Alcune considerazioni di un giurista internazionalista sull’invasione dell’Ucraina*
Di fronte ai tragici eventi in Ucraina, qualcuno potrebbe concludere nel senso dell’inutilità del diritto internazionale. Eppure mai come ora è urgente il richiamo alle regole, che non solo offrono un’importantissima chiave di lettura degli eventi, ma costituiscono anche uno degli strumenti per cercare di frenare la spirale di violenza.
1. Una premessa / 2. Sull’uso della forza armata da parte della Russia / 3. In una prospettiva di tutela dei diritti umani / 4. Violazione del diritto bellico e crimini di guerra
1. Una premessa
Di fronte a una tragedia come quella che si è abbattuta sull’Ucraina, per evitare la quale a nulla sono valsi gli sforzi di mediazione presso Putin, qualcuno sarà tentato di trarre conclusioni drastiche sulla scarsa utilità del diritto internazionale (ripetutamente e gravemente violato in questi giorni) e della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, che sulle ceneri ancora fumanti della Seconda guerra mondiale fu creata proprio per risparmiare all’umanità il flagello di un nuovo conflitto mondiale.
Eppure le cose non stanno esattamente così. Proprio in un momento come questo, in cui l’Europa è di nuovo sull’orlo del baratro, è impellente ribadire con forza che esistono delle regole, ovvero uno degli strumenti per cercare di frenare il lento scivolamento verso l’irreparabile, non solo per l’Ucraina ma anche per il resto del Continente.
Un’analisi giuridica dei tragici eventi in corso è, nondimeno, un’analisi articolata e che richiede anche un approccio prospettico. Il presente contributo si ripropone precisamente questo, ovvero di offrire ai lettori una chiave di lettura (giuridica), ma in una prospettiva più ampia, che consenta di cogliere appieno le diverse implicazioni inerenti alle serissime questioni giuridiche che gli eventi in corso sollevano.
La nostra analisi si soffermerà su tre temi principali: l’uso della forza armata, naturalmente, per cominciare; la dimensione della tutela dei diritti umani; per concludere, i profili di diritto internazionale dei conflitti armati e di giustizia penale internazionale.
2. Sull’uso della forza armata da parte della Russia
Va innanzitutto osservato che, sin dal 2014, l’Ucraina era già stata colpita da un primo atto di aggressione (in Crimea)[1], da probabili forme di aggressione nell’Est dell’Ucraina, in seguito allo scoppio del conflitto nel Donbass, e in ogni caso anche da un conflitto armato non internazionale tra forze governative e insorti separatisti nella medesima regione orientale. Le ostilità cominciate il 24 febbraio 2022, pur innestandosi in un quadro conflittuale preesistente, costituiscono nondimeno un evento distinto da quelli bellici precedenti e richiedono, pertanto, una qualificazione giuridica autonoma.
Ciò premesso, occorre sgomberare il campo da ogni possibile equivoco: l’attacco contro l’Ucraina lanciato il 24 febbraio 2022 non poggia su alcuna argomentazione giuridica fondata, per quanto la Russia non abbia mancato di invocare argomenti giuridici. L’azione armata contro l’Ucraina costituisce chiaramente un’aggressione, che integra praticamente quasi tutte le fattispecie previste dalla definizione di «aggressione» adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974 (risoluzione n. 3314) e che corrisponde in larga misura al diritto consuetudinario: invasione (articolo 3, lett. a); bombardamenti contro il territorio di un altro Stato (lett. b); blocco dei porti o delle coste (lett. c); attacco contro le forze armate di un altro Stato (lett. d); invio di gruppi armati o di mercenari (lett. g).
Alla luce del diritto internazionale vigente, tutti gli argomenti avanzati o adombrati dalla Russia sono manifestamente infondati. Rinviando ad alcuni dei contributi più autorevoli per ulteriori approfondimenti[2], ci soffermeremo qui su due dei principali argomenti invocati dalla Russia, ovvero la legittima difesa (preventiva) e la protezione delle popolazioni russofone (specialmente dell’Est dell’Ucraina) da un presunto genocidio ai loro danni ad opera delle forze ucraine. Va segnalato, peraltro, che il grosso dell’argomentazione avanzata dalla Russia emerge dal tristemente noto discorso televisivo del 24 febbraio, che secondo alcuni equivarrebbe in sostanza a una dichiarazione di guerra[3].
In tale discorso Putin fece riferimento a minacce per l’esistenza stessa e per la sovranità della Russia, a una questione di vita o di morte, addossandone la responsabilità alla Nato. In diritto internazionale, com’è noto, l’uso della forza armata nelle relazioni internazionali è vietato in linea generale, con due sole eccezioni: la legittima difesa e l’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Una terza eccezione, formatasi per via consuetudinaria e che riscuote ormai un certo credito, riguarda l’uso della forza armata per proteggere cittadini all’estero[4]. Su quest’ultima eccezione si tornerà con riferimento all’argomento russo relativo alla protezione delle popolazioni russofone nell’Est dell’Ucraina.
Tutte le eccezioni di cui trattasi sono naturalmente sottoposte a condizioni stringenti. Per quanto riguarda la legittima difesa, sebbene l’ipotesi di un’azione difensiva preventiva, cioè prima che un attacco armato sia effettivamente sferrato, venga ormai ammessa, questa resta limitata al caso di un attacco armato imminente, ovvero sul punto di essere lanciato, e tale fondamentale circostanza va dimostrata. È chiaro che nessun attacco contro la Russia stava per essere sferrato da parte dell’Ucraina. Ipotetiche minacce future sono del tutto inidonee a giustificare una risposta armata a titolo di legittima difesa preventiva. Quanto a un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato, in primo luogo di per sé questo non costituirebbe evidentemente una situazione di attacco armato imminente. In secondo luogo, e soprattutto, si tratta di una questione in realtà fuorviante. Le decisioni chiave, all’interno della Nato, sono prese dal Consiglio del Nord Atlantico, dove siedono i rappresentanti degli Stati membri e dove si decide mediante consensus[5]. È noto che diversi Paesi membri della Nato erano contrari all’ammissione dell’Ucraina, che difatti non era all’ordine del giorno e non lo sarebbe stata neppure in un futuro prossimo, indipendentemente da una serie di misure preparatorie (anche legislative) adottate dall’Ucraina[6]. Ciò nonostante, alla vigilia dell’invasione non ci fu alcuno spazio di mediazione. I reali motivi della decisione di invadere l’Ucraina erano in effetti altri e la questione ipotetica, e di fatto insussistente, di un ingresso dell’Ucraina nella Nato ha costituito in parte un pretesto e in parte un aspetto della “sindrome da accerchiamento”, onnipresente nella retorica di parte russa. Questo al di là della questione, di diversa natura e che non può essere affrontata in questa sede, del se e quanto determinati errori di carattere politico-strategico, da parte della Nato e di alcuni suoi membri, possano aver eventualmente contribuito ad alimentare la suddetta sindrome.
Per quel che riguarda il secondo argomento su cui occorre soffermarsi, ovvero la protezione delle popolazioni russofone nell’Est dell’Ucraina, due sono i profili sollevati da parte russa. Il primo riguarda la già menzionata questione della protezione di cittadini all’estero, posto che negli ultimi anni la cittadinanza russa è stata generosamente concessa agli abitanti russofoni dell’Ucraina, specie nella parte orientale. Tuttavia, come le altre eccezioni al divieto di uso della forza nelle relazioni internazionali, anche questa è sottoposta a condizioni rigorose: una situazione di estremo pericolo per la vita dei concittadini minacciati, il ricorso della forza armata come extrema ratio (esaurita ogni altra opzione e a fronte dell’inerzia dello Stato territoriale), infine (ma non meno importante), un uso della forza contenuto entro i limiti dello stretto necessario e proporzionato rispetto alla finalità perseguita. Ebbene, anche ammesso – come asserito dalla Russia – che le forze ucraine stessero preparando un’offensiva per recuperare territori separatisti nel Donbass e a prescindere dalle questioni giuridiche relative a un’eventuale azione armata ucraina del genere, l’azione armata russa, estesa com’è noto all’insieme del territorio ucraino, fino addirittura a minacciare la stessa capitale Kiev, si è rivelata da subito manifestamente sproporzionata rispetto alla pretesa finalità di proteggere persone aventi anche la cittadinanza russa, abitanti nelle regioni separatiste, quand’anche queste fossero state realmente esposte a un pericolo imminente per la loro vita, il che peraltro avrebbe dovuto essere dimostrato.
Quanto all’argomentazione basata sulla pretesa necessità di proteggere dette popolazioni da un genocidio, la Russia ha – seppure indirettamente – invocato il diritto di intervento umanitario, che gli stessi Paesi occidentali avevano invocato in passato a sostegno di azioni armate unilaterali (segnatamente, la campagna di bombardamenti aerei contro la Serbia del 1999, in reazione alle persecuzioni inflitte alla popolazione del Kosovo di etnia e lingua albanese; su questo punto si ritornerà fra breve). Anche questo argomento non resiste a un esame serio, e ciò per almeno due motivi: in primo luogo, il diritto di intervento armato a fini umanitari non è ancora sorretto da alcuna norma di diritto internazionale e resta fortemente controverso; in secondo luogo, manca del tutto il presupposto materiale per un intervento del genere: la popolazione russofona dell’Est dell’Ucraina non era e non è né vittima né minacciata di genocidio. Entrambi i motivi sono già stati confermati dalla decisione della Corte internazionale di giustizia (Cig) sulla richiesta di misure cautelari avanzata dall’Ucraina nell’ambito del ricorso intentato contro la Russia, in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Tra l’altro, in tale decisione la Cig ha testualmente affermato che non risultano evidenze idonee a suffragare la tesi russa di un genocidio in atto in Ucraina, nelle regioni orientali, ai danni della popolazione russofona. Inoltre, la Cig ha espresso dubbi circa la possibilità che la suddetta Convenzione autorizzi il ricorso unilaterale (quindi, in assenza di un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza) alla forza armata nel territorio di un altro Stato allo scopo di prevenire o punire un preteso genocidio[7].
La decisione della Cig ora citata è solo una delle prese di posizione istituzionali internazionali che hanno fatto seguito all’aggressione contro l’Ucraina: fra le altre, la risoluzione di condanna da parte dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite[8], che richiama addirittura la nota risoluzione “Uniting for Peace” adottata all’epoca della guerra di Corea[9], la decisione della stessa Assemblea generale di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite[10], la decisione del Consiglio dell’Organizzazione marittima internazionale di condannare il blocco dei porti e delle coste ucraine sul Mar Nero e, conseguentemente, del traffico commerciale e di navi battenti bandiere di Stati terzi[11]. A queste si aggiungono (ma vanno tenute distinte) le misure restrittive o coercitive unilaterali (comunemente – seppure impropriamente – denominate “sanzioni”) adottate dell’Unione europea e da un certo numero di Stati non solo occidentali, com’è noto[12].
In punto di diritto, occorre aggiungere due osservazioni complementari. Poiché la Bielorussia ha messo il proprio territorio a disposizione delle forze russe per lanciare operazioni armate in territorio ucraino, tale Stato si è reso corresponsabile di aggressione (art. 3, lett. f della succitata definizione di «aggressione»)[13]. Inoltre, nel caso di una violazione grave di una norma imperativa, cui certamente corrisponde l’aggressione contro l’Ucraina, l’art. 41, comma 2 degli articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati (o progetto di articoli)[14] impone agli Stati terzi di non riconoscere la situazione creatasi in seguito a una violazione grave (definita all’art. 40 del medesimo testo) e vieta altresì di prestare aiuto o assistenza nel mantenere tale situazione. Ne consegue, tra l’altro, che è fatto divieto di fornire alla Russia assistenza militare che possa essere utilizzata per portare avanti l’aggressione contro l’Ucraina.
Detto tutto quanto precede, è opportuno aggiungere un’osservazione critica su alcune condotte di Paesi occidentali, negli ultimi ventitré anni, alquanto discutibili o in violazione del divieto di uso della forza armata nelle relazioni internazionali. Ci si riferisce alla già menzionata campagna di bombardamenti aerei contro la Serbia (1999), all’invasione dell’Iraq (2003) e all’utilizzo dell’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all’uso della forza per proteggere la popolazione civile libica, in particolare nell’area di Bengasi, allo scopo di perseguire in realtà l’obiettivo di rovesciare il governo di Gheddafi (2011)[15]. Nel richiamare tali situazioni critiche imputabili a Paesi occidentali non si intende naturalmente, in alcun modo, addurre circostanze attenuanti rispetto all’aggressione in corso contro l’Ucraina, che resta del tutto ingiustificata e ingiustificabile alla luce del diritto internazionale. Il punto è un altro. Si tratta di essere consapevoli del fatto che la disinvoltura mostrata da Paesi occidentali nelle summenzionate crisi ha contribuito a danneggiare la qualità della cooperazione all’interno del Consiglio di Sicurezza (un ingrediente essenziale per la sua efficacia), ha ulteriormente rafforzato una tendenza cominciata in realtà nell’ultimo scorcio del XX secolo, ovvero una progressiva erosione del divieto dell’uso della forza armata nelle relazioni internazionali, e ha infine creato una serie di (pericolosi) precedenti che altri (la Russia, nel caso che si discute) hanno poi strumentalizzato per i propri interessi e obiettivi. I bombardamenti sulla Serbia in relazione alle violazioni massicce dei diritti umani in Kosovo sono del resto diventati una recriminazione ricorrente nella retorica russa e il riferimento al Kosovo è presente persino nelle argomentazioni relative all’aggressione contro l’Ucraina.
Ciò detto, occorre fare molta attenzione a evitare di cadere nella trappola di concedere una qualche attenuante (che non esiste in questo caso) all’attacco contro l’Ucraina per via degli errori o delle azioni alquanto discutibili da parte di Paesi occidentali, specialmente dal Kosovo in poi. Ne è riprova il fatto che proprio la stessa Serbia, alleato storico di Mosca e bersaglio dei bombardamenti della Nato del 1999, ha votato a favore della risoluzione dell’Assemblea generale del 2 marzo 2022, di condanna (senza se e senza ma) dell’aggressione contro l’Ucraina.
A conclusione dell’analisi del primo profilo, è utile aggiungere che la qualificazione dell’azione russa come «aggressione» o «attacco armato»[16] è rilevante anche rispetto alla questione della fornitura di armi all’Ucraina, aspetto che com’è noto coinvolge ormai anche l’Italia.
L’Italia è uno Stato terzo, quindi non belligerante, rispetto al conflitto in corso in Ucraina. Il diritto tradizionale di neutralità, parte del diritto internazionale dei conflitti armati, imporrebbe dunque una serie di obblighi di neutralità rispetto ai belligeranti, anche per quanto concerne la fornitura diretta di armi. Tuttavia, gran parte della dottrina ritiene ormai che nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, le norme tradizionali sulla neutralità subiscano una deroga nel caso di aggressione[17]. Laddove intervenga un accertamento istituzionale a livello delle Nazioni Unite dell’avvenuta aggressione (nel nostro caso la già citata risoluzione del 2 marzo 2022, vista l’impossibilità per il CdS di pronunciarsi per via del ricorso al potere di veto da parte della Russia sin dal 26 febbraio 2022[18]), gli obblighi di neutralità cedono il passo al diritto di assistere lo Stato aggredito, sempre che quest’ultimo non richieda un intervento diretto a titolo di legittima difesa collettiva da parte di Stati terzi disposti a prestare il loro aiuto (opzione sin qui esclusa nel caso del conflitto in Ucraina). La fornitura di armi da parte dell’Italia va dunque inquadrata in questo contesto giuridico, sebbene i provvedimenti legislativi in questione presentino alcune carenze rispetto alla normativa sul commercio delle armi[19].
3. In una prospettiva di tutela dei diritti umani
Putin arrivò al potere nel 1999 (fu nominato Primo ministro il 9 agosto), proprio in concomitanza con l’inizio della seconda guerra in Cecenia, che cominciò con pesanti bombardamenti tra agosto e settembre 1999. Per chi, come chi scrive, seguì le due guerre in Cecenia, la brutalità nella condotta delle ostilità in Ucraina purtroppo non sorprende. La seconda guerra in Cecenia, in particolare, fu contrassegnata da gravissime violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario dei conflitti armati, poi accertate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in una lunga serie di sentenze di condanna della Russia[20].
Nonostante la Russia fosse stata ammessa nel Consiglio d’Europa nel 1996, proprio durante la prima guerra cecena (conclusasi - a differenza della seconda - con un accordo tra Governo russo e separatisti[21]), la situazione dei diritti umani in Russia andò degradandosi già a partire dall’inizio degli anni duemila. La nota giornalista dissidente Anna Politkovskaja venne del resto uccisa nel 2006 (il 7 ottobre, per la cronaca giorno di compleanno di Vladimir Putin): «A partire dal 1999 Politkovskaja aveva cominciato a seguire il conflitto in Cecenia per il periodico indipendente Novaja Gazeta. Il suo impegno in difesa dei diritti umani, i reportage dalle zone di guerra e la sua opposizione alle derive autoritarie del governo di Vladimir Putin le valsero il Global award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani nel 2001, e il premio dell’Osce per il giornalismo e la democrazia nel 2003»[22].
Il processo, contro gli esecutori materiali, non chiarì chi fossero stati i mandanti. Con sentenza del 21 settembre 2021, la Corte Edu ha attribuito ad agenti dello Stato russo la diretta responsabilità per l’omicidio (nello stesso anno, il 2006) di Aleksandr Litvinenko, ex-agente segreto russo che nel frattempo si era rifugiato nel Regno Unito, dove aveva ottenuto l’asilo politico e la cittadinanza britannica[23]. Negli anni seguenti i due omicidi, la parabola repressiva-autoritaria non fece che accentuarsi.
Che rapporto tra il peggioramento della situazione dei diritti umani in Russia e l’aggressione all’Ucraina? Un caso scuola, verrebbe da dire. Gli eventi bellici in corso confermano (purtroppo, ma è così) la perdurante validità della lezione di René Cassin, giurista francese che aveva vissuto le due guerre mondiali (la prima l’aveva anche combattuta perdendo una gamba), che partecipò alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti umani e cui, nel 1968, venne assegnato il Premio Nobel per la Pace. Ebbene, René Cassin aveva detto: «non vi sarà pace nel mondo finché i diritti umani verranno violati in qualche parte del mondo». Questo legame tra tutela dei diritti umani e pace fu alla base dei primi passi della realizzazione del sistema internazionale di tutela dei diritti umani. Un regime che viola i diritti umani è un regime violento, la cui violenza rischia prima o poi di travalicare i confini nazionali, in un modo o nell’altro. Lo abbiamo purtroppo sperimentato molte altre volte, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, da ultimo con riferimento alla spirale di violenza in cui è precipitata la Siria, valicandone poi i confini, e con riferimento all’aggressione contro l’Ucraina.
La Russia è ormai fuori dal Consiglio d’Europa, che ne ha prima sospeso i diritti di rappresentanza per poi sancirne definitivamente l’uscita dall’Organizzazione a partire dal 16 marzo 2022[24]. Ai sensi dell’art. 58 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, lo Stato che cessa di essere membro del Consiglio d’Europa recede automaticamente dalla Cedu allo scadere di un periodo di sei mesi – dunque, il 16 settembre 2022. La Corte Edu resta pertanto competente a ricevere ricorsi contro la Russia fino a tale data, e questo comprenderà un numero elevato di ricorsi relativi alla guerra in Ucraina (compreso un nuovo ricorso interstatale dell’Ucraina contro la Russia presentato subito dopo l’inizio delle ultime ostilità), per quanto non ci sia da aspettarsi granché in termini di attuazione da parte della Russia delle sentenze che ne scaturiranno, a meno che non intervengano, a un certo punto, un cambiamento ai vertici dello Stato russo e una significativa svolta politica. Diversamente, oltre alla prevedibile assenza di cooperazione da parte della Russia rispetto alle future sentenze della Corte Edu (in violazione comunque del diritto internazionale, beninteso), le prospettive per la società russa dal punto di vista dei diritti umani sono cupe. Peraltro, dopo il 16 settembre 2022 la Corte Edu non potrà più ricevere ricorsi da parte di vittime presunte di violazioni dei diritti umani imputabili alla Federazione russa (nel quadro della sovranità territoriale russa o al di fuori, cioè nell’ambito delle azioni di proiezione extraterritoriale - anche armata - da parte delle autorità e delle forze russe). La sospensione del ricorso alla pena di morte, per ora, non viene messa in discussione, grazie a una sentenza della Corte costituzionale russa, ma ovviamente non è possibile sapere quanto questo potrà durare.
4. Violazione del diritto bellico e crimini di guerra
Com’è già ben noto, il conflitto in corso è accompagnato da una serie impressionante di crimini. Certamente crimini di guerra più crimine di aggressione, ma l’impianto accusatorio potrebbe portare a formulare anche l’ipotesi di crimini contro l’umanità. Si discute peraltro, sebbene per ora in una dimensione più politica che tecnico-giuridica, se sia in atto un genocidio ai danni di parte della popolazione ucraina.
Di nuovo, per chi all’epoca abbia seguito specialmente la seconda guerra cecena, la guerra tra Russia e Georgia (2008) e l’intervento diretto della Russia in Siria (a partire dal 2016), la brutalità cui si assiste in Ucraina purtroppo non sorprende ed era prevedibile. Tutte le campagne militari in questione sono state contrassegnate da strategie e tattiche spietate per la popolazione civile, con una considerazione scarsissima, a volte inesistente, per la vita umana in generale e dei civili in particolare. Gli ospedali sono stati (e sono) bersagliati, come era già accaduto in Siria.
Non sarà facile perseguire i crimini commessi in Ucraina. In generale non è affatto semplice perseguire i crimini internazionali, data soprattutto l’assenza di quantomeno alcuni automatismi cui si è abituati quando si ha a che fare con la giustizia penale nazionale. Ciò nonostante, rispetto all’Ucraina si stanno mettendo in moto meccanismi non scontati. Né l’Ucraina né la Russia hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale (Cpi). La competenza di quest’ultima è territoriale (crimini commessi sul territorio di uno Stato Parte, quand’anche da cittadino di uno Stato non Parte) o personale (crimini commessi da un cittadino di uno Stato Parte, quand’anche sul territorio di uno Stato non Parte). Il Procuratore della Cpi può essere messo in moto anche dal Consiglio di Sicurezza, e questa opzione prescinde dai normali criteri di competenza (sinora è stata usata rispetto al Sudan e rispetto alla Libia, entrambi Stati non Parte), ma qualunque decisione in tal senso è impossibile dato che sarebbe ovviamente bloccata dal veto russo. Tuttavia, con due dichiarazioni successive, notificate nel 2014 e nel 2015 (la seconda senza limiti temporali), l’Ucraina, Stato non Parte, accettò unilateralmente la giurisdizione della Cpi ai sensi dell’art. 12, comma 3 dello Statuto della Cpi. Inoltre, ben 41 Stati Parte hanno chiesto al Procuratore, in base all’art. 14, comma 1 dello Statuto, di procedere in relazione ai presunti crimini commessi in Ucraina, sempre sulla base delle due dichiarazioni ucraine. Questo ha permesso al Procuratore della Cpi di avviare un’inchiesta sulla situazione in Ucraina[25] rispetto ai crimini in relazione ai quali l’Ucraina aveva accettato la giurisdizione della Cpi, ovvero crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio (a esclusione del crimine di aggressione)[26].
L’altro strumento repressivo che si sta mettendo in moto è quello della giurisdizione universale, ovvero l’esercizio dell’azione penale da parte di tribunali di Stati diversi da quelli individuati su base territoriale (l’Ucraina) o personale (l’Ucraina e la Russia). In particolare, le Procure di Germania, Polonia e Lituania hanno già cominciato a indagare. Ucraina, Lituania e Polonia hanno siglato un accordo per l’istituzione di una squadra investigativa congiunta per facilitare lo scambio di informazioni e con l’obiettivo di cooperare anche con la Cpi. L’Ucraina, peraltro, è uno dei dieci Stati terzi che hanno un procuratore di collegamento presso Eurojust. Resta ovviamente salva la giurisdizione ucraina (oltreché, teoricamente, quella russa). A questo riguardo è interessante notare che, nell’ambito delle attività di supporto urgente all’Ucraina, il Consiglio d’Europa ha istituito un gruppo di esperti incaricato di fornire alla Procura generale dell’Ucraina consulenza a livello di strategia giudiziaria rispetto all’attività investigativa relativa alle gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario durante il conflitto in atto[27].
Sul campo, l’importantissimo lavoro di raccolta delle prove è già in corso. Oltre alle Procure sopra menzionate, sono impegnate fra le altre la Commissione d’inchiesta internazionale indipendente istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite[28], l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, nonché numerose organizzazioni non governative.
Naturalmente, non è affatto scontato che si riuscirà a portare in giudizio – se non altro – alcuni dei responsabili dei crimini commessi in Ucraina, per non parlare del Presidente Putin, sia quale Comandante in capo delle forze armate, in relazione ai crimini di guerra e in base alla cd. “responsabilità di comando”, sia quale leader in relazione al crimine di aggressione[29]. Peraltro, da tempo si dibatte sia degli effetti a breve termine dell’avvio dell’azione penale per crimini internazionali, persino controproducenti secondo alcune analisi, sia della sua effettiva deterrenza[30].
Di fronte alle enormi difficoltà con cui si scontrerà l’esercizio effettivo dell’azione penale in relazione ai crimini commessi in Ucraina e contro l’Ucraina, e prima ancora di fronte alla enormità dei crimini commessi, qualcuno si potrebbe chiedere a cosa serva il diritto internazionale umanitario. Sir Hersch Lauterpacht osservò che «se il diritto internazionale, in un certo senso, è il punto di evanescenza del diritto, il diritto dei conflitti armati è, in maniera ancora più evidente, il punto di evanescenza del diritto internazionale»[31].
In realtà, l’idea secondo cui il diritto internazionale umanitario dei conflitti armati sarebbe poco utile è sbagliata e molto pericolosa. Nonostante le enormi difficoltà applicative, connesse al contesto cui si riferisce (ovvero la violenza bellica), il diritto dei conflitti armati (o diritto internazionale umanitario) resta l’ultimo baluardo contro la spirale verso il basso, verso la brutalità senza alcun freno. È agevole del resto constatare la diversità, in termini di sofferenza umana e di distruzione, fra conflitti caratterizzati da un certo grado di ottemperanza ai precetti del diritto umanitario e quelli dove gli argini saltano in misura estesa. In questi ultimi, peraltro, si verificano anche altri fenomeni, quali assuefazione e “normalizzazione”. In particolare, crimini di guerra impunemente commessi su vasta scala non solo facilitano la commissione di ulteriori crimini, ma in più possono ingenerare l’idea (a sua volta estremamente perniciosa) secondo cui si tratterebbe degli inevitabili strascichi di ogni conflitto. La Siria è un caso emblematico da tutti questi punti di vista.
Prepariamo dunque l’esercizio dell’azione penale, seppure nella consapevolezza che sarà una strada tutta in salita, ma anche se per il momento possiamo far sentire poco più che la voce delle norme, questa è e resta comunque una voce imprescindibile. Lo strumento di lavoro alla base del diritto è naturalmente, innanzitutto, la parola. Eppure, le parole del diritto hanno una loro forza propria. A maggior ragione, di fronte a una tragedia come quella che sta vivendo l’Ucraina, le parole del diritto ci dicono cosa è accettabile e cosa non lo è. Se quella voce non risuona più con forza e con chiarezza, l’inaccettabile rischia di diventare normale e quindi inevitabile, e la strada verso una inarrestabile spirale di violenza e di barbarie, verso la notte della ragione e delle regole è spianata. Vogliamo davvero che a parlare sia solo il linguaggio della forza bruta, come qualcuno va farneticando? In realtà, ora più che mai è urgente far sentire la voce del diritto, con vigore e competenza.
* Il presente contributo è stato pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 27 aprile 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/alcune-considerazioni-di-un-giurista-internazionalista-sull-invasione-dell-ucraina).
1. In proposito vds., fra gli altri, M. Arcari, Violazione del divieto di uso della forza, aggressione o attacco armato in relazione all’intervento militare della Russia in Crimea?, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 2/2014, pp. 473 ss.
2. Vds., fra gli altri, J.A. Green - C. Henderson - T. Ruys, Russia’s attack on Ukraine and the jus ad bellum, in Journal on the Use of Force and International Law, 25 marzo 2022 (www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/20531702.2022.2056803?src). Vds. anche la risoluzione adottata dall’Institut de droit international il 1° marzo 2022, disponibile online: www.idi-iil.org/fr/declaration-de-linstitut-de-droit-international-sur-lagression-en-ukraine/.
3. J.A. Green - C. Henderson - T. Ruys, op. cit., p. 4. Vale la pena di aggiungere, a questo riguardo, che dalla fine della Seconda guerra mondiale la dichiarazione di guerra era caduta in desuetudine.
4. Vds., ad esempio, N. Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 48-50; in senso ancora più restrittivo, M. Arcari, Il mantenimento della pace e l’uso della forza, in T. Scovazzi (a cura di), Corso di diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 2018, pp. 322-325.
5. Vds., inter alios, D.M. Grütters, NATO, International Organizations and Functional Immunity, in International Organizations Law Review, n. 2/2016, pp. 211 ss., spec. pp. 219 ss.
6. Su cui vds. Sara Cocchi, Ucraina e Georgia, lontane vicine, pubblicato in Questione giustizia online, 21 marzo 2022, par. 3 (www.questionegiustizia.it/articolo/ucraina-e-georgia-lontane-vicine), ora in questo fascicolo (Ucraina e Georgia, lontane vicine. Appunti sugli incroci della Storia lungo le rive del Mar Nero).
7. Allegations of Genocide under the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Ukraine v. Russian Federation), ordinanza del 16 marzo 2022, par. 59 (www.icj-cij.org/en/multimedia/622f0a2b045e580af31b0b21).
8. In data 2 marzo 2022, con ben 141 voti a favore, 5 contrari e 35 astensioni.
9. Su cui vds., fra gli altri, B. Conforti e C. Focarelli, Le Nazioni Unite, Cedam (Wolters Kluwer), Milano, 2020 (XII ed.), pp. 390-392.
10. In data 7 aprile 2022, con 93 voti a favore, 24 contrari e 57 astensioni. Prima decisione del genere per quanto concerne un membro permanente del Consiglio di Sicurezza (l’unico precedente aveva riguardato la Libia).
11. 10-11 marzo 2022 (www.imo.org/en/MediaCentre/PressBriefings/pages/ECSStatement.aspx).
12. L’inquadramento giuridico, alla luce del diritto internazionale, delle cosiddette “sanzioni” meriterebbe un articolo a sé. In generale, e per ulteriori riferimenti in materia, vds. D. Pauciulo, Considerazioni sulle misure coercitive adottate nei confronti della Federazione russa e della Bielorussia alla luce del diritto del commercio internazionale, in SIDIBlog, 19 marzo 2022 (www.sidiblog.org/2022/03/19/considerazioni-sulle-misure-coercitive-adottate-nei-confronti-della-federazione-russa-e-della-bielorussia-alla-luce-del-diritto-del-commercio-internazionale/). Per un’analisi approfondita, con particolare riferimento alle misure coercitive dell’Unione europea, vds. in particolare M. Sossai, Sanzioni delle Nazioni Unite e organizzazioni regionali, Roma TrE-Press, Roma, 2020, spec. pp. 101 ss. Cfr. anche G. Pugliese, Japan Responds to Russia’s War: Strong Solidarity with Ukraine with an Eye on China, in IAI Commentaries, n. 19/2022 (11 marzo), (https://www.iai.it/sites/default/files/iaicom2211.pdf), nonché A. Bultrini, EU “Sanctions” and Russian Manoeuvring: Why Brussels Needs to Stay its Course while Shifting Gears, ivi, n. 46/2020 (giugno – www.iai.it/sites/default/files/iaicom2046.pdf).
13. L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha esplicitamente stigmatizzato la partecipazione della Bielorussia nell’aggressione contro l’Ucraina: Consequences of the Russian Federation’s aggression against Ukraine, parere n. 300 del 15 marzo 2022, punto 18.2 (https://pace.coe.int/en/files/29885/html).
14. In materia, vds., inter alios: B. Conforti e M. Iovane, Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021 (XII ed.), pp. 418 ss.; A. Gioia, Diritto internazionale, Giuffrè, Milano 2019, pp. 473 ss.; C. Focarelli, Diritto internazionale, Cedam (Wolters Kluwer), Milano, 2021, pp. 670 ss.
15. Sulla vicenda libica vds. A. Bultrini (e i riferimenti ivi citati), Reappraising the Approach of International Law to Civil Wars: Aid to Legitimate Governments or Insurgents and Conflict Minimization, in Canadian Yearbook of International Law, vol. 56, 2018, spec. pp. 200 ss., nonché in particolare N. Ronzitti, NATO’s Intervention in Libya: a Genuine Action to Protect a Civilian Population in Mortal Danger or an Intervention Aimed at Regime Change?, in Italian Yearbook of International Law, 2011, pp. 9 ss.
16. Dal punto di vista sostanziale, i due concetti coincidono in larga misura: cfr. M. Arcari, Violazione, op.cit., pp. 475-477.
17. Vds., ad esempio, N. Ronzitti, Diritto internazionale, op. cit., pp. 349-354.
18. UN News, Russia blocks Security Council action on Ukraine, 26 febbraio 2022 (www.ungeneva.org/en/news-media/news/2022/02/russia-blocks-security-council-action-ukraine).
19. Carenze evidenziate da P. Rossi, La compatibilità con la Costituzione italiana e il diritto internazionale dell’invio di armi all’Ucraina, in SIDIblog, 8 marzo 2022 (www.sidiblog.org/2022/03/08/la-compatibilita-con-la-costituzione-italiana-e-il-diritto-internazionale-dellinvio-di-armi-allucraina/).
20. Sulle primissime sentenze relative alla seconda guerra cecena, vds. A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 115-120. Vds., inoltre, P. Leach, A Time of Reckoning? Russia and the Council of Europe, in Strasbourg Observers, 17 marzo 2022 (https://strasbourgobservers.com/2022/03/17/a-time-of-reckoning-russia-and-the-council-of-europe/).
21. Più precisamente, un “cessate il fuoco”, seguito da un accordo che respingeva il ricorso alla forza e una dichiarazione congiunta che riconosceva addirittura il «diritto universalmente riconosciuto all’autodeterminazione delle nazioni».
22. Amnesty Italia, Il giorno in cui morì la libertà di informazione in Russia, 7 ottobre 2019 (www.amnesty.it/anna-politkovskaja-anniversario-morte/).
23. Carter c. Russia, ric. n. 20914/2007.
24. La Russia ha, peraltro, cercato di precedere l’espulsione, notificando il giorno prima la propria decisione di ritirarsi dal Consiglio d’Europa e di recedere dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tali sviluppi sono riportati nella risoluzione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 22 marzo 2022, disponibile online: https://echr.coe.int/Documents/Resolution_ECHR_cessation_membership_Russia_CoE_ENG.pdf.
L’espulsione della Russia era stata peraltro sollecitata anche da parte dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel succitato parere n. 300 del 2022 (vds. supra, nota 13), punto 20.
25. www.icc-cpi.int/news/statement-icc-prosecutor-karim-aa-khan-qc-situation-ukraine-additional-referrals-japan-and.
26. Teoricamente esiste anche la possibilità di istituire un tribunale penale speciale ibrido, ad esempio in base a un accordo tra Ucraina e Nazioni Unite (analogamente al Tribunale speciale per il Libano) oppure in base a un accordo tra Ucraina e Unione europea (come nel caso delle Camere specializzate per il Kosovo). Per alcuni cenni sulle giurisdizioni penali internazionali miste, vds. R.S. Aitala, Diritto penale internazionale, Le Monnier (Università), Firenze, 2021, pp. 38-41.
27. www.coe.int/en/web/portal/-/council-of-europe-expert-advisory-group-starts-its-work-supporting-ukraine-s-prosecutor-general-office.
28. Risoluzione n. 49/1 del 4 marzo 2022.
29. Da notare, a quest’ultimo riguardo, che sebbene la possibilità di perseguire tale crimine sia esclusa per quanto riguarda la Cpi, le indagini delle autorità polacche e lituane coprono anche la guerra di aggressione in base ai codici penali di tali Paesi (rispettivamente, artt. nn. 110 e 117). Il Codice penale polacco prevede l’applicabilità del diritto penale polacco per quanto concerne reati contro gli interessi della Polonia commessi all’estero da cittadini stranieri (art. 110).
30. Al riguardo si vedano, tra gli altri, C. Carpenter, War Crimes Trials Aren’t Enough, in Foreign Policy, 5 aprile 2022, e i vari contributi sul tema in Diritti umani e diritto internazionale, n. 1/2017, pp. 101-172, n. 2/2017, pp. 435-464, nonché n. 3/2017, pp. 643-744.
31. H. Lauterpacht, The Problems of the Revision of the Law of War, in British Yearbook of International Law, vol. 29, 1952, p. 382.