Perché intitolare «Primavera ambientale» un libro che parla del rischio di estinzione del genere umano? Cosa può richiamare la stagione del risveglio se la prospettiva è la fine?
La letteratura scientifica sull’ambiente e sul clima - e ancor più quella ambientalista - ci ha abituato negli ultimi decenni ad un’illustrazione drammatica, se non addirittura apocalittica, delle conseguenze dell’aggressione ambientale, del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Ci ha reso persino assuefatti ad una visione ineluttabilmente tragica del futuro, tanto che – ormai possiamo dirlo - la paura del futuro, da sola, non ha funzionato.
La prospettazione costante di un futuro tragico da parte della letteratura ambientale ha provocato a destra reazioni negazioniste e a sinistra il sospetto che la gestione della paura collettiva sottendesse la più antica delle ambizioni: la conquista del potere. Quindi neanche l’opinione pubblica, globalmente intesa, ha saputo svolgere una pressione adeguata ed omogenea sui decisori pubblici affinché si correggesse per tempo la rotta storica che ci sta trascinando verso il collasso. Un’opinione pubblica che è stata finora distratta e confusa da messaggi politici che oscillano tra una legittima rivendicazione di giustizia climatica[1] e la manipolazione di agenti di parte (ad esempio le lobby petrolifere[2]) che fanno leva sui superiori interessi nazionali, sulle responsabilità degli altri e sull’insostenibilità economica della transizione energetica. Anche per questa ragione gli accordi internazionali sul clima procedono con lentezza esasperante, mai in linea con le urgenze del pianeta e sempre in ritardo rispetto all’accelerazione inattesa della febbre climatica del pianeta.
Ferdinando Cotugno, attraverso le pagine del suo libro Primavera ambientale, ci guida con passione verso un’altra direzione, verso la presa di coscienza che il momento che stiamo vivendo è in realtà «una curva della storia con un potenziale che oggi ancora non vediamo. (…) Salvarsi da questa strettoia della storia e da questa tempesta è un modo per ricucire e addomesticare il futuro, è un atto di speranza (…). È l’idea che si possa vivere meglio di così».
La speranza poggia su due pilastri. Da un lato, sui movimenti giovanili (spesso composti da giovanissimi, la gran parte nati in questo secolo) che lottano nel nord come nel sud del mondo per una mobilitazione globale contro il cambiamento climatico. Dall’altro, sull’urgenza stessa della mobilitazione: «nessun grande movimento sociale di cambiamento (…) ha mai dovuto operare così direttamente contro il fattore tempo (…). Eppure questo radicale senso di urgenza è un immenso valore politico perché non si potrà rinviare la rivoluzione a congiunture più feconde, non si potrà procrastinare in attesa delle condizioni sociali ideali: bisogna crearle, usando ogni risorsa possibile».
Nell’interpretazione dell’autore il clima è diventato la piattaforma di ogni cambiamento possibile: «un manifesto per la giustizia sociale (…), il soggetto politico di un contropotere globale che attraversa le nazioni, i sistemi economici, i confini». Sarebbe riduttivo pensare che i movimenti per il clima si stiano mobilitando esclusivamente per perorare la causa dell’abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra. I movimenti puntano il dito contro un modello globale di produzione e consumo, un modello che non genera solo emissioni clima-alteranti, ma anche disuguaglianza sociale, depauperamento delle risorse del pianeta, migrazioni di massa, compressione dei diritti delle popolazioni native in Africa, America Latina, Asia e Oceania. La voce dei movimenti proviene da tutto il mondo (dalla Svezia di Greta Thunberg, come dall’Uganda di Vanessa Nakete) e si rivolge a tutto il mondo, con l’ambizione, anzi l’urgenza, non tanto di risolvere il problema dell’insostenibilità della nostra produzione energetica (non basta dire “cambio caldaia”), quanto di ridefinire radicalmente il paradigma stesso dello sviluppo, così come lo abbiamo concepito fino ad oggi.
Per questo l’azione dei movimenti per il clima (Fridays for Future, Extinction Rebellion, e molti altri) non si colloca “al di fuori del sistema”, al contrario: dirige il proprio messaggio verso le organizzazioni internazionali multilaterali, innanzitutto le Nazioni Unite e verso i paesi democratici occidentali chiamati ad assumere la “responsabilità storica di agire di più e per primi” sul fronte del cambiamento. La frustrazione dei movimenti è quella di non trovare interlocutori politici che raccolgano il loro messaggio e agiscano con la stessa urgenza con cui quel messaggio è urlato al mondo: “non c’è un pianeta B” e “non c’è un piano B”.
La speranza di cui parla Cotugno riposa dunque sulla prospettiva che il movimento globale per il clima diventi attivamente politico, nel senso più alto del termine. «La visione ecologista sarà matura soltanto quando allargherà lo sguardo e passerà dal discorso sul prima al discorso sul dopo», quando cioè riuscirà a promuovere una riflessione collettiva, oltre i propri stessi confini, su «come si lavorerà, cosa si mangerà, come saranno distribuiti il potere e la ricchezza, che aspetto avranno la vita, le relazioni e anche le emozioni dopo il 2030, il 2050 e il 20100».
«Primavera ambientale» non è un saggio, ma una lettera appassionata diretta a chiunque abbia a cuore i destini del pianeta Terra e dei suoi abitanti. A tratti diario personale, a tratti testimonianza della nostra storia recente e riflessione politica, il libro non indulge mai all’invettiva né alla rappresentazione apocalittica del futuro. Al contrario, traccia una rotta che ci conduca oltre il buio, disegna una mappa per la navigazione che porti tutti, nessuno escluso, verso un’altra terra possibile. Una navigazione che esige non solo la lucidità della ragione, ma anche l’energia delle emozioni, in un processo di riunificazione della dimensione umana che oggi sembra bandita dall’orizzonte meramente scientifico in cui sia la crisi ambientale sia le soluzioni ad essa sembrano relegate.
Ferdinando Cotugno (1982) è nato a Napoli e vive a Milano. Scrive di ecologia, politica e crisi climatica. Cura per il quotidiano Domani la newsletter «Areale». Nel 2020 ha pubblicato Italian Wood. Viaggio alla scoperta dei boschi italiani le cui tematiche sono sviluppate anche in un podcast dal titolo Ecotoni.
[1] https://www.questionegiustizia.it/articolo/giustizia-climatica-e-sviluppo
[2] https://www.questionegiustizia.it/articolo/l-africa-sub-sahariana-e-la-trappola-del-petrolio-verso-uno-sviluppo-condizionato