di controlli.

E non a caso, una di queste leggi è anche il migliore esempio di quanto abbiamo appena affermato. Ci riferiamo al cd “decreto Genova”[9], nato nel 2018 con il governo Conte, al fine di emanare con urgenza alcune misure necessarie alla popolazione colpita dall'evento del crollo del viadotto Polcevera dell'autostrada A10 (noto come ponte Morandi); ma nel quale sono state “infilate” anche alcune disposizioni di favore per altre due vicende scottanti.

La prima riguardava proprio Ischia e, «considerata la necessità di disporre interventi urgenti per la riparazione, la ricostruzione, l'assistenza alla popolazione e la ripresa economica nei territori dei Comuni di Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell'Isola di Ischia interessati dagli eventi sismici verificatisi il giorno 21 agosto 2017», disponeva che a Ischia si dovevano applicare, per i condoni, solo («esclusiva applicazione») le disposizioni di quello del 1985 ben più permissive[10] di quelle del 1994 e del 2003.

La seconda non aveva niente a che vedere con i dissesti sul territorio in quanto, in contrasto con la Cassazione, autorizzava lo smaltimento sui terreni agricoli di fanghi da depurazione pesantemente contaminati da sostanze tossiche quali idrocarburi, diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico con notevoli pericoli per la salute e per l’ambiente[11]. Fatto gravissimo che, dopo alcune prime, deboli smentite, veniva giustificato dal movimento 5stelle e dal suo Ministro (dell’epoca) dell’ambiente con la esigenza di evitare in Lombardia una “emergenza fanghi”, unitamente alla promessa di rimediare al più presto; salvo, poi, non fare niente[12]

In questo quadro sconfortante, tuttavia, si è recentemente inserita una nota di speranza attraverso la modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione con cui si aggiunge che la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», e che «l’iniziativa economica privata…non può svolgersi…in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute e all’ambiente»[13].

Esattamente quello che non è avvenuto a Ischia e per le plastiche monouso.


 
[1] Attuazione della direttiva (UE) 2019/904, del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente.

[2] Per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare al nostro La normativa all’italiana contro le plastiche monouso, in www.osservatorioagromafie.it, e in www.lexambiente.it, 21 gennaio 2022.

[3] Commissione UE, Orientamenti per l'applicazione delle norme sulla plastica monouso, Bruxelles 31 maggio 2021.

[4] Se può consolare non siamo soli. Infatti, a gennaio 2022 la Commissione ha comunicato che Belgio, Danimarca, Estonia, Irlanda, Francia, Croazia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Slovenia e Finlandia, non hanno ancora adottato misure di recepimento complete e, quindi, la Commissione ha deciso di inviare loro pareri motivati.

[5] Corte dei conti europea, L’azione della UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica, analisi n. 04 del 2020.

[6] Di tutti i rifiuti urbani riciclati, la plastica rappresenta il 4,6%.

[7] Interpol, Strategic Analysis Report: «Emerging criminal trends in the global plastic waste market since January 2018», agosto 2020.

[8] Per approfondimenti, si rinvia al nostro Interpol e Unione europea sui rifiuti di plastica: poco attendibili i dati ufficiali sul riciclaggio, aumenteranno i traffici illeciti. Il caso Italia e il nodo dei controlli, in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, 2020, n. 6.

[9] Decreto Legge 28 settembre 2018, n. 109 coordinato con le modifiche introdotte dalla Legge di conversione n. 16 novembre 2018, n. 130, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 19 novembre 2018, n. 269.

[10] Come confermato da Legambiente.

[11] Per i Medici per l’Ambiente, si tratta di una disposizione che aumenta «la possibilità che vengano contaminati suoli, ecosistemi e catena alimentare, con inquinanti tossici, persistenti, bioaccumulabili, di cui alcuni classificati come cancerogeni certi per l’uomo dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) e senza che siano stati adeguatamente valutati rischi per la salute umana». Si noti che in altri Stati europei (fra cui la Svizzera, la Germania e l’Austria) «l’uso dei fanghi in agricoltura è molto limitato, se non inesistente» proprio per il rischio connesso con la possibile presenza di sostanze pericolose, come si legge nella relazione della Commissione europea del 27 febbraio 2017 sull’attuazione della normativa dell’EU in materia di rifiuti.

[12] Sulla vicenda dei fanghi di depurazione in agricoltura ci permettiamo rinviare, tra gli altri, anche per approfondimenti e richiami, ai nostri Art. 41 del decreto Genova. Quel pasticciaccio brutto dei fanghi contaminati ad uso agricolo, in Questione Giustizia, 21 dicembre 2018 e in www.lexambiente.it, 4 gennaio 2019; Rifiuti con codici a specchio, fanghi di depurazione contaminati e cessazione della qualità di rifiuto (eow). La corte europea si schiera con la Cassazione e con il Consiglio di Stato, in www.lexambiente.it, 19 aprile 2019; Fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura e art. 41 decreto Genova. La Cassazione risponde alle critiche e consolida la sua giurisprudenza, in www.rivistadga.it, 2019, n. 1; Fanghi da depurazione in agricoltura. Il Consiglio di Stato conferma la Cassazione, ivi, 2019, n. 5.

[13] Per approfondimenti e richiami si rinvia al nostro L’inserimento dell’ambiente in Costituzione non è né inutile né pericoloso, in Giustizia insieme, febbraio 2022.

03/12/2022
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