La Cassazione tra realtà e desiderio. Riforma processuale e ufficio del processo: cambia il volto della Cassazione?
Dalla prima lettura delle norme di riforma del processo di cassazione è difficile ipotizzare una loro decisiva capacità di incidenza sull’attuale durata del processo di legittimità e sulla efficienza di un ufficio la cui funzione nomofilattica appare compromessa in ragione della prevalenza attribuita a quella, diversa, di giudice di terzo grado. Molto dipenderà anche dalle scelte operate nel dare applicazione alle norme sull’ufficio del processo anche in Cassazione. L’auspicio è quello dell’affermarsi di un metodo di lavoro frutto dell’apporto di formazioni ed esperienze diverse, tutte però messe al servizio di un’idea di giurisdizione più efficace e moderna.
1. Il volto o i “volti” della Cassazione / 2. La Corte di cassazione: terzo grado di giudizio? / 3. La Corte dei diritti / 4. Esiste un punto di equilibrio? / 5. Le riforme in cantiere e l’ambizione per un nuovo futuro della Corte: trasfigurazione o maquillage? / 6. Conclusioni
1. Il volto o i “volti” della Cassazione
Quanti e quali sono i “volti” della Corte di cassazione? Ne bastano tre, come nel film di Hitchcock, per definirla? E, soprattutto, è giusto ricorrere a metafore che richiamano incubi e paure? Anticipiamo che la nostra risposta è negativa su quest’ultima domanda: la Corte di cassazione conserva ed accresce un ruolo di primo piano nella attuazione dei diritti delle persone, secondo le linee assiologiche della dignità e dell’uguaglianza. Ma anche alla prima domanda dobbiamo dare una risposta negativa. I volti della Corte sono molteplici e non tutti rimandano immagini virtuose. Ma se si deve esaminare un disegno riformatore come quello di prossima introduzione, che intende restituire alla Corte efficienza ed effettività, è bene non nascondersi le criticità che, allo stato, ostacolano il completo esercizio della funzione nomofilattica. Tanto più che la narrazione politica che sostiene la riforma processuale e l’introduzione dell’ufficio del processo, unitamente all’ingente numero di risorse umane da destinare agli obiettivi del PNRR[1], è quella di un’occasione unica e imperdibile per l’intero complesso della giurisdizione ordinaria.
2. La Corte di cassazione: terzo grado di giudizio?
A causa della prescrizione contenuta nell’art. 111, settimo comma, Cost.[2], la Corte può essere rappresentata come un terzo grado di giudizio ad accesso illimitato per tutte le tipologie di controversie civili, con esclusione dei provvedimenti privi di decisorietà o definitività[3]. Il numero dei ricorsi (in area civile) e la durata media dei procedimenti in Cassazione evidenziano drammaticamente il volto, molto affaticato e talvolta stanco, della Corte[4]. Una Corte “sotto assedio”[5] sempre alla ricerca di soluzioni processuali volte alla semplificazione della soluzione delle controversie, numericamente prevalenti, che non ne coinvolgono la funzione nomofilattica e spesso impegnata a irrigidire i requisiti di ammissibilità dei ricorsi, come dimostra la complessa elaborazione giurisprudenziale in tema di autosufficienza e di contenuto minimo del ricorso[6], attualmente all’attenzione anche della Corte europea dei diritti umani[7]. Questo volto può assumere i tratti dell’angoscia ove si confronti con i numeri della sezione tributaria[8], la cui funzione di ripristino della legalità merita di essere rafforzata e incrementata in considerazione dell’impatto che la corretta imposizione fiscale determina sulla realizzazione e distribuzione delle risorse pubbliche secondo i criteri costituzionali di eguaglianza effettiva degli obblighi di contribuzione e in ossequio al principio di progressività. Un controllo indispensabile, da svolgersi nel massimo rispetto delle norme che stabiliscono i carichi impositivi nella cornice costituzionale ed eurounitaria di riferimento.
3. La Corte dei diritti
Contrapposto all’immagine “stressata” dal peso dei numeri, c’è il volto della Corte dei diritti. Un volto aperto ed attento alle crescenti istanze di tutela dei diritti della persona, sia in ambito individuale o relazionale[9], sia in relazione alle fragilità e disuguaglianze collettive e sociali[10], sia in ordine alla regolazione e correzione degli squilibri del mercato[11]. Un impegno nomofilattico diretto all’attuazione del sistema costituzionale multilivello di salvaguardia dei diritti in costante e proficuo dialogo con le Corti europee e con la giurisprudenza proveniente dalle corti supreme di altri Paesi[12]. Questo incisivo intervento richiede una costante investimento di energie dedicate alla ricerca e un’elaborazione di principi che non di rado intercettano questioni di cruciale rilievo quale il rapporto tra esercizio della nomofilachia e discrezionalità legislativa[13] e la prefigurazione di una giurisdizione a vocazione universale per la salvaguardia dei diritti umani[14]. Accanto al livello più elevato dello jus constitutionis sopra descritto, rimane la complessità del normale esercizio della funzione d’interpretazione uniforme del diritto in un sistema legislativo sempre più scoordinato e soggetto in molti settori a rapidissima obsolescenza. Compiti strettamente inerenti alla funzione costituzionale e istituzionale della Corte, attualmente compressi all’interno del numero eccessivo di ricorsi in larga parte privi di rilievo nomofilattico, ma verosimilmente non privi d’impatto diretto e incisivo sulle condizioni di vita delle parti.
4. Esiste un punto di equilibrio?
Si deve escludere un volto della Corte che esprima smarrimento, ma non si possono nascondere le difficoltà che incontra la giurisdizione di legittimità nel rendere compatibili le esigenze di efficienza e produttività numeriche con quelle di cura e approfondimento che sono alla base dell’attenzione nomofilattica ai diritti della persona e all’interpretazione uniforme delle norme. Quest’ultimo obiettivo è in gran parte garantito dall’intervento “ordinante” delle sezioni unite, sempre più spesso investite sia del compito di operare un corretto bilanciamento tra il diritto della persona, fin dalla nascita, alla costruzione di uno statuto incentrato sulla libertà di scelta e sull’autodeterminazione e la definizione di un limite, costituito da interessi pubblicistici o dalla griglia dei principi che compongono l’ordine pubblico internazionale, sia della cruciale funzione di tutelare le crescenti espressioni delle fragilità individuali e collettive nel rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali assunti dal nostro Paese, come accade nella materia della protezione internazionale. Al contrario, la garanzia dell’interpretazione uniforme mediante gli orientamenti delle sezioni semplici incontra delle criticità in primo luogo dovute alla limitatezza delle risorse ed energie disponibili, largamente impegnate in uno sforzo rivolto alla produzione di un numero sempre crescente di decisioni; in parte alla perdita di sistematicità dell’ordinamento giuridico, che determina disomogeneità e disallineamenti giurisprudenziali anche sincronici causati della diversità dei casi, così da indurre a una sempre più frequente utilizzazione della tecnica decisoria del distinguishing; in parte allo scarso coordinamento anche intrasezionale dell’attività di spoglio, che ancora produce un numero limitato di udienze e adunanze tematiche, così da esporre il risultato giurisprudenziale a un certo grado di fibrillazione e imprevedibilità; in parte (ma questo è uno dei tanti effetti perversi del numero eccessivo e poco contenibile dei ricorsi in entrata) alla discontinua stabilità dei collegi anche in relazione a settori per i quali nel merito la specializzazione è garantita dalla previsione legislativa e successiva attuazione di sezioni distrettuali ad hoc, come la protezione internazionale.
Eppure la Corte, nel tempo, non solo nella sua composizione a sezioni unite, ha saputo raccogliere le pressanti istanze di riconoscimento di diritti fondamentali che la modifica di modelli relazionali e culturali, uniti al progresso biotecnologico, hanno posto al centro del sistema (sempre in divenire) dei diritti della persona, elaborando soluzioni equilibrate nell’apertura al nuovo e rispettose dei limiti costituiti dai valori fondanti il quadro assiologico costituzionale che le soluzioni giurisprudenziali non devono oltrepassare.
E allora perché il volto riflesso nello specchio permane deformato nella narrazione mediatica e nella percezione degli addetti ai lavori? E come le riforme in campo possono restituire serenità al volto turbato della Corte?
Le cause sommariamente esaminate sono tra di loro concatenate da uno stretto nesso logico: l’eccesso di ricorsi in entrata non riesce ancora ad avere un governo organizzativo adeguato e uniforme nelle diverse sezioni civili. L’articolazione organizzativa delle sezioni è separata e le misure di omogeneizzazione tabellari non riescono a modificare in modo effettivo questa orgogliosa autonomia. Non si innesca una imitazione o emulazione virtuosa dei modelli migliori. I numeri così alti inducono inevitabilmente a concentrare le energie nello “smaltimento” quantitativo dei ricorsi anche fuori di una progettualità che invece, come accade nel merito, dovrebbe partire dal basso, investire e responsabilizzare i consiglieri, attribuendo loro una funzione sistemica all’interno della cruciale attività di spoglio, oltre che, molto più incisivamente che nella situazione attuale, i presidenti di sezione non titolari. La partecipazione “diffusa” allo sforzo anche ideativo rivolto a un’organizzazione più efficiente, che non si limiti a prevedere in via esclusiva l’incremento quantitativo dell’eliminazione delle pendenze, non è ancora attuata.
Anche in questa fase cruciale di cambiamento “sistemico”, in quanto rivolto non solo alla modifica di modelli procedimentali ma alla creazione dell’ufficio per il processo con l’immissione del rilevante apporto dei nuovi assunti, è mancato fino ad oggi un censimento dal basso delle proposte organizzative, in funzione di una responsabilizzazione collettiva che, in un ufficio sempre più delocalizzato, costituisce un collante di primaria importanza. Questa funzione di raccolta ed elaborazione di proposte è stata, tuttavia, raccolta dall’Associazione nazionale magistrati, sezione della Corte di cassazione, e da iniziative analoghe assunte da gruppi associati, mentre sul piano istituzionale tutto è affidato alle riunioni ex art. 37 dl n. 89/2011, che, per essere un effettivo laboratorio operativo, dovrebbero essere precedute da una preparazione accurata per poter dare luogo a un dibattito effettivo e non rituale. Un dibattito con finalità strettamente operative di selezione e sperimentazione effettiva che, allo stato, appare indispensabile. Le modifiche processuali che riguardano il giudizio di cassazione, descritte e approfondite nel paragrafo successivo, sono infatti finalizzate a una semplificazione ulteriore dei riti e allo snellimento di alcune fasi procedimentali, oltre che, con la previsione del rinvio pregiudiziale, a un maggiore impatto quantitativo e soprattutto qualitativo della funzione nomofilattica[15], da realizzarsi con il rinvio pregiudiziale. La eliminazione della sezione cd. filtro (la sesta), e la conseguente confluenza di tutti i ricorsi nelle sezioni, non può che condurre a una profonda modificazione dell’organizzazione del lavoro all’interno delle sezioni. Per la trattazione razionale ed efficiente dei ricorsi assoggettati al nuovo modello processuale unificato, è quanto mai auspicabile la formazioni di ruoli, all’interno delle aree di specializzazione che compongono le sezioni, assegnati ai singoli consiglieri che ne curino lo spoglio, lo smistamento verso la pubblica udienza, il canale accelerato previsto per i ricorsi seriali (inammissibili, improcedibili, manifestamente infondati) che possono chiudersi con l’estinzione e, infine, il binario ordinario camerale. Sia per il procedimento semplificato che per quello ordinario, è necessario che l’attività di spoglio conduca alla creazione di filoni di ricorsi quanto più omogenei possibile, al fine di creare stabilità ed efficienza maggiori che in passato. Per sostenere questa diffusa attività di spoglio selettivo e ragionato, presso ogni area deve esserci un numero adeguato di addetti, assunti attraverso il PNRR, che dovranno provvedere alla prima scrematura e suddivisione dei ricorsi che compongono i singoli ruoli dei consiglieri e coadiuvare questi ultimi per la formazione dei ruoli e per la necessaria attività di raccordo con le cancellerie.
Si può ragionevolmente prevedere che il numero dei ricorsi che ciascun consigliere porta in adunanza o in udienza possa essere flessibile in funzione dell’assetto organizzativo che ha dato al suo ruolo, purché all’interno di un programma di gestione e definizione, coerente con quello dell’intera area e concordato secondo le linee direttive date dal presidente di sezione responsabile dell’area stessa. In questo modo, alla delocalizzazione geografica non corrisponderà più una deresponsabilizzazione organizzativa.
Accanto all’ufficio del processo così realizzato, deve essere incrementata la metodologia del confronto preventivo mediante riunioni sezionali di orientamento giurisprudenziale, particolarmente necessarie per l’interpretazione e l’applicazione delle norme processuali specie se relative al giudizio di cassazione. Queste ultime dovrebbero avere cadenza periodica ed essere intersezionali, magari con la partecipazione dei soli presidenti di sezione o di loro delegati, per evitare un effetto distorsivo da eccesso di assemblearismo, che restituiscano gli esiti del confronto all’interno delle sezioni, così da concorrere alla creazione di uno statuto di regole relative alla proposizione del ricorso e alla formazione degli atti processuali omogeneo, condiviso e davvero prevedibile. Le diverse sensibilità che si riscontrano tra le sezioni e all’interno di ciascuna di esse in relazione all’applicazione delle regole scritte e di quelle di creazione giurisprudenziale sui requisiti di ammissibilità del ricorso non “scoraggiano” la proposizione dei ricorsi (peraltro, il mezzo sarebbe del tutto incoerente con il diritto costituzionale all’accesso alla tutela giurisdizionale), ma concorrono a creare la diffusa percezione del giudizio di cassazione come di un percorso a ostacoli cosparso d’insidiose e troppo frequenti decisioni di inammissibilità che non sono frutto di un’elaborazione corale e condivisa da tutta la giurisprudenza di legittimità.
5. Le riforme in cantiere e l’ambizione per un nuovo futuro della Corte: trasfigurazione o maquillage?
In questo quadro, lo si è già anticipato, l’incidenza virtuosa delle riforme di natura esclusivamente processuale è marginale. L’elemento di forte novità è il contesto nel quale la novella si colloca. È la sapiente utilizzazione del modulo dell’ufficio del processo che può davvero determinare una spinta propulsiva verso la riduzione dell’arretrato e dei tempi complessivi dei procedimenti, oltre alla messa a punto degli strumenti del processo civile telematico che già in questa prima fase di avvio, pur senza le nuove misure, producono una riduzione rivoluzionaria dei tempi di pubblicazione delle decisioni.
È utile, di conseguenza, valutare l’impatto delle novità processuali inserendole in un disegno organizzativo che tenga conto dell’ufficio del processo.
Il generale sconcerto per la lunghezza dei tempi necessari per la celebrazione dei giudizi di cassazione, peraltro, negli anni ha generato risposte politiche a cadenza quasi regolare, attraverso interventi periodici sulle regole processuali del giudizio di legittimità[16]. Il legislatore del 2021 ha compiuto un visibile sforzo di razionalizzazione e di riordino rispetto alla sovrapposizione, quantomeno parziale, di riti, in specie quelli camerali, puntando alla soppressione dell’“apposita sezione” di cui all’attuale art. 376 cpc, ossia la sesta, con lo spostamento della relativa competenza alle sezioni semplici, con la conseguente abolizione del procedimento camerale di cui all’art. 380-bis cpc.
Intervento sicuramente condivisibile e ragionevole, dal momento che cancella il faticoso meccanismo di individuazione del “luogo” di trattazione del processo destinato alla camera di consiglio, la sezione “filtro” ovvero quella tabellarmente competente in materia, ed elimina la convivenza, non più razionalmente giustificabile, di due riti simili tra loro, che ormai solo nominalmente si distinguono in base all’importanza della questione trattata (basti a tal fine constatare il numero delle ordinanze di sesta oggetto di massimazione). Infine, si prevede una semplificazione della fase decisoria con l’introduzione del modello processuale della deliberazione, motivazione contestuale e pubblicazione del provvedimento, da effettuarsi – verosimilmente – esclusivamente mediante l’applicativo del processo civile telematico, concorrente con quello ordinario del deposito e pubblicazione differita del provvedimento oggetto della decisione in camera di consiglio. Per i procedimenti seriali, può essere uno strumento di notevole restrizione dei tempi di pubblicazione dei provvedimenti e di contrazione delle fasi di interlocuzione tra presidente ed estensore, attualmente necessari anche per le pronunce del tutto prive di rilievo nomofilattico. Il successo del modello è strettamente connesso con la realizzazione dell’ufficio del processo, con affidamento della gestione operativa della redazione formale della pronuncia e della sua pubblicazione allo staff.
La novità di maggiore rilievo riguardo al rito camerale così concepito concerne la previsione di un «procedimento accelerato», i cui tratti caratterizzanti vengono specificati all’art. 1, comma 9, lett. e del ddl in esame. Tale forma accelerata di rito camerale è prevista per i soli ricorsi destinati a essere giudicati inammissibili, improcedibili, ovvero manifestamente infondati.
In uno di questi casi, sarà «il giudice della Corte» (così lo individua la legge delega) a formulare una proposta di definizione del ricorso, con la sintetica indicazione delle ragioni dell’inammissibilità, dell’improcedibilità ovvero della manifesta infondatezza. Tale proposta deve essere comunicata alle parti del processo: se nessuna di queste chiede la fissazione della camera di consiglio entro venti giorni, il ricorso si intende rinunciato. Spetterà dunque al “giudice” pronunciare il decreto di estinzione, con contestuale liquidazione delle spese. Alla parte ricorrente che accetta la definizione del procedimento in tal sede, la legge offre il vantaggio dell’esonero dal pagamento di quanto previsto dall’art. 13, comma 1-quater del dPR 30 maggio 2002, n. 115 (il cd. “contributo unificato raddoppiato”).
Difficile prevedere la portata dell’effetto di velocizzazione di un siffatto canale accelerato. Si pongono qui alcuni dubbi che forse dovrebbero essere tenuti presenti anche dal legislatore delegato al fine di una migliore precisazione del quadro procedurale. Con l’individuazione de «il giudice della Corte», la norma attribuisce al consigliere assegnatario del fascicolo un ruolo pressoché esclusivo nella definizione della controversia attraverso la redazione della proposta che, se accettata dalle parti processuali, non dovrà nemmeno essere sottoposta al vaglio della camera di consiglio. È discutibile, poi, se il decreto di estinzione spetti ancora al medesimo relatore, ovvero se, in applicazione del disposto generale dell’art. 391, comma 1, cpc, esso rientri nella competenza del presidente titolare della sezione. In ogni caso, tale decreto si presenta come atto obbligato nell’ipotesi di silenzio - rinuncia delle parti, così venendo meno qualsiasi possibilità di controllo a posteriori.
E al riguardo non si possono non esprimere riserve a proposito della avvenuta esclusione del ruolo del procuratore generale una volta scelto il canale della corsia accelerata: procuratore generale che sempre più, a ogni intervento riformatore, vede venir meno, o comunque sfocarsi, i margini che definiscono il suo ruolo e la sua collocazione nel giudizio civile di legittimità, e che soprattutto vieppiù è destinato a perdere caratterizzazione e capacità di incidenza in ragione del sottodimensionamento organico in confronto al peso numerico del contenzioso. Su questo si cercherà, più avanti nello svolgimento di queste riflessioni, di abbozzare un ragionamento critico più complessivo. Qui basti evidenziare che questa forma di definizione accelerata stabilisce un evidente ed esclusivo rapporto tra il relatore e i difensori delle parti, che ignora ogni collegialità e anche ogni possibile scrutinio da una parte pubblica esterna al rapporto contenzioso.
V’è da dire, sommessamente, che è difficile immaginare che un rito così ideato possa effettivamente costituire un robusto canale di smaltimento, capace di incidere concretamente sull’efficienza del giudice di legittimità. Non pare ragionevole giocare una scommessa su una posta così importante, lasciando in pratica agli interessi privati delle parti processuali il compito di decidere la sorte del procedimento che le ha viste contrapposte fino alla terza istanza di giudizio, laddove l’incentivo si gioca tutto e soltanto sul risparmio del contributo unificato[17].
Ciò che si profila, piuttosto, è l’avvio all’estinzione soprattutto di quei processi in cui, per le più svariate ragioni, l’interesse della difesa, e non quello della parte, è ormai dissolto: ed è dunque a questa distorsione che sarebbe stato opportuno contrapporre il coinvolgimento del procuratore generale, e la sua autonoma facoltà di richiedere la trattazione in camera di consiglio, a tutela di un interesse pubblico al rispetto della pienezza del contraddittorio e della garanzia della difesa.
Altra novità di rilievo riguarda l’introduzione (attraverso la previsione della lett. g del comma 9 dell’art. 1 ddl) del rinvio pregiudiziale da parte del giudice di merito: istituto già noto presso altri ordinamenti, in particolare quello francese, che annovera la cd. saisine pour avis.
Sarà dunque consentito al giudice del merito, quando deve decidere una questione di diritto, sottoporre la stessa direttamente alla Corte di cassazione. Si deve, però, trattare di questione nuova, mai affrontata prima dal giudice di legittimità; di particolare importanza e tale da presentare gravi difficoltà interpretative; idonea a riprodursi in numerose controversie.
Ricevuta l’ordinanza di rimessione, il primo presidente può dichiarare inammissibile la richiesta in caso di mancata integrazione dei presupposti: oppure può assegnarla alle sezioni semplici ovvero alle sezioni unite perché decidano enunciando il principio di diritto, all’esito di una pubblica udienza, anche sulla scorta della requisitoria scritta del pubblico ministero, principio che ovviamente sarà vincolante nel procedimento nell’ambito del quale la questione è stata rilevata.
Rinviando alle più approfondite osservazioni di altro contributo dedicato specificamente all’argomento presente in questo numero della Rivista[18], ben può convenirsi con l’Autore a proposito della condivisibilità dell’iniziativa riformatrice, che in qualche modo per tale via restituisce alla Corte di legittimità quel ruolo di garante della nomofilachia che non sembra compatibile con una produzione giurisprudenziale di tale, esorbitante dimensione. Va detto, però, che in passato il tentativo di percorrere la strada di un’anticipata investitura della Cassazione della interpretazione delle norme (in tal caso, di contratto o accordo collettivo nazionale), operato con l’introduzione[19] dell’art. 420-bis cpc, che sanciva l’impugnabilità diretta per cassazione della sentenza con cui il giudice risolveva espressamente la questione interpretativa[20], non ha mai suscitato grande interesse tra i giudici di merito che hanno sempre preferibilmente percorso le vie tradizionali, senza ritenere di dover “isolare” rispetto al merito della controversia l’attività più strettamente ermeneutica.
Difficile ipotizzare che di fronte a una facoltà così strutturata, che si offre nel caso in cui la questione sia non solo di particolare importanza, ma altresì “nuova”, non essendo ancora stata affrontata dai giudici di legittimità, il giudice del merito possa sottrarsi al dovere, ma anche allo stimolo, della interpretazione del testo di legge destinata a risolvere la controversia che gli si prospetta. Ed è pur comprensibile l’opinione[21] di chi sostiene che, se veramente si vuole attribuire a tale istituto il compito di una anticipata formulazione di principi di diritto a cui però deve necessariamente connettersi un adeguato grado di stabilità, l’investitura non potrà che riguardare direttamente le sezioni unite: ma ciò comporterà il venir meno del necessario, e fruttuoso, contributo che dalla sezione semplice, dotata della specifica competenza in materia, è più che lecito potersi e doversi aspettare.
6. Conclusioni
In definitiva, all’esito di una pur rapida lettura delle norme più significative in cui si concretizza la riforma del giudizio in Cassazione, è difficile trarne l’impressione di una loro decisiva capacità di incidenza sulla attuale durata del processo in Cassazione e sulla complessiva efficienza di un ufficio che, come si è già rappresentato, ha già notevolmente compromesso la sua funzione nomofilattica in ragione della prevalenza che l’ordinamento ha riservato a quella, diversa, di giudice di terzo grado. L’esperienza di questi anni di permanenza in Corte ci convince di una scarsa capacità degli “aggiustamenti” processuali a riportare l’organo di vertice della giurisdizione al compito che gli assegna l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» nonché «l’unità del diritto obiettivo nazionale». Esso non è e non può essere compatibile con l’afflusso indiscriminato dei procedimenti, secondo una garanzia che la Costituzione assicura con la previsione dell’art. 111, che però si collocava in un contesto giuridico e soprattutto socio-economico completamente diverso dall’attuale. E dunque oggi, nella situazione data, non possiamo illuderci né illudere a proposito della efficacia risolutiva di alcuni “aggiustamenti” processuali che, semmai, agevolano la definizione di ricorsi comunque inammissibili o manifestamente infondati, quasi come se il maggior sforzo della Corte oggi debba essere concentrato su come eliminare il superfluo invece di focalizzarsi sull’essenziale.
Certo, alcune modifiche appaiono del tutto razionali e coerenti con il fine proposto: l’unificazione dell’attività di “filtro” preventivo a proposito della destinazione della controversia, attraverso l’individuazione delle modalità di trattazione nella sezione deputata a conoscere della specifica materia, rappresenta finalmente l’esempio di una precisa volontà di un cambio di passo, frutto di una diversa cultura dell’organizzazione che dovrà necessariamente meglio diffondersi in un ufficio che sembra essersene non curato abbastanza per molti anni, salvo poi accorgersi della necessità di fronteggiare la mole dell’arretrato con un approccio più moderno ed efficace. Come detto, la partita si gioca anche sulla capacità di dare applicazione alle previsioni relative all’istituzione anche in Cassazione dell’ufficio del processo[22], necessaria struttura operativa che sarà determinante nella fondamentale opera di individuazione della materia oggetto della singola controversia, e soprattutto delle questioni interpretative aperte o controverse a cui dare tempestiva e prioritaria risposta.
Uno degli aspetti che più pare foriero di reale cambiamento all’interno di un mondo professionale sempre tentato dal pericolo dell’autoreferenzialità e spesso poco avvezzo al confronto – interno quanto esterno – circa le migliori pratiche capaci di favorire una migliore resa del servizio, è rappresentato dall’innesto di nuove figure professionali, di più recente formazione universitaria, che alla minor esperienza di lavoro sapranno associare però – è facilmente ipotizzabile – una maggior dimestichezza col mezzo informatico. Sarà fondamentale saper sfruttare questa nuova tipologia di apporto, in un ambito strutturato come “ufficio” e dunque come luogo collettivo di collaborazione e di scambio secondo il progetto di perseguimento di un comune obiettivo, per sperimentare nuove prassi e nuove forme di condivisione, a cui anche i singoli consiglieri si spera sappiano inserirsi fattivamente al fine di apportare la loro insostituibile competenza.
Il bivio che si apre nella fase di attuazione della riforma è, infatti, nettamente tracciato: da un lato, una ulteriore esaltazione dell’individualismo decisionale del magistrato assegnatario del fascicolo, dominus pressoché esclusivo delle sorti del processo quantomeno nelle modalità (e dunque nei tempi) di trattazione, e, in caso di trattazione anticipata, anche della sua eventuale estinzione senza il previo confronto con il collegio; dall’altro, l’affermarsi di un metodo di lavoro frutto dell’apporto di formazioni ed esperienze diverse, tutte però messe al servizio di un’idea di giurisdizione più efficace e moderna, in grado di condividere e di promuovere l’affermazione culturale di un’idea di nomofilachia visibile, coerente, condivisa da tutti gli operatori di giustizia. Se, come auspichiamo, è quest’ultimo il modello che si ha in mente, occorre essere consapevoli dell’ostacolo costituito da incrostazioni che mal hanno patito sin qui l’applicazione anche in Cassazione di quelle regole di buona organizzazione che pure presso gli uffici di merito rappresentano cultura comune e condivisa: la trasparenza dei meccanismi di assegnazione dei processi e di formazione dei collegi, la periodicità delle riunioni di sezione per la stabilizzazione degli indirizzi giurisprudenziali ex art. 47-quater l. ord. giud., la valorizzazione dell’attività di spoglio come attività necessaria e insostituibile al fine di una più efficiente organizzazione del lavoro.
Insomma, quello che ci piace immaginare possa essere lo sbocco di questo sforzo riformatore, non è tanto un ulteriore aumento dei numeri in uscita, quanto l’affermazione di un modello di giudice di legittimità che occupa il vertice della giurisdizione non in nome della (a volte illusoria) eccellenza dei singoli che lo occupano, quanto della sua capacità di tenere il polso di ciò che si muove nella giurisdizione di merito, ciò di cui lì soprattutto si dibatte e che rappresenta un ostacolo per l’affermazione di una logica di servizio che si esprima attraverso la prevedibilità delle decisioni laddove frutto di applicazione di principi consolidati e della rapida soluzione delle questioni che davvero sono ancora controverse.
Per questo pensiamo che la riforma debba costituire innanzitutto l’occasione di un cambio di passo, di un diverso livello di coinvolgimento di tutti gli attori di un processo di legittimità a cui sembra impossibile riuscire a restituire una fisionomia coerente con il compito di custode della nomofilachia.
A questo proposito, sarebbe il momento (forse l’ultimo utile?) per inserire una seria riflessione sul ruolo della Procura generale civile, che è uscito nettamente modificato all’esito della riforma del 2016 e dal progressivo aumento delle udienze cameralizzate, ove è rimessa alla discrezionalità del procuratore la scelta se intervenire o meno con conclusioni scritte (art. 380-bis 1 cpc). Si è parlato, acutamente, di un pm “disorientato”[23] nella ricerca di plausibili criteri che giustifichino, o impongano, il suo intervento là dove esso non è più obbligatorio. A fronte della scelta compiuta dalla sezione di destinare un ormai preponderante numero di procedimenti alla trattazione camerale non partecipata, evidentemente sulla base del presupposto che essi non presentino quella “particolare rilevanza della questione di diritto” che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo[24]) comportarne la trattazione in pubblica udienza, non vengono dettati criteri alla Procura generale per l’individuazione delle occasioni del suo intervento scritto. Dunque, se già dopo il 2016 veniva definita “centrale” per lo stesso futuro dell’ufficio la domanda “quando intervenire? Sulla base di quali premesse?”, essa diventa ancora più pressante e decisiva a fronte di una riforma che elimina la sezione filtro e il cui carico dunque potenzialmente è tutto assoggettabile all’esame della Pg (con l’eccezione, già evidenziata, dei procedimenti destinati alla trattazione accelerata, nel caso in cui le parti accettino la proposta di definizione del relatore).
La partita, è facile intuirlo, è allora decisiva: o l’ufficio della Procura generale, dotato di un organico finalmente adeguato e soprattutto affiancato da un ufficio spoglio efficiente e in grado di collaborare con l’ufficio per il processo in Cassazione[25], riesce ad assumere una strategia comune in grado di segnare la propria presenza anche all’esterno, e soprattutto di collaborare fattivamente al grande sforzo che verrà speso al fine del raggiungimento degli obiettivi del PNRR, o è facile prevedere che verrà il momento, da tempo paventato, del de profundis[26] per l’organo requirente civile, travolto dalla stessa ricerca legislativa di una maggior velocizzazione e dalla prevalenza della trattazione camerale, riservate all’udienza pubblica le cause con più evidente rilievo nomofilattico, secondo la linea di demarcazione che separa ius litigatoris da ius constitutionis.
1. Alla Corte di cassazione sono destinate complessivamente 400 unità, di cui 200 di prossimo arrivo, e le rimanenti in una fase successiva. L’indicazione proviene dal Dipartimento dell’organizzazione della giustizia ed è contenuta in una circolare diramata il 3 novembre del 2021, che contiene precise indicazioni sulle modalità di utilizzazione delle nuove risorse umane all’interno del costituendo (per la Corte di cassazione) ufficio del processo.
2. Art. 111, comma 7, Cost.: «Contro le sentenze (…) è sempre ammesso ricorso in Cassazione». Il vincolo costituzionale è stato, tuttavia, messo in discussione da una parte della dottrina (si richiamano le ampie riflessioni di A. Proto Pisani, a partire dall’articolo pubblicato nel 1987 nella parte V del Foro italiano, c. 289; al successivo del 2010, V, cc. 65 e 66), ma rimane diffusa e nettamente dominante l’idea che a Costituzione invariata non si possa limitare l’accesso alla Corte secondo criteri ispirati a limiti di valore o a differenziazioni per materia. Ancora meno praticabile appare la compatibilità costituzionale di una effettiva scelta discrezionale dei “casi” che meritano l’intervento nomofilattico che possa essere effettuato senza impegnare nel vaglio di ammissibilità o “rilevanza” un collegio che decide, un provvedimento finale da pubblicare, etc.
3. Sui quali, ampio e in continua evoluzione è il dibattito giurisprudenziale e dottrinale, ove si valuti il crescente numero di provvedimenti, direttamente incidenti sui diritti delle persone e dotati di un elevato grado di stabilità, ma non suscettibili di passare in giudicato, quali quelli relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale dentro e fuori del conflitto familiare, per i quali, dopo lunga sedimentazione giurisprudenziale, si è riconosciuta l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione (Cass., sez. unite, n. 32359/2018).
4. I ricorsi pendenti sono poco meno di 100.000. Il dato riguarda sia quelli per i quali è stata già fissata adunanza o udienza (una percentuale del 20 per cento circa) sia quelli per i quali ancora non è stato possibile provvedere alla fissazione. Sono dati sempre in fieri, ma gli scostamenti non sono tali da cambiare l’entità del problema. La durata media dei procedimenti supera i tre anni, salvo alcune materie (minori, in particolare, ma anche in gran parte la protezione internazionale, cui vengono destinate udienze straordinarie e reclutamento straordinario su base volontaristica).
5. La “Corte assediata” fu l’intitolazione data a un’assemblea dell’Anm Cassazione, svoltasi il 10 luglio 2014. Sugli stessi temi fu indetta un’assemblea generale della Corte di cassazione nel 2015, ai sensi dell’art. 93 della legge sull’ordinamento giudiziario.
6. A mero titolo esemplificativo, si richiama la giurisprudenza ancora disomogenea sui motivi cd. multipli: Cass., n. 28184/2020, che ne sancisce l’inammissibilità; Cass., n. 8915/2018, che va di opposto avviso, sottolineando – come già sez. unite, n. 9100/2015 – che occorra in concreto valutare la comprensibilità della censura e la sua riconducibilità all’interno del sistema a critica vincolata che caratterizza il ricorso per cassazione.
7. Corte Edu, sentenza del 29 ottobre 2021, caso Succi e altri c. Italia (la traduzione della sentenza si può reperire al seguente link: https://canestrinilex.com/risorse/troppi-formalismi-in-cassazione-italia-condannata-corte-edu-succi-2021/). Di rilievo il richiamo al principio di autonomia del ricorso compatibile con l’art. 6 Cedu, ma il divieto di formalismi che esorbitino dall’applicazione di questo principio.
8. Gli ultimi dati statistici segnalano 30610 ricorsi pendenti, per i quali non è stata fissata udienza o adunanza, (contro i 6852 della prima sezione; gli 8504 della seconda; i 3941 della terza; gli 11547 della sezione lavoro). A questi vanno aggiunti i ricorsi non trattati ma già fissati, e la percentuale di ricorsi attinenti alla materia tributaria trattati in sesta (il carco complessivo della sesta è di 17059 ricorsi, le proporzioni di pendenza rispecchiano quelli delle sezioni). Nell’ultima relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario, il primo presidente della Corte ha sottolineato il numero molto elevato di accoglimenti dei ricorsi relativi alla materia tributaria, trattati dall’omonima sezione, e la sproporzione che si registra rispetto alla percentuale medesima, ma relativa alle altre sezioni. Il dato rafforza la funzione di ripristino della legalità ineludibile del controllo di legittimità in questo delicato settore.
9. Sui nuovi modelli genitoriali, limitando la segnalazione alle ultime pronunce delle sezioni unite: n. 12193/2019 e n. 9001/2021, tra le più recenti.
10. Da segnalare Cass., sez. lavoro, n. 1663/2020, sulla riconducibilità al modello del lavoro subordinato e alle tutele che ne conseguono dell’attività dei cd. “riders”; sez. unite, n. 29459/2019 e 24413/2021, sul riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria del cittadino straniero; sez. unite, n. 24414/2021, sulla libertà religiosa e il principio di laicità dello Stato.
11. Sez. unite, n.28314/2019, sulla funzione omeostatica del principio di buona fede nei contratti finanziari; sez. unite, n. 19597/2020, sull’applicabilità della disciplina normativa dell’usura anche agli interessi moratori.
12. L’Uri («Ufficio relazioni internazionali») cura i rapporti con la Corte Edu e le altre corti supreme. Con l’apporto dell’Ufficio del massimario, vengono redatte le risposte ai questionari sempre più frequenti provenienti dalla Corte Edu e dalle altre corti supreme europee relativi alle normative e agli orientamenti giurisprudenziali in materie di interesse. I gruppi di lavoro per l’attuazione del Protocollo Edu e Cgue redigono, a loro volta, in tempo reale abstract delle pronunce delle corti europee più rilevanti e delle pronunce interne che intervengono sui precedenti europei.
13. Sez. unite, n. 1946/2017, sul diritto del figlio nato da madre che non ha voluto essere nominata a conoscere le proprie origini. La Corte ha indicato la linea procedimentale da seguire per acquisire il consenso materno e permettere l’esercizio del diritto.
14. Sui limiti della immunità dalla giurisdizione, sez. unite, nn. 28180/2020 e 20442/2020, quest’ultima relativa al diritto di richiedere iure proprio il risarcimento del danno subito per l’illegittima deportazione e morte del padre durante la Seconda guerra mondiale.
15. Su cui si rinvia a E. Scoditti, Brevi note sul rinvio pregiudiziale in cassazione, pubblicato in anteprima in questa Rivista online, 30 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/brevi-note-sul-nuovo-istituto-del-rinvio-pregiudiziale-in-cassazione, ora in questo fascicolo.
16. Solo per ricordare gli interventi riformatori più vicini a noi, il d.lgs 2 febbraio 2006, n. 40, con cui in particolare si è introdotto il nuovo art. 366-bis cpc, che ha imposto la formulazione del quesito di diritto a corredo dei motivi di ricorso, e il giudizio in camera di consiglio secondo le previsioni dell’art. 380-bis; la l. 18 giugno 2009, n. 40, che con l’intervento sull’art. 376 cpc ha introdotto l’istituzione dell’apposita sezione (sesta), destinataria di tutti i procedimenti provenienti dalle altre sezioni semplici destinati a essere decisi in camera di consiglio, ha soppresso il quesito di diritto e fortemente limitato la possibilità di impugnare le sentenze per difetto motivazionale; il dl 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. in l. 25 ottobre 2016, n. 197, che ha innalzato a regola la decisione delle controversie in camera di consiglio, salvo che si tratti di questione di diritto di «particolare rilevanza».
17. Pare, peraltro, del tutto condivisibile la scelta di non introdurre automatismi nell’applicazione dell’art. 96 cpc all’ipotesi di mancata accettazione della proposta, in ipotesi peraltro passibile di più che concreti sospetti di incostituzionalità.
18. E. Scoditti, Brevi note, op. cit.
19. Da parte dell’art. 18 d.lgs 2 febbraio 2006, n. 40.
20. Sul modello di quanto disposto dall’art. 68-bis d.lgs n. 165/2001, in materia di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego.
21. E. Scoditti, Brevi note, op. cit., par. 4.
22. A. Di Florio, Il nuovo ufficio per il processo: proposte per la Corte di cassazione, in questa Rivista online, 27 settembre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/il-nuovo-ufficio-per-il-processo-proposte-per-la-corte-di-cassazione, ora in questo fascicolo.
23. C. Sgroi, La funzione della Procura generale della Cassazione, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2018, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-funzione-della-procura-generale-dellacassazione_512.php.
24. In realtà, le scelte anche in questo campo scontano il più incontrollato soggettivismo. È esperienza comune che la richiesta del pg di trasferire in pubblica udienza la trattazione del singolo fascicolo che presenti profili di meritevolezza non trova generale accoglimento da parte del Collegio, che evidentemente risponde a proprie logiche non solo interpretative, ma anche banalmente organizzative, che però non trovano esplicitazione nella motivazione del provvedimento. Vi sono, poi, scelte compiute a monte che, sempre in forza di logiche organizzative, destinano intere materie alla trattazione in camera di consiglio, ad esempio, tutti i procedimenti in tema di protezione internazionale e umanitaria.
25. Si parla di «forme di collaborazione tra Corte e Procura generale, nel quadro delle previsioni del d.l. n. 80/2021, quadro, nell’ambito di strumenti di soft law organizzativa, che permette di definire aree di attività comuni, e con esse di comune utilizzo di quota delle figure di supporto, nella consapevolezza che la attribuzione della P.G. in campo processuale è orientata al medesimo fine che è proprio del giudice di legittimità, vale a dire la corretta e uniforme interpretazione ed applicazione del diritto»: così il procuratore generale Giovanni Salvi nel saluto introduttivo alla «Giornata di studi su digitalizzazione della giustizia e ufficio per il processo» (Capri, 9 ottobre 2021, www.procuracassazione.it/procuragenerale-resources/resources/cms/documents/saluto_introduttivo_-_digitalizzazione_e_ufficio_per_il_processo_-_8_ottobre_2021.pdf).
26. P. Gaeta, Il nuovo processo civile di cassazione: la secolarizzazione della Corte e la scomparsa del procuratore generale, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2017, www.questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2017-3_11.pdf.