Magistratura democratica

Il processo penale in “ambiente” digitale: ragioni e (ragionevoli) speranze*

di Benedetta Galgani

Nella legge delega n. 134 del 2021 non c’è tutto ciò che potrebbe assicurare una transizione fluida e sicura del rito penale su binari tecnologici assiologicamente orientati, ma di sicuro c’è molto. Pertanto, procedendo con acume e sorvegliato coraggio all’interno delle linee perimetrali tracciate nel progetto di riforma, il delegato potrà portare a compimento un’opera di rinnovamento tanto impegnativa quanto ormai irrinunciabile.

1. Notazioni introduttive alla cd. “riforma Cartabia / 2. La “riscrittura” degli atti e la loro “modellizzazione” / 3. Le notificazioni telematiche all’imputato non detenuto / 4. Changing lenses. Il rito penale… nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

 

1. Notazioni introduttive alla cd. “riforma Cartabia”

L’analisi dell’ecosistema giustizia penale dalla peculiare angolazione dell’“ambiente” digitale in cui esso risulta vieppiù “immerso” è tematica di quelle notoriamente destinate a far storcere bocche e sollevare sopraccigli… anche se non riteniamo (né, per vero, l’abbiamo mai ritenuto[1]) che si tratti di destino ineluttabile o immodificabile. 

Si tratta, semmai e piuttosto, dei danni prodotti da una “cattiva pubblicità”, frutto, per un verso, della deficitaria messa a terra delle prime sperimentazioni di informatizzazione delle procedure e, per un altro, dell’erronea convinzione secondo cui il fenomeno della digitalizzazione integrerebbe ex se un grimaldello funzionale a scardinare (ciò che rimane de) il principio di legalità processuale lato sensu inteso.

L’intento delle riflessioni che seguiranno è quello di fornire, se non una vera e propria “bussola”, almeno qualche utile “mollica di pane” per orientarsi nel percorso che il legislatore delegato è chiamato a intraprendere per esercitare le direttive di cui alla legge n. 134/2021.

Un progetto riformatore, quest’ultimo – preme sottolinearlo fin da queste prime battute –, che non soltanto «è di propositi tecnologicamente avanzati»[2], ma che proprio nell’implementazione della digitalizzazione rinviene «uno dei suoi snodi centrali»[3] e lo fa mettendo in campo, con alto tasso di audacia da un lato, e di consapevolezza dall’altro, un approccio del tutto innovativo: è la prima volta, infatti, che nella storia del nostro drafting legislativo il rapporto tra tecnica e diritto processuale penale viene affrontato, per così dire, olisticamente, tenendo in egual considerazione tre profili tra loro complementari: il piano organizzativo[4], la dimensione extraprocessuale e quella endoprocessuale[5].

A confermare una visione di così ampio respiro sarebbe già di per sé sufficiente una delle ultimissime disposizioni dell’articolato di delega, in cui si dimostra piena contezza del fatto che la cd. “e-justice” può contribuire all’efficienza della sistema giustizia non tanto nell’accezione (più opinabile e opinata) di “competitività” aziendalistica volta o allo smaltimento dell’arretrato, o all’accelerazione dei procedimenti, quanto, anche e soprattutto, nella veste di motore e produttore di “valore pubblico” da declinarsi, tra l’altro, come doveroso impiego delle risorse giudiziarie secondo il principio di proporzionalità[6], come maggiore trasparenza nell’esercizio della giurisdizione e nell’accessibilità a essa e, dunque, come esaltazione (e non certo svilimento) del suo standard qualitativo[7]

Del resto, depone in questo senso la stessa giurisprudenza della Corte Edu, che, sottolineando come l’attuazione di qualsiasi iniziativa in ambito di giustizia telematica sia condizionata all’osservanza dei requisiti del diritto a un equo processo di cui all’articolo 6 della Convenzione, ne legittima e al contempo ne avvalora l’impiego[8].

Ebbene, accennavamo come ai commi 18-20 dell’art. 2 della delega (e dunque nella sezione della riforma immediatamente precettiva) sia prevista la costituzione di un «Comitato tecnico scientifico» quale organismo di consulenza e supporto nel cammino di transizione al digitale dell’amministrazione della giustizia, cammino che ci si premura subito di sottrarre alla logica deleteria del day by day, per affidarlo a una programmazione di medio-lungo termine la cui concretizzazione starà nell’adozione – da parte del Ministro della giustizia, di concerto con quello dell’innovazione tecnologica e di quello per la p.a. – di un piano triennale ove siano sinergicamente previsti «l’adeguata dotazione tecnologica dei servizi tecnici e informatici del Ministero della giustizia, il potenziamento infrastrutturale degli uffici giudiziari nonché l’adeguata formazione e l’aggiornamento del personale dell’amministrazione giudiziaria, del personale di magistratura, degli appartenenti all’avvocatura e dei soggetti che esercitano la propria attività nel settore della giustizia».

 

2. La “riscrittura” degli atti e la loro “modellizzazione”

Al di là, quindi, dell’indiscutibile novità metodologica che punta dritto a manovre infrastrutturali, alla valorizzazione del capitale umano e alla sua più appropriata preparazione rispetto a competenze che di solito esulano dalla cultura umanistica degli operatori del processo, per quanto più specificamente attiene alla novellazione codicistica, tre risultano le linee di intervento, rispettivamente rinvenibili nei commi 5, 6 e 8 dell’art. 1.

La prima affronta di petto il “tema dei temi” del processo penale telematico, riconoscendo la necessità di rivisitare i requisiti formali e comunicativi dell’atto penale e allocando quest’ultimo – finalmente – in una dimensione di privilegiata natività digitale. 

Il cambio di paradigma rispetto all’impostazione, finora invalsa, di giustapposizione di una dimensione fisica-cartacea predominante a una digitale, residuale e mal tollerata, non pare necessitare di particolari sottolineature quanto a importanza[9]. Basti ricordare che l’atto nativo digitale è la conditio sine qua non affinché il fascicolo telematico sostituisca una volta per tutte il faldone cartaceo.

Dunque, il legislatore delegato dovrà disciplinare modalità che consentano di creare e conservare gli atti processuali in formato digitale, garantendo la loro autenticità e integrità (mediante l’impiego delle tecniche crittografiche, ad esempio), la leggibilità, l’agevole reperibilità e, laddove previsto dalla legge, la segretezza. 

Ciò significa, in altri termini, dismettere la politica degli innesti normativi puntiformi per mettere mano a una “riscrittura” profonda del libro II del codice per l’appunto dedicato agli atti, una riscrittura che non si limiti a “scimmiottare l’analogico” tra una riga e l’altra delle disposizioni originarie, ma che si misuri con l’esigenza di costruire una cornice legislativa salda, declinata in base ai nuovi strumenti tecnologici, in cui si proceda alla rivisitazione dei requisiti formali dell’atto, delle difformità eventualmente censurabili alla stregua di vizi e delle sanzioni a questi eventualmente ricollegabili.

Va da sé che per accogliere simili intenti modernizzatori sarà necessario finalmente coordinare l’ordito codicistico con il «Codice dell’amministrazione digitale» (CAD) e con le «Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici», adottate ai sensi dell’art. 71 del medesimo[10]: diversamente, a titolo esemplificativo, mentre ai sensi dell’art. 20 CAD l’atto processuale munito di firma digitale sembrerebbe soddisfare il requisito della forma scritta e risulterebbe firmato in maniera valida, un’eventuale copia scansionata di atto nativo analogico sottoscritto in calce, recando, di fatto, la mera riproduzione tramite mezzi tecnici della firma apposta a mano, potrebbe collidere con il divieto di cui al secondo comma dell’art. 110 cpp.

S’intuisce, poi, come nella redazione materiale delle nuove disposizioni sarà fondamentale il confronto con i tecnici, in particolar modo con gli informatici e gli ingegneri gestionali, onde evitare – tanto per fare un esempio tra i molti – la sproporzione tra la sanzione processuale eventualmente comminata per una violazione formale e il pericolo cui risulti effettivamente esposto il bene[11] di volta in volta protetto dal prefigurato modello legale[12].

Da ultimo, a proposito del metter mano, in profondità, alla revisione della struttura e dei contenuti del libro II, ci sembra una suggestione da non trascurare quella proveniente dal parallelo percorso di riforma del rito civile: nella legge delega n. 206/2021[13], l’art. 1, comma 17, lett. d, trattando della forma dei provvedimenti giurisdizionali e degli atti di parte, prima rinvia ai principi di chiarezza e sinteticità quali loro attributi coessenziali[14], poi fa espresso riferimento «alla strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo», che sembra alludere a una sorta di “schema informatico dell’atto”, ossia all’opportunità di implementare un modello di atto secondo criteri redazionali uniformi, sì da rendere davvero virtuoso il connubio tra impiego delle tecnologie informatiche ed esercizio della funzione giurisdizionale[15]

La tematica dell’uniformità editoriale e stilistica degli atti, e in particolare delle sentenze, non è peraltro nuova, né attiene a profili meramente “estetici” del provvedimento di volta in volta preso in considerazione: come sappiamo, trattasi di strada già da tempo intrapresa e dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione[16], che, in una prospettiva de iure condendo come quella cui ci stiamo per l’appunto affacciando, varrebbe la pena coltivare in via più generalizzata[17].

D’altra parte, nessuno può mettere seriamente in dubbio come un linguaggio vieppiù lineare e intelligibile da una parte[18], e una struttura semplificata e tendenzialmente standardizzata del provvedimento dall’altra, contribuirebbero non soltanto all’elevazione della qualità degli atti in genere, ma consentirebbero altresì una migliore “processazione informatica” dei medesimi[19], con positivi riverberi di non poco momento in tema, ad esempio, di funzionalità dei sistemi di OCR («Optical Character Recognition»)[20] e di ricerca nelle banche dati[21]. E in quest’ottica non stupiscono le sollecitazioni provenienti anche di recente dal Consiglio d’Europa: è sufficiente scorrere le «Saturn Guidelines for Judicial Time Management» nella versione licenziata il 9 dicembre 2021 a seguito del 37° meeting plenario della CEPEJ, per rintracciarvi non soltanto un convinto incoraggiamento all’uso generalizzato delle nuove tecnologie «all’interno dei tribunali» ma, più nello specifico, un chiaro invito all’elaborazione di «standard electronic templates» funzionali alla redazione delle decisioni sia da parte del giudice che del suo staff[22].

Ancora, ne uscirebbe grandemente potenziata la fruibilità stessa degli atti processuali che, a maggior ragione in un contesto come quello odierno di cooperazione giudiziaria “spinta”, in cui tutto si fonda sulla circolazione transfrontaliera, devono risultare facilmente traducibili e classificabili in archivi informatici interoperabili. 

Su questo versante, oltre a quanto già significativamente emerso in riferimento all’ingresso in attività del nuovo Procuratore europeo (EPPO)[23], deve di necessità porsi attenzione a ciò che si va prefigurando in forza della «Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on the digitalisation of judicial cooperation and access to justice in cross-border civil, commercial and criminal matters, and amending certain acts in the field of judicial cooperation», licenziata dalla Commissione europea il 1° dicembre 2021[24]

Come dichiarato nel par. 2 di questo recentissimo documento, l’ambizione è quella di dar vita a «una nuova base giuridica autonoma per la digitalizzazione degli strumenti di cooperazione giudiziaria» a livello eurounitario, in modo da «avere regole comuni applicabili a tutti gli strumenti di cooperazione giudiziaria dell’Ue in un unico atto vincolante»[25]. E così la proposta, che allo stato consta di 25 articoli, in prima battuta delinea i propri ambiti operativi fornendo altresì alcune definizioni “di base” (artt. 1-2), poi si intrattiene sugli effetti legali dei documenti elettronici (art. 10) e, infine, si concentra sulle modifiche di dettaglio da apportare alle distinte procedure di collaborazione (anche) penale (artt. 19 ss.). Ma ciò che preme soprattutto osservare nell’economia di questo contributo è la più volte ribadita volontà del legislatore europeo di prendere a canale di riferimento la piattaforma “e-CODEX[26]. Giudicato come la soluzione tecnicamente più appropriata per gli scambi informativi tra organi giudiziari e autorità competenti (ivi comprese, se del caso, le agenzie Gai e gli organismi Ue)[27], il sistema informatico decentralizzato in questione annovera tra i suoi caratteri strutturali – per l’appunto e non a caso – quello della “modellizzazione” standardizzata di ogni dato o documento suscettibile di essere telematicamente condiviso. 

Tornando alla lettera della delega penale, il Governo dovrà altresì assicurare l’obbligatorietà del ricorso alle modalità telematiche tanto per il deposito di atti e documenti (ivi compresa, expressis verbis, la presentazione delle impugnazioni, come si ricava dal dettato del comma 13, lett. b), quanto per le comunicazioni e le notificazioni[28]

Conosciamo bene le “guerre di religione” che si sono consumate tra Suprema corte e classe forense intorno alla disposizione che per lungo tempo ha rappresentato l’unico anchorage normativo dell’informatizzazione delle procedure, ossia l’art. 16, comma 4, dl n. 179/2012[29]; così come sono noti i contrasti ermeneutici innescati nel corso della più recente crisi sanitaria da previsioni legislative dalla formulazione incoerente o laconica[30]; per non dire come, a regime ordinario, l’architettura si fondi tuttora sulla facoltatività della presentazione telematica e, soltanto in via di deroga “a tempo”[31], sia prevista la doverosità del deposito attraverso il portale ad hoc

Non occorre, pertanto, insistere sull’originalità dell’impostazione da ultimo prospettata che, pur nella prudente previsione di una gradualità da garantire attraverso un regime transitorio (lett. c), intende limitare l’impiego di modalità non telematiche a ipotesi del tutto eccezionali. 

Al contempo, tocca segnalare come la lett. d del comma 5 ammetta che, attraverso un regolamento ministeriale da emanare preferibilmente (ma non necessariamente) previo parere di Csm e Cnf, il Dicastero individui specifici uffici giudiziari e peculiari tipologie di atti per i quali potranno essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione. 

Il che, tradotto in concetti molto elementari, significa, da una parte, aver fatto tesoro delle lezioni del passato, giusta le quali le sperimentazioni in punto di innovazione tecnologica informate alla severa logica del “top-down” – come tali deficitarie e di una reale compartecipazione da parte di tutti gli stakeholder, e della effettiva presa in carico delle asimmetrie che contraddistinguono le realtà giudiziarie disseminate sul territorio – sono destinate a fallire; e, dall’altra, aver accettato l’idea di un’implementazione iniziale “a geometria variabile” da governare con estrema cura, pena il riaffacciarsi di difformità trattamentali che potrebbero pregiudicare l’unitarietà del rito così come era già stato denunciato nel corso della prima ondata pandemica[32]

È ancora al regolamento ministeriale che viene assegnato il compito di dettare regole tecniche riguardanti depositi, comunicazioni e notificazioni, modificando ove necessario il dm n. 44/2011. Ogni ulteriore specifica e disposizione attuativa potrà poi essere adottata con atto dirigenziale. 

Ebbene, sarebbe in parte superfluo e in parte erroneo ripetere considerazioni già svolte altrove in merito al pericolo di “fluidificazione” del principio ex art. 111, comma 1, Cost., di per sé sotteso al ruolo senza dubbio ingombrante ascritto all’apparato governativo e ad alcune delle sue diramazioni; un ruolo che – è evidente – non può ritenersi aprioristicamente estraneo all’introduzione di profili patologici degli atti penali e, dunque, alla creazione, de facto, di inedite e carsiche forme di compressione dei diritti. 

Nondimeno, proprio l’auspicata formazione, finalmente, di un robusto corpus legislativo atto a disciplinare il processo penale telematico, dovrebbe ridurre quella insidiosa incognita a nulla più che una sfocata immagine del passato, senza che perciò sia necessario rinunciare alla fisiologica “flessibilità” delle fonti di rango subordinato, singolarmente funzionale all’adeguamento rapido agli standard tecnologici via via fissati a livello sovranazionale.

Resta poi da osservare come la coda del comma 5 (lett. e) si occupi e si preoccupi delle ipotesi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia. 

Il lemma prescelto rimanda indietro col pensiero al primo dei provvedimenti normativi che ne ha fatto sfoggio, il dl n. 44/2021[33], e al caos che quel provvedimento aveva preceduto, ossia le gravi criticità e i bug di sistema palesati dal PDP (Portale deposito atti penali), che ha “sdoganato” la presentazione telematica di atti anche da parte dell’utente esterno.

Ebbene, certo non dimentico di quell’esperienza – peraltro prorogata nella sua attuale veste giuridica fino al 31 dicembre 2022[34] – e dell’acceso scontro in merito ai pregiudizi difensivi provocati dalle frequenti impasse dell’applicativo, nonché dagli iati temporali che non di rado si frappongono tra il primo segmento di controllo automatizzato dei documenti e l’effettiva acquisizione ad opera del personale di cancelleria[35], l’intervento di riforma non si affida a un “fideistico soluzionismo tecnologico”, ma elenca tra le priorità l’adozione di modalità alternative di deposito che consentano, comunque, il proficuo svolgimento delle attività processuali, nonché la predisposizione di sistemi di accertamento dell’inizio e della fine del malfunzionamento e un contestuale sistema di alert per l’utenza. 

Semmai, vista la particolare cura che si dovrà prestare nell’esercizio della delega onde scongiurare la dimenticanza di ipotetiche forme di garanzia, viene da chiedersi perché la lettera f preveda come meramente facoltativo (e non, invece, come obbligatorio sempre e comunque) l’impiego di applicativi capaci di meglio presidiare il valore della certezza mediante la generazione di una ricevuta di avvenuto perfezionamento del deposito e, dunque, in grado di offrire una migliore controllabilità a posteriori della correttezza dell’adempimento[36]

Incidentalmente, vale la pena rammentare che dal 3 dicembre 2021 ha preso avvio il processo costituzionale telematico per i giudizi incardinati a partire da quella data[37]

A valle di un cammino di riflessione che aveva visto, tra l’altro, l’istituzione di un gruppo di lavoro misto, composto da assistenti di studio, personale amministrativo, personale di cancelleria e personale informatico[38], con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della delibera della Corte costituzionale del 22 luglio 2021, contenente norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, e il decreto del presidente della Corte costituzionale del 28 ottobre 2021, recante le regole tecniche per l’attuazione, si sono infine poste le fondamenta normative del nuovo assetto processuale, regolandone appunto il funzionamento anche dal punto di vista prettamente operativo. 

Molti gli aspetti che, al netto delle numerose peculiarità che contraddistinguono il processo davanti al Giudice delle leggi rispetto a quello penale (il numero decisamente più esiguo dei procedimenti instaurati, la varietà di tipologie di giudizio, i soggetti che interagiscono con la Corte… solo per fare alcuni esempi), meriterebbero un’attenta considerazione anche da parte del “nostro” legislatore delegato. Pur con tutti i caveat dovuti alla specificità di giurisdizione, potrebbero rintracciarsi utili spunti e modelli di confronto nelle scelte effettuate in punto di verifica del deposito degli atti ad opera della cancelleria, di metodiche di segnalazione delle eventuali anomalie, di comunicazione dell’esito dei controlli e di decorso dei termini. Nel recente “pacchetto” di strumenti, infatti, a delinearsi con un certo nitore è la volontà di fornire ai soggetti interessati dal processo costituzionale un compendio di regole chiare e semplici, atte a prevenire soluzioni estemporanee e plasmate dall’alea dell’approccio casistico[39].

 

3. Le notificazioni telematiche all’imputato non detenuto

La seconda linea d’intervento è racchiusa nel comma 6 dell’art. 1. Si tratta di un profilo più circoscritto (… sebbene non del tutto privo di insidie) e complementare a quanto fin qui già osservato, dal momento che riguarda la disciplina delle notificazioni telematiche – successive alle prime e diverse dalla citazione in giudizio di primo grado e in sede di impugnazione[40] – di cui sia destinatario l’imputato in stato di libertà il quale, finora, era stato escluso da questo peculiare regime notificatorio. 

Si interseca qui il tema del processo in assenza, che il delegante intende riformare secondo i criteri dettati al successivo comma 7: sulla scorta delle censure mosse dalla Commissione Lattanzi tanto alla riforma del 2014 quanto all’impianto normativo risultante dall’intervento della legge n. 103/2017, l’obiettivo è quello di ri-affermare (o, rectius, di affermare davvero) il principio per cui il processo può svolgersi in assenza dell’imputato soltanto quando vi sia la certezza che tale assenza è volontaria e consapevole.

In breve, allo scopo di semplificare le modalità di rintraccio della persona e di contrarre i tempi occorrenti per il perfezionamento degli adempimenti connessi alle notifiche, il delegante prevede l’obbligo (comunque non sanzionato in caso di violazione[41]) per l’imputato non ristretto in carcere o in altri istituti, di fornire all’autorità procedente il numero di cellulare e l’indirizzo email di cui abbia disponibilità fin dal primo contatto; nonché, ancora, la facoltà di dichiarare domicilio ai sensi del modificando art. 161 cpp anche presso un idoneo recapito telematico[42]. Sarà a quello stesso recapito che il difensore potrà inoltrare tutte le comunicazioni[43], senza risultare passibile di inadempimento degli obblighi derivanti dal mandato, laddove l’omissione o il ritardo nella comunicazione siano imputabili a un fatto del cliente.

 

4. Changing lenses. Il rito penale… nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

Veniamo, quindi, alla terza linea di intervento del disegno riformatore, la linea che – almeno prima facie – è destinata ad attirare più potentemente l’attenzione degli studiosi e degli operatori del processo, non foss’altro perché chiamata a “comporre” e “tradurre” in testo normativo tendenzialmente durevole le diatribe dogmatiche che hanno accompagnato l’iter di “ridefinizione” del canone dell’immediatezza, così come avviato dai famosi dicta della Consulta e della Suprema corte[44], e poi proseguito nelle “giravolte” della legislazione emergenziale per ciò che attiene allo svolgimento in via telematica di determinate attività processuali.

Seguendo l’ordine interno al comma 8 dell’art. 1, si scopre che sotto la lente d’ingrandimento c’è la disciplina della documentazione degli atti, a ulteriore conferma di quanto profonda e organica dovrà essere la rivisitazione del libro II. 

Come noto, il procedimento documentativo degli atti, connotato da un forte grado di flessibilità, rinviene la sua forma elettiva nella redazione del verbale[45]

Risulta invece circoscritto il ricorso a tecniche di documentazione pur più affidabili dal punto di vista della fedeltà rappresentativa quali la riproduzione fonografica e quella audiovisiva perché, all’epoca della stesura del codice, esse erano percepite come particolarmente costose e non si voleva sovraccaricare il sistema con impegni superiori alle risorse disponibili. 

Così, nonostante un chiaro favor verso le nuove tecnologie fosse già rinvenibile nella legge delega n. 81/1987[46], si era poi optato per una soluzione compromissoria e riduttiva, tutta incentrata sulla priorità della verbalizzazione, in cui la fono-audio registrazione assolveva e assolve una funzione servente ed eventuale, salva l’introduzione, nel corso degli anni, di sporadiche e talora asimmetriche eccezioni[47].

Oggi, alla luce delle lett. a e b del comma 8, sembra per converso delinearsi un ricorso par défaut proprio a quelle forme documentali “rafforzate” a spiccato tasso tecnologico: premessa la solita clausola di salvaguardia relativa all’eventuale penuria delle risorse strumentali ed organiche, ciò che Cordero definiva il «lusso supremo»[48], ovvero la registrazione audiovisiva, assurge a elemento ulteriore (intendendo “ulteriore” come “in aggiunta”, cioè, al verbale che assume così valenza complementare) e indefettibile di documentazione (anche se non è posto a pena di inutilizzabilità) di ogni performance dichiarativa resa dall’indagato/imputato fuori udienza, o da altri soggetti purché in sede garantita. Residualmente, dovranno essere individuate le ipotesi in cui l’assunzione di sommarie informazioni da fonti che possono riferire circostanze utili alle indagini ex art. 351 o ex art. 362 cpp venga almeno fonoregistrata: qui, a mero titolo esemplificativo, il pensiero corre alla “delicatezza di contesto” in cui a essere ascoltata sia una persona minorenne o affetta da disturbi psichici[49].

Certo, è di agevole disvelamento la “curvatura” teleologica che ha plasmato la scelta del delegante, il quale – come confermato poco dopo dal comma 11, lett. d dello stesso art. 1 – intende così assolvere il compito “affidatogli” dai giudici di Palazzo della Consulta con la sentenza 132, ove si parlava di rimedi compensativi per consentire al mutato giudice dibattimentale di rigettare richieste intese alla rinnovazione probatoria[50]

A prescindere da ogni più approfondita analisi circa la cennata finalizzazione[51], l’opzione della delega, in sé, non può che essere apprezzata: tenuto conto dei costi irrisori con cui oggi si può procedere a siffatta modalità documentativa, non si comprende, anzi, perché non ci si sia spinti a prevederne l’operatività per tutte le dichiarazioni suscettibili a vario titolo di essere lette in dibattimento o, ancora, per gli atti di indagine in cui la “cristallizzazione” delle risultanze sia particolarmente importante[52]. Inutile sottolineare, per contro, come la previsione per così dire routinaria di questa forma “potenziata” di documentazione non dovrebbe fornire facili pretesti per alimentare uno scomposto recupero dibattimentale di quelle risultanze dichiarative[53].

Certamente, nel quadro che si è appena abbozzato, sarà indispensabile por mano alla riformulazione, tra le molte, di una disposizione come l’art. 139 cpp, definendo in maniera nitida i rapporti che si vorranno instaurare tra riproduzione (audiovisiva e fonografica) da una parte, e verbale convenzionale dall’altra (verbale nel quale, per incidens, dovrà darsi atto dell’inizio e della fine della registrazione, della tipologia di apparecchiature tecniche impiegate, e a cui si potrà far riferimento per cogliere i passaggi essenziali dell’attività documentata senza perciò dover procedere alla gravosa incombenza trascrittiva), onde sottrarli alle incertezze interpretative che hanno riguardato il valore fidefacente del verbale sintetico[54]

In conclusione, e non certo perché goda di minor appeal scientifico, il tema della cd. “remote justice”, ossia della modalità di svolgimento di talune attività processuali con soggetti che com-partecipano da luoghi fisici diversi, grazie ai sistemi di videoconferenza o, più di recente, attraverso l’impiego di piattaforme informatiche. 

Con un’approssimazione che si potrebbe definire “brutale”, veniamo subito al cuore della questione, dando ovviamente per scontati i dettagli del dibattito che si riproduce più o meno uguale a se stesso fin dall’apparire, nell’ordito del nuovo codice, delle matrici di una “gestione” a distanza di certuni incombenti processuali, se non della stessa partecipazione al procedimento (vale a dire fin dall’introduzione delle disposizioni dell’art. 147-bis e 146-bis disp. att.[55]).

Cosa auspicare dinanzi alla direttiva (lett. c del comma 8) che delega il Governo a individuare i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione a un atto del procedimento o all’udienza possa avvenire a distanza? 

Se, per un verso, era del tutto naturale che il delegante, avendo presenti le multiformi esperienze maturate in forza dei prodotti normativi degli ultimi due anni, ne volesse conservare alcuni selezionati esempi, per un altro, una disciplina “a regime” deve innanzitutto affrancarsi dal paradigma del quick and safe che, comunque, ha occasionato la maggior parte delle sperimentazioni di “giustizia de-spazializzata”, e confrontarsi laicamente con le chances di mantenere nel perimetro costituzionale la trattazione del procedimento su canale telematico, quand’anche nelle sue espressioni più “estreme” come quella della cd. “virtual hearing” (in cui nessuno dei protagonisti processuali condivide uno spazio fisico comune). 

Ora va da sé che, laddove si accedesse alla tesi per cui la sottrazione della dimensione fisica all’aula d’udienza manomette e compromette i capisaldi della fairness processuale, se non gli stessi cardini della giurisdizione penale[56], ogni barlume di discussione sarebbe destinato a spegnersi all’istante. 

Qualora, invece, volessimo assumere l’impegno di provare a ricercare nuove forme di garanzia, ricalibrandone alcune e accrescendone altre proprio grazie all’ausilio delle tecnologie (come, peraltro, sembra ammonirci a fare lo stesso Antoine Garapon nella sua penultima e pluricitata opera[57]), il discorso intorno alle eventuali alternative alla celebrazione in presenza dell’udienza penale potrebbe essere sviscerato e ulteriormente approfondito[58]

Di certo, nell’immediato, esso andrebbe a posizionarsi sul piano della “ragionevole sintesi” tra interessi di rilievo costituzionale. 

È su questo “pendio” (non di rado scivoloso) che la Corte costituzionale, nella pronuncia di inammissibilità n. 96 del 2021[59], ha additato il requisito del consenso delle parti alla stregua di chiave di volta di uno degli assetti normativi di epoca pandemica. 

Ed è appunto sulla scia di tale pronunciamento, oltre che delle suggestioni provenienti da molti ordinamenti stranieri[60] nonché, in ultimo, dalle «Guidelines on videoconferencing in judicial proceedings» adottate dalla CEPEJ nel giugno 2020[61], che sembra volersi muovere il delegante.

Nutrendo qualche dubbio in merito a una scelta forse “deresponsabilizzante” per il legislatore, viene da domandarsi se non si sarebbe potuto tentare di gettare il cuore oltre l’ostacolo, e immaginare la percorribilità, magari, di un rito “digitale”, a giurisdizione in qualche modo semplificata, allorché l’illecito da accertare fosse sganciato dalla possibilità di attingere la pena detentiva così da legittimare a monte una differenziazione in punto di disciplina processuale. 

Più prosaicamente, dal momento che la partecipazione “in diretta” del giudice e delle parti alle dinamiche dell’attività di udienza, quand’anche “filtrata” dall’uso del videocollegamento, parrebbe comunque idonea a integrare uno standard garantistico qualitativamente superiore rispetto al regime di “trattazione scritta” da ultimo elevato a canone generale del giudizio di appello (cfr. art. 1, comma 13, lett. g), si potrebbe quantomeno auspicare che il delegato si determinasse a estendere il raggio d’azione della direttiva in esame fino a ricomprendervi anche le udienze di impugnazione[62].

Di sicuro – e torniamo al “qui e ora” della delega –, nel testo non mancano alcune zone d’ombra, che constano per lo più di omissioni, di “non detto”. 

Si rifletta, in primo luogo, sul silenzio serbato in ordine alla tematica, dai risvolti problematici enormi, della sicurezza, della riservatezza e della qualità del dato giudiziario, ivi compresi i profili di responsabilità soggettiva: si può forse negare che il trattamento dei dati (e dei metadati) giudiziari è l’anima stessa del processo telematico tutto, sia sul fronte documentale che su quello gestionale, e che, proprio per questa ragione, non può essere blandamente abbandonato a impliciti o incerti rinvii alla direttiva 2016/680/UE, alle disposizioni ad essa correlate o, ancora, al contenzioso che potrebbe scaturirne?

Si pensi, ancora, alla mancanza di qualunque riferimento al côté esecutivo della remotizzazione dell’udienza. 

Eppure, sembra ormai acclarata l’indispensabilità di procedere a un’accurata regolamentazione delle forme di prestazione del consenso ad opera delle parti; della verifica della genuinità del medesimo; delle tipologie di inquadratura da assicurare a ciascun soggetto[63]; del servizio di interpretariato eventualmente necessario per uno o più dei partecipanti all’udienza; dei test propedeutici alla corretta instaurazione della dialettica processuale; della certificazione dell’identità dei partecipanti; della modalità di rilevazione di eventuali incidenti o disconnessioni telematiche… Si allude, insomma, a tutto quel “disciplinare” tecnico che è chiamato a dar “corpo” alle garanzie difensive in sede digitale e in ordine al quale, non a caso, le appena richiamate «Linee Guida» formulano precise raccomandazioni all’indirizzo dei diversi ordinamenti[64].

In ultimo, merita senz’altro di essere superato il disinteresse riservato dal delegante alla tematica della pubblicità delle udienze allorché queste si svolgano in “stanze” virtuali, visto che la collettività deve essere sempre e comunque messa nelle condizioni di esercitare un controllo sull’amministrazione della giustizia funzionale a scongiurare condotte abusive[65].

In definitiva – fermo il fisiologico margine di approssimazione che accompagna ogni valutazione a “prima lettura” –, pare potersi concludere che nelle direttive della “riforma Cartabia” non c’è tutto ciò che potrebbe assicurare una transizione fluida e sicura del rito penale su binari tecnologici assiologicamente orientati, ma di sicuro c’è molto[66]. E sarà, appunto, procedendo con acume e sorvegliato coraggio all’interno delle linee perimetrali tracciate nel progetto di riforma (da ultimo, nitidamente rimarcate nell’«Atto di indirizzo per l’anno 2022» presentato dal Ministero della giustizia il 26 novembre 2021[67]), che il delegato potrà condurre a compimento un’opera di rinnovamento tanto impegnativa quanto ormai irrinunciabile.

L’idea portante, infatti, non è (né deve essere) quella di ridurre il “rendere giustizia” a una pratica burocratica o, peggio, all’offerta di un qualsivoglia servizio online, ma di sfruttare le potenzialità offerte da un’esistenza ormai connotata anche da una terza dimensione, quella “phygital[68], «per assicurare» – prendiamo a prestito, qui, le parole della relazione della Commissione Lattanzi – «maggiore efficienza e rapidità al procedimento penale», incrementando altresì «le garanzie della difesa»[69]

 

 

*  Già anticipato su Questione giustizia online il 17 gennaio 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-processo-penale-in-ambiente-digitale-ragioni-e-ragionevoli-speranze), il presente contributo è una prima rielaborazione della relazione svolta alla giornata di studi dal titolo «Il modello di riforma “Cartabia”: etica, estetica, oblio», tenutasi all’Università “La Sapienza” di Roma il 18 novembre 2021 (la versione finale è destinata al volume che raccoglierà i relativi scritti). 

1. Sia consentito rinviare al nostro primo scritto in materia, che beneficiò dell’accoglienza (allora visionaria) dei Curatori dell’opera collettanea in cui venne inserito: B. Galgani, Il processo penale paperless: una realtà affascinante, ancora in divenire, in L. Luparia - L. Marafioti - G. Paolozzi (a cura di), Dimensione tecnologica e prova penale, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 265 ss.

2. Così T. Padovani, La “sottile linea rossa” della riforma condizionata dai nodi organizzativi, in Guida dir., 23 ottobre 2021, n. 40, p. 65.

3. G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sist. pen., 15 ottobre 2021, p. 3.

4. … sulla cui mai sufficientemente riconosciuta importanza è spesso tornato anche il presidente emerito della Corte di cassazione G. Canzio (Le linee del modello “Cartabia”. Una prima lettura, in Sist. pen., 25 agosto 2021), mettendo in evidenza come siano proprio le disfunzioni nella gestione degli uffici a determinare «sensibili differenze di perfomance sul territorio», rispetto alle quali nulla possono le “sole” modifiche in rito.
È esattamente nell’alveo di una rinnovanda componente organizzativa-ordinamentale che si colloca la prospettata modifica dell’ufficio per il processo, originariamente istituito con dl n. 90/2014. Com’è noto, in seno a questo ufficio – avente sede presso i tribunali e le corti d’appello – sarà creata una sezione dedicata al processo penale finalizzata, tra l’altro e non a caso, a un più diffuso ed efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 1, comma 26, lett. b della delega). Cfr., tra i molti scritti dedicati al tema nella sua complessità: N. Graziano, Investimenti e riforme indirizzate a “tagliare” la durata dei giudizi. L’Ufficio del processo, in Guida dir., 26 giugno 2021, n. 25, p. 78; M.G. Civinini, Il “nuovo ufficio per il processo” tra riforma della giustizia e PNRR. Che sia la volta buona!, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/il-nuovo-ufficio-per-il-processo-tra-riforma-della-giustizia-e-pnrr-che-sia-la-volta-buona; I. Pagni, L’Ufficio per il processo: l’occasione per una (ulteriore) osmosi virtuosa tra teoria e pratica, con uno sguardo alle riforme processuali in cantiere, in questa Rivista online, 17 novembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/l-ufficio-per-il-processo; e, ancora, S. Sottani, Le norme del PNRR in tema di giustizia: opportunità e nuovi problemi, ivi, 14 ottobre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/le-norme-del-pnrr-in-tema-di-giustizia-opportunita-e-nuovi-problemi, il quale, nell’osservare in particolare la realtà penale, rileva come l’«obiettivo di ridurre se non proprio abbattere l’arretrato [abbia] presumibilmente indotto a prevedere l’innesto di personale amministrativo solo per gli uffici giudicanti, senza alcuna previsione di rafforzamento per gli uffici requirenti». Il che – sottolinea lo stesso Autore – sembrerebbe non «tener conto del carattere necessariamente lineare del processo penale, in cui l’esito finale del giudizio in Cassazione risente inevitabilmente della capacità di dialogo e del flusso di affari in linea orizzontale, tra gli uffici frontalieri di primo e secondo grado, cioè tra le procure, di primo grado e Generali con i rispettivi tribunali e Corti d’appello, oltre che in linea verticale, tra gli uffici circondariali e quelli distrettuali».

5. Si era espressa in questi termini la stessa Ministra della giustizia, Marta Cartabia, fin dalla presentazione delle Linee programmatiche sulla giustizia, il 14 marzo 2021. 

6. A questo riguardo, sarebbe semanticamente più opportuno parlare di “efficacia”, ossia di corrispondenza tra energie temporali e organiche impiegate da un lato, e obiettivi cognitivi conseguiti dall’altro.

7. In questa stessa logica si spiega come nel PNRR, tra le cosiddette “milestone” – ovvero tra gli obiettivi qualitativi al cui raggiungimento è condizionata l’erogazione delle risorse del NGEU – campeggi la Q4-2021, il cui contenuto testuale è il seguente: «[a]dozione delle riforme per la giustizia penale che devono includere almeno le seguenti misure: i) revisione del sistema di notifica, ii) un più ampio uso delle procedure semplificate e iii) di strumenti di conservazione digitale dei documenti; iv) norme semplificate sulle prove; v) definizione di limiti alla durata delle indagini preliminari e misure per evitare la stagnazione della fase investigativa, vi) estensione della possibilità di estinguere il crimine se il danno è stato riparato; vii) introduzione di un sistema di monitoraggio a livello di Tribunale e aumento della produttività tramite incentivi per assicurare una ragionevole durata dei processi e uniformare le performance tra i tribunali». 

8. Cfr., ad esempio, Corte Edu, Lawyer Partners A.S. c. Slovacchia, 16 giugno 2009.

9. Si rinvia, si licet, a quanto già osservato in B. Galgani, Digitalizzazione e processo penale: riflessioni sul dover essere di una nuova “cartografia”, in Discrimen, 3 giugno 2021, pp. 1 ss.

10. Le ultime sono quelle datate maggio 2021 e reperibili all’indirizzo www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/linee_guida_sul_documento_informatico.pdf. 

11. … sia esso l’integrità del documento processuale, la riconducibilità al suo autore, e così via dicendo…

12. Un chiaro esempio di mismatching si può rintracciare nel combinato disposto dei commi 6-bis e 6-sexies dell’art. 24 dl n. 137/2020, a proposito dei documenti allegati agli atti di impugnazione che, laddove «privi di firma digitale “conformizzante”», provocano addirittura l’inammissibilità dell’intero atto d’impugnazione: cfr. sul punto F. Porcu, Il “portale del processo penale telematico”: un passo in avanti (e qualche inciampo) verso la digitalizzazione, in Dir. pen. proc., n. 10/2021, p. 1414. Sul tema, poi, del rapporto di ragionevole proporzionalità che deve comunque sussistere tra scopo perseguito e mezzi impiegati nell’ambito del cd. “diritto di accesso a un tribunale” garantito dalla Cedu, vds. specificamente Corte Edu, Kaufmann c. Italia, 19 maggio 2005 («§ 31. Il ressort de la jurisprudence de la Cour que ce droit n’est pas absolu et se prête à des limitations implicitement admises, notamment quant aux conditions de recevabilité d’un recours, car il appelle de par sa nature même une réglementation par l’Etat, lequel jouit à cet égard d’une certaine marge d’appréciation (voir, parmi d’autres, Levages Prestations Services c. France, arrêt du 23 octobre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-V, p. 1543, § 40). Toutefois, ces limitations ne sauraient restreindre l’accès ouvert à un justiciable de manière ou à un point tels que son droit à un tribunal s’en trouve atteint dans sa substance même. En outre, les limitations appliquées ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (Cordova c. Italie (no 1), no 40877/98, § 54, CEDH 2003-I; voir également le rappel des principes pertinents dans Fayed c. Royaume-Uni, arrêt du 21 septembre 1994, série A no 294-B, pp. 49-50, § 65»).

13. Il cui titolo, per esteso, è «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata».

14. Rispetto a questi due canoni, su cui sono stati spesi e ancora si potrebbero spendere fiumi d’inchiostro, ci limitiamo a richiamare, per il versante per l’appunto civilistico, le recenti riflessioni di L.R. Luongo, Il «principio» di sinteticità e chiarezza degli atti di parte e il diritto di accesso al giudice (anche alla luce dell’art. 1, co. 17 lett. d ed e, d.d.l. 1662), in Judicium, 9 ottobre 2021 e, in ambito penalistico, senza alcuna pretesa di completezza, B. Galgani, Esercizio della funzione decisoria, in Legislazione penale, 29 luglio 2020, pp. 6 ss. 

15. Paventa che l’uso del mezzo informatico e, soprattutto, la predisposizione di moduli ad hoc da parte del Ministero della giustizia possa condizionare l’esercizio del diritto d’azione da parte del difensore (art. 24 Cost.) o la stessa funzione del giudicare (art. 101 Cost.) G. Scarselli, Contro l’idea che l’esercizio dell’azione giudiziale possa darsi compilando formulari predisposti dal Ministero della Giustizia, in Judicium, 23 giugno 2021. Di certo più “confidente” si rivela il giudizio complessivamente espresso da F. De Stefano, La Riforma prossima ventura del giudizio di legittimità – note a lettura immediata sulla legge 206/21, in Giustizia insieme, 13 dicembre 2021.

16. Si pensi, in particolare, a sez. unite, 23 giugno 2016 – 29 settembre 2016, n. 40516 (vds. De Jure). 
Com’è noto, ivi si “tirano le orecchie” ai giudici di merito sullo stile di motivazione, tant’è che in uno dei passaggi principali della pronuncia è dato leggere: «[l]a pronunzia pone difficoltà di lettura, presentando talune patologie quanto all’esame delle questioni cruciali: la distonia tra motivazione e dispositivo; elefantiasi che offusca le ragioni della decisione; la disorganica esposizione delle prove e dei fatti, senza che ne sia chiaramente esplicitata la rilevanza in ordine alla risoluzione delle questioni controverse.
L’atto consta di oltre duecento pagine, ma la parte di gran lunga preponderante del testo è costituita dalla integrale, acritica trascrizione di deposizioni assunte nel giudizio. Non solo il documento è macroscopicamente sovrabbondante, ma neppure esplicita le ragioni di tanta profusione, né soprattutto indica quali siano i passaggi degli atti acriticamente trascritti che esercitano un ruolo nella logica della decisione. Si tratta di uno stile che si rinviene spesso nella produzione giurisprudenziale, alimentato anche dalla tecnologia di riproduzione dei testi. Tale stile ostacola la comprensione del senso della decisione, tradisce la funzione euristica della motivazione, disattende precise indicazioni di plurime norme processuali» (§ 9).

17. A questo proposito, meritano sicura attenzione le Linee Guida in tema di redazione dei capi di imputazione e motivazione della sentenza elaborate ad esito della collaborazione tra Corte d’appello di Firenze, Procura generale e Ssm - Struttura territoriale della formazione di Firenze. Sul percorso e il significato di tale “laboratorio distrettuale” vds. altresì la Relazione sull’Amministrazione della giustizia nel Distretto della Corte d’Appello di Firenze per l’anno 2017, tenuta dall’allora presidente M. Cassano e reperibile all’indirizzo www.ca.firenze.giustizia.it/. 
Sollecitano un “ripensamento” generale dello stile redazionale di tutti gli atti del processo, a partire da quelli iniziali, che per l’appunto “innescano” il procedimento, le osservazioni di M.T.M. Rubeira, Suggerimenti pratici per “deflazionare” il lavoro degli uffici di Procura, in Aa.Vv., L’obbligatorietà dell’azione penale, Giuffrè, Milano, 2021, pp. 109-110.

18. Cfr. anche R. E. Kostoris, Predizione decisoria, diversion processuale e archiviazione, in Sist. pen., 23 luglio 2021, pp. 7-8.

19. Da ultimo, insiste sulla centralità di quest’aspetto anche la Relazione sullo stato della Giustizia telematica – anno 2021, approvata dal plenum del Csm nella seduta del 21 dicembre 2021 e il cui testo è reperibile all’indirizzo www.csm.it/web/csm-internet/lavori-del-consiglio/dal-plenum. 
Ivi, una volta premesso che «[l]’atto processuale telematico deve essere correttamente strutturato e profilato, sintetico e finalizzato all’immediata individuazione dei dati essenziali alla sua comprensione, nonché stilisticamente uniforme», si fa cenno all’esperienza avviata nel 2019 col tavolo di lavoro “modelli consolle CSM/CNF/MinisteroGiustizia”, «finalizzato alla predisposizione e diffusione di modelli base di provvedimenti giurisdizionali in formato elettronico secondo schemi strutturati, privi di parti motivazionali, per incentivare la redazione di provvedimenti nativi digitali da parte dei magistrati negli applicativi ministeriali» in uso in sede civile, e che dovrà altresì «occuparsi nel prossimo futuro anche dei modelli da utilizzare nel processo penale telematico» (pp. 10-11).

20. Nel rilevare automaticamente le righe di testo e i caratteri utilizzati nel corpo dell’atto, questi sistemi sono in grado di “riconoscerne” il contenuto e di catalogarlo onde agevolarne la validazione da parte delle cancellerie o, comunque, il reperimento ad opera dell’autorità giudiziaria e delle parti.

21. E sul ruolo delle banche dati anche “locali” fa molto affidamento il delegante, che collega espressamente l’incremento della «capacità produttiva dell’ufficio» alla «messa a disposizione dei precedenti, con compiti di organizzazione delle decisioni, in particolare di quelle aventi un rilevante grado di serialità, e con la formazione di una banca dati dell’ufficio giudiziario di riferimento» (art. 1, comma 26, lett. b, n. 3 della delega).

22. Vds. Revised Saturn Guidelines for judicial time management (4th revision), il cui testo è reperibile all’indirizzo https://rm.coe.int/cepej-2021-13-en-revised-saturn-guidelines-4th-revision/1680a4cf81 (lett. A, punto 3, p. 8). 

23. Sulle dinamiche procedimentali che si innescano tra ufficio europeo e uffici nazionali fin dagli esordi del procedimento, e con specifico riguardo all’iscrizione e alla comunicazione della notizia di reato “domestiche” così come integrabili nel sistema informatizzato di gestione dei casi (cd. Case Management System, ex art. 45 del regolamento EPPO), ci eravamo già interrogati in B. Galgani, Digitalizzazione, op. cit., pp. 14-16, a cui ci si permette di rinviare anche per le indicazioni bibliografiche ivi richiamate.

24. Il testo, classificato COM/2021/759 final, è reperibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52021PC0759.

25. La traduzione è nostra.

26. Per dei riferimenti essenziali su questa infrastruttura, vds. M.A. Biasiotti - S. Conti - F. Turchi, La raccolta transnazionale della prova digitale in ambito europeo: una proposta per l’adozione di uno standard, in A. Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa (a cura di), Cybercrime, Utet Giuridica, Milano, 2019, p. 1651.

27. COM/2021/759 final, p. 10.

28. Una «generalizzazione dell’utilizzo di modalità telematiche non solo per le notificazioni, ma anche per le comunicazioni e il deposito di atti, istanze e documenti» era già prevista nel ddl intitolato «Deleghe al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso la Corte d’appello» e presentato alla Camera dei deputati il 13 marzo 2020 (AC 2435). Per una puntuale analisi del testo anche sotto questo profilo vds. N. Triggiani, La “Riforma Bonafede” della giustizia penale: un anno dall’approvazione della delega per ridare celerità ed efficienza al processo penale (... anche a scapito delle garanzie difensive), in Proc. pen. giust., n. 3/2020, pp. 761 ss. 

29. Cfr., volendo, il già richiamato B. Galgani, Il processo penale paperless, op. cit., pp. 259 ss.

30. Si pensi, per esempio, alla lettera dell’art. 24, comma 4, dl n. 137/2020, da cui è scaturita la pronuncia della Suprema corte che ha ritenuto inammissibili i motivi nuovi presentati dal procuratore generale ex artt. 585, comma 4, e 311, comma 4, cpp mediante posta elettronica certificata: Cass., sez. I, 3 novembre 2020, n. 32566, in Dir. giust., 20 novembre 2020 e, successivamente, Cass., sez. II, 1° dicembre 2020, n. 3436, in Il Processo telematico, 17 marzo 2021 (https://ilprocessotelematico.it/articoli/giurisprudenza-commentata/dalla-corte-di-cassazione-ancora-parole-chiare-sulluso-della-pec).
Per un’esaustiva rassegna della produzione giurisprudenziale degli ultimi anni in tema di PPT, vds. per tutti L. Giordano, La giurisprudenza di legittimità sulle prime applicazioni del processo penale telematico, in Sist. pen., 21 maggio 2021.

31. … seppure ormai svincolata dalla durata dello stato di emergenza, il cui termine è attualmente fissato al 31 marzo 2022. Recita infatti l’art. 16 («Disposizioni in materia di giustizia civile, penale, amministrativa, contabile, tributaria e militare») del dl n. 228/2021, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi»: «1. Le disposizioni di cui all’articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 2, 4, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022». 
Sul “rinnovato” termine di durata della normativa emergenziale e, in particolare, sul mantenimento del contestato istituto della camera di consiglio da remoto indipendentemente dalla necessità di contenere il rischio di contagio, non si è fatto attendere il severo giudizio dell’Unione camere penali (comunicato del 31 dicembre 2021, https://camerepenali.it/cat/11262/il_governo_proroga_le_camere_di_consiglio_da_remoto_per_tutto_il_2022_la_denuncia_dei_penalisti_italiani.html).
Anche il Consiglio nazionale forense si dichiara contrario alla “stabilizzazione” di quest’ultima misura che, peraltro, introdotta dai decreti “Ristori” e “Ristori bis”, risulta non essere stata praticamente mai applicata in diverse corti d’appello del territorio nazionale sulla scia del protocollo siglato tra Camera penale di Roma e Corte d’appello della medesima città: cfr. V. Stella, Sentenze decise in videochat: arriva l’altolà dell’avvocatura, Il Dubbio, 4 gennaio 2021, p. 1. L’auspicio condiviso dai due organismi è che il Parlamento non converta il provvedimento “Milleproroghe” per incoerenza delle motivazioni addotte nella relazione illustrativa («consentire una più rapida trattazione dei processi civili e penali» allo scopo di attuare gli «obiettivi di smaltimento dell’arretrato assunti dall’Italia in sede di Pnrr») a sostegno della conservazione dell’istituto nell’ordinamento. Sul punto vds. ancora Ead., Camere di consiglio, così il governo prova a forzare la mano», ivi, p. 2.

32. Vds. le censure di F. Ruggieri, Il processo penale al tempo del Covid-19: modelli alternativi di gestione della crisi, in Legislazione penale, 18 maggio 2020, pp. 4-5 con riguardo alla “babele di protocolli” stilati dai capi degli uffici che, di fatto, avevano operato una vera e propria delocalizzazione della disciplina.

33. In merito alle perplessità suscitate dal dl n. 44/2021 («Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici»), convertito con modificazioni dalla l. n. 76/2021, ci si permette di rinviare ancora una volta a B. Galgani, Digitalizzazione, op. cit., p. 20 e note correlate.

34. Vds. supra, nota 31.

35. Illuminante l’analisi a questo proposito offerta da R. Patscot, Il restyling del portale deposito atti penali. PEC o PDP: quando l’una, quando l’altro?, in V. Bove e R. Patscot, Processo penale telematico emergenziale (PPT), in Il Processo telematico, 14 aprile 2021, par. 4.

36. L’obiettivo deve essere quello di apprestare un rimedio in grado di evitare contestazioni sulla tempestività del deposito e, prima ancora, sul compimento del medesimo, nei casi in cui l’atto in questione non venga rinvenuto nel fascicolo. Vds., nell’ambito del contenzioso di “era pandemica”, una pronuncia recente come Cass., sez. III, 7 dicembre 2021, n. 45127, in Quotidiano giuridico, 23 dicembre 2021, a proposito della comunicazione via pec della richiesta di trattazione orale dell’udienza di appello ai sensi dell’art. 23-bis dl n. 137/2020. 

37. Cfr. A. Cherchi, Coraggio: «La Consulta alla svolta. Sopravvissuti grazie alla tecnologia», Il Sole 24 ore, 2 dicembre 2021, p. 1, nonché l’informativa E-Cost: il nuovo portale per il processo costituzionale telematico, in Il Processo telematico, 4 novembre 2021 (https://ilprocessotelematico.it/articoli/news/e-cost-il-nuovo-portale-il-processo-costituzionale-telematico).

38. Sull’accelerazione impressa dalla crisi pandemica allo sforzo di dematerializzazione dei documenti e al recupero di un progetto di processo telematico, già in fase di collaudo e modellato sul sistema sperimentato dalla Corte di giustizia europea, si vedano le parole dell’allora presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, nell’ambito di un webinar di cui puntuale resoconto è offerto da R. Dagostino, Il Processo nell’emergenza pandemica (Università LUM “Giuseppe Degennaro”, 28 settembre 2020), in Il Processo, n. 3/2020, p. 987. 
A ulteriore riprova della preziosa capacità della Corte costituzionale di adattarsi alle novità tecnologiche e di “accoglierle” all’interno delle sue dinamiche procedimentali onde meglio tutelare la partecipazione delle parti, si veda una pronuncia come Corte cost., 20 novembre 2020, n. 242, con commento di M. Nardelli, La notifica dei ricorsi avanti alla Corte Costituzionale a mezzo PEC, in Il Processo telematico, 19 gennaio 2021.

39. Di sicuro interesse è anche la Guida per l’utente all’utilizzo di e-Cost, disponibile sul sito della Corte dal 18 novembre 2021. Oltre a illustrare gli adempimenti strumentali all’accreditamento utente, l’accesso alla piattaforma informatica e-Cost ed il suo utilizzo, la Guida si premura di spiegare come richiedere assistenza “certificata” a fronte di possibili disfunzioni informatiche.

40. … rispetto alle quali è tuttora richiesta una garanzia di effettività della conoscenza dell’atto che si ritiene “assicurabile” soltanto tramite la consegna brevi manu: cfr. E.N. La Rocca, Il modello di riforma “Cartabia”: ragioni e prospettive della Delega n. 134/2021, in Arch. pen., n. 3/2021, p. 12. 

41. Sottolineano quest’aspetto ravvisandovi la ragione per cui l’indicazione dell’obbligo sarebbe destinata a rimanere «lettera morta» R. Nerucci e A. Trinci, Riforma Cartabia: la delega in tema di notificazioni, in Il Processo telematico, 28 settembre 2021, par. 4, i quali al contempo riconoscono la sostanziale incoercibilità della collaborazione da parte dell’imputato nel meccanismo notificatorio. 

42. … quale, ad esempio, la posta elettronica certificata. 

43. Si è giustamente osservato come «la consegna dell’atto al domicilio convenzionale [e, dunque, anche a quello eletto presso recapito telematico – ndA] rappresent[i] la forma di comunicazione che offre al destinatario una possibilità di conoscenza inferiore solamente alla consegna a mani proprie»: così R. Nerucci e A. Trinci, Riforma Cartabia, op. cit., par. 2. Non può, in ogni caso, essere ignorato un dato di realtà in cui, tra le altre, anche l’innovazione relativa al “recapito telematico” viene a essere calata: stando anche all’ultima edizione (2021) dell’«Indice di digitalizzazione dell’economia e della società» (cd. DESI, reperibile all’indirizzo https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/countries-digitisation-performance), l’Italia si colloca al 20° posto fra i 27 Stati membri dell’Ue, registrando livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi sul fronte del cd. “capitale umano”, e un ricorso corrispondentemente basso da parte degli utenti ai servizi pubblici digitali.

44. Cfr., volendo, B. Galgani, Istanze di deflazione, principio di immediatezza e… smaterializzazione del processo penale, in G. De Francesco - A. Gargani - E. Marzaduri - D. Notaro (a cura di), Istanze di deflazione tra coerenza dogmatica, funzionalità applicativa e principi di garanzia, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 211 ss.

45. Cfr. A. Pulvirenti, sub Art. 134, in A. Giarda e G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, Ipsoa, Milano, 2017, pp. 1471 ss., e F. Siracusano, sub Art. 134, in G. Canzio e G. Tranchina (a cura di), Codice di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 1326 ss. 

46. Art. 2, n. 8): «adozione di strumenti opportuni per la documentazione degli atti processuali; previsione della partecipazione di ausiliari tecnici nel processo per la redazione degli atti processuali con adeguati strumenti, in ogni sua fase; possibilità che il giudice disponga l’adozione di una diversa documentazione degli atti processuali in relazione alla semplicità o alla limitata rilevanza degli stessi ovvero alla contingente indisponibilità degli strumenti o degli ausiliari tecnici».

47. Ci si riferisce, com’è ovvio, all’art. 141-bis cpp e alle modifiche introdotte con il d.lgs n. 212/2015 di recepimento della direttiva 2012/29/UE.

48. F. Cordero, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 2012 (IX ed.), p. 332.

49. Per una soluzione di questo genere vds. già N. Pascucci, Le dichiarazioni del minorenne informato sui fatti dopo l’attuazione della Direttiva 2012/29/UE, in Cass. pen., n. 7-8/2016, p. 3067, che pure privilegiava l’idea della “videoregistrazione”. 

50. Cfr., supra, il già richiamato contributo nella nota 44.

51. Su cui, sempre in sede di prima lettura, cfr. E.N. La Rocca, Il modello di riforma “Cartabia”, op. cit., pp. 36 ss., e L. Ludovici, Riforma del processo penale: principi e criteri direttivi per le modifiche delegate in materia di giudizio, in Il Penalista, 20 ottobre 2021. 

52. Hanno formulato questo identico auspicio, a metà degli anni novanta, G. Voena, Atti, in G. Conso e V. Grevi (a cura di), Profili del nuovo codice di procedura penale, Cedam, Padova, 1996, p. 174, e, in tempi a noi molto più vicini, la proposta di legge AS 1709 presentata il 10 febbraio 2020 e intitolata «Modifiche agli articoli 134, 139 e 141-bis del codice di procedura penale in materia di riproduzione fonografica e audiovisiva degli atti del processo penale e delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari» (www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/52760.htm). Vds., da ultimo, lo scritto di G. Ichino, “Riforma Cartabia” e processo d’appello (anticipato su questa Rivista online, 29 novembre, p. 3 www.questionegiustizia.it/articolo/riforma-cartabia-e-processo-d-appello, ora in questo fascicolo), la quale propone di estendere l’operatività dell’audioregistrazione anche all’atto di cui all’art. 161 cpp, giacché la verificabilità della correttezza e dell’accuratezza con cui si procede a fornire le comunicazioni e gli avvertimenti destinati all’indagato renderebbe più “sicura”, ex post, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti per un eventuale giudizio in assenza.

53. Si dice l’ovvio se si sottolinea, a mo’ di esempio, come dai file audiovisivi contenenti dichiarazioni oggetto di contestazione dibattimentale dovranno allora essere stralciate e acquisite solo e soltanto le dichiarazioni per l’appunto fatte oggetto di critica.

54. Vds. i rilievi di G. Voena, Atti, in Aa.Vv., Compendio di procedura penale, Cedam (Wolters Kluwer), Milano, 2020, p. 189 e F. Siracusano, sub Art. 139, in G. Canzio e G. Tranchina (a cura di), Codice, op. cit., pp. 1345-1346.

55. Vds. per tutti D. Curtotti Nappi, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2006, passim.

56. In questo senso vds. M. Bontempelli, Intervento in «Di ragionevole durata soltanto se giusto. Le proposte UCPI: dialogo con gli studiosi del processo penale», evento online tenutosi il 18 aprile; L. Marafioti, Il processo penale di fronte all’emergenza pandemica, in Discrimen, 26 aprile 2021, pp. 18-19; O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen., n. 1/2020, pp. 1 ss., e Id., Immediatezza e crisi sanitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2021, pp. 461 ss., ove si asserisce perentoriamente che «l’udienza penale è fatta di riti, di forme esteriori, come le toghe indossate dalle parti e dal giudice, di mosse e contromosse, anche corporee, che postulano l’empatia assicurata solo dalla compresenza sulla scena processuale di tutti i soggetti protagonisti», e che «[a]nche all’epoca dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione diffusa il processo penale rimane una immane tragedia che richiede unità di tempo, di luogo e di azione».

57. Difatti, al netto delle molte censure mosse alle prime manifestazioni della cd. “telegiustizia” e alla perdita di rituali e simboli che ad essa sarebbe inevitabilmente connessa, a ben vedere le argomentazioni dell’illustre Autore non escludono la possibilità di accogliere una despazializzazione del processo, purché siano rinnovate appunto le forme del rituale, ridefinite secondo diversi codici semiotici e comunicativi – cfr. A. Garapon, La despazializzazione della giustizia, Mimesis, Milano-Udine, 2021, pp. 101-133, ove viene a snodarsi uno dei quattro appassionanti itinerari in cui l’Autore coinvolge il lettore, e per l’esattezza quello dedicato allo “spazio processuale”.
“De-spazializzazione” non significa, a nostro parere, uscire dallo spazio e, soprattutto, dalla sua “capacità ordinante” anche simbolica, quanto, semmai, accogliere la possibilità di spazi “altri” rispetto a quello fisico, in grado, a loro volta, di strutturare la realtà e di veicolare i valori essenziali della giurisdizione attraverso simboli differenti.

58. Si posizionano in un orizzonte favorevole a un impiego (anche) “ordinario” dell’udienza penale a distanza due esponenti dell’avvocatura: cfr. C. Intrieri, La riforma Cartabia e il processo digitale: il fantasma tecnologico nel processo penale, in Il Processo telematico, 30 settembre 2021, e L. Ponzoni, Unhorthodox: in favore del processo penale da remoto, in Discrimen, 26 aprile 2020. Per un’acuta riflessione sullo “stress test” senza meno rappresentato dall’avvento della normativa emergenziale sulle garanzie dibattimentali, vds. G. Borgia, Dibattimento a distanza e garanzie costituzionali: spunti di riflessione a partire dall’emergenza sanitaria, in Osservatorio AIC, n. 6/2020, pp. 181 ss.

59. Si vedano, in proposito, i commenti di C. Minnella, Processo penale da remoto: l’intervento della Corte costituzionale, in Dir. giust., 13 maggio 2021, e di A. Marandola, Legislazione d’emergenza: garanzie e limiti (temporali) provengono dalle alte Corti, in Il Penalista, 17 maggio 2021; precedentemente, sull’ordinanza di rimessione che aveva investito la Corte, vds. G. Santalucia, I ripensamenti sul processo da remoto all’esame della Corte costituzionale, in Sist. pen., 1° giugno 2020.

60. Vds. A. Sanders, Video-Hearings in Europe Before, During and After the COVID-19 Pandemic, in International Journal for Court Administration, n. 2/2020, pp. 1 ss.

61. Il testo delle Guidelines, presentate il 16 ottobre 2021 all’evento inaugurale dell’European Cyberjustice Network, è consultabile all’indirizzo https://rm.coe.int/cepej-2021-4-guidelines-videoconference-en/1680a2c2f4. Nella sezione specificamente dedicata ai procedimenti penali, si legge: «21) If legislation does not require the free and informed consent of the defendant, the court’s decision for his or her participation in the remote hearing should serve a legitimate aim. 22) The legitimate aim of remote hearing in criminal proceedings should be based on such values as the protection of public order, public health, the prevention of offences, and the protection of the right to life, liberty, and security of witnesses and victims of crimes. Compliance with the right to a trial within a reasonable time can be considered by the court in particular at stages in the proceedings subsequent to the first instance».

62. Mutatis mutandis, una suggestione di questo genere, tesa ad operare una sorta di “graduazione” delle garanzie al cospetto dell’ingresso del fattore tecnologico nel rito penale, ci proviene dal saggio di R. Orlandi, Immediatezza ed efficienza del processo penale, in Riv. dir. proc., n. 3/2021, pp. 815-816. A proposito delle complesse interazioni tra oralità e immediatezza, l’Autore distingue tra la riproduzione in dibattimento della videoregistrazione di una perfomance dichiarativa assunta altrove e l’assunzione dibattimentale di un esame mediante videoconferenza. Ebbene, quest’ultimo istituto, per quanto – si afferma – integrante una forma di immediatezza «degradata», è più “soddisfacente”, in punto di corredo garantistico, rispetto a una forma seppure «arricchita» di «lettura dibattimentale» a cui, invece, sostanzialmente si riduce la prima. 

63. Agli albori del “nuovo” codice di rito, in forza di un accordo tra Cnr e Ministero della giustizia, aveva coordinato gli esperimenti di ingresso delle tecnologie video nel processo penale G. Di Federico (Cari avvocati, non demonizzate l’uso delle nuove tecnologie, Il Riformista, 30 aprile 2020, pp. 1 e 6), il quale rammenta come, già in quell’epoca ormai risalente, in Kentucky, avesse assistito all’utilizzo di riprese video che, nel corso dell’udienza, si posizionavano automaticamente sui soggetti che di volta in volta parlavano, assicurando così una rappresentazione fedele non soltanto delle cose dette ma, altresì, delle modalità e delle tempistiche con cui esse venivano dette.

64. Cfr. in particolare alcune disposizioni delle sezioni Effective participation of the defendant e Legal representation, nonché tutta la seconda parte del documento intitolata Organisational and technical issues of videoconferencing

65. Vds. in proposito l’ampia casistica della Corte di Strasburgo, di cui ci si limita a ricordare: Bocellari e Rizza c. Italia, 13 novembre 2007, § 34; Perre ed altri c. Italia, 08 luglio 2008, § 23; Krestovskiy c. Russia, 28 ottobre 2010, § 24. 
Prendendo spunto, oltre che da molte esperienze straniere, da quanto avvenuto in sede domestica ad opera della Corte costituzionale (vds., nella specie, il decreto 16 marzo 2021 del presidente G. Coraggio, reperibile all’indirizzo www.cortecostituzionale.it), è ipotizzabile assicurare una forma di pubblicità delle udienze in linea con l’architettura costituzionale mediante la diretta streaming della trattazione della causa su canali istituzionali o, comunque, attraverso la registrazione e la successiva pubblicazione della medesima.

66. In tutt’altra prospettiva si colloca la posizione di recente espressa in seno al Bilancio di responsabilità sociale 2019-2020 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, e il cui testo integrale è reperibile all’indirizzo www.procura.milano.giustizia.it/bilancio-sociale.html.
Premesso un quadro desolante della realtà in cui verserebbe l’attuale gestione “telematica” dell’attività giudiziaria – «organizzazione ottocentesca legata a strutture e ripartizioni territoriali tipiche di quando si viaggiava a piedi o a cavallo; centralità del fascicolo cartaceo e del suo trasferimento fisico attraverso carrelli del secolo scorso; inutilizzazione delle piattaforme giudiziarie sia per la vetustà dei programmi (impostati circa 15/20 anni orsono) sia per il loro rifiuto culturale soprattutto da parte dei magistrati. Il costoso ed anacronistico paradosso della nostra organizzazione è emblematicamente costituito dal fatto che, da tempo, si ricevono unicamente file PDF ovvero nativi digitali che vengono costantemente ed indefessamente stampati per creare il fascicolo processuale cartaceo!» –, ciò che stupisce e lascia interdetti è il carattere apodittico (oltre che “sganciato” dalla littera legis della delega qui passata in rassegna) delle statuizioni formulate subito dopo, secondo cui «[p]urtroppo, la riforma del processo penale mantiene questa organizzazione preistorica: non si parla più del processo penale telematico, della firma digitale, delle nuove piattaforme dotate di programmi di intelligenza artificiale, di un nuovo sistema di notifiche collegato all’identità digitale. La giustizia resta esclusa dalle nuove forme di organizzazione del lavoro, dal superamento degli uffici in senso fisico, dalla liberazione delle risorse e dalla riduzione dei tempi di trasmissione delle informazioni e dei fascicoli come sarebbe ampiamente consentito dalle moderne piattaforme».

67. Il testo completo delle priorità politiche che il Ministero intende conseguire nel corso del 2022 è disponibile all’indirizzo www.giustizia.it/giustizia/it/contentview.page?contentId=ART357573&previsiousPage=mg_1_29_6.
Vale la pena osservare come, al par. 2 del documento in oggetto, per l’appunto dedicato all’«ulteriore avanzamento delle politiche di digitalizzazione», si fa espresso riferimento alla necessità di procedere al rafforzamento delle politiche di sicurezza dei sistemi informatici anche attraverso «la realizzazione di un security operation center» nonché, eventualmente, tramite l’avvio di un «Virtual private cloud interno a giustizia».

68. Si tratta chiaramente di un neologismo, crasi dei termini inglesi “physical” e “digital”, per mezzo del quale si intende per l’appunto descrivere l’interazione di mondo analogico e mondo digitale grazie a tecnologie in grado di creare esperienze del tutto nuove, pienamente immersive, in cui la cesura tra le due dimensioni tende inevitabilmente a sfumare. 
Per una prima ricognizione delle possibili interazioni tra agentes e tecnologie emergenti (anche se, in questo caso, dallo specifico angolo visuale della comunicazione delle humanities), si veda uno studio tanto chiaro quanto ormai (e paradossalmente) “datato”: M. Carrozzino, Nuove tecnologie per le humanities, in V. Neri (a cura di), Nuove tecnologie, immagini e orizzonti di senso. Prospettive interdisciplinari contemporanee, Pisa University Press, Pisa, 2017, pp. 11 ss.

69. Relazione finale e proposte di emendamenti al D.d.l. A.C. 2435, p. 16 (www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LATTANZI_relazione_finale_24mag21.pdf).