Introduzione. La riforma della giustizia civile: dal ddl 1662/S/XVIII alla legge delega 26 novembre 2021, n. 206
L’obiettivo di ridurre di circa il 40 per cento i tempi del processo civile entro il 2025 è affidato, più che agli ennesimi interventi sulla disciplina del processo, all’insieme delle misure poste a base del disegno riformatore per la giustizia civile varato dalla Ministra Cartabia, e ad una molteplicità di fattori concorrenti nel cui ambito riveste un’importanza non secondaria il ruolo della cultura giuridica, sempre più frequentemente coinvolta nel compito di concorrere alla costruzione dell’ordinamento giuridico. Ma rimane sullo sfondo l’esigenza primaria di garantire non solo la tempestività, quanto insieme e prima ancora la qualità della risposta di giustizia, e soprattutto di assicurare protezione a quei diritti fondamentali della persona, non tutelando i quali è la legittimazione stessa della giurisdizione a essere messa in discussione.
Questo scritto è dedicato ad Andrea Proto Pisani e Giorgio Costantino,
che tanto hanno dato e tanto ancora continuano a dare, con l’insegnamento e con l’esempio,
per orientare il cammino accidentato del processo civile nel senso dei diritti e della dignità
delle persone e dei valori della Costituzione.
1. Le proposte governative di riforma in materia di giustizia civile legate al PNRR e il testo approvato dal Parlamento / 2. Le finalità dell’intervento riformatore / 3. Luci e ombre del disegno riformatore /4. Uno sguardo al futuro
1. Le proposte governative di riforma in materia di giustizia civile legate al PNRR e il testo approvato dal Parlamento
La Commissione istituita presso l’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia con dm 12 marzo 2021 per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti ad esso alternativi, ha ultimato, entro il termine assegnatole, i propri lavori.
Conformemente al mandato ricevuto, le proposte della Commissione sono state formulate in forma di emendamenti al ddl 1662/S/XVIII («Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie», cd. “ddl Bonafede”), presentato al Senato il 9 gennaio 2020.
La Ministra Cartabia ha quindi provveduto a controfirmare i singoli emendamenti (contenenti in alcuni punti modifiche alle proposte elaborate dalla Commissione), che in data 16 giugno 2021 sono stati depositati in Commissione giustizia del Senato[2]. I diversi interventi hanno riguardato con varia ampiezza[3] la disciplina degli strumenti di risoluzione delle controversie complementari alla giurisdizione e, in particolare, della mediazione e della negoziazione assistita; quella del processo civile di cognizione, nei diversi gradi di giudizio, e del processo di esecuzione; l’arbitrato; disposizioni rivolte all’efficienza dei procedimenti civili e alla stabilizzazione della normativa emergenziale; previsioni (non figuranti nel ddl Bonafede) relative all’«Ufficio per il processo presso i tribunali, le corti d’appello e la Corte di cassazione» e all’«Ufficio spoglio, analisi e documentazione della Procura generale presso la Corte di cassazione»; i procedimenti di famiglia, con riferimento ai quali è stato proposto: a) di aggiungere al ddl Bonafede un articolo 15-bis, volto ad attuare il riordino e l’unificazione dei riti relativi alla materia e di inserire dopo l’articolo un capo II, avente ad oggetto (a parte alcune disposizioni in tema di esecuzione forzata) «misure urgenti in materia di procedimenti concernenti diritti delle persone e delle famiglie», allo scopo di rafforzare tramite la figura del curatore speciale la posizione processuale civile del minorenne; b) di modificare l’attuale riparto delle competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni; c) di introdurre un procedimento civile conseguente al provvedimento amministrativo previsto dall’art 403 cc di collocamento in luogo sicuro di un minore abbandonato o cresciuto in locali insalubri o pericolosi, o da persone incapaci; d) di rendere applicabile anche all’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio la negoziazione assistita di cui alla legge n. 162/2014[4].
Il 16 giugno 2021 gli emendamenti governativi sono stati stati depositati in Commissione giustizia del Senato, il quale, in data 21 settembre 2021, ha approvato con il voto di fiducia imposto dal Governo[5] il testo uscito dai lavori della Commissione giustizia, largamente emendato, insieme ad altro ddl (il n. 311-A,«Istituzione e funzionamento delle camere arbitrali dell’avvocatura»).
Il 24 novembre 2021, con l’approvazione senza modifiche da parte della Camera e anche, questa volta, con voto di fiducia, la «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata» è diventata legge dello Stato (l. 26 novembre 2021, n. 206, pubblicata sulla G.U. del 9 dicembre 2021).
La delega, che raggruppa in un articolo unico di ben 44 commi i 15 articoli del testo originario, contiene modificazioni in quasi tutte le parti degli emendamenti governativi, a volte con marginali o limitati ritocchi alle relative previsioni (con riguardo, ad esempio, alle procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie e all’arbitrato, al processo di esecuzione e all’ufficio per il processo); altre con l’inserimento di disposizioni del tutto nuove (come quelle relative al procedimento di correzione delle sentenze e delle ordinanze e alla revocazione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo; alla materia dei procedimenti in camera di consiglio e del procedimento sommario di cognizione di primo grado; ai consulenti tecnici; alle disposizioni dirette «a rendere i procedimenti civili più celeri ed efficienti»; a quelle volte a modificare la disciplina del procedimento notificatorio e a rafforzare i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi, con la previsione tra l’altro del riconoscimento dell’Amministrazione della giustizia quale soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata e di apposite sanzioni a favore della cassa delle ammende); altre volte ancora con modifiche che hanno inciso profondamente sul testo delle proposte governative, in particolare per quanto concerne il processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale e, ancor più radicalmente, la disciplina processuale per la realizzazione di un rito unificato denominato «procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie» e quella concernente l’istituzione, sia pure con una prorogatio di due anni, di un organo unico specializzato – il tribunale «per le persone, per i minorenni e per le famiglie» – cui demandare sia le competenze del tribunale ordinario sia quelle attualmente riservate al tribunale per i minorenni.
Non essendo possibile riassumere la complessità del disegno riformatore, si rinvia agli specifici contributi dedicati in questo numero della Rivista ai diversi argomenti, e alle schede che sono state predisposte, evidenziando in rosso le modifiche introdotte dal Senato rispetto agli emendamenti governativi, con l’avvertenza che l’articolo cui si fa riferimento in ciascuna scheda è sempre e soltanto l’(unico) art. 1, e che i numeri figuranti all’inizio dei testi nelle diverse schede contrassegnano i commi dell’articolo medesimo.
2. Le finalità dell’intervento riformatore
Come dichiarato dalla Ministra Cartabia sin dalle prima esposizione delle linee programmatiche dopo il suo insediamento al Governo, l’insieme delle misure che si intendeva introdurre avrebbero dovuto ispirarsi al criterio degli interventi limitati e parziali, nella convinzione che i tempi sembrassero escludere la possibilità di «coltivare illusorie ambizioni di riforme di sistema non praticabili nelle condizioni date» e indirizzassero invece verso «correzioni selettive ad alcune disfunzioni» e verso l’estensione o l’adattamento «di modelli già sperimentati e, se possibile, già “misurati”, anche dalle agenzie internazionali di monitoraggio (per es. CEPEJ), nella loro capacità di propiziare decisioni più tempestive».
Non può affermarsi, tuttavia, che le proposte (tanto più dopo le modifiche attuate nel corso dell’iter parlamentare) si muovano nell’orizzonte dei meri aggiustamenti, giacché – come si legge nel PNRR, ove vengono richiamate tra l’altro le raccomandazioni della Commissione Ue sulla giustizia civile italiana per il 2019 e il 2020 – «tutti gli interventi in materia di giustizia convergono (… ) al comune scopo di riportare il processo italiano a un modello di efficienza e competitività», nella consapevolezza che la lentezza della giustizia «mina» anche «la competitività delle imprese e la propensione a investire nel Paese» e che «il suo superamento impone azioni decise per aumentare la trasparenza e la prevedibilità della durata dei procedimenti civili e penali».
Premesso che la riforma della pubblica amministrazione e quella del sistema giudiziario si pongono tra le riforme “orizzontali”, o “di contesto”, consistenti in «innovazioni strutturali dell’ordinamento idonee a migliorare l’equità, l’efficienza e la competitività e, con esse, il clima economico del Paese»[6], nel PNRR viene sottolineato come l’efficienza dell’amministrazione della giustizia rappresenti, da un lato, «un valore in sé, radicato nella cultura costituzionale europea, che richiede di assicurare rimedi giurisdizionali effettivi per la tutela dei diritti, specie dei soggetti più deboli» e, dall’altro, una «condizione indispensabile per lo sviluppo economico e per un corretto funzionamento del mercato», stimandosi che «una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento possa accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento» e che «una riduzione da 9 a 5 anni dei tempi di definizione delle procedure fallimentari possa generare un incremento di produttività dell’economia italiana dell’1,6 per cento»[7].
Dunque, un programma non marginale, anche se – sia per l’opportunità di non disperdere il lavoro già iniziato a livello parlamentare, sia soprattutto per la necessità di non lasciarsi sfuggire il treno del finanziamento “Next generation EU” nel cui ambito la riforma della giustizia civile riveste un ruolo fondamentale – il metodo prescelto è stato, come osservato, quello degli emendamenti al preesistente ddl 1662/S/XVIII, intervenendo «chirurgicamente su di un testo pensato ed elaborato da un’altra compagine governativa, di cui non è detto che si condividano tutte le linee e le modalità di intervento»[8] e, peraltro, inserendo anche previsioni (come quelle relative alla minuziosa riforma dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglia) che, pur rispondendo a esigenze reali ed urgenti[9], non sembravano costituire nel PNRR l’obiettivo principale avuto di mira dall’Italia con riferimento alla giustizia civile, vale a dire l’obiettivo di ridurre l’eccessiva durata dei giudizi[10]. Per di più, se negli emendamenti governativi le modifiche rispetto all’originario ddl Bonafede erano limitate, per questa parte, all’introduzione di principi direttivi destinati a unificare – e razionalizzare, in funzione delle garanzie del giusto processo – il rito delle controversie sui diritti delle persone, dei minorenni e delle famiglie (con una disciplina che non aveva mancato di sollevare dubbi e rilievi sotto il profilo della loro adeguatezza ai valori in gioco e ai beni da tutelare[11]), nel testo approvato dal Senato, divenuto poi legge dello Stato, l’area di intervento è stata estesa al piano ordinamentale con la previsione di istituire entro il 2024 un «Tribunale unico per i minori, la famiglia e le persone»[12] cui devolvere anche le competenze del tribunale per i minorenni, destinato a scomparire: una scelta molto impegnativa, che – riproponendo sul tema pluridecennali discussioni e contrasti di opinione – dai più è stata salutata con favore, sottolineandosi «l’importanza e l’opportunità storica della scelta operata dal Senato (…) dopo decenni di tentativi di riforma»[13] e da altri valutata negativamente, per il rischio di perdere la specificità e la professionalità che caratterizzano il tribunale per i minorenni[14]; né, comunque, vanno sottovalutati sia gli inevitabili problemi che si porranno sul piano organizzativo, sia il rischio che la mancanza di chiarezza circa la configurazione del nuovo ufficio (sezioni dell’autonomo tribunale della famiglia, o - come altri sostengono - sezioni dei diversi tribunali ordinari, con inevitabili e conseguenti problemi di coordinamento tra i vari uffici) possa influire negativamente sull’efficacia del sistema.
Ciò posto, ed esaminando il complesso delle misure cui è affidato il raggiungimento degli obiettivi di accelerazione dei tempi del processo, possono formularsi le seguenti considerazioni.
A) Per quanto concerne gli interventi in materia di ADR (interventi con i quali viene tra l’altro accolta la sollecitazione, più volte avanzata in dottrina, ad armonizzare la normativa sulle diverse procedure stragiudiziali previste in materia dalla legge e di riunire in un testo unico tutte le discipline relative agli strumenti complementari alla giurisdizione) può esprimersi un giudizio generalmente positivo sulle misure proposte[15], in particolare in tema di mediazione, che vengono incontro a istanze sulle quali si era andata formando una larga convergenza tra gli studiosi e gli operatori (in tema di incentivi economici e fiscali; di allargamento della sfera delle materie sottoposte al preventivo esperimento della mediazione quale condizione di procedibilità della domanda; di valorizzazione e incentivazione della mediazione demandata dal giudice; di formazione professionale; di previsione del patrocinio a spese dello Stato[16]), anche se restano irrisolte alcune questioni di carattere interpretativo che pure sarebbe stato opportuno formassero oggetto di un esplicito chiarimento (come, ad esempio, quella relativa all’atteggiarsi della condizione di procedibilità nel caso di pluralità di domande successivamente proposte nel corso del medesimo processo o di domande connesse proposte in processi pendenti davanti a giudici diversi).
Particolarmente rilevante, per i suoi effetti sul piano interpretativo, è la previsione secondo cui la procedura di mediazione dovrà essere ispirata ai principi di effettività e partecipazione personale delle parti con l’assistenza obbligatoria degli avvocati, nonché al reale confronto sul conflitto (anche nel caso in cui la mediazione si svolga telematicamente), che sembra destinata a risolvere il contrasto venutosi a creare tra l’indirizzo maggioritario (anche nella giurisprudenza di merito) in base al quale, nella procedura in esame, il tentativo di mediazione deve essere effettivamente avviato (e le parti, presenti personalmente con l’assistenza del legale, non possono limitarsi a incontrarsi e informarsi, ma debbono partecipare alla vera e propria procedura di mediazione, salva la ricorrenza di situazioni oggettive o di questioni pregiudiziali che ne impediscano lo svolgimento), e l’indirizzo espresso dalla Cassazione con le sentenze 27 marzo 2019, n. 8473 e 9 maggio 2019, n. 18068, ove è stato affermato che la condizione di procedibilità deve ritenersi soddisfatta al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre[17].
Certamente utile, tra le altre, è poi l’esplicita affermazione in base alla quale le parti (quando il mediatore proceda ai sensi dell’art. 8, comma 4, d.lgs n. 28/2010) possono stabilire, al momento della nomina dell’esperto, che la sua relazione possa essere prodotta in giudizio e liberamente valutata dal giudice. Si tratta, a ben vedere, di eventualità già consentita dalla normativa vigente; il fatto di averla prevista espressamente ha il significato di un’incentivazione all’uso della consulenza tecnica, che si dimostra spesso idonea a risolvere la controversia, specie in materia bancaria, assicurativa e nel campo della responsabilità sanitaria[18]. Espletarla in mediazione, in un contesto protetto e poi eventualmente (ove non fosse raggiunto un accordo) utilizzarla in giudizio con il consenso delle parti significa ispirarsi a regole di praticità e concretezza nella ricerca di una soluzione al conflitto; ma per rendere la sollecitazione davvero (o ancor di più) efficace – introducendo in questo modo un’altra significativa differenza rispetto al regime dell’ATP obbligatorio – sarebbe utile accompagnarne la previsione a un beneficio di carattere fiscale, come ad esempio (in favore della parte che abbia acconsentito alla successiva acquisizione in giudizio della consulenza) la detrazione dalla dichiarazione dei redditi delle spese di consulenza sostenute nel corso del procedimento di mediazione, sempre che la consulenza, consistendo in mere valutazioni di natura tecnica prive di riferimenti a «dichiarazioni rese» o «informazioni acquisite»[19], non sia già di per sé utilizzabile a prescindere dal consenso delle parti.
La condivisibile previsione secondo cui, dopo cinque anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo che estenderà la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda, venga effettuata una verifica in ordine all’opportunità di mantenere tale regime, accoglie un’indicazione suggerita anche dall’Unam[20]; ma non sarà inutile sottolineare che in un contesto, come l’attuale, in cui i procedimenti di mediazione numericamente più consistenti sono quelli legati alla condizione di procedibilità ex lege, solo la strada di incentivi organicamente e seriamente configurati potrà far sì da rendere appetibile il procedimento di mediazione quale “alternativa” liberamente scelta e non già come percorso coattivamente imposto, in coerenza del resto con quello che dovrebbe esserne la radice e la natura di strumento di composizione negoziale dei conflitti[21]. E meritano certamente consenso le indicazioni relative all’aumento di durata della formazione ed aggiornamento dei mediatori[22]; ai criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici; ai requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici o privati per l’abilitazione a costituire gli organismi di mediazione, nei cui regolamenti capita a volte di rinvenire vere e proprie disposizioni contra legem, come quella che fa divieto al mediatore di formulare proposte conciliative; alla riforma e razionalizzazione dei criteri concernenti la valutazione della idoneità del responsabile dell’organismo di mediazione; agli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e a quelli del responsabile scientifico dell’ente di formazione[23].
Quanto alle disposizioni relative alla mediazione demandata, è da ribadire il giudizio favorevole già manifestato in altra occasione[24], sottolineandosi come la previsione volta a valorizzare e incentivare la mediazione demandata dal giudice, nelle sue diverse articolazioni, l’esplicito riferimento all’istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati e la valorizzazione di detta formazione e dei contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi, al fine della valutazione della carriera dei magistrati, implichino una positiva apertura anche ai profili ordinamentali evidenziati nello scritto richiamato in nota 16 (par. 4, lett. b). Più in generale, la previsione in base alla quale la mediazione demandata dal giudice dovrà essere riorganizzata, coordinata e valorizzata nel contesto dell’ufficio del processo, con adeguati e ben formati ausilî di personale e giovani tirocinanti, e in un circolo virtuoso tra uffici giudiziari, università, avvocatura, organismi di mediazione, enti e associazioni professionali, fa sì che la mediazione demandata diventi l’anello fondamentale della cultura di un raccordo che vede nella mediazione uno strumento non antagonista o ancillare rispetto al processo, ma uno strumento complementare rispetto alla giurisdizione (e non, appunto, rispetto al processo)[25].
Con riguardo alla negoziazione assistita, l’intento di valorizzare la composizione negoziale che è all’origine dell’introduzione dell’istituto nell’ordinamento, ne fa apparire giustificata l’estensione «a fattispecie prima irragionevolmente escluse, come ad esempio gli accordi relativi ai figli minori nati fuori dal matrimonio» (così la Relazione della Commissione Luiso), mentre suscita dubbi la previsione in base alla quale viene consentita ai difensori – al di fuori di una visione sistematica e ragionata, che sarebbe da rapportare alla disciplina del processo in generale – anche un’attività istruttoria stragiudiziale, perfino utilizzabile nel processo in caso di insuccesso della negoziazione, ponendo «le premesse per discutere nel processo degli abusi nell’attività di acquisizione delle prove con l’inevitabile responsabilità disciplinare (ma non solo) del difensore, come previsto dall’art. 1, comma 5»[26].
B) Meritano parimenti di essere condivise le previsioni in tema di arbitrato[27]; quelle relative al trasferimento di funzioni nella materia della volontaria giurisdizione[28] e alle modifiche dell’art. 30 d.lgs n. 159/2011; le disposizioni volte a favorire il potenziamento e la diffusione del procedimento telematico[29] (con le quali si demanda, tra l’altro, al legislatore delegato di prevedere in via generale che nei procedimenti civili davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d’appello e alla Corte di cassazione, il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che stanno in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, o mediante altri mezzi tecnologici, salvo le eccezioni previste nel ddl, e di introdurre una disciplina dettagliata in ordine alle modalità di versamento del contributo unificato) e quelle dirette a “stabilizzare” la normativa emergenziale. Se, come si è avuto modo di osservare in altra occasione[30], il “diritto dell’emergenza”, giustificato da situazioni eccezionali, non può avere la pretesa (per quanto estesi possano esserne stati e possano esserne ancora gli effetti e lunga la durata) di modellare anche il futuro, ciò non esclude – ed, anzi, impone – sin da ora un’opera di ricostruzione attenta e paziente[31], capace di individuare le misure di questa fase idonee a essere utilizzate anche per il dopo, quando l’emergenza sarà auspicabilmente superata e, comunque, sarà possibile pensare a una nuova “normalità”: individuando – quanto alle regole del processo – ciò che per legge dovrà esser affidato irrinunciabilmente all’oralità e ciò che invece dovrà essere affidato agli scritti; ciò che potrà essere compiuto “in presenza” e ciò che potrà svolgersi “a distanza” e “da remoto”, per scelta del giudice assunta nel contraddittorio delle parti o su richiesta congiunta di esse: nella consapevolezza che “digitalizzazione”, processo “da remoto”, “trattazione scritta”, “trattazione orale”, “trattazione a distanza” debbono essere assunti pur sempre in un ruolo servente rispetto al processo, manifestandosi appunto quali aspetti della sua duttilità e funzionalità.
È poco comprensibile, invece, la soppressione del riferimento al principio di chiarezza e sinteticità degli atti, che figurava negli emendamenti governativi[32] e che non può considerarsi assorbita nella diversa prescrizione (peraltro dettata espressamente solo con riguardo al giudizio di cognizione di primo grado) volta ad «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo».
C) Tralasciando le previsioni dettate per specifiche e condivisibili esigenze di razionalizzazione o di adeguamento al diritto vivente[33], le proposte di riforma relative alla disciplina del giudizio di primo grado (che, nel testo varato dal Senato, hanno subìto modifiche sia rispetto a quelle elaborate dalla Commissione Luiso sia rispetto agli emendamenti governativi) e l’intento di «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo» e di attuare una maggiore concentrazione delle attività tipiche della fase preparatoria e introduttiva, hanno portato non solo ad ancorare agli atti introduttivi le preclusioni relative anche alla deduzione dei mezzi di prova (come già previsto negli emendamenti governativi, dove tuttavia erano fatti salvi i conseguenziali diritti difensivi da esplicare nella prima udienza), ma ad anticipare a un momento anteriore a tale udienza lo scambio di atti difensivi destinati a precisare in via definitiva le posizioni delle parti[34]. Sono stati qualificati espressamente come «perentori» i termini per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni e delle comparse conclusionali e memorie di replica, nel caso in cui la causa non venga decisa ai sensi dell’art. 281-sexies cpc, ed è stata prevista la riduzione dei casi nei quali il tribunale è chiamato a giudicare in composizione collegiale.
La fase decisoria è stata ristrutturata allo scopo di evitare passaggi inutili come quello relativo a un’udienza finalizzata esclusivamente alla precisazione delle conclusioni e di realizzare tendenzialmente un modello uniforme di decisione.
Il procedimento di cui agli artt. 702-bis ss. del cpc viene assunto – più che quale modello generalizzato di processo – come una possibile forma di esplicazione («procedimento semplificato di cognizione») e come aspetto della duttilità del processo generale di cognizione[35], duttilità cui dovrebbe concorrere – nell’intenzione dei proponenti, e sulla base dell’esempio del référé-provision francese – l’ordinanza provvisoria di accoglimento (in tutto o in parte) della domanda «nel caso in cui i fatti costitutivi siano provati e le difese del convenuto appaiano manifestamente infondate»: un provvedimento che riecheggia l’istituto della condanna con riserva delle difese del convenuto (a cui è stato espressamente accostato nelle note esplicative della Commissione) e che peraltro, tenuto conto delle caratteristiche con le quali dovrebbe essere configurato secondo la norme di delega, ha già dato adito in dottrina a diverse critiche[36].
In materia di appello, il ddl delega mantiene l’attuale fisionomia del processo di secondo grado quale controllo pieno della controversia caratterizzato da effetto devolutivo e divieto di nova[37], abroga l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis cpc e – con una netta inversione di rotta rispetto all’affermazione della piena collegialità nel giudizio di appello attuata con la legge 26 novembre 1990, n. 353 – reintroduce la figura del consigliere istruttore (prevista dal codice di procedura civile del 1942 ed eliminata dalla riforma del 1998) cui demandare lo svolgimento delle udienze di trattazione, istruzione e precisazione delle conclusioni, riservando al collegio la decisione, che nel suo iter è stata uniformata a quanto previsto per il giudizio di primo grado: un intervento che dovrebbe obbedire, nell’intenzione dei riformatori, a esigenze di accelerazione e di economia processuale ma che – come è stato osservato –, anche in ragione della dicotomia che vi è connessa tra organo monocratico e collegio, e delle possibili difformità tra provvedimenti interlocutori del consigliere istruttore e provvedimenti del collegio, cui è attribuita la responsabilità decisionale – potrebbe rivelarsi un fattore di complicazione piuttosto che di snellimento e miglioramento dell’efficienza della fase di gravame[38].
Né minori perplessità suscita (e non soltanto per l’impropria collocazione sistematica) la riscrittura del procedimento di correzione delle sentenze e delle ordinanze, di cui agli artt. 287 e 288 cpc, introdotta con un’inopinata disposizione in sede di approvazione della delega al Senato[39].
Le disposizioni relative al giudizio di cassazione (per il quale la lunghezza dei tempi di celebrazione dei processi ha generato nel corso degli anni «risposte politiche a cadenza quasi regolare, attraverso interventi periodici sulle regole processuali»[40]) riguardano essenzialmente la soppressione della sezione prevista dall’art. 376 cpc (cd. “sezione stralcio”), lo spostamento della relativa competenza dinanzi alle sezioni semplici e la soppressione del procedimento disciplinato dall’art. 380-bis cpc; l’estensione della pronuncia in camera di consiglio all’ipotesi in cui la Corte riconosca di dover dichiarare l’improcedibilità del ricorso; l’introduzione per il procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 380-bis.1 e 380-ter cpc della possibilità di deliberazione con motivazione contestuale e pubblicazione immediata del provvedimento decisorio; l’introduzione del «procedimento accelerato» di cui all’art. 1, comma 9, lett. e del ddl per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, e l’innovazione relativa al rinvio pregiudiziale in cassazione da parte del giudice del merito.
La prescrizione, poi, di prevedere che «il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione», muove forse (anche) dalla considerazione che «l’esperienza di alcuni anni sviluppatasi con il “diritto mite” dei Protocolli, innestato anch’esso sull’invito alla continenza espositiva da parte del ricorrente, non è stata all’evidenza ritenuta appagante», per cui si è ritenuto utile prevedere «che ciò che era semplicemente raccomandato dal soft law possa essere d’ora innanzi normativamente prescritto»[41].
Per quanto concerne il processo esecutivo, le modifiche preannunciate nel ddl delega costituiscono interventi di dettaglio volti a trasformare in norme di legge alcune soluzioni già adottate nella prassi (e, in qualche caso, fatte proprie dalle linee guida del Csm), a ridurre ulteriormente i termini per le parti, i giudici e gli ausiliari, a eliminare previsioni che appaiono obsolete, a correggere alcune criticità evidenziate nella applicazione della disciplina vigente[42].
Si tratta di aggiustamenti a una disciplina “ben strutturata” che, dopo il lungo periodo di forte disattenzione in cui era stato lasciato il processo esecutivo (con l’effetto di rendere lo stato dell’esecuzione forzata, in particolare della espropriazione immobiliare, insostenibile in termini di durata e di efficienza), cominciò a svilupparsi sul piano normativo a partire dal 1998[43], grazie all’impulso di alcuni giudici “pionieri” e al diffondersi in alcuni tribunali di “prassi virtuose”, che ebbero il merito di costituire una sorta di banco di prova per le successive riforme.
Le novità più rilevanti del ddl sono costituite dall’ampliamento delle cd. astreintes, dall’(ennesima) riformulazione della disciplina dell’ordine di liberazione e, soprattutto, dall’introduzione della cd. vendita privata.
Come osserva Vigorito, «la scelta del legislatore della riforma di adottare strumenti di accelerazione delle procedure esecutive e, contemporaneamente, di offrire al debitore possibili soluzioni volte a superare la situazione di difficoltà in cui si trova, risponde all’esigenza di realizzare, da un lato, l’interesse – che non è solo del creditore ma dell’intero sistema economico – al recupero tempestivo ed effettivo del credito e, dall’altro, di evitare un ingiustificato depauperamento del patrimonio del debitore provocato dalla eccessiva durata del processo esecutivo (…) dalle sue spese elevate e dalla vendita degli immobili a prezzi notevolmente inferiori al loro valore di mercato.
Vi è stata, quindi, una positiva inversione di rotta rispetto alle scelte recenti, evidenti in alcuni interventi normativi del periodo 2018-2020, che avevano l’obiettivo – neanche troppo nascosto – di rallentare i tempi delle procedure esecutive, con l’illusione di offrire un ausilio ai soggetti in difficoltà economica», con un recupero di attenzione anche per gli interessi del debitore, in linea con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, secondo il quale: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».
Ma se l’intenzione del legislatore è apprezzabile, dubbi invece possono sollevarsi in ordine all’idoneità del procedimento delineato nel ddl – «che non introduce un meccanismo di vendita privata sul modello di quello previsto dalla legislazione di altri Paesi, quanto un ulteriore modello di vendita interno alla procedura, che si pone in alternativa con quelli già previsti, come ulteriore esito dell’udienza ex art. 569 cpc» – a perseguire l’obiettivo che ci si è prefissati[44]. Sotto altro profilo, l’esclusione della materia delle esecuzioni dalla previsione del raggiungimento, entro il 2024, dell’obiettivo della riduzione del 45 per cento dell’arretrato ultratriennale e del 65 per cento del DT (disposition time = pendenti/definiti calcolati nell’anno giudiziario), sembra comportare che le nuove risorse destinate all’ufficio per il processo non possano essere destinate anche al settore esecuzioni: una pesante limitazione alle possibilità di rendere più efficiente un settore nel quale gli addetti all’ufficio per il processo potrebbero svolgere un importante ruolo di ausilio al giudice[45].
Con riferimento, infine, alle direttiva mediante la quale si demanda al legislatore delegato di rideterminare la competenza del giudice di pace, anche modificando le previsioni di cui all’art. 27 d.lgs n. 116/2017 e, quindi, tanto per la competenza per valore quanto per la competenza per materia, mette conto ricordare come la dottrina[46] abbia ripetutamente sottolineato l’opportunità che le modifiche della competenza siano limitate a quelle per materia, sia perché il criterio del valore è “cieco” e, applicandosi a una fascia indistinta di diritti, comporta da parte del giudice conoscenze giuridiche approfondite ed estese; sia perché il criterio della materia si presta a una specializzazione più facilmente esigibile e assicurabile perché in gran parte settoriale. Né possono essere trascurate le forti lacune che, tuttora, permangono sotto il profilo dell’informatizzazione dei relativi uffici.
In argomento, peraltro, occorrerà tener conto degli sviluppi delle proposte elaborate dalla Commissione ministeriale per la riforma della magistratura onoraria presieduta da Claudio Castelli, la cui relazione è stata depositata il 21 luglio 2021[47].
3. Luci e ombre del disegno riformatore
Non può negarsi, restando al campo degli interventi di carattere processuale, lo sforzo operato per apportare quelle «correzioni selettive» ad alcune delle disfunzioni del sistema vigente, correzioni per il cui tramite – alla stregua di un programma dichiaratamente rivolto a evitare «illusorie ambizioni di riforme di sistema non praticabili nelle condizioni date» – si persegue l’obiettivo di «riportare il processo italiano a un modello di efficienza e competitività, così da consentire anche una rinnovata fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia e altresì una ripresa degli investimenti, tenuto conto della strettissima connessione intercorrente tra relazioni commerciali, produttività economica e funzionamento della giustizia» (così le dichiarazioni programmatiche della Ministra Cartabia). Ma, sebbene nelle note illustrative che accompagnano i numerosi emendamenti governativi al ddl sia stato fatto accenno più volte all’intento di semplificazione della disciplina processuale, di accelerazione del processo e di razionalizzazione delle risorse che si è voluto perseguire, e pur non mancando modifiche che in più punti appaiono meritevoli di consenso, è difficile sfuggire all’impressione che neppure le proposte in esame si sottraggano al metodo, reiteratamente sperimentato nel corso di interi decenni, degli interventi di mera “novellazione” e di semplice restyling che hanno finito per produrre un accumulo di norme e di riti il cui effetto, anziché aiutare a risolvere i problemi, è stato quello di complicarli rendendo sempre più difficoltosa (anche a causa, a volte, della cattiva formulazione del testo) l’attività degli interpreti e degli operatori[48]; e dunque si ha la sensazione che, ancora una volta, il compito di assicurare la funzione istituzionale del processo, quale strumento destinato ad attuare le leggi sostanziali poste a presidio dei diritti, sia stato affidato a una visione “taumaturgica” e “salvifica” delle regole processuali, senza interrogarsi proprio sul contenuto dei diritti che quelle norme hanno lo scopo di garantire.
Un certo senso di scetticismo nei confronti della novellazione, del resto, non sembra essere rimasto estraneo, in qualche misura, alla stessa Commissione ministeriale incaricata di predisporre gli emendamenti governativi, come traspare dalla formulazione in quella sede di una doppia proposta per la fase introduttiva del giudizio di primo grado, una delle quali motivata tra l’altro dalla considerazione che «né dalla dottrina né dagli operatori giudiziari si avverte l’esigenza di un cambio di rotta»; e mentre si deve, da un lato, registrare l’adozione di un percorso che, nel testo approvato dal Senato, ha «proseguito nel solco di un progressivo allontanamento dal principio di oralità, persino aumentando il numero di atti scritti e introducendo ulteriori rigidità»[49] e, dall’altro, constatare come la sommarizzazione emerga in più punti quale cifra che rischia di andare al di là dello scopo di semplificazione del processo[50], anche la condivisibile razionalizzazione del rito perseguita per il giudizio di cassazione mediante l’abrogazione delle due distinte procedure di camera di consiglio, previste dagli artt. 380-bis e 380-bis.1 cpc, è destinata a sfociare in un nuovo «procedimento accelerato rispetto alla ordinaria sede camerale, per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente fondati o infondati», cui non è estraneo anche qui qualche rischio di sommarizzazione che la dottrina non ha mancato di affrettarsi a mettere in luce[51], mentre è difficile prevedere «la portata dell’effetto di velocizzazione» del procedimento che si intende introdurre con il richiamato art. 1, comma 9, lett. e del ddl[52].
Quanto all’istituto del rinvio pregiudiziale alla Cassazione, non può negarsi che si tratti di un’innovazione assai rilevante[53], teoricamente sucettibile di coinvolgere anche il giudice di merito nell’opera di costruzione della nomofilachia e che, allargando il novero degli strumenti (tra cui quello contemplato dall’art. 363 cpc) in vario modo convergenti in questa direzione, non soltanto si inserirebbe nel flusso di quel dialogo con le corti di merito in cui è da ravvisare un antidoto al rischio che le tendenze in atto «verso una corte sempre più dotata di un ruolo quasi normativo» possano trasformarla in un «Titano del diritto sempre (…) più chiuso nella sua torre»[54], ma potrebbe aspirare ad assolvere a un ruolo efficace di «nomofilachia preventiva»[55] sol che si tenesse presente come la necessità di rendere compatibile la vincolatività nel processo del principio di diritto enunciato in sede di rinvio pregiudiziale con la tendenza evolutiva della giurisprudenza imponga di affidare la decisione sul rinvio alle sezioni unite[56].
Anche riguardo a tale proposta, tuttavia, non sono mancate critiche in dottrina[57], a partire da quella che l’innovazione – anziché contribuire al recupero di efficienza e funzionalità del processo – potrebbe avere effetti deresponsabilizzanti per il giudice remittente[58] e produrre il rischio di ingolfare ulteriormente la Corte, che deve assolvere non solo alla funzione di nomofilachia ma anche a quella attinente alla tutela dello ius litigatoris, e che è già gravata da carichi enormi a ridurre i quali sono mirate, nel complessivo disegno riformatore, anche le coeve proposte di riforma relative alla giustizia tributaria[59]. E mentre non si hanno notizie precise né circa le analisi compiute al fine di verificare l’effettiva realtà del processo civile in Italia[60] né circa i dati sulla base dei quali si è ritenuto di poter ipotizzare che le modifiche proposte possano incidere sensibilmente sulla funzionalità del processo di cognizione, permangono interrogativi (nonostante i pur utili miglioramenti suggeriti) anche con riguardo al processo esecutivo, il perseguimento dell’efficienza delle procedure esecutive richiedendo sia di mettere mano «a una completa riforma dei sistemi di censimento dei patrimoni, da strutturare secondo schemi uniformi, in modo da consentire il dialogo tra le banche di dati e il loro accesso semplificato, se del caso sotto il controllo dell’autorità giudiziaria», sia di attuare «una radicale ristrutturazione degli strumenti telematici di archiviazione, catalogazione e accesso alle informazioni patrimoniali», dal momento che la ricerca dei beni da pignorare mediante accesso telematico diretto alle banche dati da parte dell’ufficiale giudiziario «è ad oggi inattuata e sostituita dal più farraginoso accesso alle informazioni tramite i gestori, su istanza del creditore»[61].
Sotto altro profilo, pur volendosi convenire sulla considerazione, posta a base del disegno riformatore, che i tempi non sono ancora maturi per una profonda revisione sistematica, sembra necessario ribadire che l’opera di rinnovamento cui si aspira non può essere compiuta ispirandosi unicamente (o principalmente) alla logica del “far presto” e legando gli interventi essenzialmente al filo conduttore del fattore tempo[62], un filo conduttore che è alla base anche delle ordinanze provvisorie di accoglimento o di rigetto in cui si trova confermata la tendenza del legislatore – già da tempo messa in luce dalla dottrina – «a sottrarre spazi al processo a cognizione piena ed esauriente (ordinario o speciale)» a favore di procedimenti/provvedimenti finalizzati unicamente «a spianare la strada alla produzione di effetti esecutivi e provvisori e senza alcuna idoneità a conseguire la forza del giudicato sostanziale»[63].
Il valore e le finalità della giurisdizione, come «strumento di attuazione di una giustizia a servizio della persona e della sua dignità»[64], e di piena realizzazione anche delle garanzie processuali che vi sono connesse, conservano tutta la loro attualità (tanto più - anzi - si direbbe) al cospetto delle profonde ripercussioni provocate dalla pandemia sulla salute pubblica[65], le relazioni sociali, il mondo dell’economia e del lavoro, le condizioni delle persone, con uno spaventoso allargamento delle diseguaglianze e delle povertà, vecchie e nuove. E dunque, anche in un programma riformatore ispirato alla gradualità degli interventi, ma che voglia essere pur sempre attento alla tutela dei diritti fondamentali[66] e, più in generale, al mantenimento del senso stesso della legalità, non potrà essere eluso – a maggior ragione in un contesto in cui, almeno in astratto, la garanzia del processo è assicurata con le modalità più sofisticate per gli interessi di natura patrimoniale anche nella loro dimensione più individualistica – il ripristino di garanzie come, ad esempio, la reintroduzione del grado d’appello per le domande di protezione internazionale[67], un tema rispetto al quale non si rinviene alcun accenno nelle proposte di riforma, con l’effetto tra l’altro di trascurare che la mancanza dell’appello scaricherà sulla Corte di cassazione – già pesantemente oppressa dal contenzioso in materia tributaria – una mole di ricorsi che rischia di determinare, a breve periodo, una nuova e gravissima emergenza.
Più in generale, se è vero che l’efficienza del settore giustizia è «una condizione indispensabile per lo sviluppo economico e per un corretto funzionamento del mercato»[68], sarebbe tuttavia il caso di abbandonare il postulato delle esigenze dell’economia e degli interessi del mercato come paradigma unico o principale e come motore fondamentale delle riforme in materia di giustizia civile, sostituendo ad esso l’orizzonte ben più ampio e complesso dei diritti e di coloro che continuano a esserne i titolari insoddisfatti. Né è superfluo ricordare che è la tenuta stessa dello Stato di diritto a chiamare in causa anche i compiti affidati alla giurisdizione civile, il cui corretto funzionamento, evitando che la difesa di legittimi interessi resti priva di tutela o sia affidata a scorciatoie illegali, costituisce un passaggio strategico per gli stessi compiti affidati al diritto punitivo[69]. Anche, ad esempio, l’attribuzione del giusto risarcimento al danneggiato o il recupero di un credito; la sicurezza dei traffici e la stabilità dei contratti; la tutela del posto di lavoro o di un rapporto di famiglia; la lealtà e la libertà di concorrenza e la difesa del consumatore; la trasparenza dei bilanci o il regolare svolgimento di una procedura espropriativa costituiscono aspetti essenziali per impedire che la società diventi preda dei poteri illegali, della prepotenza o dell’astuzia dei più forti. E in un momento storico caratterizzato (per ricordare parole di Giuseppe Borrè) «dal coagularsi di nuove aspirazioni, dall’affacciarsi di nuove e più complesse pretese, dal proporsi di nuovi diritti non ancora vincenti ma che premono alla porta della giurisdizione», non può non constatarsi come alla progressiva scomparsa delle garanzie giuridiche nella vita quotidiana facciano riscontro fenomeni crescenti di impoverimento e di esclusione anche in ciò che riguarda i più “vecchi” diritti e i bisogni più elementari di giustizia.
Alla visione “procedurale” della giustizia civile, che sembra aver preso ancora una volta il sopravvento (quasi che le modifiche del rito processuale giovassero per se stesse alla qualità della tutela, quali che siano i beni della vita coinvolti nel processo), sarebbe necessario sostituire una diversa consapevolezza la quale, muovendo dalla constatazione che la domanda di giustizia pendente presso i tribunali riguarda in grandissima parte le amministrazioni di sostegno, le istanze di protezione internazionale e le cause in materia di famiglia, che hanno caratteristiche molto diverse dalle domande dedotte nel processo civile ordinario, e che oggi «gli utenti della giustizia, si rivolgono ai tribunali più per gestire le finanze di un anziano, per decidere delle terapie di un disabile o le decisioni del fine vita, per regolare la permanenza lecita di uno straniero sul territorio e la possibilità di assumerlo, piuttosto che per dirimere controversie relative a contratti ed illeciti», ne traesse la conclusione della necessità di una riforma attenta, più che alla modifica delle procedure, a «un modello diverso di giudice che questi rapporti sappia comprendere e regolare»[70].
4. Uno sguardo al futuro
Tuttavia – e non si tratta di novità di poco conto – questa volta gli interventi non si limitano alla consueta opera di novellazione processuale ma, a differenza di quanto accaduto in tante altre occasioni, vengono inseriti in un quadro più articolato e complesso di misure destinate a comporre nel loro insieme il disegno riformatore. Sin dalle dichiarazioni programmatiche formulate subito dopo il suo insediamento al dicastero della giustizia, la Ministra Cartabia ha evidenziato infatti la necessità di non incorrere nell’equivoco «per il quale l’obiettivo di una giustizia più effettiva ed efficiente, oltre che più giusta, possa essere raggiunto solo attraverso interventi riformatori sul rito del processo o dei processi», essendo necessario muoversi contestualmente seguendo tre direttrici tra loro inscindibili e complementari: il «piano organizzativo», la «dimensione extraprocessuale» e quella «endoprocessuale» e sottolineando la priorità dell’«azione riorganizzativa della macchina giudiziaria e amministrativa»[71]. Facendo quindi riferimento ai vari progetti presentati nell’ambito del Recovery Plan, e sottolineando «i tre principali ambiti di intervento da essi previsti» (la valorizzazione del personale e delle risorse umane; il potenziamento delle infrastrutture digitali con la revisione e diffusione dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali e di trasmissione di atti e provvedimenti, e il significativo ammontare di risorse destinate all’edilizia giudiziaria e all’architettura penitenziaria), essa ha individuato nella piena attuazione dell’ufficio del processo – accanto al potenziamento degli strumenti di risoluzione delle controversie complementari alla giurisdizione – uno dei perni dell’azione riorganizzativa della giustizia[72]. E in effetti la possibilità che le stesse nome processuali possano conseguire effetti positivi è strettamente legata alla realizzazione contestuale delle altre misure, in particolare di quelle organizzative, prima tra le quali l’«Ufficio per il processo», che può rappresentare davvero una svolta, anche sul piano culturale e professionale, nel modo di lavorare e di fornire le prestazioni relative al “servizio giustizia”[73] e nel cui ambito sarà possibile non soltanto avvalersi delle proficue esperienze già maturate in diversi uffici giudiziari[74], ma altresì sperimentare modelli “pilota” del tutto innovativi nel campo, ad esempio, della protezione internazionale[75]. Ed è quanto mai auspicabile che il rafforzamento dell’ufficio per il processo, mettendo in campo «un dispositivo a metà strada tra l’amministrazione della giustizia e la formazione professionale dei più giovani giuristi», possa dar «vita a un intreccio fecondo di relazioni tra il conoscere, il saper fare e il saper essere» e riesca a profilarsi come un alveo «per la maturazione di nuove identità e la crescita di un pluralismo ordinato di culture della giurisdizione»[76]. La stessa progettualità custodita in «banche dati ragionate» e in «archivi organizzati di precedenti giurisprudenziali legati a un determinato territorio» potranno dare un contributo fondamentale per innalzare la qualità del servizio giustizia, contribuendo a salvaguardare la certezza del diritto[77] e dando un volto concreto e una dimensione appropriata a quella «predittività»[78] che non può e non deve risolversi in un sistema precostituito e automatizzato di provvedimenti e di decisioni, ma rimanda a un contesto in cui ogni decisione e ogni provvedimento sono il frutto non di automatismi o di solipsistiche posizioni, ma di una ragionata ricerca della soluzione che appare più conforme a giustizia nel caso concreto anche avvalendosi dell’insieme di informazioni e di precedenti che costituiscono l’esperienza giuridica[79]: giacché «il diritto al presente che oggi (...) quotidianamente amministriamo ricerca una calcolabilità» legata, più che alla sua relazione con la norma, alla «sua relazione con il passato deciso, con il dictum già concretizzato: la banca dati che si mira a realizzare con l’ufficio del processo non può essere solo il luogo di un’archiviazione accumulativa del passato deciso, ma deve proporsi come strumento per “rappresentazioni cognitive” capaci di contestualizzare l’azione della giurisdizione, quantomeno nell’immediato futuro»[80].
Non può nascondersi, tuttavia, che si tratta di una sfida tutt’altro che semplice, legata a una pluralità di condizioni[81] e che potrà avere speranza di successo solo se come obiettivi verranno posti non solo la pur necessaria definizione del pesante arretrato tuttora gravante sugli uffici giudiziari, ma la realizzazione di una struttura stabile e duratura di sostegno all’esercizio della giurisdizione, fondata (nella sua costruzione, nel suo funzionamento e nell’attività di monitoraggio che dovrà accompagnarne gli sviluppi) sulla logica – propria di ogni organizzazione complessa, e indispensabile anche per l’organizzazione degli uffici giudiziari – della partecipazione diffusa e collaborativa; sul coordinamento dei diversi fattori umani e tecnologici destinati a comporla[82]; sulla valorizzazione e il rispetto delle diverse componenti professionali che ne faranno parte, avendo cura tra l’altro di evitare che la sollecitazione a far subito e presto si traduca in uno scadimento delle caratteristiche e delle qualità della giurisdizione[83]; sul confronto costante tra le diverse esperienze pratiche e la diffusione che in tal senso potrà esserne favorita per il tramite degli incontri di formazione professionale e dell’opera di organismi come gli Osservatori sulla giustizia civile.
Dall’esito positivo di tale sfida (nel cui ambito non si potrà mancare di rimetter mano a un’opera di seria e razionale revisione della geografia giudiziaria, portando avanti il timido percorso avviato alcuni anni fa e, prima ancora, di riproporre la necessità di una revisione complessiva del quadro normativo, liberandolo delle incrostazioni di disposizioni frammentarie e contraddittorie che si sono andate accumulando negli anni[84]) dipenderà, tra l’altro, la verifica circa il se le stesse norme processuali, nonostante l’opinabilità e le perplessità che possono fondatamente avanzarsi con riguardo a più di una delle scelte contenute nelle proposte governative di riforma, non riescano a comporsi in un quadro operativo capace di dare maggiore concretezza all’idea, cui da tempo inutilmente si aspira, di un processo tendenzialmente unitario, duttile nelle forme e ricco nei mezzi di tutela, che consenta di adattare la risposta di giustizia a seconda delle circostanze del caso concreto, in un quadro certo di garanzie di cui l’imparzialità del giudice, il contraddittorio delle parti, la parità delle armi e la ragionevole durata del giudizio sono profili strettamente intrecciati.
È mia opinione che, di fronte al complesso disegno riformatore (la cui attuazione richiede, tra l’altro, il superamento di una molteplicità di non facili problemi), non ci si debba limitare alla critica delle soluzioni errate o non condivise, ma occorra saper unire alla consapevolezza delle oggettive difficoltà da affrontare la volontà di contribuire, ciascuno per la parte che gli compete, alla costruzione dell’edificio capace di restituire alla giustizia – al di là delle urgenze imposte dal Next generation EU – fondamenta solide e durature, e ai cittadini quella fiducia nelle istituzioni che si è andata sempre più indebolendo nel tempo. La costruzione materiale dell’ordinamento giuridico (che mai può considerarsi realizzata una volta per tutte) e la sua evoluzione verso il traguardo di una sempre più ampia ed effettiva tutela della dignità e dei diritti delle persone dipendono, infatti, dalla presenza e dall’intreccio di una molteplicità di fattori[85], rispetto ai quali rivestono un’importanza tutt’altro che secondaria il ruolo della cultura giuridica, coinvolta sempre più frequentemente nel compito di concorrere a quella costruzione cercando di ricavare dalle riforme quanto è possibile di positivo come traguardo e come sbocco di un’elaborazione collettiva, e la tensione di ciascuno, nel lavoro professionale e nella vita quotidiana, verso i bisogni di giustizia, con uno sguardo sempre rivolto all’immagine di società disegnata dalla Costituzione.
2. Sulle proposte governative, cfr. il parere del Csm di cui alla delibera in data 15 settembre 2021.
3. Vds. il mio Uno sguardo generale agli emendamenti governativi al ddl 1662/S/XVIII, in questa Rivista online, 26 luglio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/uno-sguardo-generale-agli-emendamenti-governativi-al-ddl-1662-s-xviii.
4. Vds. op. ult. cit.
5. Per una forte critica su questo passaggio parlamentare (e su altri aspetti del ddl), cfr. G. Scarselli, La giustizia civile al tempo della pandemia (Sulla approvazione da parte del Senato del ddl 21 settembre 2021), in Giustizia insieme, 28 settembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1955-la-giustizia-civile-al-tempo-della-pandemia-sulla-approvazione-da-parte-del-senato-del-ddl-21-settembre-2021-di-giuliano-scarselli).
6. Non va dimenticato che la riforma della p.a., le cui inefficienze e lacune costituiscono una causa non secondaria del contenzioso gravante sulle strutture giudiziarie, rappresenta un passaggio cruciale anche per il recupero di efficienza della giustizia civile. Cfr., sul punto, B. Capponi, Prime note sul maxi-ememdamento al d.d.l. n. 1662/S/XVII, in Giustizia insieme, 18 maggio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1736-prime-note-sul-maxi-emendamento-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-di-bruno-capponi).
7. Studi empirici – si legge nel PNRR – «dimostrano che una giustizia rapida e di qualità stimola la concorrenza, poiché accresce la disponibilità e riduce il costo del credito, oltre a promuovere le relazioni contrattuali con imprese ancora prive di una reputazione di affidabilità, tipicamente le più giovani; consente un più rapido e meno costoso reimpiego delle risorse nell’economia, poiché accelera l’uscita dal mercato delle realtà non più produttive e la ristrutturazione di quelle in temporanea difficoltà; incentiva gli investimenti, soprattutto in attività innovative e rischiose e quindi più difficili da tutelare; promuove la scelta di soluzioni organizzative più efficienti», mentre una giustizia inefficiente «peggiora le condizioni di finanziamento delle famiglie e delle imprese» e ad una durata dei processi più elevata «si associa una minore partecipazione delle imprese alle catene globali del valore e una minore dimensione media delle imprese, quest’ultima una delle principali debolezze strutturali del nostro sistema».
Come avverte, tuttavia, D. Mercadante, Il pane, le rose, la concorrenza, in questo numero e, già, in questa Rivista online, 28 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/il-pane-le-rose-la-concorrenza, «un collegamento diretto e significativo tra la “velocità” del sistema giudiziario e lo sviluppo dell’economia appare quantomeno sovrastimato», altrimenti non si spiegherebbe «per quale motivo le grandi tendenze dell’economia italiana, di crescita come di contrazione, non abbiano visibili collegamenti con la durata dei processi (la maggiore riduzione dei quali, anzi, si è avuta proprio negli ultimi dieci anni)», la durata media dei procedimenti civili essendo passata da 471 a 429 giorni e l’arretrato essendosi ridotto di più di due milioni (2.000.000) di cause. «La propensione all’imprenditorialità», osserva ancora l’Autore, «potrebbe giovarsi, molto maggiormente e più direttamente che di una “velocizzazione” della giustizia civile, di una riduzione del condizionamento amministrativo, politico, giudiziario ed economico-finanziario da parte della narco-criminalità organizzata» che «visibilmente dirotta l’impegno di centinaia di magistrati», i quali «potrebbero essere senz’altro adibiti a ruoli maggiormente “orientati al mercato”».
Vds., inoltre, quanto alla dichiarata prospettiva di riduzione delle procedure fallimentari, l’allarme lanciato da R. Braccialini, Qualcosa di nuovo oggi nel sole? Anzi, d’antico…, in questa Rivista online, 29 ottobre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/qualcosa-di-nuovo-oggi-nel-sole-anzi-d-antico, con riguardo al forte appesantimento che sul lavoro dei magistrati potrebbe provocare la nuova procedura di composizione negoziata della crisi di impresa.
8. Così E. D’Alessandro, La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo, in Giustizia insieme, 31 maggio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1758-la-riforma-della-giustizia-civile-secondo-il-piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza-e-gli-emendamenti-governativi-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-riflessioni-sul-metodo-di-elena-d-alessandro).
9. Nel sottolineare l’urgenza di interventi del legislatore per adeguare il diritto di famiglia al riconoscimento di nuove istanze di tutela, sottolineate anche dalla Corte costituzionale in diverse pronunce, G. Luccioli (Le sfide attuali del diritto di famiglia e dei minori: problemi emergenti, riforme attuate da riformare, riforme ancora da attuare, in Giudice donna, n. 1/2021, www.giudicedonna.it/2021/numero-uno/articoli/Le_sfide_attuali_del_diritto_di_famiglia_e_dei_minori_problemi_emergenti_riforme_attuate_da_riformare_riforme_ancora_da_attuare.pdf) rileva come, anche sul piano processuale, «permane l’esigenza di una unificazione delle competenze e di una uniformazione dei riti. La riforma della filiazione ha sostanzialmente modificato il riparto di competenza tra il tribunale per i minorenni ed il tribunale ordinario, riducendo significativamente l’ambito di cognizione del primo»; ed «è noto altresì che la nuova formulazione dell’art. 38 disp. att. c.c. ha dato luogo a molti dubbi interpretativi. Si pone pertanto l’annosa questione (…) della individuazione di un unico ufficio giudiziario presso il quale concentrare tutti i procedimenti che hanno a che fare con la famiglia e con la tutela dei minori»; e le proposte governative di riforma hanno mirato appunto, da un lato, a istituire un procedimento unitario per tutte le controversie in materia di persone e famiglia, sia pur differenziato a seconda dell’oggetto del processo (diritti disponibili, diritti indisponibili, interessi del minore o dell’incapace) e, dall’altro lato, a introdurre «finalmente quel tribunale per le famiglie che consenta di realizzare, congiuntamente, sia la specializzazione del giudice, sia quella giustizia di prossimità, che in questa materia è irrinunciabile» (così la Relazione della Commissione Luiso).
10. Così E. D’Alessandro, La riforma, op. cit.
11. Per critiche decise a questa parte della proposte della Commissione, cfr. A. Proto Pisani, Brevi osservazioni di carattere tecnico e culturale su “Proposte normative e note illustrative” rese pubbliche dal Ministero della Giustizia, in Giustizia insieme, 8 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1778-brevi-osservazioni-di-carattere-tecnico-e-culturale-su-proposte-normative-e-note-illustrative-rese-pubbliche-dal-ministero-della-giustizia-di-andrea-proto-pisani), il quale osserva tra l’altro come l’aver ignorato «la abnorme sovrapposizione effettuata negli anni ’30 del secolo scorso tra amministrazione e giurisdizione in materia minorile» abbia prodotto la conseguenza di perpetuare nel grave errore «di attribuire al Tribunale dei Minorenni il potere di agire d’ufficio in palese violazione del principio della domanda» e che l’istituzione della sezione specializzata in materia di famiglia e di minori avrebbe imposto non solo la soppressione formale del tribunale per i minorenni, ma anche l’attribuzione a tale sezione di tutte le controversie attualmente devolute a quest’ultimo, ivi compresi i procedimenti in materia di adozione, e la loro conseguente trattazione e decisione da parte del giudice monocratico.
L’Autore ha poi ripreso i rilevi critici nell’editoriale di Giustizia civile del 3 novembre 2021, Brevi note sulla (brutta) delega del Senato in materia di giustizia dei minori e delle famiglie in crisi, in cui, dopo aver messo in luce il progressivo (ma non ancora compiuto) percorso di adeguamento del diritto di famiglia e dei minori ai valori costituzionali, e rilevato come il ddl delega approvato dal Senato appaia per diversi aspetti non coerente con tale esigenza di adeguamento, ha rilevato come l’istituzione di un tribunale monocratico e specializzato in materia di minori e famiglia consentirebbe – una volta soppresso l’addebito – di dare ulteriore sviluppo alle scelte della legge n. 74/1987, riducendo ulteriormente i termini fra separazione giudiziaria e divorzio, e ha formulato la proposta di un processo unico scandito nelle fasi succintamente descritte nell’articolo.
Per un’ampia analisi delle previsioni formulate sul punto dalla Commissione ministeriale “Luiso”, cfr. G. Sergio, Riflessioni sulle proposte di procedimenti in materia di famiglia e di riforma ordinamentale della Commissione Luiso, in questa Rivista online, 22 luglio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/nm60f68f7074df64-38062834.
12. In sede di esame del ddl, la Camera dei deputati, con due distinti ordini del giorno, ha impegnato il Governo (fermo l’impianto previsto dalla delega):
- a mantenere la collegialità della decisione nell’ambito dei procedimenti in tema di limitazione e decadenza dalla responsabilità genitoriale e a valutare le modalità attraverso le quali garantire, in questo stesso ambito, il contributo multidisciplinare sinora apportato dai componenti privati;
- ad attivare un tavolo di confronto interistituzionale con le parti e le associazioni che ne hanno fatta esplicita richiesta, anche al fine di monitorare l’applicazione e l’impatto delle nuove norme, nonché a valutare l’opportunità che siano adottati interventi diretti a far sì che, nei procedimenti civili rientranti nelle rispettive competenze, le sezioni circondariali giudichino in composizione collegiale con la presenza di un giudice togato e di due giudici onorari per i procedimenti di cui agli artt. 333 e 336 cc, e che le sezioni distrettuali giudichino in composizione collegiale per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 336 cc e per quelli di cui ai titoli I, I-bis, II, III e IV della l. n. 184/1983, con la presenza di due giudici togati e di due giudici onorari.
13. Così C. Cecchella, Il Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, in questo numero, il quale, nel tracciare una breve storia dei diversi tentativi falliti di riforma del tribunale per i minorenni, espone gli argomenti diretti a confutare la tesi secondo cui nella giustizia minorile sarebbero necessari un organo collegiale multidisciplinare e una continuità del tribunale per i minorenni, «istituito nel 1934, quando i minori e le persone fragili non erano titolari di diritti soggettivi, come lo sono ora, con la conseguente necessità di un giudice imparziale e di un processo aperto alle garanzie della difesa e del contraddittorio, anche in relazione ai giudizi scientifici del consulente».
Per la parte processuale vds., dello stesso Autore e sempre in questo numero, La riforma del processo familiare e minorile.
In senso favorevole alla scelta del Senato cfr., anche, tra gli altri, V. Montaruli (Una riforma lungamente attesa: un tribunale unico per la famiglia e per i minori), C. Lendaro (Il Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie) e M.G. Ruo (Un’attesa riforma di sistema della giustizia in area persone, famiglie, minorenni) in Giudice donna, n. 2/2021 (contributi disponibili alla pagina: www.giudicedonna.it/) ; M.G. Ruo, Area persona, relazioni familiari e minorenni: la riforma Cartabia risponde alle necessità di tutela effettiva, in Giustizia insieme, 19 novembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/129-main/minori-e-famiglia/2030-area-persona-relazioni-familiari-e-minorenni-la-riforma-cartabia-risponde-alle-necessita-di-tutela-effettiva-di-maria-giovanna-ruo). Cfr., altresì, gli scritti di A. Proto Pisani e G. Sergio richiamati in nota 11.
14. Così, testualmente, C. Maggia, Ancora una volta i Tribunali per i minorenni messi al margine della giurisdizione, già in questa Rivista online, 20 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/ancora-una-volta-i-tribunali-per-i-minorenni-messi-al-margine-della-giurisdizione, ora in questo numero, per la quale l’istituzione del nuovo organo «produrrà un severo ridimensionamento dell’attività dei tribunali per i minorenni, in futuro tribunali distrettuali (…), ridimensionamento peraltro iniziato sin dalla riformulazione dell’immediatamente precettivo nuovo articolo 38 disp att. c.c., che, ove approvato in via definitiva senza modificazioni, traccerà una strada senza ritorno che non pare sintonica con la reale tutela dei soggetti minorenni in situazioni di grave pregiudizio, quanto piuttosto con esigenze di altra natura».
Cfr. altresì, in questo numero, G.O. Cesaro, L’istituzione del nuovo tribunale unico per le persone, i minorenni e le famiglie: un progetto di riforma tra luci ed ombre.
Nel ricordato parere in data 15 settembre 2021, il Csm ha rilevato come, nel caso in cui sul piano ordinamentale fosse stata adottata la soluzione di sezioni specializzate all’interno del tribunale ordinario, la concentrazione presso quest’ultimo e presso la procura ordinaria «di tutte le materie delle relazioni familiari, dei minori e dello status delle persone, se da una parte persegue la razionalizzazione delle risorse disponibili e la concentrazione delle tutele, dall’altra rischia, col tempo, di erodere un patrimonio professional-culturale garantito in tanti anni da strutture autonome quali i tribunali e le procure per i minorenni», con conseguente necessità di «uno sforzo riformatore molto ampio» che, per essere in sintonia con le fonti sovranazionali, avrebbe dovuto condurre «alla creazione di un Tribunale per la persona e la famiglia autonomo e su base distrettuale, con articolazioni territoriali, sul modello del Tribunale di Sorveglianza, che realizzi per quanto possibile il modello di giustizia di prossimità».
15. Per un’ampia analisi sulle misure introdotte, cfr., in questo numero, A. Tedoldi, Le ADR nel ddl delega AS 1662/XVIII emendato nel maggio 2021; M.A. Zumpano, ADR e riforma del processo civile.
16. Rinvio, per più ampi riferimenti al riguardo, al mio ADR e proposte di riforma per la giustizia civile, in questa Rivista online, 9 aprile 2021 www.questionegiustizia.it/articolo/adr-e-proposte-di-riforma-per-la-giustizia-civile.
17. Cfr. par. 4, lett ee dello scritto citato nella nota che precede. Ma, come rileva A. Tedoldi, Le ADR, op. cit., il problema è quello che il primo incontro non si risolva in una semplice «scatola vuota», destinata a dare informazioni sulla mediazione e sui suoi vantaggi come un banale «punto informativo», quanto invece di assicurare che in quella sede abbia inizio una mediazione effettiva: diversamente, «il primo incontro rischierà di restare per molti solo un adempimento burocratico-formale, da soddisfare per rendere procedibile la causa in sede giudiziale, con grave nocumento non solo per lo strumento conciliativo in sé, che aspira a essere complementare alla giurisdizione, ma per la cultura della mediazione e per l’ordinamento nella sua interezza».
18. In questo modo verrebbe, inoltre, posto un limite a quella giurisprudenza di merito che, in nome del principio di durata ragionevole e di non dispersione della prova, non esitava a disporre l’acquisizione della CTM, senza troppo curarsi dei vantaggi che la riservatezza della mediazione offre nel contesto delle negoziazioni intese a conciliare la controversia, con il rischio di frenare il buon esito delle trattative e delle attività istruttorie disposte per favorire l’accordo conciliativo (così ancora A. Tedoldi, Le ADR, op. cit.).
19. L’art. 10 d.lgs n. 28/2010 e succ. mod. fa divieto di utilizzare le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione «nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni».
20. «Unione nazionale avvocati per la mediazione».
21. Fino a quando – osserva M.A. Zumpano, op. cit. – la disciplina della mediazione «non cesserà di piegare i comportamenti e le scelte fatte in sede stragiudiziale allo scopo di intimidire le parti e di farle desistere dal rivolgersi alla giurisdizione, non si potrà veramente parlare di complementarità e coesistenza delle due vie». Per «costruire quella giustizia complementare che la riforma dichiara di volere non occorre sbarrare, sia pure velatamente, l’accesso al processo: serve molto di più rafforzare il terreno e le dimensioni della via alternativa. La mediazione funziona quando il servizio è efficiente e i mediatori sono capaci, quando gli avvocati che assistono le parti sanno distinguere le occasioni in cui l’atteggiamento avversariale non paga, e sanno calarsi in un ruolo diverso perché lo conoscono bene», con la conseguente necessità «di investire drasticamente sulla formazione e sulle strutture».
22. In base al decreto ministeriale n. 180/2010 e succ. mod. («Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28»), a tal fine sono previsti un percorso formativo, di durata complessiva non inferiore a 50 ore, articolato in corsi teorici e pratici, e un percorso di aggiornamento, di durata complessiva non inferiore a 18 ore biennali, articolato in corsi teorici e pratici avanzati, comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione.
Merita, inoltre, di essere sottolineata la previsione secondo cui la possibilità, per coloro che non abbiano conseguito una laurea nelle discipline giuridiche, di essere abilitati a svolgere l’attività di mediatore (solo) «dopo aver conseguito un’adeguata formazione tramite specifici percorsi di approfondimento giuridico», a implicita conferma del fatto che la figura del mediatore non può essere quella di un semplice “praticone”, ma deve modellarsi sulla considerazione che anche nella mediazione vengono pur sempre in gioco diritti e posizioni giuridicamente rilevanti delle parti.
23. Come si legge nelle note illustrative della Commissione Luiso, il perseguimento degli obiettivi di qualità ed efficacia della mediazione implica anche l’adeguamento del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 nel solco tracciato dall’art. 4 della direttiva 2008/52/CE. In particolare, «nella revisione dei programmi occorrerà prendere in considerazione i requisiti minimi di formazione per i mediatori indicati dal CEPEJ (European Commission for the Efficiency of Justice) e, per il potenziamento dei requisiti di qualità e trasparenza degli organismi di mediazione, si dovranno recepire i principi del Codice di Condotta Europeo per gli Organismi di Mediazione (documento approvato dall’Assemblea plenaria del CEPEJ del Consiglio d’Europa nel dicembre del 2018 con l’obiettivo di promuovere l’armonizzazione europea dei servizi di mediazione)».
Non sarà inutile qui ribadire come degli aspetti inerenti alla formazione professionale costituiscano profili essenziali non solo – accanto a quella dei mediatori – la formazione degli avvocati, ma anche la formazione comune che, dando origine tra l’altro a un’attività periodica di confronto su prassi e orientamenti, gioverebbe a contrastare l’autoreferenzialità che, nella generalità dei casi, caratterizza tuttora i singoli organismi di mediazione e a favorire non solo l’elaborazione di protocolli operativi (in analogia a quanto positivamente sperimentato, nell’ambito della giustizia ordinaria, dagli Osservatori sulla giustizia civile), ma altresì – e prima ancora – orientamenti comuni, idonei a superare frammentarietà applicative, a consolidare indirizzi interpretativi e ad accrescere l’“affidabilità” della mediazione.
24. Vds., ancora, lo scritto richiamato in nota 16.
25. Come osserva A. Tedoldi, Le ADR, op. cit., la mediazione demandata dal giudice, «la cui attività dovrebbe essere riorganizzata, coordinata e valorizzata nel contesto dell’Ufficio del processo, con adeguati e ben formati ausili di personale e giovani tirocinanti (…) in un circolo virtuoso tra uffici giudiziari, università, avvocatura, organismi di mediazione, enti e associazioni professionali», rappresenterà «un’autentica svolta culturale per il servizio giustizia, usualmente ingessato nel “tran tran” di solipsistiche attività scritturali, cartacee e ora telematiche»: a patto, tuttavia (è qui da precisare), che il rifiuto della funzione ancillare della mediazione rispetto al processo non sia sostituito dall’idea di una funzione ancillare del processo – che è e deve restare la garanzia fondamentale di protezione dei diritti – rispetto alla mediazione e agli altri strumenti complementari alla giurisdizione, secondo una concezione che sembra talora emergere, specie all’interno di alcuni organismi di mediazione, quasi che alle difficoltà della giustizia non si dovesse porre rimedio assicurando (anche) il funzionamento del processo, ma sancendo l’inutilità di questo e propugnandone una sorta di definitivo abbandono.
G. Scarselli, Osservazioni sul disegno di legge delega di riforma del processo civile, in Giustizia insieme, 27 ottobre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/2001-osservazioni-sul-disegno-di-legge-delega-di-riforma-del-processo-civile), svolgendo critiche all’insieme della disciplina della mediazione e/o conciliazione, considerata invasiva e «onnipresente», al punto da far sembrare «che il cuore del processo civile sia la mediazione, non il giudizio», osserva come il «ritenere che la tutela dei diritti avvenga in primo luogo mediando, e solo dopo con l’esercizio della funzione giurisdizionale» costituisca «una svolta epocale, un mutamento forte» e non condivisibile «dell’organizzazione sociale».
26. Così G. Verde, Il problema della giustizia non si risolve modificando le regole del processo, in Giustizia insieme, 17 giugno 2021, (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1805-l-problema-della-giustizia-non-si-risolve-modificando-le-regole-del-processo-di-giovanni-verde).
Per osservazioni critiche al riguardo cfr., altresì, i richiamati scritti di A. Tedoldi e M.A. Zumpano.
27. Volte, tra l’altro, a rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza dell’arbitro; ad attribuire agli arbitri rituali (salva diversa disposizione di legge) il potere di emanare misure cautelari nel caso in cui le parti abbiano manifestato, nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, esplicita volontà in tal senso; a inserire nel cpc le norme relative all’arbitrato societario, con conseguente abrogazione del d.lgs n. 5/2003; a disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale. Cfr., amplius, i richiamati scritti di M.A. Zumpano e A. Tedoldi.
28. Anche nel documento inviato, in data 9 marzo 2021, dagli Osservatori sulla giustizia civile alla Ministra della giustizia veniva sottolineata l’opportunità di un’opera di «razionalizzazione e ridefinizione del perimetro di intervento della giurisdizione», a cominciare – pur facendo salvi settori come quelli affidati al giudice tutelare, i casi in cui sono coinvolti minori, gli interventi sostitutivi in materia societaria – da una profonda revisione nel campo sconfinato della volontaria giurisdizione, e dal trasferimento di alcuni compiti ad altre figure professionali (ingiunzioni non esecutive, alcune fasi delle esecuzioni forzate, etc.) – vds. www.milanosservatorio.it/wp-content/uploads/2021/03/OSSERVATORI-DOC-PER-MIN-CARTABIA-9-3-2021.pdf.
29. Sul processo telematico cfr., in questo numero, P. Liccardo, Il nuovo tempo della decisione giudiziaria: la nomometrica delle banche dati.
30. Cfr. G. Gilardi, Appunti sulla “mediazione a scopo di conciliazione”, in questa Rivista online, 30 giugno 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/appunti-sulla-mediazione-a-scopo-di-conciliazione.
31. Cfr. in argomento M.G. Civinini (a cura di), Giustizia civile: bilancio della pandemia e idee per il futuro prossimo, in questa Rivista online, 15 febbraio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/giustizia-civile-bilancio-della-pandemia-e-idee-per-il-future-prossimo, ove sono raccolti gli interventi svolti da M.G. Civinini, C. Cecchella e G. Ruffini alla “Giornata europea della giustizia”, svoltasi il 27 ottobre 2020 presso il Tribunale di Pisa.
32. Il riferimento alla sinteticità degli atti, già richiamato nelle Linee programmatiche della Ministra Cartabia come principio da valorizzare «mediante una (...) chiara affermazione e l’introduzione di specifiche disposizioni volte a renderlo effettivo», e ribadito nel PNRR, dove viene sottolineata l’esigenza di rendere «effettivi il principio di sinteticità degli atti e» quello «di leale collaborazione tra il giudice e le parti (e i loro difensori)», era stato tradotto nelle proposte della Commissione Luiso sia come enunciazione di portata generale da introdurre nel codice di procedura civile quale «principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali di parte e dei provvedimenti giudiziali», sia in disposizioni specifiche relative ai singoli gradi di giudizio. Cfr., al riguardo, D. Cerri, Il Programma di gestione della Cassazione per il 2021: chiarezza e concisione nel linguaggio del giudice (e delle parti), in Giustizia insieme, 9 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1777-il-programma-di-gestione-della-cassazione-per-il-2021-chiarezza-e-concisione-nel-linguaggio-del-giudice-e-delle-parti-di-david-cerri), dove è tra l’altro menzionata l’approfondita elaborazione maturata sul tema nell’ambito degli Osservatori sulla giustizia civile, nella consapevolezza che «la moderna funzione della giurisprudenza, dove è fondamentale l’argomentazione giuridica per ricostruire la tutela effettiva invocata dalle persone in un sistema di fonti multilivello, comporta ancor di più la necessità dell’osservanza dei criteri di chiarezza e sintesi», ciò a cui molto possono concorrere «percorsi di formazione comune e un’opera culturale, più che una norma del codice, pur auspicabile»: non senza aggiungere che, «prima ancora, i principi di chiarezza e sintesi riguardano il legislatore perché la tecnica legislativa, specie negli ultimi tempi non adeguata a tali principi, ha creato effetti devastanti, ha prodotto inflazione ed ha contribuito alla non prevedibilità delle decisioni» (così il documento degli Osservatori sulla giustizia civile richiamato in nota 28).
Nella relazione con la quale il primo presidente della Corte di cassazione, Piero Curzio, ha illustrato il programma di gestione dell’Ufficio per l’anno 2021, l’undicesimo paragrafo contiene un ampio riferimento alla motivazione dei provvedimenti, indicando come essa debba rispondere a due requisiti – «chiarezza» e «sinteticità» – di cui da tempo, in documenti programmatici e in ripetute circolari, viene raccomandato il rispetto, e che vengono spesso evocati anche nei commenti di dottrina, quantunque poi tale raccomandazione non sia seguita «con altrettanta fermezza nella pratica dell’agire quotidiano»: cfr. R. Rordorf, Riflessioni sulla Relazione illustrativa del programma di gestione della Corte di Cassazione per l’anno 2021. 1) Commento al punto 11: “La motivazione dei provvedimenti”, in Giustizia insieme, 3 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/119-main/ordinamento-e-organizzazione/1761-commento-alla-relazione-illustrativa-del-programma-di-gestione-della-corte-di-cassazione-per-l-anno-2021-punto-11-la-motivazione-dei-provvedimenti-di-renato-rordorf).
Cfr. altresì, in argomento, B. Capponi, “Lampeggi” sulle motivazioni, ivi, 4 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1774-lampeggi-sulle-motivazion); D. Cerri, Il Programma, op. cit.
33. Come quelle relative alla riforma dell’art. 37 cpc (art. 1, comma 22, lett. c del ddl) o al superamento dell’attuale esistenza di un duplice rito nella materia dei licenziamenti del lavoratore dipendente (art. 1, comma 11 del ddl).
34. Per una forte critica alla nuova struttura che la fase introduttiva e di trattazione del processo ordinario di cognizione davanti al tribunale viene ad assumere con il ddl, cfr. M. Gattuso, La riforma governativa del primo grado: le ragioni di un ragionevole scetticismo e alcune proposte organizzative ancora possibili, in questo numero, testo aggiornato rispetto a quello già pubblicato con il titolo La riforma governativa del primo grado: il rischio di un suo fallimento e alcune proposte alternative, in questa Rivista online, 14 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/la-riforma-governativa-del-primo-grado.
35. Anche se non si hanno elementi idonei a far presumere che, pur nella “nuova” configurazione, esso possa avere più fortuna di quanto non sia accaduto nel passato. Cfr., in proposito, i richiami contenuti nello scritto ADR e proposte di riforma per la giustizia civile, citato in nota 16.
Come osserva, più radicalmente, M. Montanaro, Il rito semplificato di cognizione: un’occasione mancata, in questo numero, «il rito semplificato di cognizione, nel testo del ddl delega approvato dal Senato, non è in grado di incidere in alcun modo sui tempi di durata dei giudizi civili né attribuisce al giudice un efficace strumento di direzione del processo. Esso, pertanto, ha la sola funzione di abrogare il rito sommario di cognizione e di sostituirlo in quei procedimenti in cui a tale rito è fatto richiamo dal d.lgs n. 150/2011».
36. Cfr. G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in Giustizia insieme, 24 maggio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1747-osservazioni-al-maxi-emendamento-1662-s-xviii-di-riforma-del-processo-civile), il quale ha rilevato che «l’assenza della forza del giudicato (…) aumenta, e non diminuisce, il contenzioso, visto che il convenuto ha così la possibilità di proporre una nuova lite alla quale seguirebbero almeno due nuovi processi: quello in accertamento negativo rispetto alla condanna pronunciata, e quello in opposizione all’esecuzione avverso la condanna che è stata concessa», e ha ipotizzato una diversa formulazione della norma prevedendo, tra l’altro, che il provvedimento di condanna valga come titolo esecutivo e per l’iscrizione ipotecaria, sopravviva all’estinzione del processo e contenga la liquidazione delle spese secondo i criteri di cui agli artt. 91 ss. cpc.
In realtà, il riferimento normativo all’inidoneità della condanna ad assumere efficacia di giudicato appare in linea con la configurazione del provvedimento in esame quale provvedimento provvisorio, la cui struttura risulterebbe meglio descritta evidenziandone la revocabilità e modificabilità – in presenza di mutamenti della circostanza – e la perdita di efficacia con la sentenza, anche non passata in giudicato, che accerti l’insussistenza del diritto. Cfr., in tal senso, la proposta di articolato di S. Paparo - M. Monnini - A. Proto Pisani - M.S. Zampetti, Intervento di “pronto soccorso” per un processo (...un po’ più...) civile, in Foro it., 2017, V, c. 208 (in anteprima in questa Rivista online, 14 giugno 2017, www.questionegiustizia.it/articolo/intervento-di-pronto-soccorso-per-un-processo_un-po-piu_civile_14-06-2017.php).
Cfr. altresì, in argomento, C. Silvestri, Considerazioni sulla riforma prevista dagli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII: l’istituzione di un «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva», in Giustizia insieme, 15 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1795-considerazioni-sulla-riforma-prevista-dagli-emendamenti-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-l-istituzione-di-un-provvedimento-sommario-e-provvisorio-con-efficacia-esecutiv), ove viene tra l’altro messa in luce l’improprietà dell’accostamento, effettuato nella relazione illustrativa, tra il provvedimento e il référé-provision francese ed il summary iudgement inglese, e si osserva come meglio sarebbe stato cogliere questa occasione riformatrice per dotare anche il nostro sistema processuale di uno strumento, non limitato all’alternativa tra accoglimento e rigetto, ma dotato della duttilità necessaria per consentire l’emissione di provvedimenti adeguati «alle specifiche esigenze delle lite pendente, proprio come avviene nel processo civile francese».
A sua volta, M. Gattuso (La riforma, op.cit.), nel rilevare la contraddittorietà «fra la previsione di un rito tendenzialmente a udienza unica, e la previsione di ordinanze interlocutorie, quasi che lo stesso legislatore non creda nell’efficacia acceleratoria della sua riforma», osserva come le controversie in cui «i fatti costitutivi sono provati e le difese del convenuto appaiono manifestamente infondate», oppure quelle in cui la domanda proposta «è manifestamente infondata» ovvero è nulla, «rappresentano esattamente le domande per cui, più verosimilmente, il giudice potrà invitare le parti a precisare e discutere la causa a prima udienza, senza che la redazione di una ordinanza provvisoria possa suggerire un qualche significativo risparmio di tempo», mentre la reclamabilità al collegio del provvedimento e «la sottrazione del processo al suo giudice naturale sarebbero forieri di confusione, di perdita di tempo e, forse, anche di profili di sospetta illegittimità costituzionale».
37. Per la tesi favorevole ad aprire ai nova, ritenuti «essenziali per rimediare agli errori di uno dei 245 mila avvocati esistenti», cfr. A. Proto Pisani, Brevi osservazioni, op. cit., il quale aveva considerato le previsioni in tema di appello elaborate dalla Commissione Luiso come «la parte migliore delle proposte», sol che, oltre all’apertura verso i nova, fosse stata prospettata la soppressione dei filtri e l’abolizione di «tutte le ipotesi di inappellabilità delle sentenze (o provvedimenti analoghi) di primo grado, allo scopo di assicurare l’unico vero filtro – allo stato – immaginabile al ricorso in Cassazione».
38. Così G. Federico, Il giudizio di appello, in questo numero, ove viene tra l’altro paventato il pericolo che l’attenuazione della collegialità possa produrre un impatto negativo sulla qualità della decisione, e si osserva come la dialettica e l’esigenza di coordinamento tra consigliere istruttore e collegio confliggano con il principio di concentrazione e rischino «di rendere farraginoso l’iter processuale del giudizio di appello, in contrasto con l’opportunità di garantire una tendenziale uniformità e dunque prevedibilità sui principali snodi e questioni processuali (…) nonché sulle prassi procedurali che la distribuzione delle cause tra i diversi consiglieri istruttori non aiuterà di certo a garantire».
39. Cfr., al riguardo, gli ampi rilievi critici di G. Federico, op. ult. cit., il quale evidenzia come in questo modo sia stato introdotto «uno specifico mezzo di impugnazione della sola statuizione sulle spese, che prescinde del tutto dai presupposti dell’errore, quale divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l’intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione, e integra un’impugnazione – di carattere straordinario, potendo proporsi nei confronti di una pronuncia definitiva – avverso la statuizione sulle spese di lite, già passata in giudicato, entro un anno dalla pubblicazione del provvedimento».
40. Così M. Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio. Riforma processuale e ufficio del processo: cambia il volto della Cassazione?, in questo numero.
41. Cfr. B. Capponi e A. Panzarola, Questioni e dubbi sulle novità del giudizio di legittimità secondo gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia insieme, 21 maggio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1744-questioni-e-dubbi-sulle-novita-del-giudizio-di-legittimita-secondo-gli-emendamenti-governativi-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-breve-contributo-al-dibattito).
In argomento vds., altresì, G. Costantino, I procedimenti di legittimità nella prospettiva del superamento dell’emergenza sanitaria, in questa Rivista online, 23 febbraio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/i-procedimenti-di-legittimita-nella-prospettiva-del-superamento-dell-emergenza-sanitaria.
42. F. Vigorito, Gli interventi sul processo esecutivo previsti dal ddl delega AS 1662/XVIII collegato al «Piano nazionale di ripresa e resilienza», in questo numero, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 10 dicembre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/gli-interventi-sul-processo-esecutivo).
43. Vds. la legge n. 302/1998, che ha introdotto il notaio nell’espropriazione immobiliare sia quale pubblico ufficiale per il rilascio delle certificazioni ipocatastali (in alternativa a quelle rilasciate dall’Agenzia del territorio), sia quale delegato dal giudice alla vendita. Cfr. G. Miccolis, L’esecuzione forzata nella riforma che ci attende, in questo numero, cui si rinvia per la ricostruzione dello sviluppo della legislazione in tema di esecuzione forzata; vds. anche, al riguardo, F. Vigorito, Gli interventi, op.cit.
44. Cfr., al riguardo, le osservazioni di F. Vigorito, op. ult. cit.
45. Così, ancora F. Vigorito, op. ult. cit., con l’auspicio che i dirigenti degli uffici si adoperino comunque per organizzare e fornire un’adeguata struttura all’ufficio per il processo in materia esecutiva, destinando a questo settore eventuali tirocinanti di cui all’art. 73 dl n. 69/2013 e che i presidenti di sezione e i singoli giudici dell’esecuzione utilizzino al meglio queste risorse.
46. Cfr., in particolare, A. Proto Pisani, da ultimo con lo scritto Brevi osservazioni, op. cit.
47. Proposte nelle quali, per la parte in esame, vengono prospettati un sia pur contenuto aumento della competenza per valore, portandola da euro 5.000 a euro 15.000, e la soppressione della competenza nella materia condominiale e nelle immissioni. Cfr., al riguardo, E. Aghina, La proposta di modifica della riforma del d.lgs.vo n.116/2017 sulla magistratura onoraria elaborata dalla Commissione ministeriale, in Giustizia insieme, 4 agosto 2021, (www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/1903-la-proposta-di-modifica-della-riforma-del-d-lgs-vo-n-116-2017-sulla-magistratura-onoraria-elaborata-dalla-commissione-ministeriale-di-ernesto-aghina).
Cfr. pure, sul tema, L. Ciafardini, Il restyling prossimo futuro dello status della magistratura onoraria: cosa bolle davvero in pentola?, ivi, 25 novembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/2039-il-restyling-prossimo-futuro-dello-status-della-magistratura-onoraria-cosa-bolle-davvero-in-pentola).
48. Come osserva B. Capponi, Prime note, op. cit., gli interventi sulla disciplina processuale, seppur necessari – ma meno urgenti di quelli incidenti sulle strutture – «non debbono introdurre nuove complicazioni appesantendo il lessico di norme divenute, di rimaneggiamento in rimaneggiamento, dei veri labirinti di parole, di termini, di espressioni a volte contraddittorie (…). Le norme processuali debbono essere riportate a chiarezza ma anche a essenzialità; previsioni di dettaglio debbono essere evitate, perché gli operatori – che sono tutti dei professionisti – quali destinatari elettivi di queste norme debbono essere in condizioni di applicarle con ragionevolezza, duttilità, modo, adattandole alle particolarità dei singoli casi».
49. Così M. Gattuso, La riforma, op. cit., il quale osserva come «la piena definizione dell’oggetto del processo e dei mezzi di prova prima dell’udienza configura una novità di enorme rilievo per il nostro rito civile, che ricalca analoghe previsioni di altri ordinamenti europei», mentre quella «di ben tre memorie fra gli atti introduttivi e l’udienza» di comparizione costituisce una riforma inedita che rischia di suscitare negli operatori «dubbi e sconforto ben maggiori» di quelli determinati dall’anticipazione a pena di decadenza – prevista nella prima proposta Cartabia del giugno 2021 – del termine per l’indicazione delle prove negli atti introduttivi, «evocandosi da più parti, a ragione, lo spettro della rovinosa esperienza del rito societario».
50. Affiancandosi altresì (secondo prime valutazioni seguite alle proposte di riforma) a una tecnica di «respingimento del contenzioso come ordinario dispositivo deflattivo» che, non assente nel giudizio di primo grado, si fa più acuta per il giudizio d’appello: cfr., per considerazioni al riguardo, B. Capponi, Prime note, op. cit. Per C. Silvestri, Considerazioni, op. cit., la previsione secondo cui il giudice, all’esito della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa, potrebbe pronunciare ordinanza provvisoria di rigetto della domanda allorché sia stato omesso o risulti assolutamente incerto il requisito stabilito dall’art. 163, comma 3, n. 3 cpc, ovvero quando manchi l’esposizione dei fatti di cui al n. 4 del medesimo comma, eliminerebbe la possibilità di rinnovazione dell’atto sostituendola con quella del reclamo avverso l’ordinanza del giudice, con un irrigidimento formale «destinato a ingombrare i ruoli anziché ad alleggerirli proprio per il necessario impiego del reclamo che, ove confermato, costringerebbe la parte a riproporre la domanda dopo l’inutile, lungo e costoso esperimento delle vie giudiziali, sfociato in una pronuncia di puro rito», mentre la previsione relativa all’ordinanza provvisoria di rigetto per “manifesta infondatezza” susciterebbe dubbi sia con riguardo agli artt. 24 e 3 della Cost., traducendosi «nella necessità di provare il fumus della fondatezza della domanda giudiziale per accedere alla tutela ordinaria» sia sotto il profilo tecnico, in quanto la norma, riferita esclusivamente alla domanda di parte attrice, «tace del tutto sui problemi connessi alla presenza di una domanda riconvenzionale».
51. Cfr. B. Capponi e A. Panzarola, Questioni e dubbi, op. cit.
52. Cfr., al riguardo, M. Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio, op. cit.
53. Per una valutazione favorevole al riguardo (e per rilievi critici relativamente ad altri aspetti delle proposte), cfr. invece R. Frasca, Considerazioni sulle proposte della Commissione Luiso quanto al processo davanti alla Corte di Cassazione, in Giustizia insieme, 7 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1779-considerazioni-sulle-proposte-della-commissione-luiso-quanto-al-processo-davanti-alla-corte-di-cassazione), il quale considera la novità che si intende introdurre come «l’unica opzione possibile per preservare la funzione assegnata alla Corte di Cassazione dall’art. 67 dell’Ordinamento giudiziario e nel contempo giustificare la conservazione della norma dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione», considerato dall’Autore come «l’architrave dell’assetto costituzionale della Magistratura Ordinaria».
54. L’espressione è di B. Capponi, È opportuno attribuire nuovi compiti alla Corte di Cassazione?, in Giustizia insieme, 19 giugno 2021 (https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1811-e-opportuno-attribuire-nuovi-compiti-alla-corte-di-cassazione-di-bruno-capponi), citato da C.V. Giabardo, In difesa della nomofilachia. Prime notazioni teorico-comparate sul nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione nel progetto di riforma del Codice di procedura civile, ivi, 22 giugno 2022 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1815-in-difesa-della-nomofilachia-prime-notazioni-teorico-comparate-sul-nuovo-rinvio-pregiudiziale-alla-corte-di-cassazione-nel-progetto-di-riforma-del-codice-di-procedura-civile-di-carlo-vittorio-giabardo), a cui si rinvia anche per i richiami di diritto comparato.
55. E. Scoditti, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, in questo numero (pubblicato in anteprima su questa Rivista online il 30 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/brevi-note-sul-nuovo-istituto-del-rinvio-pregiudiziale-in-cassazione), ove si osserva come «il principio di diritto che la Corte di cassazione enuncia quando accoglie il ricorso per violazione di legge ha una duplice valenza: per un verso, è diritto quale criterio di validità della sentenza impugnata e regola di giudizio per il giudice di merito cui viene rinviato il processo; per l’altro, è diritto quale istituzione perché è elaborazione dell’uniforme interpretazione della legge».
56. Così E. Scoditti, op. ult. cit. Per una valutazione favorevole sull’istituto, cfr. altresì M. Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio, op.cit.
57. Cfr. G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento, op. cit.; per altre critiche, Id., Giuseppe Chiovenda (e i problemi attuali del nostro processo civile), in Giustizia insieme, 27 novembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/2042-giuseppe-chiovenda-e-i-problemi-attuali-del-nostro-processo-civile-di-giuliano-scarselli); B. Capponi, Prime note, op. cit.; G. Scarselli, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, in Giustizia insieme, 5 luglio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1838-note-sul-rinvio-pregiudiziale-alla-corte-di-cassazione-di-una-questione-di-diritto-da-parte-del-giudice-di-merito-di-giuliano-scarselli).
Per considerazioni dubitative sull’utilità dell’istituto, cfr. L. Salvato, Verso la riforma del processo tributario: il “rinvio pregiudiziale” ed il ricorso del P.G. nell’interesse della legge, ivi, 19 luglio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/1867-verso-la-riforma-del-processo-tributario-il-rinvio-pregiudiziale-ed-il-ricorso-del-p-g-nell-interesse-della-legge), cui si rinvia per ulteriori citazioni di dottrina, per riferimenti di diritto comparato e per il rinvio alla Relazione della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, presieduta da G. della Cananea, relazione depositata il 30 giugno 2021 (www.fiscooggi.it/sites/default/files/file/2021/07/relazione-finale-commissione-interministeriale-MEF-riforma-giustizia-tributaria_30-06-21.pdf) e contenente, al pari della Relazione della Commissione Luiso, previsioni positive in ordine all’efficacia deflattiva dell’istituto.
58. In tal senso, vds. anche M. Gattuso, La riforma, op. cit., secondo il quale il nuovo strumento – esponendo, tra l’altro, per la sua ampiezza, al rischio di continue sospensioni e a quello di un rifugio nel conformismo giudiziario – finirebbe per trascurare il valore culturale della giurisdizione, per sottovalutare il contributo che l’elaborazione della giurisprudenza di merito e della dottrina fornisce alla Corte di cassazione nello svolgimento della sua funzione nomofilattica, e per sacrificare l’esigenza di un diritto aderente alla evoluzione della realtà sociale ed economica, determinando un impoverimento della giurisprudenza della stessa Cassazione e aprendo al pericolo di una gestione troppo accentrata e verticistica della giustizia civile.
59. Per M. Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio, op. cit., anche se alcune modifiche – come quella relativa all’unificazione dell’attività di “filtro” preventivo a proposito della destinazione della controversia – appaiono del tutto razionali, «dalla prima lettura delle norme di riforma del processo di cassazione è difficile ipotizzare una loro decisiva capacità di incidenza sull’attuale durata del processo di legittimità e sulla efficienza di un ufficio la cui funzione nomofilattica appare compromessa in ragione della prevalenza attribuita a quella, diversa, di giudice di terzo grado».
60. Tra l’altro – e come osserva C. Castelli, I Progressi della giustizia civile, in R. Fuzio (a cura di), Il Processo civile oggi. In omaggio a Giorgio Costantino, Cacucci, Roma, 2021 –, se si analizzano le pendenze di cause civili in Italia, può constatarsi come vi sia un costante miglioramento sia in termini di numeri assoluti (una riduzione di circa il 45 per cento dal 2009 al 2019) sia in termini di cause arretrate (intendendosi per tali le cause ultra triennali per il primo grado, e quelle ultra biennali per il grado d’appello), con una riduzione del 49 per cento per le corti d’appello e del 46 per cento per i tribunali. Vds. anche, dello stesso Autore, I luoghi comuni da sfatare della giustizia civile, in questa Rivista online, 2 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/i-luoghi-comuni-da-sfatare-della-giustizia-civile.
61. Così il documento Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro, febbraio 2021.
62. Il «fattore tempo al centro», recita il PNRR. Come osserva A. Tedoldi, Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia, in Quaderni di Judicium, n. 15, Pacini, Pisa, 2021, «nella visione economico-aziendale-finanziaria che connota ogni novella da molti anni a questa parte – tanto più oggi, al fine di percepire gli ingenti fondi europei del Recovery Plan (…) si ripete ossessivamente che “justice delayed is justice denied”: il “far presto” lascia completamente in ombra il “far bene”, nessuno curandosi della qualità dell’istruzione probatoria e dei provvedimenti giudiziali, bensì unicamente dei tempi di smaltimento e di “rottamazione” dei fascicoli».
63. Così, ad esempio, A. Carratta, Tutela sommaria come alternativa al processo ordinario ed al giudicato?, Csm, IX Commissione, incontro di studio sul tema “Ragionevole durata del processo civile: interpretazioni ed effetti” (www.academia.edu/20674242/Tutela_sommaria_come_alternativa_al_processo_ordinario_e_al_giudicato), in cui vengono tra l’altro sottolineati i limiti che la tutela del diritto soggettivo ottenuta attraverso provvedimenti sommari alternativi al giudicato evidenzia «sia sul piano della piena compatibilità di tali soluzioni (...) con il principio della ragionevole durata, sia con la salvaguardia della paritaria posizione delle parti rispetto ai rimedi esperibili avverso provvedimenti di questa natura» e come «di fatto, attraverso il ricorso generalizzato a forme di tutela sommaria autonoma con finalità meramente esecutive o a forme di tutela endoprocessuale si finisce anche per trasformare il ricorso alla tutela sommaria o provvisoria da strumento eccezionalmente utilizzato dal legislatore al fine di ottenere – per particolari categorie di diritti o per la particolare certezza della pretesa attorea – l’inversione dell’onere di subire le conseguenze negative della durata (anche fisiologica) del processo a cognizione piena, in strumento di vera e propria “sommarizzazione” della tutela giurisdizionale dei diritti».
64. Cfr. il documento degli Osservatori sulla giustizia civile richiamato nella nota 28 (www.milanosservatorio.it/wp-content/uploads/2021/03/OSSERVATORI-DOC-PER-MIN-CARTABIA-9-3-2021.pdf).
65. La pandemia da Covid-19 ha tra l’altro mostrato, in tutta evidenza, non solo «la fragilità e insostenibilità del nostro modello di vita, ma anche (…) una serie smisurata di ingiustizie e vittime prodotta da una gestione puramente mercantile della salute. Ricerca, produzione e distribuzione dei farmaci, ivi compresi i vaccini, sono ormai quasi completamene controllate da potenti imprese private, e il sistema dei brevetti costituisce una solida base giuridica su cui appoggiarsi (…). Per troppo tempo il dogma secondo cui il regime di proprietà intellettuale rappresenti una necessità è stato accettato senza discussione, suffragato da un tacito consenso o dall’inerzia»: così M. Manunta e M. Bianchi nel lucidissimo volume Senza brevetto per vaccini, farmaci e piante, MC Editrice, Milano, giugno 2021, con la sollecitazione a superare un sistema – quello dei brevetti in campo sanitario e sulle varietà vegetali – «che condanna milioni di persone».
66. Nel PNRR, che pone tra i suoi obiettivi lo sviluppo di politiche adeguate per i giovani, per le donne, per ridurre il divario di cittadinanza, per il sostegno agli anziani non autosufficienti e alle persone con disabilità, si legge testualmente, tra le altre cose, che «l’efficienza dell’amministrazione della giustizia rappresenta un valore in sé, radicato nella cultura costituzionale europea che richiede di assicurare “rimedi giurisdizionali effettivi” per la tutela dei diritti, specie dei soggetti più deboli».
67. Per riferimenti alla tutela giudiziaria in materia di protezione internazionale cfr., tra i più recenti, il fascicolo n. 1/2021 di Questione giustizia trimestrale, dedicato a Il diritto alla protezione internazionale e l’impegno della giurisdizione, a cura di Maria Acierno, www.questionegiustizia.it/speciale/il-diritto-alla-protezione-internazionale-e-l-impegno-della-giurisdizione-57633; I. Pagni, La tutela giurisdizionale in materia di protezione internazionale tra regole del processo ed effettività del diritto alla protezione, in questa Rivista online, 8 febbraio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/la-tutela-giurisdizionale-in-materia-di-protezione-internazionale-tra-regole-del-processo-ed-effettivita-del-diritto-alla-protezione; A. Di Florio, Il ricorso per Cassazione in materia di protezione internazionale: alcune domande eretiche, ivi, 25 gennaio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/il-ricorso-per-cassazione-in-materia-di-protezione-internazionale-alcune-domande-eretiche e, più recentemente, Id., Protezione umanitaria e protezione speciale. La “vulnerabilità” dopo Cass. SU n. 24413/2021, ivi, 15 ottobre 2021, ove si evidenzia come, dopo anni di incessante evoluzione normativa dell’istituto della protezione umanitaria e di fondamentali interventi interpretativi della giurisprudenza di legittimità, la sentenza in commento abbia sottolineato la rilevanza della vulnerabilità della persona con riferimento all’art. 8 della Cedu e valorizzato il principio della “comparazione attenuata”, già coniato in passato per i casi più drammatici; C. Favilli, Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo: “c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico”, ivi, 2 ottobre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/il-patto-europeo-sulla-migrazione-e-l-asilo-c-e-qualcosa-di-nuovo-anzi-d-antico; L. Neri e A. Guariso, Il giudizio di legittimità e la protezione internazionale. La parola alla difesa, ivi, 11 settembre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/il-giudizio-di-legittimita-e-la-protezione-internazionale-la-parola-alla-difesa; F. Mangano, La Corte costituzionale e l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo (Corte cost. n. 186 del 2020), ivi, 23 dicembre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/la-corte-costituzionale-e-l-iscrizione-anagrafica-dei-richiedenti-asilo-corte-cost-n-186-del-2020; Aa. Vv., Il diritto alla protezione internazionale e l’impegno della giurisdizione, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2020, www.questionegiustizia.it/rivista/il-diritto-alla-protezione-internazionale-e-l-impegno-della-giurisdizione.
68. Così il PNRR, ove si osserva che, in base a studi empirici, «una giustizia rapida e di qualità stimola la concorrenza, poiché accresce la disponibilità e riduce il costo del credito, oltre a promuovere le relazioni contrattuali con imprese ancora prive di una reputazione di affidabilità, tipicamente le più giovani; consente un più rapido e meno costoso reimpiego delle risorse nell’economia, poiché accelera l’uscita dal mercato delle realtà non più produttive e la ristrutturazione di quelle in temporanea difficoltà; incentiva gli investimenti, soprattutto in attività innovative e rischiose e quindi più difficili da tutelare; promuove la scelta di soluzioni organizzative più efficienti».
69. Come osserva M. Gattuso, La riforma, op. cit., «una giustizia lenta e farraginosa è funzionale agli interessi di quei poteri che del giudice possono fare a meno e che, anzi, nel tempo infinito in cui questi arriva alla decisione hanno modo di imporsi, di salvaguardare comunque i loro interessi. Una giustizia più veloce consente di dedicare attenzione e risorse a una protezione più attenta dei diritti fondamentali», per cui «non vi è contraddizione fra efficienza e qualità», l’una costituendo anzi «il presupposto dell’altra».
70. Così M. Betti, Quali riforme per una giustizia civile in cambiamento, in questa Rivista online, 23 luglio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/quali-riforme-per-una-giustizia-civile-in-cambiamento, la quale osserva come la domanda di giustizia oggi posta nelle aule dei tribunali sia «diversa perché non si occupa di atti ma di rapporti, non di parti autonome e uguali ma di parti in relazione asimmetriche di cura o dipendenza» ed ha sempre più per oggetto i diritti fondamentali della persona. Funzione essenziale della giurisdizione è garantire il rispetto di tali diritti; e se «la giustizia civile non è in grado di rispondere a questa contemporanea domanda di giustizia, è la sua stessa legittimazione ad essere messa in discussione».
71. La valutazione che l’obiettivo perseguito dalla riforma possa avere qualche chance di successo solo se accompagnata da profondi e radicali interventi organizzativi (oltre che da un piano straordinario di esaurimento del pesante arretrato presente in molti tribunali del Paese) è generalizzata: cfr., ad esempio, in questo numero, M. Gattuso, La riforma, op. cit.; M. Montanaro, Il rito semplificato, op. cit.
72. La redazione (entro un termine di cui è prossima la scadenza) dei programmi di gestione relativi ai procedimenti civili ex art. 37 dl n. 98/2011, convertito con mod. dalla legge n. 111/2011, quest’anno si dimostrerà per i dirigenti degli uffici particolarmente impegnativa, dovendosi tener conto nella relativa formulazione anche dell’arrivo degli addetti all’Ufficio per il Processo.
Con l’all. II, n. 1 del dl n. 80/2021 – convertito con mod. dalla l. n. 113/2021 – sono state definite le specifiche competenze e mansioni del personale amministrativo addetto a tempo determinato all’ufficio per il processo.
73. Anche per la Cassazione, la possibilità di conseguire dalle riforme reali effetti migliorativi si gioca in buona parte sulla capacità di attuare le previsioni relative all’ufficio del processo, struttura operativa ritenuta determinante nell’ opera di «individuazione della materia oggetto della singola controversia, e soprattutto delle questioni interpretative aperte o controverse a cui dare tempestiva e prioritaria risposta» e che grazie all’innesto di nuove figure professionali, che alla minor esperienza di lavoro sapranno presumibilmente associare, tuttavia, una maggior dimestichezza col mezzo informatico, «pare foriero di reale cambiamento all’interno di un mondo professionale sempre tentato dal pericolo della autoreferenzialità e spesso poco avvezzo al confronto – interno quanto esterno – circa le migliori pratiche capaci di favorire una migliore resa del servizio» (così M. Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio, op. cit.).
L’importante novità rappresentata, per la Corte di cassazione, dall’ufficio per il processo costituisce oggetto dell’articolo di A. Di Florio, Il nuovo ufficio per il processo: proposte per la Corte di cassazione, in questo numero e già in questa Rivista online, 27 settembre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-nuovo-ufficio-per-il-processo-proposte-per-la-corte-di-cassazione), dove vengono analizzate le potenzialità dell’istituto e formulate proposte per la sua concreta attuazione.
74. Oltre ai richiami contenuti nel mio Appunti sulla “mediazione a scopo di conciliazione”, op. cit., cfr. A. De Durante, Un esempio pratico di ufficio per il processo. L’esperienza pisana, in questo numero; M.G. Civinini, Il “nuovo ufficio per il processo” tra riforma della giustizia e PNRR. Che sia la volta buona!, già pubblicato in questa Rivista online, 8 settembre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-nuovo-ufficio-per-il-processo), ora riprodotto in questo numero, in cui l’Autrice, dopo aver sintetizzato la situazione attuale e il quadro normativo vigente, e analizzato il peso che per il raggiungimento degli obbiettivi tracciati dal PNRR per la giustizia potrà giocare l’ufficio per il processo, ipotizza una possibile “road map” dei prossimi mesi verso l’UPP e si concentra sugli effetti che l’adozione di questo modulo operativo è suscettibile di determinare sul ruolo del giudice.
Come osserva I. Pagni, l’Ufficio per il processo: l’occasione per una (ulteriore) osmosi virtuosa tra teoria e pratica, con uno sguardo alle riforme processuali in cantiere, in questa Rivista online, 17 novembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/l-ufficio-per-il-processo, i progetti curati dall’università per la descrizione e la realizzazione delle azioni di supporto all’attivazione e organizzazione degli uffici per il processo nelle varie sedi giudiziarie costituiscono «la migliore risposta a chi teme che l’impiego dei giovani e meno giovani nella struttura dell’Ufficio per il processo possa portare ad una sostituzione del giudice nel suo compito proprio, che è quello della stesura delle sentenze, ma anche a chi teme che il profilo professionale degli addetti all’Ufficio possa risultare troppo sbilanciato su compiti di carattere meramente organizzativo».
In argomento, cfr., da ultimo, M. Sciacca, Ipotesi di modelli per progettare l’Ufficio per il Processo. Narrazione di un percorso condiviso ed elaborazione di una prima check list sperimentale, in Giustizia insieme, 29 novembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/organizzazione-della-giustizia/2045-ipotesi-di-modelli-per-progettare-l-ufficio-per-il-processo).
75. Cfr. L. Minniti, L’ufficio per il processo nelle Sezioni distrettuali specializzate di immigrazione e protezione internazionale: una straordinaria occasione di innovazione a supporto della tutela dei diritti fondamentali degli stranieri, già pubblicato in questa Rivista online, 28 ottobre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/l-ufficio-per-il-processo-nelle-sezioni-distrettuali-specializzate-di-immigrazione), ora riprodotto in questo numero; F. Vigorito, Un progetto di ufficio per il processo per la sezione in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, in questa Rivista online, 3 giugno 2017, www.questionegiustizia.it/articolo/un-progetto-di-ufficio-per-il-processo-per-la-sezi_03-06-2017.php.
Il carattere straordinario della svolta è reso evidente anche dall’entità delle risorse messe a disposizione. Nell’ambito del Recovery Plan, il 4 giugno il Consiglio dei ministri ha destinato un miliardo e 657 milioni per 16.500 assunzioni da effettuare in tre anni, assunzioni cui se ne aggiungeranno altre 5.410, per 602 milioni, relative a unità tecniche e amministrative.
Come ricordato nel PNRR, anche la dotazione organica dei magistrati è stata aumentata di 600 unità, «un intervento necessario, ma non ancora sufficiente per portare il numero di magistrati in Italia in linea con la media dei Paesi europei». Grazie alla rimodulazione delle procedure effettuata con il dl n. 44/2021, verranno espletate, con modalità compatibili con la situazione sanitaria e nel rispetto di tutti i protocolli di sicurezza, le prove del concorso per l’accesso alla magistratura bandito nell’ottobre 2019 e rinviato a causa dell’emergenza, «a cui seguiranno tempestivamente altri concorsi». Inoltre, per risolvere il problema dell’arretrato, è stata istituita una “pianta organica flessibile”, un contingente distrettuale di magistrati (176 unità) destinato ad ovviare alle “criticità di rendimento” rilevate in determinati uffici giudiziari.
76. Così R. Caponi, Un orizzonte aperto su una nuova forma di vita giudiziaria: l’ufficio per il processo, in questo numero.
77. Cfr. M. Delia, Le ADR nei moduli organizzativi del processo civile e nella programmazione del PNRR, in questo numero, dove si accenna, tra l’altro, alle potenzialità di un «modello di ufficio del processo conciliativo».
78. Su cui vds., in questo numero, C. Castelli, Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro.
L’11 novembre 2021 è diventato operativo e accessibile al pubblico il sito dedicato al progetto “Giustizia predittiva” di Brescia, la cui presentazione è avvenuta in pari data presso la Camera di commercio della medesima città.
79. Come osserva G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, op. cit., ora in questo numero, in un contesto caratterizzato da «pluralità di fonti concorrenti», «frenesia legislativa», «mutevolezza» e «opacità dei testi normativi», torna in primo piano l’attenzione sul ruolo della giurisprudenza, sulle tecniche interpretative e sulla «prevedibilità delle decisioni, la quale implica e presuppone la circolazione delle informazioni» e l’«assoluta trasparenza delle decisioni» stesse.
80. Così P. Liccardo, Il nuovo tempo, op.cit., il quale – ricordando anche parole di Carlo Maria Verardi – osserva come «[l]a pubblicazione di tutte le sentenze rese priverà il giudice della necessità di riconoscere nella sola “motivazione dotta” la qualità del suo operare, che potrà essere costruito all’interno di una pluralità di decisioni, in un processo di “accumulazione quotidiana” capace di rendere il senso di una nuova e diversa completezza motivazionale. Gli uffici giudiziari diventano in questo modo laboratori di idee, di prassi censite, di pensamenti e ripensamenti collettivi. Nell’era della diffusione informativa, non vi può essere alcuno spazio per l’ “‘intelligenza’ incapace di connessione”».
81. Come osserva R. Braccialini, Gli uffici per i processi: quattro nodi politici, un’incognita, già pubblicato in questa Rivista online, 13 settembre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/gli-uffici-per-i-processi-quattro-nodi-politici-un-incognita), e riprodotto in questo numero, adesso che sono in vista risorse effettive, «diventa necessario impegnarsi nella cantierizzazione degli uffici per i processi nelle singole sedi giudiziarie», con la conseguente necessità di coinvolgimento del «“pilastri” dell’organizzazione giudiziaria (…): progettualità condivisa; interlocuzione, reale coordinamento e leale cooperazione tra Ministero e Csm; attenzione per le strutture intersezionali di auditing e rivisitazione delle statistiche giudiziarie nonché, da parte del legislatore, equilibrio nell’introdurre solo riforme indispensabili»; nodi politici tutti cui «si aggiunge l’incognita sul concreto atteggiamento che assumerà l’avvocatura rispetto all’UPP».
Il Csm, nel richiamato parere in data 15 settembre 2021, ha rilevato come fosse stata «totalmente pretermessa (…) la considerazione – da un lato – dell’attuale modulo organizzativo tipico dell’ufficio del giudice civile, destinato ad operare in solitudine, non solo in udienza, ma anche nell’attività di studio e di decisione (ciò che ha certamente contribuito alla formazione di un habitus mentale poco avvezzo alla delega di tali attività ad altri, tanto più in assenza di un rapporto fiduciario pregresso) e – dall’altro – degli ingenti costi di formazione iniziale dei soggetti selezionati, che rischiano di risultare sproporzionati rispetto all’esigua durata complessiva (biennale o poco più) dei rapporti di lavoro instaurandi».
82. Vds. al riguardo, tra gli altri, M.G. Civinini, Il “nuovo ufficio per il processo”, op. cit., e M.A. Zumpano, ADR e riforma del processo civile, op. cit.
83. Timori in questo senso vengono avanzati da G. Scarselli, Osservazioni sul disegno di legge delega, op. cit., il quale, contrastando l’idea che il primo obiettivo da perseguire «sia solo, o soprattutto, quello della brevità dei tempi, attraverso una standardizzazione aziendalistica delle decisioni», osserva come la giustizia non possa essere «delegata ad un team di giovani, per quanto coordinati da un magistrato, appena usciti dalle università, assunti a tempo determinato e con compensi minimi; la giustizia deve essere resa personalmente dai magistrati, secondo scienza e coscienza (…). E tanto è più pericoloso l’ufficio del processo, quanto più si penserà ad esso in termini di riduzione dei tempi processuali, perché ogni tempo guadagnato con esso equivarrà ad una semplificazione della funzione giurisdizionale». Vds., pure, M. Morgia, Ufficio per il Processo, una opportunità o un rischio per la Giustizia?, in Giustizia insieme, 19 novembre 2021, (www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/2028-ufficio-per-il-processo-una-opportunita-o-un-rischio-per-la-giustizia).
Con riguardo all’inserimento dei magistrati onorari nell’ufficio per il processo, cfr. A Perolio, Ufficio per il processo e magistratura onoraria. Un nuovo caso di anomalia nel panorama europeo, in Giustizia insieme, 3 novembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/2007-ufficio-per-il-processo-e-magistratura-onoraria-un-nuovo-caso-di-anomalia-nel-panorama-europeo); S. Leo, Ufficio per il Processo. Criticità costituzionali, ivi, 19 novembre 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/2029-ufficio-per-il-processo-criticita-costituzion). Le critiche riflettono il timore di “declassamento” diffuso tra i gop in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs n. 116/2017, e in parte legato sia alla decurtazione delle indennità all’80 per cento prevista dall’art. 23, comma 3 del citato d.lgs, sia alle difficoltà di decollo della struttura (laddove istituita presso alcuni tribunali) causate dall’assenza di personale amministrativo stabile. Ma – come si legge nella Relazione sulle proposte di riforma della magistratura onoraria, ricordate supra, alla nota 47 – tali timori dovrebbero considerarsi fugati dalle scelte effettuate con il PNRR e con il dl n.80/2021, e dalla creazione di una struttura innovativa e ricca di competenze, che rende non ragionevole «sottrarre l’apporto dei giudici onorari di pace (di maggiore esperienza)», la collaborazione dei quali «non potrà che essere diversa da quella destinata ai tirocinanti e ai contrattisti selezionati ai sensi dell’art. 11 d.l. n. 80/2021». Nelle proposte viene, dunque, opportunamente specificato che l’eventuale destinazione dei gop all’ufficio per il processo avvenga in modo non esclusivo, consentendo al magistrato onorario l’espletamento dell’attività giudiziaria «che verosimilmente (non essendo surrogabile con altre figure professionali, come invece accade per l’U.P.P.) costituirà la prevalente destinazione tabellare dei g.o.p. nei Tribunali».
In senso favorevole, cfr., da ultimo, C. Sabatini, Magistratura onoraria e Ufficio per il Processo: (ulteriori) spunti per un sistema, in Giustizia insieme, 23 novembre 2021, (https://www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/2035-magistratura-onoraria-e-ufficio-per-il-processo-ulteriori-spunti-per-un-sistema-di-carlo-sabatini), secondo il quale «la forma flessibile e variabile di impiego dei magistrati onorari già in servizio, proposta dalla Commissione Castelli», sarebbe quella più in linea «con gli scenari futuri: a cominciare dalla previsione, per il quadriennio 2022-2025, dell’ingresso delle figure previste (a tempo determinato) dalla legge 113/21». La presenza a tempo pieno nell’UPP di magistrati onorari, i quali recupererebbero in questo modo la vocazione “conciliativa” che ne costituiva uno dei tratti originari, consentirebbe tra l’altro di potenziare le attività deflattive mediante «lo svolgimento di attività di verifica preventiva di definizioni anche stragiudiziali (nel penale remissioni di querele, condotte riparative, riti premiali, MAP; nel civile le conciliazioni ante causam».
84. Cfr., sul punto, il severo richiamo di G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, op.cit., il quale, nel sottolineare l’esigenza di porre un freno alla «frenesia legislativa» e di ricondurre le norme a un sistema leggibile e coerente, anche per adeguarne il contenuto al processo telematico, osserva come la disciplina processuale sia «ormai da tempo un tessuto patchwork o un vestito di Arlecchino, nell’ambito del quale l’incubo degli interpreti e degli operatori consiste nello scioglimento delle contraddizioni in funzione di una necessaria opera di coordinamento».
85. E voglio qui ricordare il progetto a lungo raggio disegnato nel ricordato documento Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro, su cui vds. C. Castelli, op. cit., in questo numero.