Il giudice dell’udienza preliminare nella riforma
L’esame delle novità introdotte dalla legge 27 settembre 2021, n. 134 è l’occasione per riflettere sul modello di giudice dell’udienza preliminare che si dovrebbe delineare a partire dall’obiettivo di riduzione dei tempi del processo (o meglio, del procedimento) penale, ma anche considerando l’evoluzione e le prospettive di questa funzione giudiziaria. Solo ripensando l’organizzazione degli uffici giudiziari e investendo sull’ufficio gip-gup quale snodo principale del processo, la riforma sarà efficace e avrà una prospettiva effettiva per il rispetto della ragionevole durata del processo.
1. Il contenuto della legge n. 134 del 2021 sull’udienza preliminare / 2. Doppia alimentazione del processo penale e ruolo del giudice / 3. Un futuro “giudice preliminare” prima del dibattimento? / 4. Le risorse necessarie perché il gip-gup possa svolgere la sua nuova funzione / 5. Un’occasione per ripensare l’organizzazione. La sfida della specializzazione per materia e della formazione
1. Il contenuto della legge n. 134 del 2021 sull’udienza preliminare
La delega legislativa contenuta nella legge n. 134 del 2021 prevede l’introduzione di norme riformatrici del procedimento penale che riguardano direttamente o indirettamente l’udienza preliminare, e che avranno come conseguenza un’evoluzione della figura del giudice dell’udienza preliminare.
La visione latamente deflattiva che l’impianto della riforma reca con sé si dovrà misurare con una visione estesa del procedimento penale, con le prassi – che già hanno largamente condizionato la funzionalità del sistema penale e specificamente dell’udienza preliminare – e con le risorse concretamente a disposizione per l’esercizio nei tribunali di ogni dimensione delle funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare.
Vi sono alcune previsioni non direttamente riguardanti l’udienza preliminare che tuttavia vanno considerate, in questo quadro, in quanto destinate a riflettersi su quel passaggio processuale.
Si può peraltro notare che la delegazione legislativa è compresa in un unico complesso di criteri «in materia d’indagini preliminari e di udienza preliminare e» relativi «alle disposizioni dell’ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica» dando il senso di un’integrazione – necessaria funzionalmente, inevitabile culturalmente – delle attività di diversi uffici e magistrati coinvolti nello sviluppo del procedimento penale.
L’articolo 1, comma 9 della legge n. 134 del 2021 contiene queste direttive:
«e) prevedere che, decorsi i termini di durata delle indagini, il pubblico ministero sia tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro un termine fissato in misura diversa, in base alla gravità del reato e alla complessità delle indagini preliminari;
(…)
g) prevedere una disciplina che, in ogni caso, rimedi alla stasi del procedimento, mediante un intervento del giudice per le indagini preliminari;
h) prevedere analoghi rimedi alla stasi del procedimento nelle ipotesi in cui, dopo la notificazione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis del codice di procedura penale, il pubblico ministero non assuma tempestivamente le determinazioni in ordine all’azione penale».
Ci si può chiedere quali saranno i riflessi in fase di udienza preliminare del mancato rispetto delle norme introdotte a seguito dell’esercizio della delega, laddove non rilevato dal giudice per le indagini preliminari: sarà il legislatore delegato a dover stabilire gli effetti in un arco di possibilità che spazia dalla mera irregolarità, all’inutilizzabilità, alla regressione del procedimento.
Considerazioni analoghe valgono per la dibattuta questione della tempestività dell’iscrizione nominativa nel registro degli indagati in relazione ai termini di durata massima delle indagini (anch’essi coinvolti dalla riforma):
«q) prevedere che il giudice, su richiesta motivata dell’interessato, accerti la tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo; prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l’interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico; prevedere che, a pena di inammissibilità dell’istanza, l’interessato che chiede la retrodatazione dell’iscrizione della notizia di reato abbia l’onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta».
Così formulata, la previsione pare implicitamente individuare nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari il momento ultimo in cui porre la questione, considerato che è con quell’atto che l’interessato «ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico» (e non si vede come questa esigenza possa derivare da elementi estranei agli atti di indagine oggetto di discovery): si tratterebbe dunque di un subprocedimento di verifica affidata al giudice per le indagini preliminari.
Così impostata, la questione sembrerebbe non poter riguardare il giudice dell’udienza preliminare, di fronte al quale, oggi, vengono sollevate questioni relative all’inutilizzabilità per tardiva iscrizione di atti valutabili ai fini del rinvio a giudizio o del giudizio abbreviato (salvi gli effetti della novella di cui alla legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha introdotto i limiti di cui al comma 6-bis dell’art. 438 cpp): anche se sembra difficile negare al giudice dell’udienza preliminare una giurisdizione sul contenuto degli atti che egli deve porre a fondamento della sua decisione.
Si inserisce in una visione regolatrice dell’intero “senso” del procedimento penale l’intervento sull’art. 125 disp. att. cpp:
«a) modificare la regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione, prevedendo che il pubblico ministero chieda l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna».
La proiezione dibattimentale piena della regola sulle scelte finali della fase delle indagini preliminari ha una sua corrispondenza nella successiva previsione in materia di udienza preliminare:
«m) modificare la regola di giudizio di cui all’articolo 425, comma 3, del codice di procedura penale nel senso di prevedere che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna».
La modifica normativa giungerà ad esito di una vicenda “storica” di tentativo dei giudici di merito di utilizzare l’art. 425 cpp come filtro reale rispetto a casi di esercizio dell’azione penale privi di prospettive finali di condanna, a causa di «elementi acquisiti» inidonei, anche nel prevedibile sviluppo istruttorio dibattimentale, a superare la regola finale di giudizio di cui all’art. 533, primo comma, cpp.
La posizione restrittiva della Corte di cassazione rispetto alle possibilità del giudice dell’udienza preliminare, in definitiva, riguarda proprio la figura di questo giudice: a cui si è chiesto di abbassare lo sguardo sulle carte dell’indagine preliminare senza consentirgli di alzarlo, essendo in grado di farlo, spingendolo fino all’orizzonte della pronuncia del giudice del dibattimento; per anticiparla evitando un processo inutile, contraddittorio rispetto al principio di ragionevole durata, risparmiando all’imputato la protrazione della sua condizione, e alle persone offese la frustrazione di un tempo ulteriore di attesa prima di un esito indesiderato.
La giurisprudenza di merito aveva già provato ad alzare questo sguardo, ma proprio l’orientamento restrittivo della Corte di cassazione ne ha impedito il cammino[1].
Oggi la legge interviene con la nuova formulazione dell’art. 425 cp.
Si tratta ora di capire quale sarà la misura degli effetti sull’interpretazione del proprio ruolo da parte del giudice dell’udienza preliminare che produrrà l’innovazione sul parametro di giudizio per la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere.
Bisogna a questo proposito considerare che le prassi, tra i diversi tribunali e talora all’interno dello stesso tribunale, si sono storicamente stratificate, sicché nell’esperienza giudiziaria nazionale è possibile trovare, accanto a udienze preliminari fortemente anticipatorie del merito processuale pieno (con scelte ampie di riti alternativi - che aumentano in ragione della fiducia che il “singolo” giudice produce nelle parti -, con l’uso esteso della sentenza di non luogo a procedere), altre rimaste allo stadio di udienza-agenda, in cui ci si limita, con percentuali altissime di decreti che dispongono il giudizio, a determinare quale effetto principale il solo calendario dei dibattimenti.
Prassi diverse che in parte dipendono dall’azione del giudice (soprattutto quanto alle pronunce delle sentenze ex art. 425 cpp), in parte dalle difese, che sono i veri dominus per le richieste di definizione del procedimento attraverso l’accesso a un rito alternativo e che comunque anche attraverso l’uso delle indagini difensive posso introdurre elementi utili all’adozione di pronunce di proscioglimento da parte del giudice dell’udienza preliminare.
Sull’udienza preliminare e sugli uffici e le sezioni gip-gup rifluiranno comunque altre disposizioni della riforma, quali:
- l’estensione dei casi di citazione diretta:
«l) estendere il catalogo dei reati di competenza del tribunale in composizione monocratica per i quali l’azione penale è esercitata nelle forme di cui all’articolo 552 del codice di procedura penale a delitti da individuare tra quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, che non presentino rilevanti difficoltà di accertamento»;
- le regole di giudizio in materia di verifica dell’imputazione:
«n) prevedere che, in caso di violazione della disposizione dell’articolo 417, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, il giudice, sentite le parti, quando il pubblico ministero non provvede alla riformulazione dell’imputazione, dichiari, anche d’ufficio, la nullità e restituisca gli atti; prevedere che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, nonché i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico ministero non provveda alle necessarie modifiche, restituisca, anche d’ufficio, gli atti al pubblico ministero»;
- sulla costituzione di parte civile
«o) prevedere che, nei processi con udienza preliminare, l’eventuale costituzione di parte civile debba avvenire, a pena di decadenza, per le imputazioni contestate, entro il compimento degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti, a norma dell’articolo 420 del codice di procedura penale; prevedere che, salva contraria volontà espressa della parte rappresentata e fuori dei casi di mancanza di procura alle liti ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura penale, la procura per l’esercizio dell’azione civile in sede penale, rilasciata ai sensi dell’articolo 122 del predetto codice, conferisca al difensore la legittimazione all’esercizio dell’azione civile con facoltà di trasferire ad altri il potere di sottoscrivere l’atto di costituzione per garantire il potere di costituirsi parte civile».
La riforma si occupa anche dell’“ibridazione” del giudizio abbreviato, costituita dal giudizio abbreviato condizionato, istituto anch’esso soggetto a oscillazioni nella prassi, e di forte impatto sul lavoro del giudice dell’udienza preliminare:
«b) in materia di giudizio abbreviato: 1) modificare le condizioni per l’accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato subordinata a un’integrazione probatoria, ai sensi dell’articolo 438, comma 5, del codice di procedura penale, prevedendo l’ammissione del giudizio abbreviato se l’integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e se il procedimento speciale produce un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale».
2. Doppia alimentazione del processo penale e ruolo del giudice
La riforma non affronta – e probabilmente non poteva farlo senza una revisione profonda di tutto il sistema penale – il vizio di origine dell’introduzione del procedimento penale “modello 1989”: compatibile con un numero limitato di processi, coerente con un modello complessivo di sistema penale basato su un diritto penale minimo, vigoroso, socialmente significativo, e non invece moltiplicato, simbolico, ridondante, cartaceo.
In questi anni il vizio si è amplificato per una “doppia alimentazione” incontrollata del processo penale: da un lato, un legislatore penale simbolico se non bulimico, che incoraggia nei cittadini un approccio istintuale panpenalistico in forza del quale con una “bella denuncia” si risolve ogni questione; dall’altro, un esercizio dell’azione penale che gli esiti processuali effettivi mostrano essere di efficacia largamente inferiore a quella che un sistema accusatorio richiede.
È solo empiricamente e frammentariamente rilevabile l’effetto produttivo di questa vera e propria distorsione derivante dall’insufficiente accuratezza degli atti di indagine e dall’inseguimento di rilievi statistici “ciechi e sordi” rispetto all’efficacia del processo (ma continuamente richiesti ai magistrati) e che misurano solo le quantità di carte “mandate avanti” dall’attore di ciascun segmento del procedimento penale, senza una valutazione complessiva di efficacia.
A questa situazione, già di per sé idonea a rendere impervia la quotidianità del lavoro dei giudici degli uffici e delle sezioni gip-gup, si aggiungono dei pesanti corollari che la riforma non sembra poter compensare: la misura cautelare personale – gigantesca per numero di indagati o di addebiti – come “fase necessaria” di taluni procedimenti penali; l’aumento delle opposizioni all’archiviazione; l’uso esteso dell’anomalia processuale e costituzionale del decreto penale di condanna come strumento di definizione di “affari semplici” che, però, sono vicende di vita enormi per i cittadini che le vivono.
3. Un futuro “giudice preliminare” prima del dibattimento?
Se l’udienza preliminare sembra dover diventare una sede di maggiore filtro rispetto a processi privi di prospettiva dibattimentale, anche per il giudizio dibattimentale monocratico la riforma prevede qualcosa di analogo, al comma 11 dell’articolo 1, con disposizioni che disegnano una fase preliminare addossata alla celebrazione del dibattimento:
«a) nei procedimenti a citazione diretta di cui all’articolo 550 del codice di procedura penale, introdurre un’udienza predibattimentale in camera di consiglio, innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento;
(…)
d) prevedere che, in assenza di richieste di definizioni alternative di cui alla lettera e), il giudice valuti, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, se sussistono le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere perché gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna;
e) prevedere che, nel caso in cui il processo, nell’udienza di cui alla lettera a), non sia definito con procedimento speciale o con sentenza di non luogo a procedere, il giudice fissi la data per una nuova udienza, da tenersi non prima di venti giorni di fronte a un altro giudice, per l’apertura e la celebrazione del dibattimento; coordinare la disciplina dell’articolo 468 del codice di procedura penale con le disposizioni adottate ai sensi della presente lettera;
f) prevedere che il giudice non possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere, nei casi di cui alla lettera d), se ritiene che dal proscioglimento debba conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca;
g) prevedere che alla sentenza di non luogo a procedere di cui alla lettera d) del presente comma si applichino gli articoli 426, 427 e 428 del codice di procedura penale e le disposizioni del titolo X del libro V dello stesso codice, adeguandone il contenuto in rapporto alla competenza del tribunale in composizione monocratica».
È legittimo chiedersi dove i tribunali troveranno le risorse per le udienze predibattimentali (non solo magistrati, ma anche personale amministrativo: a meno di non immaginare già ora una possibile stabilizzazione degli addetti all’ufficio per il processo che nei prossimi mesi faranno ingresso negli uffici giudiziari ma che, per il momento, sono figure con contratto a tempo determinato e strettamente funzionali al raggiungimento degli obiettivi previsti dal PNRR, che verranno valutati nel 2026) e quali saranno le capacità predittive di un “giudice preliminare” privo delle conoscenze del giudice dell’udienza preliminare perché non in possesso – come invece quello – del fascicolo delle indagini preliminari.
In realtà il momento in cui il giudice può avere la visione di cosa potrà accadere in dibattimento è quello in cui si discute del “piano euristico” del processo, cioè delle prove che le parti intendono far assumere nel dibattimento e del “che cosa vogliono” dal dibattimento.
In questa logica rischiano di essere contraddittorie altre disposizioni:
«a) prevedere che, quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, dopo la lettura dell’ordinanza con cui provvede all’ammissione delle prove il giudice comunichi alle parti il calendario delle udienze per l’istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione;
b) prevedere che le parti illustrino le rispettive richieste di prova nei limiti strettamente necessari alla verifica dell’ammissibilità delle prove ai sensi dell’articolo 190 del codice di procedura penale».
Ci si deve chiedere come può fare il giudice a programmare un complesso dibattimento penale se gli è precluso sapere fino in fondo qual è il programma delle parti di quel processo.
Rischiamo di avviarci a una divaricazione di ruoli che invece, in una prospettiva razionalizzatrice, potrebbe essere unificata (normativamente? Organizzativamente?).
Se la logica è quella di sostanziale sfiducia nel self-restraint del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e dunque della necessità di un vaglio giurisdizionale preliminare, bisognerà trovare il modo di coordinare (con le norme? Con un nuovo “pensiero organizzativo”? Con una seria redistribuzione di risorse interne ai tribunali? Con prassi innovative e adeguate?) le attività del giudice che valuta la “ragionevole probabilità di condanna” sulla base dell’illustrazione del “programma euristico delle parti”: in un subprocedimento nel quale le parti possono proporre un rito alternativo, in cui, su istanza di parte o di ufficio, emergano i motivi di un “non doversi procedere oltre”, e venga illustrato analiticamente che cosa si ritiene possibile provare in un futuro dibattimento, affinché il giudice possa valutare se quel dibattimento sia effettivamente utile.
Insomma, tornando all’udienza preliminare, un luogo in cui – assegnando le risorse indispensabili e vivendo la consapevolezza dei ruoli – non accada più che la microdialettica delle parti si compendi in un richiamo alla richiesta di rinvio a giudizio, in una rituale richiesta di non luogo a procedere, nella lettura di una data di inizio del processo. Perché sappiamo che, in molti casi, questa è stata fino ad oggi la vera dinamica dell’udienza preliminare, una dinamica che porta molti giuristi a ritenerla superflua, ma che la riforma rivitalizza attribuendole quel ruolo di vero filtro che è da sempre indispensabile nella struttura e funzionalità di un processo penale che tenda veramente alla ragionevole durata.
4. Le risorse necessarie perché il gip-gup possa svolgere la sua nuova funzione
Con la riforma, appena illustrata nei suoi tratti essenziali, aumentano sensibilmente le competenze del giudice dell’udienza preliminare: nuovo canone di valutazione ex art. 425 cpp e quindi nuovo e più efficace filtro delle ipotesi accusatorie con invio al dibattimento solo di ciò che consente una prognosi di condanna dell’imputato, da cui conseguirà la diminuzione dei decreti che dispongono il giudizio e un sensibile innalzamento delle più impegnative sentenze di non luogo a procedere.
Aumenteranno nel contempo anche le competenze del giudice per le indagini preliminari: verifica delle iscrizioni nel registro degli indagati, verifica sulla durata delle indagini, sulla stasi e sulla discovery degli atti di indagati (controlli che ragionevolmente verranno eseguiti con interlocuzioni che richiederanno la fissazione e celebrazione di specifiche udienze camerali), verifica sulla chiarezza dell’incolpazione, nuovo criterio per l’archiviazione che prognosticamente aumenterà notevolmente il numero di opposizioni con pari necessità di fissazione e celebrazione di udienze se non muterà il criterio normativo per l’eventuale ammissibilità della opposizione.
L’ufficio gip-gup diventerà quindi sempre di più un anello strategico dell’intero procedimento penale e sarà determinante al fine di mantenere i canoni della ragionevole durata e rispettare, nella prossima attualità, le condizioni poste dal PNRR, che verranno valutate nell’anno 2026.
Le nuove competenze previste dalla riforma in capo al giudice per le indagini preliminari e al giudice dell’udienza preliminare, peraltro, devono essere valutate insieme se si considera la costante scelta ordinamentale del Consiglio superiore della magistratura di ritenere indispensabile l’unità delle funzioni gip e gup in capo a ogni magistrato, considerando che la piena osmosi di tali funzioni sia funzionale ad assicurare il miglior esercizio della complessa funzione giurisdizionale[2]. In tal senso anche la costante normativa tabellare, che ritiene fondamentale l’unità delle funzioni gip e gup e le rappresenta come un unicum da salvaguardare proprio per raggiungere quella professionalità piena, veicolo di migliore esercizio della giurisdizione[3].
Né può ritenersi, sulla base del nuovo dato normativo e in attesa di conoscere i relativi decreti delegati, se tali nuove competenze potranno essere bilanciate dall’aumento dei procedimenti affidati all’iter della citazione diretta e quindi sottratti all’udienza preliminare innanzi all’ufficio gip-gup.
Ne consegue che i dirigenti degli uffici non potranno che rivedere da subito le attuali organizzazioni del settore penale dei tribunali, potenziando gli uffici gip-gup sia come magistrati sia come personale amministrativo, perché solo così ogni magistrato potrà avere quei tempi congrui che sono il presupposto indefettibile per dare effettiva attuazione alla riforma.
Allo stesso modo, il Consiglio superiore della magistratura dovrà rivedere le percentuali indicate nella circolare sulle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari in relazione alle dimensioni dell’organico degli uffici gip-gup rapportate a quelle del tribunale nel suo complesso e della procura della Repubblica[4].
In ogni caso sarà prioritario dare sempre copertura effettiva a tale organico invertendo le prassi oggi in vigore dove proprio gli uffici gip-gup maggiormente risentono delle scoperture di organico e del turnover di magistrati, sia per il maturare del termine di ultradecennalità sia perché l’aumento esponenziale dell’impegno richiesto ai magistrati che svolgono funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare – che la riforma farà ulteriormente aumentare – ha progressivamente reso meno gradita, e quindi di difficile copertura, questa funzione.
Se si condivide che si tratta di uffici che costituiranno un punto nevralgico del processo penale e del suo tempo ragionevole, occorrerà considerare come prioritaria la stabilità dell’organico dei magistrati e del personale amministrativo che li compongono[5].
Senza effettiva copertura e ragionevole stabilità nessun serio programma organizzativo può essere immaginato al fine di mantenere alta l’azione di filtro dell’udienza preliminare e assicurare tempi congrui di decisione, perché tutte le risorse dovranno sempre essere impiegate nel rincorrere le emergenze e dare soluzione ad esse sole.
5. Un’occasione per ripensare l’organizzazione. La sfida della specializzazione per materia e della formazione
L’ufficio gip-gup non può più ritenersi caratterizzato da una specializzazione di funzione (giudice della fase o dell’atto) incentrata principalmente nel controllo dell’attività del pubblico ministero, circostanza che in passato assorbiva ogni altra questione di specializzazione per materia. Tale impostazione trova oggi una esplicita smentita nelle circolari del Consiglio superiore (criteri di organizzazione in tema di violenza di genere e tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti) e nella stessa evoluzione normativa sui termini massimi di permanenza nella singola posizione tabellare. Infatti, mentre in origine la permanenza massima per la funzione gip-gup era espressamente stabilita dalla normativa primaria nella misura di sei anni consecutivi[6] e non vi era disposizione normativa analoga per altre funzioni, oggi la funzione gip-gup è regolamentata in termini analoghi alle altre posizioni tabellari e trova la propria regolamentazione nel limite di permanenza decennale: così è stabilito dalla normativa primaria[7] e da quella secondaria[8].
È quindi lo stesso legislatore a ritenere che non esista più una specificità della funzione gip-gup, che infatti viene regolamentata in via generale al pari delle altre posizioni tabellari.
Inoltre, occorre sottolineare che la funzione gip-gup si è molto estesa negli ultimi anni, con un importante ampliamento del momento della cognizione determinato dal maggior accesso alla richiesta di riti alternativi, ed è destinata a incrementarsi ulteriormente.
La riforma, infatti, amplia ulteriormente le possibilità di accesso ai riti alternativi e rende molto più pregnante la valutazione dei casi di proscioglimento ex art. 425 cpp.
Le ragioni che oggi militano per una specializzazione per materia negli uffici di procura e in dibattimento (della cui necessità ormai nessuno più discute) sorreggono la scelta di procedere a una parziale specializzazione anche all’ufficio gip-gup («il valore aggiunto derivante dalla specializzazione del giudice nelle materie di interesse non esaurisce la sua importanza nella fase dibattimentale e, anzi, si proietta a quella delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare»: risoluzione Csm, 9 maggio 2018).
Anche la normativa secondaria spinge verso l’adozione di aree di specializzazione.
Con la citata risoluzione, approvata con delibera 9 maggio 2018 («Linee guida in tema di organizzazione per la trattazione di procedimenti relativi a reati di violenza di genere»), per la prima volta il Consiglio espressamente invita a creare forme di specializzazione negli uffici gip-gup con riferimento al settore delle fasce deboli: «gli incombenti processuali di competenza del Gip/Gup appaiono connotati da una delicatezza pari a quella delle attività tipiche dei giudici del dibattimento e non giustificano differenziazioni tra le due funzioni in relazione all’aspetto della specializzazione».
Molti i principi richiamati nella suddetta delibera a favore di tale soluzione, a partire da quello più generale secondo cui «la circolare sulla tabelle ha inteso confermare e rafforzare l’opzione culturale di privilegiare la specializzazione come paradigma organizzativo idoneo ad evitare dispersioni di energie professionali e ad assicurare la migliore risposta giudiziaria», nonché a «rimarcare l’importanza del fattore esperienziale sotteso alla specializzazione, che ha, peraltro, positive ricadute anche in termini di omogeneità e rapidità della risposta giudiziaria».
Il Consiglio superiore auspica che tale modello organizzativo sia attuato negli uffici gip-gup di grandi dimensioni (il pensiero corre a Milano, Roma e Napoli). La mancata istituzione di ruoli specializzati è considerata l’extrema ratio (impossibilità di un’agevole distribuzione degli affari, ricadute negative sui criteri di assegnazione e distribuzioni degli affari agli altri giudici) e solo in questo caso il Consiglio superiore sottolinea la necessità di operare sul piano della formazione per mantenere in capo a tutti i giudici dell’ufficio una professionalità adeguata alla peculiarità della materia. La specializzazione e la formazione non sono quindi strade alternative, ma subordinate, nel senso che solo qualora non possa operarsi con la specializzazione dei ruoli è previsto un investimento sul momento formativo[9].
È evidente che ben diversa si presenta la situazione di uffici di dimensione meno grande, che tuttavia costituiscono concretamente la quasi totalità del panorama nazionale.
Le esigenze di effettiva copertura e ragionevole stabilità degli organici di magistrati e personale amministrativo sono, lo si è detto, la precondizione perché la riforma abbia un minimo di credibilità.
È qui che la complementarietà tra specializzazione e formazione può trovare senso.
Organici limitati ma effettivamente coperti, e un’organizzazione sulla quale le capacità reali e non cartacee dei dirigenti degli uffici si devono misurare, consentirebbero, negli uffici di non grandi dimensioni, la fuoriuscita dalla quotidianità dell’emergenza della quantità straripante di provvedimenti da emettere ad horas, e dunque un investimento sulla formazione, sull’autoformazione e sulla meditata costruzione di prassi virtuose che coinvolgano a monte della funzione gip-gup gli uffici di procura, a valle le sezioni dibattimentali, comprendendo l’interlocuzione con l’avvocatura.
La riforma spinge a scelte organizzative indispensabili e innovative. Saranno coinvolti il Ministero della giustizia per la predisposizione delle risorse, il Consiglio superiore della magistratura per aggiornare la propria normativa secondaria, i dirigenti per predisporre i necessari progetti organizzativi, e i magistrati che dovranno far propria questa nuova prospettiva della funzione gip-gup.
Occorrerà una sinergia in assenza della quale si perderà un’occasione per avere un processo che, nel rispetto delle garanzie, tenda sempre di più a quella ragionevole durata che la Costituzione prevede e i cittadini reclamano.
1. Cass., sez. II, 7-18 aprile 2016, n. 15942 (Rv. 266443 – 01); Cass., sez. II, 5-20 novembre 2015, n. 46145 (Rv. 265246 – 01): «Attesa la funzione di “filtro” svolta dall’udienza preliminare, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il Gup deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi probatori acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio, esprimendo un giudizio prognostico circa l’inutilità del dibattimento, senza poter effettuare una complessa ed approfondita disamina del merito» (in motivazione, la Suprema corte ha precisato che il proscioglimento deve essere escluso in tutti i casi in cui gli elementi acquisiti a carico si prestino a letture alternative o aperte, o comunque a essere diversamente valutati in dibattimento, anche alla luce delle future acquisizioni probatorie).
Peraltro, alcuni interventi di apertura anche della giurisprudenza di legittimità vi sono stati: cfr. L. Semeraro, Con viva e vibrante soddisfazione. Una nuova interpretazione dell’art. 425 c.p.p. si affaccia in Cassazione, in questa Rivista online, 14 dicembre 2015, www.questionegiustizia.it/articolo/con-viva-e-vibrante-soddisfazione_14-12-2015.php.
2. Csm, risposta a quesito del 5 novembre 2008.
3. Cfr. l’art. 74 della circolare sulle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2020-2022.
4. Cfr. l’art. 72 della circolare sulle tabelle 2020-2022, citata alla nota precedente:
«1. Alle sezioni Gip/Gup dei tribunali, per assicurarne la piena funzionalità tenuto conto, in particolare, dei compiti gravanti sul tribunale capoluogo del distretto e delle attuali competenze del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell’udienza preliminare, è assegnato un numero di magistrati adeguato alle esigenze e ai flussi degli affari, e non inferiore ad un terzo rispetto al numero di magistrati previsti in organico presso la relativa Procura della Repubblica e a un decimo rispetto all’organico dell’intero tribunale.
2. Tale percentuale è maggiorata in misura non inferiore ai 2/5 rispetto all’organico della Procura per gli uffici del tribunale capoluogo del distretto presso il quale opera la direzione distrettuale antimafia, e ciò al fine di assicurare la massima celerità nella trattazione dei procedimenti di cui all’articolo 51, 3 bis, c.p.p. .
3. I dirigenti degli uffici motivano espressamente le ragioni per le quali non ritengono sussistere le condizioni per il rispetto di tali proporzioni, anche in relazione all’effettiva copertura degli organici delle procure della Repubblica e degli stessi tribunali.
4. Il dimensionamento della sezione Gip/Gup tiene espressamente conto del rapporto con il carico di lavoro dei giudici del dibattimento, avuto riguardo in particolare al numero di definizioni di procedimenti nel corso della fase delle indagini preliminari o all’esito dell’udienza preliminare».
5. Non sarà più possibile avere vacanze di organico come quelle oggi presenti, ad esempio, all’ufficio gip del Tribunale di Milano, che, a fronte di una pianta organica che prevede 39 magistrati oltre il presidente e il presidente aggiunto, opera attualmente con la presenza di soli 29 magistrati. Un ufficio con un carico di lavoro molto importante e una qualità della giurisdizione impegnativa, solo se si pensi all’incidenza dei reati economici, molto spesso particolarmente complessi dal punto di vista giuridico, e dove la definizione dei procedimenti attraverso l’accesso ai riti alternativi è particolarmente consistente. I dati sono esemplificativi: nel periodo 2018-2019, a fronte di 2992 decreti che dispongono il giudizio, sono state emesse 3464 sentenze; nell’anno 2019-2020 (anno interessato dalla pandemia e dall’incendio che ha coinvolto il settimo piano del Palazzo di giustizia, sede dell’ufficio gip), a fronte di 2275 decreti che dispongono il giudizio, vi sono state 2397 sentenze; nell’anno 2020-2021, a fronte di 2538 decreti che dispongono il giudizio, le sentenze emesse sono state 3573. Le sentenze risultano sempre superiori ai decreti che dispongono il giudizio e tale rapporto è confermato anche negli anni precedenti. Con la riforma e con la nuova valutazione demandata al giudice ex art. 425 cpp, il filtro proprio dell’udienza preliminare è destinato ad ampliarsi in modo consistente.
Ma problemi analoghi sono presenti in tribunali di tutte le dimensioni: la mancata copertura di una sola unità in uffici composti da un numero variabile tra due e quattro magistrati – dimensioni di quasi tutti i tribunali non distrettuali – significa una carenza di organico tra il 25% e il 50%: da questo punto di vista, l’attenzione e la vigilanza dei consigli giudiziari e del Consiglio superiore della magistratura dovrebbe essere massima.
6. Art. 57 l. n. 479/1999 – “legge Carotti”.
7. D.lgs n. 160 del 30 gennaio 2006, come modificato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111.
8. Regolamento del Consiglio superiore della magistratura, deliberato il 13 marzo 2008.
9. «Se non fosse possibile l’istituzione di ruoli specializzati, dovrà essere massimamente curata la formazione di tutti i magistrati, attivando sia gli strumenti interni agli uffici, che quelli rimessi alla formazione centrale e decentrata e privilegiando, anche in questo caso, scambi interdisciplinari con altri operatori del settore».