L’applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 a situazioni di conflitto armato e violenza*
Lo scritto si propone di riassumere la posizione dell’UNHCR in merito alla riconducibilità delle condizioni in cui si trovi la persona in fuga da situazioni di conflitto armato e violenza alla nozione di «status di rifugiato», e di stimolare il dibattito della comunità giuridica italiana in materia di valutazione delle domande di asilo che a quelle situazioni sono legate.
1. Introduzione / 2. «Linee guida UNHCR in materia di protezione internazionale n. 12», relative a domande di asilo legate a situazioni di conflitto armato e violenza / 3. Il rapporto tra status di rifugiato e protezione sussidiaria nell’ambito della valutazione delle richieste di protezione internazionale / 4. Conclusione
1. Introduzione
Nel contesto europeo, i bisogni di protezione internazionale di coloro che fuggono da situazioni di conflitto armato e violenza vengono spesso ricondotti alla nozione di «protezione sussidiaria». Tale istituto fornisce, in effetti, una specifica protezione contro «la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale»[1].
Tuttavia, va osservato che la circostanza di avere abbandonato il proprio paese di origine (o di non potervi fare ritorno) a causa dell’evolversi di un conflitto armato non è certo incompatibile con un «fondato timore di persecuzione» ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951[2].
L’obiettivo di questo contributo consiste nel riassumere la posizione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) in merito alla riconducibilità di tali situazioni alla nozione di «status di rifugiato» e nello stimolare il dibattito della comunità giuridica italiana in materia di valutazione delle domande di asilo legate a situazioni di conflitto armato e violenza.
2. «Linee guida UNHCR in materia di protezione internazionale n. 12», relative a domande di asilo legate a situazioni di conflitto armato e violenza
Alla luce delle peculiarità che caratterizzano la valutazione dello status di rifugiato in relazione a contesti bellici, nel 2016 UNHCR ha pubblicato le «Linee guida in materia di protezione internazionale n. 12», relative a domande di asilo legate a situazioni di conflitto armato e violenza[3].
Il Manuale UNHCR e le Linee guida in materia di protezione internazionale sono documenti adottati dall’Alto Commissariato nell’ambito della responsabilità di supervisione della Convenzione di Ginevra del 1951, individuata sia dall’art. 35 della Convenzione stessa che dallo Statuto dell’UNHCR[4], e costituiscono il risultato di un ampio processo consultivo con Stati nazionali, esperti, associazioni della società civile e altri rilevanti attori globali[5].
Si tratta di strumenti di cd. soft law[6], volti a fornire una guida ermeneutica all’interpretazione del diritto dei rifugiati[7].
Nonostante non abbiano natura vincolante, la loro autorevolezza è stata confermata dalla giurisprudenza nazionale e internazionale. Ad esempio, in passato, la Corte suprema degli Stati Uniti ha definito il Manuale UNHCR un utile strumento interpretativo nell’ambito del diritto dei rifugiati[8], mentre la Corte di cassazione italiana ha recentemente affermato che le Linee guida UNHCR, «pur non costituendo norme cogenti, offrono tuttavia indicazioni indispensabili in subiecta materia, che ciascun giudice che si occupi di protezione internazionale dovrebbe conoscere e, se del caso, applicare in guisa di rinvio recettizio, quantunque improprio»[9].
Sul punto, è interessante notare come in Italia molte decisioni dei tribunali civili e della stessa Corte di cassazione citino Manuale e Linee guida a sostegno dei propri ragionamenti giuridici[10].
Tenuto conto della rilevanza delle Linee guida, nei prossimi paragrafi verranno riportati i ragionamenti giuridici proposti da tale documento sulla valutazione dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in relazione a contesti bellici.
Innanzitutto, con riferimento al fondato timore di persecuzione, UNHCR osserva come, in situazioni di conflitto armato e violenza, anche interi gruppi o comunità possano essere a rischio di persecuzione e come tale circostanza metta in pericolo ciascun membro del gruppo[11].
A questo proposito, le Linee guida sottolineano che «il fatto che molti o tutti i membri di un particolare gruppo siano a rischio non inficia la validità dell’istanza di un particolare individuo. Il termine di valutazione è la fondatezza del timore di persecuzione di un individuo»[12]. Anzi, in alcuni casi, la circostanza che gli effetti del conflitto siano avvertiti da un’intera comunità rafforza la fondatezza del timore del singolo di essere sottoposto a persecuzione[13].
Peraltro, dal momento che i timori di persecuzione di un singolo individuo possono essere indubbiamente fondati anche quando sono condivisi da molte altre persone nella stessa situazione, non deve pretendersi che un richiedente asilo in fuga da una zona di guerra dimostri di essere esposto a un rischio di persecuzione più elevato, per intensità o probabilità, rispetto ad altri individui in condizioni simili[14].
In secondo luogo, in relazione al presupposto della persecuzione, UNHCR specifica che l’esposizione di persone civili ad alcune categorie di azioni militari (e alle loro conseguenze) può costituire persecuzione ai sensi della Convenzione. L’elenco contenuto nelle Linee guida comprende, a titolo esemplificativo, i bombardamenti aerei, l’azione dei cecchini, l’utilizzo di mine, munizioni a grappolo e armi chimiche, tattiche di assedio, privazione sistematica di cibo e di forniture mediche, tagli ai rifornimenti idrici e all’elettricità[15].
A questo proposito, è importante rilevare come in un contesto bellico, indipendentemente dalle motivazioni del singolo, la violenza sessuale e di genere possa essere parte di una deliberata strategia politica o militare[16] volta a umiliare e terrorizzare la popolazione civile, nonché a indebolire l’avversario attraverso la vittimizzazione di uomini e donne. In quanto tale, la violenza sessuale e di genere può considerarsi una forma di persecuzione comune a molte situazioni di violenza generalizzata[17].
Sempre con riferimento al tema degli atti persecutori, UNHCR chiarisce che è possibile che le azioni compiute dai diversi schieramenti in conflitto ammontino a «persecuzione» ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, a prescindere dal fatto che soddisfino o meno tutti i requisiti per essere qualificabili come «crimini di guerra» o «contro l’umanità» ai sensi del diritto penale internazionale[18].
In altre parole, la violazione del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale non costituisce una condizione necessaria per l’individuazione di dinamiche persecutorie. Infatti, le Linee guida ricordano che «le corti penali internazionali e i tribunali si occupano principalmente di danni già commessi; il loro mandato non copre lo scopo umanitario più ampio di fornire protezione internazionale ai civili. Basarsi sul diritto internazionale umanitario o sul diritto penale internazionale nel loro senso più stretto per determinare lo status di rifugiato potrebbe minare gli obiettivi di protezione internazionale della Convenzione del 1951 (…). Inoltre, anche se certi comportamenti non sono vietati dal diritto internazionale umanitario o dal diritto penale internazionale, non cambia il fatto che ai fini del diritto internazionale dei rifugiati, tale condotta possa costituire persecuzione»[19].
In terzo luogo, in relazione alla sussistenza di un nesso causale con uno dei motivi di persecuzione previsti della Convenzione, UNHCR afferma che la sussistenza di tale legame può anche essere stabilita da tattiche militari e metodi di combattimento utilizzati dagli schieramenti in conflitto, nonché dall’assenza di volontà dello Stato di fornire protezione[20].
In un contesto di conflitto armato e violenza, anche comportamenti delle forze armate a prima vista indiscriminati possono in realtà prendere di mira intere comunità o zone geografiche, i cui abitanti vengono percepiti come sostenitori di uno degli schieramenti. Nelle parole delle Linee guida, «raramente le situazioni di conflitto armato e di violenza sono caratterizzate da una violenza che non è in un modo o nell’altro indirizzata a particolari popolazioni o che non ha un effetto sproporzionato su una particolare popolazione, stabilendo così un nesso causale con uno o più motivi di cui alla Convenzione. L’affiliazione (effettiva o percepita) ad un particolare schieramento in una situazione di conflitto armato e violenza può essere interpretata in senso ampio – estendendosi a certi gruppi di persone, tra cui familiari dei combattenti così come a coloro che appartengono allo stesso gruppo religioso o etnico o risiedono in un particolare quartiere, villaggio o città. Un motivo di cui alla Convenzione è regolarmente imputato a gruppi di persone sulla base dei loro legami familiari, comunitari, geografici o altro»[21].
Peraltro, in relazione al nesso con uno dei motivi della Convenzione, UNHCR rileva che, in diversi contesti bellici, sia l’assunzione di posizioni neutrali nei confronti delle forze armate, sia il rifiuto di sostenere una delle parti del conflitto o di conformarsi alle regole imposte dalle stesse possono essere percepiti come espressione di un’opinione politica legata all’appartenenza a una particolare religione, etnia o gruppo sociale[22].
Infine, bisogna evidenziare come, nonostante venga spesso fatto riferimento a richiedenti asilo che fuggono da situazioni di conflitto armato e violenza, un timore fondato di persecuzione possa sorgere anche dopo che le persone interessate abbiano abbandonato il proprio Paese d’origine. In questi casi si parla di “rifugiati sur place”.
Sul punto, le Linee guida forniscono alcuni esempi in relazione ai quali una persona, che si trovava al di fuori dei confini del proprio Paese di origine per i motivi più diversi, può diventare un rifugiato sur place. In particolare, il documento fa riferimento allo scoppio di una guerra, all’intensificarsi di una situazione di conflitto armato preesistente ma latente e alla manifestazione di specifiche posizioni politiche o religiose contrarie al conflitto armato in corso[23].
3. Il rapporto tra status di rifugiato e protezione sussidiaria nell’ambito della valutazione delle richieste di protezione internazionale
Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che possa essere utile analizzare ora il rapporto tra status di rifugiato e protezione sussidiaria con particolare riferimento alle richieste di asilo legate a situazioni di conflitto armato e violenza.
In via preliminare, è interessante ricordare come, prima della creazione del Sistema europeo comune di asilo (CEAS), la Convenzione sui rifugiati dell’Unione africana (già Organizzazione dell’Unità africana, OUA) del 1969 e la Dichiarazione di Cartagena, adottata nel 1984 nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS), abbiano creato sistemi regionali dove la definizione stessa di «rifugiato» è stata ampliata allo scopo di includere anche coloro che, in assenza dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra del 1951, fuggono da conflitti armati, violenza e gravi violazioni dei diritti umani[24].
Diversamente, il legislatore europeo ha scelto di non estendere la definizione di rifugiato, ma di creare una protezione complementare, denominata «sussidiaria». Questo approccio rifletteva la prassi al tempo esistente tra gli Stati membri di riconoscere, in tali circostanze, una qualche forma di protezione complementare derivante dagli obblighi internazionali in materia di diritti umani[25]. In questo contesto, l’art. 15, lett. c della cd. “direttiva qualifiche”, recepito nell’ordinamento italiano dall’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007, ha fornito una specifica forma di protezione per coloro che fuggono dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale[26].
Tenuto conto di tali considerazioni, è importante comprendere in quale rapporto si trovino queste due forme di protezione internazionale.
L’art. 2, lett. f, direttiva 2011/95/UE afferma esplicitamente che la protezione sussidiaria si configura come una tutela applicabile solo a coloro che non possiedono i requisiti per essere riconosciuti come rifugiati.
Per questo motivo, tutte le richieste di asilo – comprese quelle legate a situazioni di conflitto armato – devono essere valutate in primo luogo alla luce dei criteri previsti dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Solo qualora il caso concreto non sia riconducibile alla nozione di rifugiato, la richiesta potrà essere valutata in conformità ai criteri stabiliti per la protezione sussidiaria[27].
Già al tempo dell’adozione della direttiva 2004/83/CE, UNHCR aveva sottolineato l’importanza che le previsioni contenute in tale normativa venissero interpretate in modo tale da impedire che casi riconducibili alla Convenzione venissero valutati esclusivamente alla luce dei criteri per la protezione sussidiaria[28].
Successivamente, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito come l’utilizzo del temine «sussidiaria» da parte del legislatore europeo indichi che «lo status di protezione sussidiaria si rivolge ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni richieste per beneficiare dello status di rifugiato. Del resto, (…) i criteri minimi per il riconoscimento della protezione sussidiaria devono consentire di completare la protezione dei rifugiati sancita dalla Convenzione di Ginevra, identificando le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e offrendo loro uno status appropriato (…). Da tali elementi si desume che la protezione sussidiaria (…) costituisce un complemento alla protezione dei rifugiati sancita dalla convenzione di Ginevra»[29].
La preminenza dello status di rifugiato è legata alla natura dichiarativa e non costitutiva di tale qualifica. Come ricordato anche dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, infatti, «la qualifica di rifugiato (…) costituisce (…) uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva»[30]. Un eventuale appiattimento della valutazione dei bisogni di protezione derivanti da situazioni di conflitto armato ai soli criteri della protezione sussidiaria impedirebbe il riconoscimento della qualifica di rifugiato nei confronti di coloro che sono già in possesso dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
Queste considerazioni risultano particolarmente rilevanti alla luce delle riflessioni contenute nelle Linee guida n. 12, che sottolineano come la situazione di persone che fuggono da zone di guerra possa essere effettivamente riconducibile all’art. 1(A)(2) della Convenzione nei casi sopra descritti.
Le Linee guida stesse rilevano che «certe situazioni di fatto possono dar luogo ad una sovrapposizione tra i criteri per la protezione dei rifugiati in conformità con la Convenzione del 1951 e la protezione sussidiaria»[31]. Allo stesso tempo, però, il documento evidenzia che, proprio in ragione della preminenza dello status di rifugiato, in questi casi la riconducibilità all’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007 debba essere valutata solo laddove l’analisi dei presupposti per lo status di rifugiato abbia dato esito negativo.
4. Conclusione
Le Linee guida UNHCR n. 12 chiariscono che situazioni di conflitto armato e violenza spesso determinano l’esposizione al rischio di gravi violazioni di diritti umani, come sparizioni forzate, trattamenti inumani o degradanti e violenza sessuale e di genere, le quali possono ammontare ad atti persecutori legati a uno o più motivi della Convenzione di Ginevra del 1951[32].
Va ricordato che non solo la lettera, ma anche il fine e il retroscena storico della Convenzione giustificano un’interpretazione inclusiva della nozione di rifugiato rispetto a coloro che fuggono da zone di guerra[33].
Allo stesso tempo, è importante sottolineare come la complessità di tali contesti richieda che le domande di protezione internazionale legate a situazioni di conflitto armato vengano esaminate con particolare attenzione rispetto alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta.
Alla luce della preminenza dello status di rifugiato rispetto alla protezione sussidiaria, tale valutazione caso per caso dovrà soffermarsi innanzitutto sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1(A)(2) della Convenzione e, solo laddove si accertasse che questi ultimi non sono soddisfatti, prendere in considerazione la possibilità di applicare l’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007.
In questo modo, è possibile garantire che la protezione sussidiaria resti fedele al ruolo che il legislatore europeo ha voluto attribuirle, ossia quello di strumento di tutela finalizzato a completare, e non a restringere, l’ambito di operatività della protezione internazionale per i rifugiati[34].
* Il presente contributo è stato pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 22 aprile 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/convenzione-ginevra-1951).
1. Vds. art. 15, lett. c, direttiva 2011/95/UE, recepito nell’ordinamento italiano dall’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007.
2. G.S. Goodwin-Gill e J. McAdam, The Refugee in International Law, Oxford University Press, Oxford, 2021 (IV ed.), p. 149.
3. UNHCR, Linee guida in materia di protezione internazionale n. 12: domande di riconoscimento dello status di rifugiato legate a situazioni di conflitto armato e violenza, 2 dicembre 2016 (www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2021/03/UNHCR-Linee-Guida-N-12-Situazioni-di-conflitto-armato-2016.pdf).
4. Vds. V. Turk, UNHCR’s supervisory responsibility, working paper n. 67, UNHCR, Evaluation and Policy Analysis Unit, ottobre 2002 (www.refworld.org/pdfid/4fe405ef2.pdf); W. Kälin, Supervising the 1951 Convention on the Status of Refugees: Article 35 and Beyond, UNHCR, 1° giugno 2001 (www.refworld.org/docid/3b3702384.html).
5. UNHCR, Guidelines on International Protection – Consultation process, novembre 2021 (www.unhcr.org/protection/globalconsult/544f59896/unhcr-guidelines-international-protection-consultation-process.html#:~:text=UNHCR%20Guidelines%20provide%20legal%20interpretative,procedures%2C%20particularly%20Refugee%20Status%20Determination).
6. Vds. S.S. Juss, The UNHCR Handbook and the interface between ‘soft law’ and ‘hard law’ in international refugee law, in Id. e C. Harvey (a cura di), Contemporary Issues in Refugee Law, Edward Elgar, Cheltenham (UK), 2013, pp. 31 ss.
7. UNHCR, Guidelines on International Protection, cit.
8. Immigration and Naturalization Service c. Aguirre Aguirre (1999) 526 US 415 (US SC, 3 maggio 1999), 427. Similmente, la Suprema corte canadese e la Camera dei Lord britannica hanno definito il Manuale come molto persuasivo: si vedano le decisioni nel caso Chan c. Canada, [1995] 3 SCR 593 (Can. SC, 19 ottobre 19 1995), 119 e nel caso R. v. Secretary of State for the Home Department, ex parte Adan and Aitseguer, [2001] 2 WLR 143 (UK HL, 19 dicembre 2000), Lord Steyn.
9. Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2021, n. 25751.
10. Si veda, a titolo meramente esemplificativo, Cass. civ., sez. I, 3 febbraio 2021, n. 2464; Tribunale Roma, sez. Diritti della persona e Immigrazione, decreto 6 agosto 2020; Tribunale Milano, sez. Diritti della persona e Immigrazione, decreto 11 agosto 2020; Tribunale Catanzaro, sez. Diritti della persona e Immigrazione, decreto 18 febbraio 2021; Tribunale Bologna, sez. Diritti della persona e Immigrazione, decreto 24 maggio 2021.
11. Linee guida UNHCR n. 12, cit., par. 17.
12. Ibid.
13. Ibid.
14. Ivi, par. 22.
15. Ivi, par. 18.
16. Vds., ad esempio, la decisione con cui il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) ha riconosciuto lo stupro e la violenza sessuale come «mezzi di perpetrazione del reato di genocidio» (ICTR, The Prosecutor v. Jean-Paul Akayesu (Trial Judgment), ICTR-96-4-T, 2 settembre 1998) e la decisione del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia (ICTY) che ha definito lo stupro e la schiavitù sessuale «crimini contro l’umanità» (ICTY, Prosecutor v. Dragoljub Kunarac, Radomir Kovac and Zoran Vukovic (Appeal Judgment), IT-96-23 & IT-96-23/1-A, 12 giugno 2002). Vds. anche M.G. Giammarinaro, Violenza sessuale e tratta in relazione all’invasione dell’Ucraina, pubblicato in anteprima in Questione giustizia online il 12 aprile 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/violenza-sessuale-e-tratta-in-relazione-all-invasione-dell-ucraina), ora in questo fascicolo.
17. Linee guida UNHCR n. 12, cit., par. 26. Vds. anche il paragrafo successivo, il quale ricorda che «per molte vittime di violenza sessuale e di genere (…), il danno può persistere a lungo anche dopo che è stato commesso l’atto di violenza iniziale e dopo che la situazione di conflitto armato e violenza si è conclusa. Le vittime possono essere a rischio di subire nuovamente il danno [,] e/o le conseguenze psicologiche delle loro esperienze possono esse stesse costituire una persecuzione».
18. Si vedano gli artt. 7-8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Per una più ampia analisi delle nozioni di «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità», si rimanda ad A. Cassese e P. Gaeta, Cassese’s International Criminal Law, Oxford University Press, Oxford, 2013 (III ed.).
19. Linee guida UNHCR n. 12, cit., par. 15.
20. Ivi, par. 32.
21. Ivi, par. 33.
22. Ivi, par. 37.
23. Ivi, par. 31.
24. L’art. I, comma 2 della Convenzione OUA sui rifugiati include nella definizione di «rifugiato» anche «ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell’ordine pubblico in tutto o in una parte del Paese di origine o di cittadinanza, è obbligata ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo fuori del Paese di origine o di cittadinanza». L’art. III, comma 3 della Dichiarazione di Cartagena include nella definizione di «rifugiato» anche le «persone fuggite dal loro Paese perché la loro vita, la loro sicurezza e la loro libertà erano minacciate da una violenza generalizzata, un’aggressione straniera, conflitti interni, una violazione massiccia dei diritti dell’uomo o altre circostanze che abbiano gravemente turbato l’ordine pubblico».
25. M.-T. Gil-Bazo, Refugee status, subsidiary protection, and the right to be granted asylum under EC law, research paper n. 136, UNHCR, Policy Development and Evaluation Service, novembre 2006, pp. 10-14 (www.unhcr.org/research/working/455993882/refugee-status-subsidiary-protection-right-granted-asylum-under-ec-law.html).
26. Per una panoramica sul contenuto della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007, vds. S. Albano, La protezione sussidiaria tra minaccia individuale e pericolo generalizzato, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, pp. 85 ss., www.questionegiustizia.it/data/rivista/pdf/24/qg_2018-2.pdf. Per un’analisi sull’implementazione di tale concetto nei diversi Stati membri, si rimanda a UNHCR, Safe at last. Law and practice in selected EU Member States with respect to asylum-seekers fleeing indiscriminate violence, luglio 2011 (www.unhcr.org/4e2d7f029.pdf) e EASO, Articolo 15, lettera c) della direttiva «qualifiche» (2011/95/UE). Un’analisi giuridica, gennaio 2015 (euaa.europa.eu/sites/default/files/public/Article-15c-QD_a-judicial-analysis-IT.pdf). Vds. anche UNHCR, Statement on subsidiary protection under the EC qualification directive for people threatened by indiscriminate violence, gennaio 2008 (www.unhcr.org/protection/operations/479df9532/unhcr-statement-subsidiary-protection-under-ec-qualification-directive.html).
27. Linee guida UNHCR n. 12, cit., par. 9.
28. UNHCR, Annotated Comments on the EC Council Directive 2004/83/EC of 29 April 2004, 30 settembre 2004, p. 11 (www.unhcr.org/protection/operations/43661eee2/unhcr-annotated-comments-ec-council-directive-200483ec-29-april-2004-minimum.html#:~:text=Nigeria%20(English)-,UNHCR%20Annotated%20Comments%20on%20the%20EC%20Council%20Directive%202004%2F83,L%20304%2F12%20of%2030.9). Per un approfondimento, vds. María-Teresa Gil-Bazo, Refugee status, op. cit.
29. Vds. Corte di giustizia dell’Unione europea, sez. IV, HN v. Minister for Justice, Equality and Law Reform, Ireland, Attorney General, C-604/12, 8 maggio 2014, parr. 30-32.
30. Cass. civ., sez. unite, 17 dicembre 1999, n. 907. Vds. anche, ex multis, Cass. civ., sez. unite: 28 febbraio 2017, n. 5059; 16 settembre 2010, n. 19577; 9 settembre 2009, n. 19393. Un esplicito riferimento alla natura declaratoria del riconoscimento dello status di rifugiato è stato fornito dal considerando n. 21 della direttiva 2011/95/UE, nonché da UNHCR, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato, settembre 1979, par. 28 (www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2020/07/Manuale-procedure-e-criteri-determinazione-status-rifugiato-compresso.pdf) e da G.S. Goodwin-Gill e J. McAdam, The Refugee, op. cit., p. 54.
31. Linee guida UNHCR n. 12, cit., par. 9.
32. Ivi, par. 13.
33. V. Holzer, The 1951 Refugee Convention and the Protection of People Fleeing Armed Conflict and Other Situations of Violence, UNHCR, Division of International Protection, settembre 2012, p. 3 (www.unhcr.org/504748069.pdf).
34. Vds. Corte di giustizia dell’Unione europea, sez. IV, HN v. Minister for Justice, Equality and Law Reform, Ireland, Attorney General, cit., parr. 30-32. Sul punto, vds. anche Comitato esecutivo dell’UNHCR, 56a sessione, Conclusion on the Provision on International Protection Including Through Complementary Forms of Protection No. 103 (LVI) - 2005, 7 ottobre 2005 (www.unhcr.org/excom/exconc/43576e292/conclusion-provision-international-protection-including-complementary-forms.html), che sottolinea come le forme di protezione complementare dovrebbero essere implementate in modo tale da rafforzare e non indebolire il sistema internazionale di protezione dei rifugiati.