Magistratura democratica
Magistratura e società

"The Old Oak" di Ken Loach

di Antonella Di Florio
già consigliera di Cassazione

Quando il cinema parla di solidarietà

L’ultimo film di Ken Loach segue l’itinerario di altre opere che, nell’ultimo anno, hanno caratterizzato il panorama cinematografico europeo, denunciando le difficoltà di convivenza pacifica tra le popolazioni residenti e le nuove comunità di immigrati. 

Il regista, con grande talento, riesce a modellare la vicenda a immagine e somiglianza del suo cinema, spostando lo scontro di classe, da sempre oggetto delle sue narrazioni, sul piano di quella deriva sociale xenofoba dilagante in tutta Europa, alimentata da una politica cinica, che si nutre della paura della diversità per nascondere le sue manchevolezze e i suoi fallimenti.

La storia raccontata risale al 2016 quando la vita del protagonista del film, un loser come tanti altri descritti nelle opere di Ken Loach, abbandonato dalla moglie (poi morta) e dal figlio, e disilluso dalla fine della lotta politica dei minatori del North England, va ad impattarsi con l'arrivo di un gruppo di profughi siriani, in fuga dalla guerra e dalla devastazione del loro paese. La convivenza con gli abitanti del paese - collocati in uno scenario di ineluttabile impoverimento, in cui manca il lavoro - si rivelerà tutt'altro che semplice, scatenando tensioni, pulsioni razziste e amicizie tradite, in una guerra tra poveri destinata inevitabilmente a non avere vincitori. 

The Old Oak (La vecchia quercia) è un pub di un paesino “ex” minerario vicino a Durham: la miniera è stata smantellata da tempo, i cittadini comuni sono diventati poveri, le case vengono vendute all’asta per una manciata di sterline ed usate, talvolta, per alloggiamenti provvisori dei profughi “ospitati” da uno dei paesi più ricchi del mondo. 

L’insegna del pub di J. T. Ballantyne, il protagonista, fatica a restare dritta ed anche gli interni sono malmessi: il locale è frequentato da alcuni avventori abituali aggressivi e testardi ed ha una sala sul retro che, un tempo, ospitava feste private, matrimoni e riunioni, ed è chiusa da anni, impolverata, con problemi all’impianto elettrico e idraulico. 

Il film inizia con le foto in bianco e nero di un gruppetto di cittadini aggressivi che assistono all’arrivo di un pullman di profughi siriani, gente che si è lasciata dietro tutto, case, cose, persone. Si sente il “clic” degli scatti della macchina fotografica, insieme alle parole derisorie e volgari dei paesani esagitati. 

A fotografarli è Yara, una giovane siriana che parla inglese, appreso da autodidatta («ho deciso di imparare venti parole al giorno») e che nella fotografia ha trovato una ragione di sopravvivenza, lo strumento con cui affrontare il dolore della realtà.

J.T. ricorda i tempi in cui lo spirito di gruppo rappresentava un valore; ricorda gli scioperi con i quali, in passato, i minatori si erano opposti (anche se inutilmente) alla politica vessatoria del governo; ancora, ricorda il motto di allora: «Strength, Solidarity, Resistance» (forza, solidarietà, resistenza). 

E, soprattutto, riemerge la frase che accompagna le vecchie foto del paese e dei minatori appese nella sala sul retro: «If we eat together, we stick together» (se mangiamo insieme, stiamo uniti): parole fondamentali, perché ricordano che il cibo non è solo sostentamento, ma può trasformarsi in momento di condivisione venir voglia di continuare a vivere.

Resta allora soltanto la speranza, che nel film assume le fattezze del protagonista: la sua ostinazione a voler creare nel pub - unico spazio pubblico rimasto alla cittadinanza - una mensa per i più poveri («Che c'è di male a voler aiutare delle persone in uno dei paesi più ricchi del mondo?»), più che un atto di generosità, assume le sembianze di un atto politico. 

Non ci sono buoni e cattivi tra i personaggi, solo gente infelice e impoverita che la miseria e la disillusione spingono all’astio e all’aggressività. 

Ken Loach li segue, li controlla, non eccede, non bara, ma non è mai banale. 

Lavora sul concetto di comunità: quella che, per lo più omogenea di donne e uomini bianchi, perfettamente radicati nelle abitudini soporifere di un ambiente post-industriale, incontra e si scontra con una comunità “altra” di profughi siriani, che sin da subito si intuisce latrice di apertura e arricchimento, seppur graduali e non privi di ostacoli.

Il film descrive cosa succede quando si innesca una “guerra tra poveri” in cui anche gli spazi diventano campo di contesa. E gli spazi sono, soprattutto nel Regno Unito, principalmente case e pub. Da un lato, le case assegnate a una manciata di profughi siriani in un’area immobiliare ormai svalutata da decenni, da quando le miniere hanno chiuso ed il Thatcherismo ha pensato a disgregare tutto il resto. Dall’altro lato, il pub di TJ Ballantyne, gigante dagli occhi buoni che, quando non è dietro il bancone a spillare birre per i suoi cinque o sei clienti regolari, guida un furgone con cui aiuta a distribuire vestiti e beni di prima necessità alle famiglie arrivate in zona. 

TJ, presto si trova a scegliere di prestare anche una sala a lungo in disuso del suo pub, mettendo a rischio la scarna clientela su cui ancora può fare affidamento e che dei nuovi vicini siriani si è limitata a vedere la diversità. 

È così che funzionano, del resto, le guerre tra poveri: un’ideologia calata dall’alto (in questo caso razzista e colonialista) fa sentire nemici, piuttosto che reciproci alleati, soggetti che in realtà condividono privazioni materiali ed esistenziali molto simili, imposte anche queste da una struttura all’apparenza incontestabile e immodificabile.

Ma è qui che, agli spazi, si aggiunge un ingrediente non secondario del film di Loach: il cibo. Nel retro del pub di TJ Ballantyne e grazie alla preziosa idea della siriana Yara, il cibo viene distribuito a chiunque ne abbia bisogno, a prescindere dalla tonalità della pelle e dalla lingua parlata.

«When you eat together you stick together»: mangiando insieme si resta insieme, si rimane uniti. È questa la frase che Yara trova a didascalia di una foto in bianco e nero appesa nella sala dove prenderà pian piano forma la mensa comune. La foto risale ai tempi dei grandi scioperi d

 

i protesta contro il governo conservatore di Margaret Thatcher, che la classe lavoratrice dell’area mineraria della contea di Durham ha fortemente opposto. 

La prima ministra inglese, in carica dal 1979 al 1990, è nota per aver sostenuto che non è la società a dover provvedere al benessere dei singoli, e per aver quindi proceduto a smantellare larghe porzioni di welfare state, innescando una spirale degenerativa i cui effetti sono ancora oggi tutt’altro che conclusi. 

Le foto nel pub di TJ testimoniano di tutto questo, e al tempo stesso parlano di una solidarietà di ritorno che l’intelligenza di Yara riesce a vedere come replicabile nel presente: la ragazza è una fotografa che conquista familiarità con gli spazi e le persone attraverso le lenti della sua macchina fotografica, che ha portato con se durante il lungo viaggio e che è un indispensabile strumento per attribuire valore a scene di vita quotidiana i cui protagonisti non erano mai stati davvero visti prima. 

Attraverso la fotografia, Yara riesce a cogliere speranza e forza anche dove non sembrerebbe possibile ed a diffondere immagini che rimangono impresse nel percorso del racconto come tappe del presente vissuto a Durham. 

In questo film Ken Loach, da sempre protagonista di un neorealismo anglosassone riferito ai temi del diritto del lavoro, allo sfruttamento ed alle precarie condizioni di vita che da ciò derivano ( in Inghilterra, ma anche in moltissimi paesi del mondo) , si affaccia alla materia delle migrazioni di coloro che provengono da un paese in guerra come la Siria.

L’incontro fra questi due problemi epocali è una formidabile occasione per lanciare un grido in favore della solidarietà come unico strumento per superare l’odio e la rabbia di chi vive in condizioni degradate, la cui reazione, altrimenti, è solo quella di attaccare coloro che stanno peggio, perdendo di vista tutti gli obiettivi di possibile redenzione, volti ad affermare l’esistenza di ineludibili diritti fondamentali.

Ritorna in mente, al proposito, l’insegnamento di Stefano Rodotà[1] che ha ricordato che la solidarietà è un principio nominato da molte Costituzioni, invocato come regola nei rapporti sociali ed è al centro di un nuovo concetto di cittadinanza intesa come uguaglianza dei diritti che accompagnano la persona ovunque si trovi.

La solidarietà appartiene ad una logica inclusiva, paritaria, irriducibile al profitto: essa permette la costruzione di legami sociali nella dimensione propria dell’universalismo e si congiunge con la fraternità.

Nei tempi difficili è la forza delle cose a farne avvertire il bisogno ineliminabile: solo la sua presenza consente di continuare a definire democratico un sistema politico, visto che l’esperienza storica ci mostra che se diventano difficili i tempi per la solidarietà lo diventano pure per la democrazia.

Il principio risulta, mai come in questo momento di guerre, violenze e sopraffazioni, di straordinaria attualità e la scena finale del film – un immenso corteo che sfila nella strada principale del paese invocando «Strength, Solidarity, Resistance» – ci fa pensare che è più che mai necessario credere in questa utopia e fare di tutto perché possa essere realizzata.

 

photo credits: Ken Loach/Sixteen Films

 
[1] Cfr. S. Rodotà, Solidarietà, un’utopia necessaria, ed. Laterza, 2014.

13/01/2024
Altri articoli di Antonella Di Florio
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
The Law is a donkey!

Una decisione giudiziale americana ed alcune iniziative legislative inglesi mettono in crisi le fondamenta concettuali del Common Law, sotto le spinte della ideologia conservatrice e nazionalista. Vediamole separatamente per poi trarne alcune conclusioni. 

30/07/2022
Io, Daniel Blake
Recensione al film di Ken Loach, vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes 2016
19/11/2016
La riforma Jackson e la disciplina delle spese nel processo civile inglese
La nuova disciplina delle spese processuali in Inghilterra: esempio di una modalità efficace e pragmatica di riforma processuale e di utilizzo di istituti processuali con finalità di effettivo case management
31/05/2014