Il nuovo giudizio di appello
Il d.lgs n. 149 del 2022 mantiene l’attuale fisionomia del processo di secondo grado quale controllo pieno sulla controversia caratterizzato da effetto devolutivo e divieto di nova, abroga l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis cpc, prevedendo in sostituzione un modulo di decisione semplificato in caso di manifesta infondatezza del gravame e reintroduce la figura del consigliere istruttore, conformando la struttura del giudizio di appello a quella di primo grado.
1. Premessa / 2. Le impugnazioni in generale / 3. Le novità del giudizio di appello / 4. Il ripristino del “consigliere istruttore” / 5. La fase decisionale / 6. L’esecuzione provvisoria / 7. La riduzione delle ipotesi di rimessione al primo giudice / 8. Conclusioni
1. Premessa
La riforma del processo civile è dichiaratamente finalizzata ad assicurare una maggiore celerità di trattazione mediante la semplificazione del rito.
Per il giudizio di appello, lo scopo perseguito non appare pienamente raggiunto.
Il legislatore ha abrogato il farraginoso istituto della inammissibilità ex art. 348-bis cpc, introducendo un modulo decisionale semplificato per le impugnazioni inammissibili o manifestamente infondate, e ha resuscitato il consigliere istruttore, limitando la piena collegialità dell’appello alla sola fase decisionale.
La struttura del giudizio di appello viene omologata a quella del primo grado: si rinuncia a introdurre un filtro incisivo delle impugnazioni[1] e ad adattare il rito alla specificità del giudizio devolutivo.
Non viene attuato un ripensamento del giudizio impugnatorio: le uniche disposizioni sulle impugnazioni in generale, relative a «decorrenza dei termini per l’impugnazione» (art. 326) e «perdita di efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva» (art.334), si limitano a recepire consolidati indirizzi della giurisprudenza di legittimità.
2. Le impugnazioni in generale
Le modifiche in materia di “impugnazioni in generale”, come già anticipato, sono di scarso rilevo.
La nuova formulazione dell’art. 326, comma 1, nel prevedere anche per il notificante la decorrenza del termine (cd. breve) per l’impugnazione dalla notifica della sentenza (o del provvedimento impugnato) e in particolare dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, è pienamente conforme al consolidato indirizzo della Cassazione, che aveva al riguardo affermato che non opera in detta materia il principio di cd. scissione soggettiva[2].
Del pari, conforme al più recente, ma ormai consolidato, indirizzo di legittimità la previsione secondo cui «l’impugnazione incidentale tardiva perde efficacia anche quando l’impugnazione principale è dichiarata improcedibile», oltre che nell’ipotesi di inammissibilità, espressamente stabilita dall’art. 334, comma 2, cpc[3].
3. Le novità del giudizio di appello
La più vistosa innovazione del giudizio di appello concerne la reintroduzione del consigliere istruttore, al quale vengono demandate le verifiche preliminari e tutte le attività antecedenti la fase decisoria.
Viene, inoltre, abrogata l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis e viene modificata la disciplina della sospensione dell’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado.
Accanto a una precisazione sul contenuto dell’atto introduttivo, mediante generico richiamo ai principi di chiarezza e sinteticità, ma senza alcuna sanzione in caso di inosservanza (art. 342), vanno menzionate le (marginali) modifiche della forma dell’atto di appello e della comparsa di costituzione, derivanti dal richiamo, contenuto negli artt. 342 e 347 cpc, alle forme degli atti difensivi del giudizio di primo grado (vale a dire, rispettivamente, gli artt. 163 e 167 del codice di rito), oltre all’aumento dell’intervallo temporale tra citazione e udienza di trattazione.
Quanto alla fase di decisione, vengono individuati due distinti moduli decisori:
- discussione orale della causa innanzi al collegio, ex art. 350-bis, in conformità al paradigma generale dell’art. 281-sexies cpc;
o, in alternativa,
- precisazione delle conclusioni e deposito di comparse conclusionali e repliche davanti al consigliere istruttore, con successiva udienza, sempre innanzi al consigliere istruttore, di rimessione della causa in decisione e successiva deliberazione collegiale e pubblicazione della sentenza.
È infine prevista la riduzione dell’ipotesi di rimessione della causa al primo giudice con abrogazione dell’art. 353 e riformulazione dell’art. 354 cpc.
4. Il ripristino del “consigliere istruttore”
La più incisiva modifica del giudizio di appello è costituita, con un singolare ritorno al passato, dalla reintroduzione della figura del consigliere istruttore, cui è demandato l’espletamento delle verifiche preliminari, compreso il tentativo di conciliazione e l’eventuale ammissione e assunzione delle prove («La trattazione dell’appello è affidata all’istruttore, se nominato, e la decisione è collegiale»).
L’art. 349-bis cpc prevede la nomina dell’istruttore da parte del presidente, il quale dovrà effettuare una delibazione preliminare in ordine all’inammissibilità, manifesta fondatezza/infondatezza e complessità dell’impugnazione, potendo in tali ipotesi optare per la discussione orale della causa davanti al collegio.
Il corretto esercizio del potere discrezionale del presidente di sezione, che potrà evidentemente giovarsi dell’apporto dell’ufficio del processo[4], sì da orientare la trattazione della causa sin dalle prime battute, appare di essenziale rilievo ai fini della realizzazione di un “filtro” efficace e di consentire la selezione delle impugnazioni: se esercitato senza timidezza, il filtro presidenziale consentirà di riservare la trattazione con modulo ordinario e designazione dell’istruttore alle cause di maggiore complessità, prevedendo per le altre il modulo decisionale semplificato, con fissazione della discussione orale e nomina del relatore.
Naturalmente, tutto ciò richiede, ferma la necessaria regolazione tabellare, un efficiente assetto organizzativo, che sarà nella fase iniziale ostacolato dalla coesistenza delle cause di vecchio e nuovo rito.
Al di fuori di tale ipotesi, la trattazione del procedimento di appello si svolgerà davanti al consigliere istruttore[5].
Il consigliere istruttore, ai sensi dell’art. 350 cpc, effettuerà dunque le verifiche preliminari sull’integrità del contraddittorio, dichiarerà la contumacia dell’appellato o disporrà la rinnovazione della notifica dell’atto di appello e provvederà alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza.
Il consigliere istruttore, inoltre, potrà disporre la discussione orale della causa davanti al collegio e la decisione in forma semplificata in tutti i casi di ridotta complessità o di ragioni di urgenza della controversia.
A differenza dell’ipotesi di cui all’art. 349-bis, in cui il presidente potrà disporre direttamente la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione della causa, nel caso sia stato designato il consigliere istruttore, la causa non potrà essere definita alla prima udienza (di trattazione): l’istruttore, sentite le parti, dovrà fissare altra udienza per la discussione davanti al collegio, assegnando alle parti un termine per note conclusionali, antecedente alla data dell’udienza.
5. La fase decisionale
Come già accennato, in attuazione della delega sono adesso previsti due moduli decisionali per il giudizio di appello:
a) un modulo decisionale semplificato, previsto dall’art. 350-bis, modellato sul paradigma generale dell’art. 281-sexies cpc, che può essere instaurato su iniziativa del presidente di sezione (349-bis) o del consigliere istruttore (350), riservato alle controversie più semplici; a tale modulo decisionale è tendenzialmente (ma non necessariamente) correlata la motivazione della sentenza in forma sintetica ex art. 350-bis, comma 3, mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o a precedenti conformi;
b) un modulo ordinario, disciplinato dall’art. 352, nel quale, con un rovesciamento rispetto all’attuale sistema, i termini per comparsa conclusionale e repliche precedono la rimessione della causa in decisione.
Sebbene la disposizione dell’art 352, comma 2, parli di «udienza» («all’udienza la causa è trattenuta in decisione»), deve ritenersi che, stante l’utilizzo generalizzato delle note scritte ai sensi dell’art. 127-ter, l’udienza indichi in realtà la data della camera di consiglio fissata per la decisione della causa e il dies a quo da cui decorrono i termini per il deposito della sentenza, essendosi già il contraddittorio pienamente dispiegato con la precisazione delle conclusioni e il deposito di comparse conclusionali e repliche.
L’oralità (la discussione orale ex art. 350-bis) è invece riservata al modulo decisionale semplificato.
6. L’esecuzione provvisoria
Viene inoltre modificata, in attuazione dell’art. 8, lett. i della legge delega, la disciplina della sospensione dell’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata, precisandone i presupposti[6] e prevedendo che l’istanza possa essere ripresentata.
L’art. 351 dispone al riguardo che i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria vengono adottati, alla prima udienza, con ordinanza collegiale.
Si precisa, inoltre, che ai fini dell’accoglimento dell’istanza è sufficiente, alternativamente, la manifesta fondatezza dell’impugnazione (fumus) o un grave e irreparabile pregiudizio (periculum), ravvisabile anche in caso di rischio di insolvenza di una delle parti, quando la sentenza impugnata abbia ad oggetto la condanna al pagamento di una somma di denaro.
La reiterazione dell’istanza, peraltro, è subordinata alla sussistenza di specifici elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell’impugnazione, da indicarsi a pena di inammissibilità, ferma la possibilità, nel caso in cui l’istanza sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, di condanna della parte che l’ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria, che può essere revocata con la sentenza che definisce il giudizio.
Avverso il provvedimento di inibitoria, destinato a essere assorbito dalla pronuncia definitiva, non è invece previsto il reclamo, né alcuna forma di impugnazione.
Anche per l’inibitoria, si prevede che la comparizione delle parti si svolga innanzi al consigliere istruttore e, nella prospettiva di accelerare la fase decisoria, si dispone altresì che, all’esito della camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza prevista dall’art. 283 cpc, il collegio possa provvedere a fissare udienza di discussione ai sensi dell’art. 281-sexies cpc, assegnando se richiesto un termine per note scritte antecedentemente all’udienza suddetta.
7. La riduzione delle ipotesi di rimessione al primo giudice
Va da ultimo segnalata, in attuazione del comma 8, lett. o della legge delega, l’abrogazione dell’art. 353 cpc e la riformulazione dell’art. 354 cpc, con riduzione delle ipotesi di rimessione della causa in primo grado.
Non è, dunque, più possibile rimettere la causa al primo grado nei casi in cui venga riconosciuta la giurisdizione negata dal primo giudice, né in caso di riforma della sentenza che ha dichiarato l’estinzione della causa.
La rimessione al primo giudice è adesso limitata alle ipotesi più gravi di violazione del contraddittorio, quali la nullità della notificazione della citazione introduttiva, la mancata integrazione del contradditorio e l’errata estramissione di una parte, la nullità della sentenza di primo grado ex art. 161, comma 2, cpc.
In tali ipotesi il giudice di appello dovrà decidere la causa nel merito, espletando tutte le attività non effettuate nel giudizio di primo grado.
L’art. 354 cpc precisa dunque che il giudice di appello (il consigliere istruttore) ammetta le parti al compimento di attività che sarebbero loro precluse e ordini, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti ex art. 356 cpc.
La scelta di ridurre le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, evidentemente ispirata a ragioni di economia processuale, in deroga al sistema di rigide preclusioni rafforzate dalla riforma, rischia però di appesantire il giudizio di appello, diverso, per natura e funzione, da quello di primo grado e tendenzialmente inidoneo alla compiuta istruzione della causa.
8. Conclusioni
Non sembra che, come già rilevato, le modifiche della struttura del giudizio di appello e la reintroduzione della figura del consigliere istruttore garantiscano un rilevante miglioramento in termini di snellezza e celerità del giudizio di appello.
Vanno invece salutati con favore l’abrogazione dell’inammissibilità ex art. 348-bis e il sistema di deposito anticipato, rispetto all’udienza in cui la causa viene trattenuta in decisione, delle conclusioni delle parti, delle comparse conclusionali e repliche.
Ai fini del successo della riforma, peraltro, è essenziale un utilizzo accorto del modulo di decisione ex art. 350-bis e della motivazione semplificata, che presuppone un attento monitoraggio del “ruolo” e la selezione della impugnazioni inammissibili o di minore complessità da parte del presidente di sezione e dei consiglieri istruttori designati, con l’indispensabile supporto dei funzionari dell’ufficio del processo.
Se tale “filtro” funzionerà, si potranno concentrare le maggiori risorse sulle cause più complesse, definendo immediatamente le impugnazioni inammissibili, strumentali o defatigatorie.
In ogni caso, ai fini del conseguimento dell’obiettivo di contrazione della durata del giudizio di appello, ma anche di riduzione dei ricorsi per cassazione, più che le ennesime modifiche sul rito[7], ciò che è veramente essenziale è l’adeguamento dell’organico dei magistrati togati[8], indispensabile al fine di utilizzare al meglio le potenzialità dell’ufficio del processo.
In definitiva, il miglior strumento per disincentivare le impugnazioni dilatorie o strumentali è la qualità del controllo sulla decisione di primo grado effettuato dal giudice d’appello.
Ciò presuppone una giurisprudenza coerente e autorevole, che dia conto, con motivazione sintetica ma completa, dell’iter logico della decisione e persegua una forma di “nomofilachia del distretto” che non può compiutamente realizzarsi senza risorse adeguate.
1. Come vedremo meglio infra, solo impropriamente può individuarsi quale filtro l’uso del modulo decisionale semplificato e di motivazione sintetica, rimesso alla discrezionalità del presidente di sezione e del consigliere istruttore designato.
2. Vds., al riguardo, Cass., sez. VI-3, 28 luglio 2020, n. 16015: «La notificazione di una sentenza o di una prima impugnazione (nella specie, non iscritta a ruolo e, quindi, seguita dalla notifica di una seconda impugnazione) evidenziano la conoscenza legale del provvedimento impugnato e fanno, pertanto, decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. a carico del notificante solo dal momento del perfezionamento del procedimento di notificazione nei confronti del destinatario, atteso che, da un lato, il principio di scissione soggettiva opera esclusivamente per evitare al notificante effetti pregiudizievoli derivanti da ritardi sottratti al suo controllo e, dall’altro lato, la conoscenza legale rientra tra gli effetti bilaterali e deve, quindi, realizzarsi per entrambe le parti nello stesso momento».
3. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità, sin da Cass., sez. unite, 14 aprile 2008, n. 9741 (seguita dalla conforme giurisprudenza successiva: ex multis, Cass., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19188), ha chiarito che qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l’eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un’applicazione analogica dell’art. 334, comma 2, cpc – dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale –, bensì in base a un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro, anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità.
La Suprema corte ha, al riguardo, precisato che l’impugnazione tardiva non perde invece effetto in caso di “rinunzia” all’impugnazione principale, salvo che l’appello incidentale tardivo sia stato proposto dopo la rinunzia dell’appello principale, per il duplice rilievo che la rinunzia produce un effetto estintivo ipso iure ed immediato, e che non può divenire arbitro del giudizio chi ha proposto appello non solo intempestivamente, ma anche dopo la rinunzia all’impugnazione principale (Cass., n. 27631/2022).
4. Si registra, già allo stato attuale, la prassi diffusa della costituzione di un vero e proprio staff presidenziale dei funzionari Upp, al fine di monitoraggio del ruolo sezionale e di delibazione circa la complessità delle cause e la classificazione del contenzioso.
5. Così B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia insieme, 18 maggio 2021, p. 13.
6. In attuazione del principio di delega previsto dalla lett. f al n. 1, l’art. 283 prevede che la sospensione sia disposta «se l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave ed irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti».
7. Vds., da ultimo, G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia, in Questione giustizia online, 13 luglio 2021, e G. Verde, Il problema della giustizia non si risolve modificando le regole del processo, in Giustizia insieme, 17 giugno 2021.
8. Vds., al riguardo, il parere del Csm sul ddl (delibera del 15 settembre 2021), p. 5: «Gli uffici di secondo grado rientrano tra quelli in maggiore sofferenza quanto alla durata media dei processi civili (…). Per tali uffici la sola iniziativa possibile resta quella dell’incremento degli organici delle Corti di appello»; G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in Giustizia insieme, 24 maggio 2021, e il volume ivi richiamato, M. Modena, Giustizia civile, le ragioni di una crisi, Aracne, Roma, 2019.