Il giudizio di appello
Il disegno di legge delega al Governo per l’efficienza del processo civile mantiene l’attuale fisionomia del processo di secondo grado quale controllo pieno della controversia caratterizzato da effetto devolutivo e divieto di nova, abroga l’ordinanza di inammisibilità ex art. 348-bis cpc e reintroduce la figura del consigliere istruttore e la conseguente dialettica tra organo monocratico e collegiale.
1. Premessa / 2. Le impugnazioni in generale / 3. Le novità del giudizio di appello / 4. Il ripristino del “consigliere istruttore” / 5. Ius novorum in appello / 6. Le altre modifiche / 7. Conclusioni
1. Premessa
Il disegno di legge delega non attua una revisione organica della materia delle impugnazioni, ma introduce modifiche frammentarie[1], che, come si tenterà di dimostrare, risultano non del tutto coerenti sul piano sistematico.
La fisionomia del giudizio di appello, in particolare, resta sospesa tra revisio prioris instantiae e novum iudicium, rilevandosi, da un lato, la riaffermazione dell’effetto devolutivo e divieto di nova e, dall’altro, la reintroduzione della figura del consigliere istruttore, con inevitabile scissione fra trattazione (monocratica) e decisione (collegiale) della controversia.
Non è, inoltre, prevista alcuna sezione dedicata alla riforma delle impugnazioni in generale (capo I del titolo III): le uniche disposizioni sulle impugnazioni in generale, in materia, rispettivamente, di “termini per l’impugnazione” e di “perdita di efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva”, si limitano a recepire consolidati indirizzi della giurisprudenza di legittimità[2].
2. Le impugnazioni in generale
Le modifiche in materia di “impugnazioni in generale”, come già anticipato, sono di scarso rilievo.
La disposizione dell’art. 6, lett. a, nel prevedere la decorrenza del termine (cd. breve) per l’impugnazione dalla notifica della sentenza (o del provvedimento impugnato) anche per il notificante, è pienamente conforme al consolidato indirizzo della Cassazione, che ha al riguardo precisato che non opera in detta materia il principio di cd. scissione soggettiva con decorrenza del termine, anche per il notificante, dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario[3].
Del pari conforme al più recente, ma ormai consolidato indirizzo di legittimità la previsione (lett. b) secondo cui «l’impugnazione incidentale tardiva perde efficacia anche quando l’impugnazione principale è dichiarata improcedibile», oltre che nell’ipotesi di inammissibilità, espressamente stabilito dall’ art. 334, comma 2, cpc[4].
In materia di impugnazioni incidentali tardive, peraltro, si è persa l’occasione di chiarirne condizioni di ammissibilità e limiti (art. 334 cpc), che appaiono tuttora incerti anche nella giurisprudenza di legittimità, avuto riguardo all’ambiguo e controverso presupposto costituito dalla «messa in discussione, da parte dell’impugnazione principale, dell’assetto di interessi cui l’appellato aveva fatto acquiescenza»[5].
3. Le novità del giudizio di appello
Numerose e, in qualche caso, rilevanti le modifiche che riguardano il giudizio di appello.
La più vistosa innovazione concerne la reintroduzione del consigliere istruttore, davanti al quale si svolgono le udienze di trattazione e di precisazione delle conclusioni e che ammette ed assume i mezzi di prova (su cui infra, par. 4).
Viene, inoltre, espunta l’ordinanza di inammissibilità dell’appello privo di una ragionevole probabilità di essere accolto, di cui all’art. 348-bis cpc, e viene modificata la disciplina della sospensione dell’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado.
Con un singolare innesto, del tutto eccentrico dal punto di vista sistematico (vds. infra), in sede di approvazione al Senato del testo della legge delega vengono introdotte nell’ambito del giudizio di appello modifiche relative al procedimento di correzione. Non è questa, peraltro, l’anomalia più significativa: oltre a un marginale restyling del procedimento, con singolare deroga alla nozione di omissione o errore materiale desumibile dalla formulazione dell’art. 287 cpc e comunemente applicata, si prevede la possibilità di ricorrere al procedimento di correzione di cui all’art. 288 cpc per contestare l’attribuzione o la quantificazione delle spese di lite liquidate con un provvedimento già passato in giudicato.
Accanto a una precisazione sul contenuto dell’atto introduttivo, rafforzativa del cd. “effetto devolutivo” (senza peraltro la previsione di alcuna specifica sanzione in caso di inosservanza) mediante integrazione degli artt. 342 e 434 cpc[6], vanno menzionate le modifiche della forma dell’atto di appello e della comparsa di costituzione, derivanti dal richiamo, contenuto negli artt. 342 e 347 cpc, alle forme degli atti difensivi del giudizio di primo grado (vale a dire, rispettivamente, gli artt. 163 e 167 del codice di rito, modificati dall’intervento governativo).
Quanto alla fase di decisione, vengono individuati due distinti moduli decisori, con scelta rimessa al consigliere istruttore, vero e proprio dominus della fase introduttiva:
- discussione orale della causa innanzi al collegio, anche ai sensi dell’ art. 281-sexies cpc, (lett. h);
o, in alternativa:
- precisazione delle conclusioni e deposito di comparse conclusionali e repliche davanti al consigliere istruttore, con successiva udienza, sempre innanzi al consigliere istruttore, di rimessione della causa in decisione e successiva deliberazione collegiale e pubblicazione della sentenza (lett. l).
È infine prevista la riformulazione degli artt. 353 e 354 cpc, con riduzione dell’ipotesi di rimessione della causa al primo giudice (lett. m).
4. Il ripristino del “consigliere istruttore”
La più incisiva modifica del giudizio di appello contenuta nella proposta di riforma è costituita, con un singolare ritorno al passato, dalla reintroduzione della figura del consigliere istruttore, cui è demandata la trattazione e istruzione della causa (lett. g, h, l): è rimessa all’istruttore la verifica della rituale costituzione delle parti, l’ammissione e assunzione dei mezzi istruttori. L’istruttore, inoltre (salvo che scelga di procedere ai sensi dell’art. 281-sexies cpc), assegna alle parti i termini per il deposito di note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni, delle comparse conclusionali e repliche, ferma la successiva deliberazione collegiale della decisione.
Con la reintroduzione del consigliere istruttore, soppresso dalla riforma del 1990, la proposta governativa tende all’uniformazione tra il giudizio di appello e quello di primo grado, con una netta inversione di rotta rispetto all’affermazione della piena collegialità nel giudizio di appello attuata con la legge 26 novembre 1990, n. 353.
Il ripristino della figura del consigliere istruttore e la conseguente dicotomia tra organo monocratico e collegio, nonché la tendenziale uniformazione dell’appello civile al giudizio di primo grado suscita qualche perplessità, apparendo un elemento di complicazione piuttosto che di snellimento e miglioramento dell’efficienza della fase di gravame.
L’attenuazione della collegialità potrebbe avere un impatto negativo sulla qualità della decisione, sussistendo il concreto rischio che non solo le modalità di trattazione del procedimento, ma la stessa sentenza di appello sia fortemente condizionata dal consigliere istruttore designato.
Di fatto, con un completo ribaltamento rispetto all’impostazione della piena collegialità affermata dalla l. n. 353/1990, l’intero procedimento di appello si svolgerà davanti al consigliere istruttore e, a eccezione dell’ipotesi di decisione ex art. 281-sexies cpc, il collegio si formerà (solo) in camera di consiglio[7].
Tale scelta appare disarmonica rispetto al principio dell’immodificabilità della composizione del collegio giudicante a partire dall’udienza di discussione della causa, che evidenzia la centralità di tale momento, in cui si cristallizza il devolutum all’organo giudicante[8].
Sul piano pratico, inoltre, sarà assai più problematico per il collegio acquisire un’effettiva conoscenza del contenuto degli atti di causa, di fatto sin dall’inizio nella disponibilità del consigliere istruttore.
Da ciò, come si è detto, possibili ripercussioni negative sulla qualità della pronuncia, meglio garantita da una compiuta e approfondita valutazione collegiale delle questioni di fatto e di diritto e, dunque, dall’idoneità dell’appello a costituire un efficace “filtro” per il giudizio di legittimità, che si fonda, tra l’altro, su esaustività, conformità a diritto e autorevolezza delle pronunce della corte d’appello.
La dialettica e l’esigenza di coordinamento tra consigliere istruttore e collegio confligge, inoltre, con il principio di concentrazione[9] e rischia di rendere farraginoso l’iter processuale del giudizio di appello, in contrasto con l’opportunità di garantire una tendenziale uniformità e dunque prevedibilità sui principali snodi e questioni processuali (ad esempio, in materia di ammissione di nuove prove) nonché sulle prassi procedurali che la distribuzione delle cause tra i diversi consiglieri istruttori non aiuterà di certo a garantire.
Va inoltre menzionata la possibilità di una difformità tra decisioni interlocutorie del consigliere istruttore e del collegio, cui è attribuita la responsabilità decisionale e che ben potrebbe revocare o modificare i provvedimenti del primo, con ulteriore allungamento dei tempi del processo; tale generale potere sostitutivo del collegio è dunque ben più ampio della mera possibilità, introdotta in sede di approvazione del testo al Senato, che «il collegio impartisca provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa e provveda all’assunzione» – e non «riassunzione», come erroneamente si legge nel testo approvato – «di uno o più mezzi di prova davanti a sé».
Anche sul piano sistematico, non appare condivisibile la scelta di modellare il giudizio di appello su quello di primo grado, in considerazione della diversità di funzioni dei due gradi e dell’essenziale rilievo che il processo di appello, essendo stato già istruito in primo grado, non dovrebbe solitamente richiedere ulteriore attività istruttoria e potrebbe ben definirsi in prima udienza.
Ciò è tanto più vero alla luce del divieto di ius novorum in appello, mantenuto dalle proposte di modifica.
Una volta che sia stata già tendenzialmente vagliata la possibilità di una definizione conciliativa della controversia, siano stati fissati thema probandum e thema decidendum ed istruita la causa dal giudice di prime cure, appare un’inutile duplicazione prevedere in sede di gravame la figura di un consigliere istruttore[10], fermo restando che l’attuale sistema, che consente la delega dell’assunzione della prova a un membro del collegio, appare del tutto idoneo a contemperare collegialità ed efficienza.
Mi sia da ultimo consentita una notazione di carattere eminentemente pratico.
Considerata l’attuale situazione logistica di molte corti d’appello, con poche aule d’udienza e stanze condivise tra diversi consiglieri, spesso inidonee a tenervi udienza e accogliere una pluralità di persone, nonché la grave carenza del numero degli assistenti giudiziari in servizio, non è difficile immaginare i possibili disservizi derivanti dalla frammentazione delle udienze di trattazione ed assunzione delle prove tra i diversi consiglieri della corte.
5. Ius novorum in appello
L’emendamento governativo non ha modificato l’art. 345 cpc che sancisce in termini rigorosi il divieto di nova in appello.
Non si intende aderire senza riserve alla scelta di mantenere l’attuale configurazione “rigida” del divieto di nova in appello[11], pur dovendo rilevarsi che, nei giudizi di cognizione ordinaria[12], consentire alle parti una continua ridefinizione dei termini della controversia pone gravi problemi di compatibilità con il miglior dispiegarsi della dialettica processuale, che richiede una sollecita e chiara esposizione di tutti gli elementi della vicenda[13] – anche in relazione alla linea difensiva della controparte – nel pieno rispetto del contraddittorio, scoraggiando tatticismi e tecniche dilatorie[14].
In ogni caso, se la scelta legislativa è nel senso di mantenere il divieto di nova, ragioni di coerenza di sistema indurrebbero a conferire massima snellezza e concentrazione al giudizio di appello, considerato il carattere del tutto marginale dello svolgimento di ulteriore attività istruttoria in tale grado.
Considerato, in particolare, che le risorse disponibili a seguito dell’attuazione dell’ufficio del processo potranno essere proficuamente destinate, tra l’altro, allo studio anticipato e all’approfondita conoscenza della controversia, la trattazione collegiale consentirebbe al collegio, già in prima udienza, di poter definire la causa o comunque orientarla, selezionando le impugnazioni inammissibili o manifestamente infondate o quelle palesemente fondate, rispetto alle cause più complesse o nelle quali è necessario disporre provvedimenti di integrazione del contraddittorio o di assunzione di nuove prove[15].
6. Le altre modifiche
Quanto alle altre modifiche contenute nell’emendamento, si dispone, opportunamente, l’abrogazione dell’ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis cpc, rivelatasi del tutto inidonea alle finalità deflattive per cui era stata introdotta e affetta da gravi criticità per presupposti, contenuto e regime impugnatorio[16].
Si prevede, in sostituzione, che l’impugnazione che non ha ragionevole probabilità di essere accolta sia pronunciata a seguito di trattazione orale, con sentenza in forma semplificata, succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi.
In relazione a tale forma semplificata non è prevista, a differenza dell’abrogata ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis cpc, alcuna limitazione per materia, potendo applicarsi a qualunque tipologia di cause, purché caratterizzate da manifesta infondatezza dell’impugnazione.
È inoltre prevista una razionalizzazione delle disposizioni in materia di improcedibilità dell’appello, nei casi previsti dall’art. 348 cpc, demandando al legislatore delegato di individuarne la forma e il regime di controllo.
Viene, infine, modificata la disciplina della sospensione dell’efficacia esecutiva o esecuzione provvisoria della sentenza impugnata, precisandone i presupposti[17] e prevedendo soprattutto che l’istanza possa essere ripresentata.
Si specifica che, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, è sufficiente, alternativamente, la ricorrenza di manifesta fondatezzza dell’impugnazione (fumus) o grave e irreparabile pregiudizio (periculum), ravvisabile anche in caso di rischio d’insolvenza di una delle parti, quando la sentenza impugnata abbia ad oggetto la condanna al pagamento di una somma di denaro.
La reiterazione dell’istanza, peraltro, è subordinata alla sussistenza di specifici elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell’impugnazione, da indicarsi a pena di inammissibilità, ferma la possibilità, nel caso in cui l’istanza sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, di condanna della parte che l’ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria, che può essere revocata con la sentenza che definisce il giudizio.
Avverso il provvedimento di inibitoria, destinato evidentemente a essere assorbito dalla pronuncia definitiva, non è invece previsto il reclamo, né alcuna forma di impugnazione.
Anche per l’inibitoria, la delega prevede che la comparizione delle parti si svolga innanzi al consigliere istruttore e, nella prospettiva di accelerare la fase decisoria, si dispone che, all’esito della camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza prevista dall’art. 283 cpc, il collegio possa provvedere a fissare udienza di discussione ai sensi dell’art. 281-sexies cpc, assegnando se richiesto un termine per note scritte antecedentemente all’udienza suddetta.
Con disposizione introdotta in sede di approvazione della delega al Senato si prevede, nell’ambito delle modifiche «in materia di giudizio di appello» (art. 8), una riscrittura del procedimento di correzione delle sentenze e delle ordinanze di cui agli artt. 287 e 288 cpc.
A parte l’evidente improprietà di sedes, posto che il procedimento di correzione ha portata generale, ciò che va senz’altro evidenziato non sono tanto le marginali modifiche al procedimento in virtù delle quali si potrà, in sostanza, prescindere dalla comparizione delle parti (su richiesta congiunta o su disposizione del giudice), quanto soprattutto la inedita possibilità di ricorrere al procedimento di correzione nei casi in cui si voglia contestare l’attribuzione o quantificazione delle spese di lite liquidate con provvedimento già passato in giudicato; procedimento non più esperibile decorso un anno dalla pubblicazione del provvedimento.
Ad avviso di chi scrive, non si tratta tanto di un ampliamento (stravolgimento) della nozione di errore materiale, ben oltre i limiti indicati dal più recente, espansivo, indirizzo della Suprema corte, che da ultimo ammette il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. cpc a fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente[18], o per modificare la statuizione sulle spese legali quale conseguenza della correzione della decisione principale cui detta statuizione accede[19].
Si introduce, in realtà, uno specifico mezzo d’impugnazione della sola statuizione sulle spese, che prescinde del tutto dai presupposti dell’errore, quale divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l’intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione, e integra un’impugnazione – di carattere straordinario, potendo proporsi nei confronti di una pronuncia definitiva – avverso la statuizione sulle spese di lite, già passata in giudicato, entro un anno dalla pubblicazione del provvedimento.
A parte ogni valutazione di carattere sistematico, incompatibile con i limiti del presente contributo, non è inverosimile ipotizzare un uso massiccio di tale istituto, che, come già evidenziato, mi pare esorbiti dall’alveo della mera correzione di un errore materiale, ironicamente diretto, nell’intenzione del legislatore, a snellire le impugnazioni[20].
Esso può essere indifferentemente utilizzato, senza che risulti una espressa indicazione di limiti di applicazione diversi dal termine decadenziale di un anno, dalla parte vincitrice che lamenti la disposta compensazione o una quantificazione insufficiente delle spese, o, all’opposto, dalla controparte soccombente che ritenga la liquidazione delle stesse eccessivamente afflittiva, non potendo neppure escludersi – e dovendo, anzi, ritenersi eventualità tutt’altro che infrequente – che, a seguito della notifica del ricorso, pure la controparte (o le controparti) chieda (chiedano) in via incidentale un riesame in senso opposto della statuizione sulle spese.
E ciò, a fronte dell’ampio potere discrezionale in materia di liquidazione di spese processuali attribuito al giudice di merito, che, secondo il consolidato indirizzo della Suprema corte, se contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri stabili dal dm n. 55/2014 (e successive modificazioni) non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, ferma la necessità di adeguata motivazione allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere[21].
Non è, inoltre, prevista alcuna specifica sanzione in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità del ricorso, fermo restando che, considerata la natura ibrida dell’istituto, non è neppure scontata l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, previsto, com’è noto, dell’art. 13, comma 1-quater dPR n. 115/2002 in caso di rigetto o inammissibilità dell’impugnazione.
In materia di procedimento di correzione, sarebbe stato piuttosto opportuno introdurre anche per il “merito” forme di rilievo d’ufficio dell’errore materiale o di calcolo o dell’omissione, espressamente previsto dall’art. 391-bis cpc per le sentenze e ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione, di importante applicazione, tra l’altro, nelle ipotesi, quale quella di liquidazione di spese processuali in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, invece che in favore dell’erario, come previsto dall’art. 133 dPR n. 115/2002, in cui nessuna delle parti ha interesse alla correzione.
Va da ultimo segnalata la riformulazione degli artt. 353 e 354 cpc, con l’indicazione al legislatore delegato di ridurre le fattispecie di rimessione della causa in primo grado.
Le disposizioni degli artt. 353 e 354 cpc, com’è noto, derogano al fondamentale principio dell’assorbimento o conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame sancito dall’art. 161 cpc.
La riduzione delle ipotesi di rimessione al primo giudice, peraltro, già nell’attuale formulazione limitata a ipotesi tassative di vizi particolarmente gravi del giudizio di primo grado[22], rischia da un lato di determinare una sorta di deresponsabilizzazione del primo giudice e, dall’altro, di appesantire il giudizio di appello, diverso per natura e funzione da quello di primo grado, tendenzialmente inidoneo, dunque, a una completa trattazione della causa ab initio e all’espletamento – salvo che in casi particolari – di tutti quegli incombenti cui deve ritenersi deputato il primo grado di giudizio.
7. Conclusioni
Le proposte di intervento normativo sul processo di appello, mediante il rafforzamento dell’effetto devolutivo, la previsione di una sentenza succintamente motivata in caso di manifesta infondatezza (e, deve ritenersi, anche manifesta fondatezza) dell’impugnazione, il mantenimento delle sanzioni per le inibitorie infondate e la riaffermazione del divieto di nova e del modulo decisionale di cui all’art. 281-sexies cpc configurano il giudizio di appello sempre più come completo riesame, nei limiti dei motivi specifici di gravame, che come prosecuzione del giudizio di primo grado.
In questa prospettiva, appare dissonante il ripristino della figura del consigliere istruttore e della dicotomia tra questo e il collegio, obiettivamente in contrasto con le esigenze di concentrazione e piena collegialità che dovrebbero, ad avviso di chi scrive, caratterizzare il giudizio di secondo grado.
Meno rilevante deve invece ritenersi, nel giudizio di appello, il ridimensionamento del principio di oralità, opportunamente mantenuto nell’ipotesi di manifesta infondatezza dell’impugnazione e della decisione della causa ai sensi dell’art. 281-sexies cpc[23].
Nell’ipotesi di decisione previa precisazione delle conclusioni e successivo deposito di comparse conclusionali e repliche, al contrario, salve particolari materie ed ipotesi, considerando il divieto di nova in appello, l’operatività dell’effetto devolutivo e le potenzialità del processo civile telematico, la comparizione fisica delle parti davanti al giudice può essere adeguatamente sostituita con il sistema del deposito telematico di note difensive scritte, ferma la necessità di garantire il pieno dispiegamento del contraddittorio.
Va pure salutato con favore, laddove la causa non possa essere definita in prima udienza, sempre in chiave di snellezza e razionalizzazione del procedimento, il sistema di deposito anticipato, rispetto all’udienza in cui la causa viene trattenuta in decisione, delle conclusioni delle parti, delle comparse conclusionali e delle repliche.
In ogni caso, ai fini del conseguimento dell’obiettivo di riduzione dell’arretrato e di contrazione della durata del giudizio di appello, più che le ennesime – e frammentarie – modifiche sul rito[24], all’insegna del “respingimento del contenzioso” come misura deflattiva[25], ciò che è veramente essenziale è l’adeguamento dell’organico dei magistrati togati[26] (a partire dalla piena attuazione dell’aumento già deliberato), indispensabile al fine del miglior utilizzo delle potenzialità dell’ufficio del processo, consentendo che lo studio anticipato delle questioni di fatto e di diritto sia efficacemente finalizzato a dirigere e orientare la causa, sin dalle prime battute, nel modo più opportuno, con la necessaria flessibilità in relazione alla natura delle questioni devolute in sede di appello e al relativo grado di complessità.
In definitiva, il miglior strumento per disincentivare le impugnazioni è la qualità del controllo effettuato dal giudice d’appello[27]. Ciò presuppone una giurisprudenza coerente e attenta, fondata su scelte chiare, che persegua una forma di “nomofilachia del distretto”[28] su quelle valutazioni discrezionali e questioni di merito che sfuggono al vaglio di legittimità e che non può compiutamente realizzarsi senza risorse adeguate.
1. Per il richiamo all’esigenza di una revisione complessiva della normativa, vds. G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, in questo fascicolo, già pubblicato in questa Rivista online, 13 luglio 2021, https://www.questionegiustizia.it/data/doc/2949/2021_perche-ancora_riforme_.pdf (principalmente p. 10), il quale evidenzia come non sia ragionevole, né produttivo immaginare una qualunque riforma diretta ad aggiungere altre “pezze”, occorrendo procedere piuttosto ad una revisione dell’intera disciplina processuale.
2. Tale rilievo conferma il carattere disorganico dell’intero intervento governativo, conseguente al breve termine a disposizione della Commissione (costituita con dm del 12 marzo 2021, che ha redatto la relazione finale il 25 maggio 2021) e alle modalità adottate, di emendamenti o meglio di un maxi-emendamento al ddl n. 1662/S/XVIII presentato al Senato il 9 gennaio 2020, recante la «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie».
3. Vds. al riguardo Cass., sez. VI-3, 28 luglio 2020, n. 16015: «La notificazione di una sentenza o di una prima impugnazione (nella specie, non iscritta a ruolo e, quindi, seguita dalla notifica di una seconda impugnazione) evidenziano la conoscenza legale del provvedimento impugnato e fanno, pertanto, decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. a carico del notificante solo dal momento del perfezionamento del procedimento di notificazione nei confronti del destinatario, atteso che, da un lato, il principio di scissione soggettiva opera esclusivamente per evitare al notificante effetti pregiudizievoli derivanti da ritardi sottratti al suo controllo e, dall’altro lato, la conoscenza legale rientra tra gli effetti bilaterali e deve, quindi, realizzarsi per entrambe le parti nello stesso momento».
4. In tal senso la giurisprudenza di legittimità, sin da Cass., sez. unite, 14 aprile 2008, n. 9741 (seguita dalla conforme giurisprudenza successiva: ex multis, Cass., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19188), ha chiarito che qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l’eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un’applicazione analogica dell’art. 334, comma 2, cpc – dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale –, bensì in base a un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità.
5. Cass., sez. III, 9 luglio 2020, n. 14596, secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile tutte le volte che quella principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza che l’impugnato, in mancanza dell’altrui gravame, avrebbe accettato e, conseguentemente, può essere proposta sia nei confronti del ricorrente principale, anche con riguardo a un capo della sentenza diverso da quello investito dall’impugnazione principale, sia nelle forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro parti processuali diverse dall’impugnante principale, tutte le volte che, nel caso concreto, il gravame di uno qualsiasi dei litisconsorti, se accolto, comporterebbe un pregiudizio per l’impugnante incidentale tardivo, poiché darebbe luogo a una sua soccombenza totale o, comunque, più grave di quella stabilita nella decisione gravata; ma, contra, Cass., sez. III, 24 agosto 2020, n. 17614 e Cass., sez. unite, 29 ottobre 2020, n. 23903, secondo cui le regole sull’impugnazione incidentale tardiva si applicano esclusivamente a quella incidentale in senso stretto.
Nella giurisprudenza di legittimità appare sussistente il contrasto anche in relazione alla legittimazione all’impugnazione incidentale tardiva in ipotesi di impugnazione di sentenza non definitiva (su cui vds. Cass., sez. II, 18 settembre 2020, n. 19514 e, in senso parzialmente difforme, Cass., sez. lav., 23 luglio 2021, n. 21173).
6. Nella versione approvata al Senato si prevede che, negli atti introduttivi dell’appello disciplinati dagli artt. 342 e 434 cpc, le indicazioni previste a pena di inammissibilità siano esposte in modo «chiaro, sintetico e specifico».
7. Così, B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia insieme, 18 maggio 2021, p. 13 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1736-prime-note-sul-maxi-emendamento-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-di-bruno-capponi).
8. In forza di ciò, è stata comunemente affermata la nullità della sentenza in caso di diversità tra il collegio che si è formato all’udienza di discussione (quale desumibile dal verbale di udienza) e quello che ha deciso la controversia (indicato nell’intestazione della sentenza) – vds., da ultimo, Cass., sez. III, 23 maggio 2019, n. 13963.
9. Esigenza ribadita nei principi sulla riforma del processo civile enunciati nel PNRR, che sollecita un intervento volto a concentrare maggiormente, per quanto possibile, le attività tipiche della fase preparatoria e introduttiva, e a sopprimere le udienze potenzialmente superflue.
10. Come è stato autorevolmente rilevato, «La disciplina delle impugnazioni dovrebbe essere diretta a correggere gli errori del primo giudice, non a integrarne le omissioni, determinate dalle esigenze produttive, a scapito della qualità delle decisioni»: G. Costantino, Perché ancora riforme, op. cit., p. 16.
11. Per la tesi favorevole ad aprire ai nova ritenuti «essenziali per rimediare agli errori di uno dei 245 mila avvocati esistenti», vds. A. Proto Pisani, Brevi osservazioni di carattere tecnico e culturale su “Proposte normative e note illustrative” rese pubbliche dal Ministero della Giustizia, in Giustizia insieme, 8 giugno 2021, (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1778-brevi-osservazioni-di-carattere-tecnico-e-culturale-su-proposte-normative-e-note-illustrative-rese-pubbliche-dal-ministero-della-giustizia-di-andrea-proto-pisani).
12. Si fa qui riferimento naturalmente al processo di cognizione ordinario, con l’eccezione di quelle controversie, soprattutto in materia di famiglia, di minori o nell’ambito delle procedure concorsuali, nelle quali in considerazione di esigenze e finalità pubblicistiche, o in quanto l’oggetto della decisione si sposta dall’“atto” al “rapporto”, già secondo il diritto vivente è ammessa l’allegazione di nuovi fatti e l’articolazione di nuovi mezzi di prova; vds. al riguardo G. Costantino, Perché ancora riforme, op. cit. p. 13, e M. Betti, Quali riforme per una giustizia civile in cambiamento, in questa Rivista online, 23 luglio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/quali-riforme-per-una-giustizia-civile-in-cambiamento.
13. In tal senso le modifiche agli artt. 163 e 167 cpc contenute nell’art. 3 dell’emendamento.
14. Del resto, la tendenza espansiva della giurisprudenza di legittimità in materia di:
- qualificazione giuridica di fatti e rapporti dedotti in lite (Cass, 3 marzo 2021, n. 5832);
- modificabilità della domanda nel giudizio di primo grado (Cass., sez. unite, 15 giugno 2015, n.12310);
- rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato (Cass., 10 ottobre 2019, n. 25434);
- rilievo ufficioso delle nullità (Cass., sez. unite, 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243);
- rilievo d’ufficio delle questioni non dedotte dalle parti, ma desumibili dagli atti ritualmente acquisiti, esercitato attraverso un uso attento dello strumento di cui all’art. 101, comma 2, cpc (Cass, 11 gennaio 2021, n. 200),
appare idonea ad attenuare la severità del divieto di nova in appello.
In particolare, la recente pronuncia della Suprema corte n. 200 del 2021 ha affermato che, in tema di prestazione medica, il rilievo della questione concernente la necessità della soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà può essere compiuto d’ufficio dal giudice, sulla base di risultanze ritualmente acquisite, non costituendo oggetto di un’eccezione in senso stretto. Peraltro, ove tale questione non sia stata né prospettata né discussa in primo grado, la corte di appello che voglia fondare su di essa la propria decisione è tenuta, a pena di nullità, a invitare previamente le parti ad argomentare al riguardo, anche al fine dell’eventuale sollecitazione dell’esercizio dei poteri ex art. 356 cpc.
15. Vanno peraltro valutate con cautela, attese le gravi e perduranti carenze di organico, le aspettative riposte sull’ufficio del processo e conseguente imminente ingresso (senza peraltro adeguata preparazione, neppure logistica) di 8171 nuovi addetti, dovendo pur sempre coniugarsi la definizione del contenzioso con l’attenzione alla qualità della giurisdizione, che non è perseguibile senza un organico adeguato, occorrendo tenere distinte la pur utilissima attività preparatoria e di studio dalla responsabilità della decisione della controversia.
16. Vds. al riguardo C. Mandrioli e A. Carratta, Diritto processuale civile, vol. II, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 528 ss.
17. La lett. f, al n. 1, prevede che la sospensione sia disposta «sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell’impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, quando la sentenza contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro».
18. Cass., sez. unite, 21 giugno 2018, n. 16415.
19. Cass., 20 maggio 2021, n. 13854.
20. «(…) nell’ottica della semplificazione», così si legge nella relazione di accompagnamento dell’AS n. 1662.
21. Vds., da ultimo, Cass., 13 luglio 2021, n. 19989.
22. In estrema sintesi, le ipotesi degli artt. 353 e 354 cpc possono essere distinte in due gruppi, a seconda che la rimessione trovi ragione nell’erroneo rilievo di un impedimento processuale (artt. 353 e 354, comma 2) ovvero in un vizio particolarmente grave del processo (ex art. 354, comma 1), la cui sanatoria rende possibile la pronuncia di merito.
23. L’auspicabile studio anticipato della controversia dovrebbe, tra l’altro, determinare un incremento della decisione della causa nelle modalità semplificate di cui all’art. 281-sexies cpc.
24. Vds., da ultimo, G. Costantino, Perché ancora riforme, op. cit., p. 10 e G. Verde, Il problema della giustizia non si risolve modificando le regole del processo, in Giustizia insieme, 17 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1805-l-problema-della-giustizia-non-si-risolve-modificando-le-regole-del-processo-di-giovanni-verde).
25. Così B. Capponi, Prime note, op. cit., p. 10.
26. Vds. al riguardo G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in Giustizia insieme, 24 maggio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1747-osservazioni-al-maxi-emendamento-1662-s-xviii-di-riforma-del-processo-civile) e il volume ivi richiamato di M. Modena, Giustizia civile. Le ragioni di una crisi, Aracne, Roma, 2019.
27. Per un richiamo alla necessaria “qualità” della giustizia, a fronte del perseguimento della sola efficienza traducibile in termini economici, vds. G. Verde, Il problema, op. cit.
28. Per il riferimento all’ossimoro delle cd. “nomofilachie di settore” e la loro rilevanza ai fini della ricognizione della giurisprudenza di merito e, in genere, della “circolazione delle informazioni”, vds. G. Costantino, Perché ancora riforme, op. cit., p. 5.