Magistratura democratica

Uno sguardo alla riforma della giustizia civile dopo i decreti delegati di attuazione della legge n. 206/2021

di Gianfranco Gilardi

L’insieme delle misure che vanno sotto il nome di “riforma Cartabia” presenta luci e ombre, aspetti positivi ma anche, insieme, incoerenze e lacune, ispirata com’è, essenzialmente, alla logica del “far presto” e al fattore tempo come filo conduttore degli interventi.
Ma la riforma è ormai cosa fatta e, più che indugiare in recriminazioni, occorre applicarsi per farla funzionare al meglio, con lo sguardo sempre rivolto all’immagine di società disegnata dalla Costituzione, restituendo al processo la sua funzione di strumento a servizio della persona e della sua dignità, quell’anima che spesso il legislatore dimentica, e ha dimenticato.

1. Premessa / 2. La disciplina transitoria / 3. Il giudizio ordinario di cognizione di primo grado e il «rito semplificato» / 4. Il giudizio innanzi al giudice di pace / 5. Le impugnazioni / 5.1. Il giudizio d’appello / 5.2. Il giudizio di cassazione / 6. Le controversie di lavoro / 7. Udienze mediante collegamento da remoto e trattazione scritta / 8. Il processo di esecuzione / 9. Gli interventi in tema di persone, minorenni e famiglie / 10. Le ADR / 11. Dalle critiche della riforma all’impegno per farla funzionare / 11.1. Le questioni organizzative / 11.2. L’«Ufficio per il processo» / 11.3. La governance / 12. Considerazioni conclusive

 

1. Premessa

Le modifiche introdotte con l’insieme degli interventi legislativi che vanno sotto il nome di “riforma Cartabia” (una riforma complessa, che ha investito la giustizia civile, il processo penale, l’ordinamento giudiziario e la giustizia tributaria), hanno incontrato critiche e consensi, dando origine a un amplissimo dibattito nelle più diverse sedi scientifiche e dottrinarie, sulle riviste giuridiche, in numerosissimi incontri di studio, seminari e convegni che continuano ad avvicendarsi con ritmo incessante[1]

Questione giustizia, che ha contribuito al dibattito sulla legge delega con articoli apparsi in diverse occasioni e con i contributi raccolti nel fascicolo della Rivista trimestrale n. 3/2021[2], ha inteso dar seguito alla riflessione, raccogliendo in questo secondo fascicolo ulteriori commenti che toccano gli aspetti principali della disciplina risultante dopo l’intervento del legislatore delegato. 

Alcuni articoli, già pubblicati in via anticipata sulla Rivista online, vengono qui riprodotti in modo da consentire una visione più ampia e organica della riforma. Dell’avvenuta pubblicazione si dà notizia ogni volta con riguardo al singolo articolo. 

In apertura del fascicolo, viene pubblicato un saggio di Remo Caponi contenente uno sguardo d’insieme alle strutture del processo civile negli ordinamenti europei, con spunti di comparazione rispetto alla “riforma Cartabia” e riferimenti alle «Regole europee modello sul processo civile» approvate nel 2020, nonché riflessioni relative ad alcuni contesti critici per il buon funzionamento della giustizia, alla crisi dell’unità della figura del giurista, all’insegnamento universitario del diritto e alla necessità che la politica recuperi l’autorevolezza per arginare il peso degli interessi corporativi.

È sembrato inoltre utile riportare, in Appendice e di volta in volta nel corso della presente introduzione, anche i resoconti del ciclo seminariale (ad oggi non ancora completato) promosso da Md per affrontare le questioni applicative più rilevanti poste dalla riforma e per concorrere, in questo modo, alla ricerca di soluzioni condivise. 

Sempre in Appendice, per avere un quadro più articolato delle proposte interpretative avanzate in questa fase di prima lettura della riforma, sono stati riportati (essendo disponibili al momento della redazione del presente scritto) anche i resoconti delle riunioni tenute al riguardo dall’Osservatorio della giustizia civile di Milano in preparazione dell’Assemblea nazionale degli Osservatori sulla giustizia civile, svoltasi a Catania dal 16 al 18 giugno 2023[3]

Riunioni sulla riforma si sono svolte anche negli Osservatori di altri distretti. Le relative elaborazioni possono essere consultate nei rispettivi siti e in quello nazionale degli Osservatori sulla giustizia civile, dove sono reperibili anche i documenti approvati dall’Assemblea nazionale degli Osservatori.

 

2. La disciplina transitoria 

Con il d.lgs n. 149/2022 e il d.lgs n. 151/2022, è stata data attuazione alla legge 26 novembre 2021, n. 206 «recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», alcune norme della quale, per effetto dell’art. 1, comma 37 della legge delega[4], si sono rese applicabili ai procedimenti iniziati il 23 giugno 2023[5].

L’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel d.lgs n. 149/2022, originariamente regolata dagli artt. 35 ss. del testo normativo, ha subito modificazioni per effetto dell’art. 1, comma 380, l. n. 197/2022[6], e dell’art. 8, comma 8, dl n. 198/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14/2023. 

Ad esito di tali interventi, la disciplina transitoria relativa alla riforma è la seguente:

* le disposizioni introdotte con il d.lgs n. 149 hanno avuto effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, salvo che non fosse diversamente disposto, e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data;

* le disposizioni di cui agli artt. 127, terzo comma, 127-bis (udienze mediante collegamenti audiovisivi), 127-ter (deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza) e 193, secondo comma, cpc (possibilità di sostituire l’udienza di comparizione per il giuramento del C.T.U. con l’assegnazione di un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento), quelle previste dal capo I del titolo V-ter disp. att. cpc e disp. transitorie (giustizia digitale), nonché quelle previste dall’art. 196-duodecies delle medesime disp. att. cpc e disp. transitorie (udienza con collegamenti audiovisivi a distanza) si sono rese applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione. 

Le disposizioni degli artt. 196-quater (obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti) e 196-sexies (perfezionamento del deposito con modalità telematiche) disp. att. cpc si sono rese applicabili ai dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente dal 28 febbraio 2023;

* davanti al giudice di pace, al tribunale per i minorenni, al commissario per la liquidazione degli usi civici e al tribunale superiore delle acque pubbliche, le disposizioni degli artt. 127, terzo comma, 127-bis, 127-ter e 193, secondo comma del cpc e quelle dell’art. 196-duodecies disp. att. cpc e disp. transitorie, hanno avuto effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti civili pendenti a tale data. 

Davanti ai medesimi uffici, le disposizioni previste dal capo I del titolo V-ter disp. att. cpc e disp. transitorie si renderanno applicabili a decorrere dal 30 giugno 2023 anche con riguardo ai procedimenti pendenti a tale data, salva la possibilità per il Ministro della giustizia – accertata la funzionalità dei relativi servizi di comunicazione – di individuare, con uno o più decreti non aventi natura regolamentare, gli uffici nei quali anticipare tale termine, anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti;

* le norme di cui ai capi I (impugnazioni in generale) e II (appello) del titolo III del libro secondo e quelle di cui agli artt. 283 (provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello), 434 (deposito del ricorso in appello), 436-bis (inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello), 437 (udienza di discussione) e 438 (deposito della sentenza in appello) cpc si sono rese applicabili alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023;

* le norme di cui al capo III del titolo III del libro secondo del cpc (giudizio di cassazione, artt. 360-403) e di cui al capo IV disp. att. cpc e disp. transitorie (disposizioni comuni in tema di processo di esecuzione) hanno avuto effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 con applicazione ai giudizi introdotti mediante ricorso notificato da tale data. Tuttavia, gli artt. 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis cpc (relativi al processo di cassazione) si sono resi applicabili anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023, per i quali non fosse stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio;

* le disposizioni dell’art. 363-bis cpc (rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione) si sono rese applicabili anche ai procedimenti di merito pendenti alla data del 1° gennaio 2023;

* quelle di cui all’art. 3, comma 34, lett. b (sostituzione dell’art. 475 cpc), c (abrogazione dell’art. 476 cpc), d (sostituzione, nell’art. 478 cpc, delle parole «spedito in forma esecutiva» con le parole «rilasciato ai sensi dell’articolo 475») ed e (sostituzione all’art. 479, primo comma, cpc delle parole «in forma esecutiva» con le parole «in copia attestata conforme all’originale») si sono rese applicabili agli atti di precetto notificati successivamente al 28 febbraio 2023;

* le disposizioni di cui agli artt. 4, comma 1 (mediatori familiari), e 10, comma 1 (modifiche agli artt. 168 e 169-quinquies disp. att. cpc in tema di processo di esecuzione), d.lgs n. 149/2022 hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023[7];

* le disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. c, n. 3, d, e, f, g, h, t, u, v, z, aa e bb d.lgs n. 149/2022 (relative alla mediazione) si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023, mentre tutte le altre sono entrate in vigore il 1° marzo 2023, e quelle di cui all’art. 8 in tema di negoziazione assistita hanno avuto effetto sin dal 28 febbraio 2023 (con applicabilità anche agli accordi di conciliazione conclusi in procedimenti pendenti a tale data), ad eccezione delle norme sul patrocinio a spese dello Stato (art. 9, comma 1, lett. e ed l) che si applicheranno a decorrere dal 30 giugno 2023.

Con l’art. 8, comma 8, dl n. 198/2022, convertito con modificazioni dalla l. n. 14/2023, sono state prorogate al 30 giugno 2023, relativamente ai processi pendenti, alcune disposizioni dettate in fase di emergenza sanitaria (rilascio di copie in forma esecutiva, giuramento del ctu e trattazione dei ricorsi per cassazione). Fino al 30 giugno 2023 continua ad applicarsi l’art. 23, comma 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, dl n. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, relativo: o alla trattazione in camera di consiglio con termini per il deposito di memorie di 15 giorni per il pm e di 5 giorni per le parti; o alla possibilità per le parti e per il pm di chiedere la trattazione in pubblica udienza 25 giorni liberi prima. Dopo il 30 giugno 2023 si applicherà la norma relativa alla trattazione in camera di consiglio con termini per il deposito di memorie di 20 giorni per il pm e di 10 giorni per le parti.

Con dm 3 maggio 2023 sono state emanate le disposizioni relative alle misure organizzative per l’acquisizione, gestione e conservazione delle copie ai sensi dell’art. 196-septies disp. att. cpc. 

Per quanto concerne le disposizioni in materia di persone, minorenni e famiglie, quelle relative all’istituzione del nuovo tribunale e alla soppressione del tribunale per i minorenni acquisteranno efficacia, ai sensi dell’art. 49 d. lgs n. 1459/2022, il 17 ottobre 2024 (due anni dalla pubblicazione in G.U. del d.lgs n. 149/2022)[8].

 

3. Il giudizio ordinario di cognizione di primo grado e il rito «semplificato»

La riforma Cartabia ha introdotto rilevanti modifiche al processo di cognizione, rimodellando il rito «ordinario» di cui agli artt. 163 ss cpc e introducendo nel capo III-quater, titolo I, libro II del codice di procedura civile (artt. da 281-decies a 281-terdecies) un rito «semplificato» in sostituzione del previgente procedimento sommario di cognizione, di cui agli artt. da 702-bis a 702-quater cpc, da cui il nuovo rito si distingue nettamente, in particolare per quanto concerne la regolamentazione della prima udienza e delle successive attività di trattazione e istruzione.

Con riguardo al rito ordinario[9], il legislatore delegato, nell’intento di assegnare un ruolo centrale all’udienza di prima comparizione e trattazione, e di far sì che ad essa si pervenga con il thema decidendum e il thema probandum già completamente definiti, ha inciso sulla scansione dei tempi processuali, anticipando a un momento anteriore rispetto a tale udienza il deposito del triplice ordine di memorie che, anteriormente alla riforma, caratterizzava la cd. appendice di trattazione scritta ai sensi dell’ art. 183, comma 6, cpc. La scelta legislativa determina tutta una serie di conseguenze sullo svolgimento delle fasi di introduzione e trattazione della causa, anche in riferimento ai termini di costituzione del convenuto e agli adempimenti preliminari cui è tenuto il giudice, conseguenze che la dottrina ha già avuto modo di mettere ampiamente in luce e di commentare (si rinvia, in questo fascicolo, ai contributi di Silvia Izzo e Beatrice Gambineri)[10]

Il rito semplificato, da introdurre mediante ricorso[11], trova applicazione «quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa», e ciò sia nelle ipotesi – ulteriormente ridotte dalla riforma – in cui la causa spetti alla decisione del tribunale in composizione collegiale, sia in quelle in cui il tribunale debba decidere in composizione monocratica. Al rito semplificato, tuttavia, l’attore può fare facoltativamente ricorso anche in tutti gli altri casi in cui la decisione spetti al tribunale in composizione monocratica, salva la facoltà del giudice di disporre il passaggio al rito ordinario ove, «valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria», ritenga che la causa debba essere trattata con il rito ordinario.

Nei tanti commenti e dibattiti che si sono succeduti sulla riforma, prevalgono valutazioni generalmente negative intorno alle modalità con le quali il giudizio di cognizione ordinario è stato configurato dal legislatore, che ha riproposto (con qualche correttivo) il non felice modello previsto dall’abrogato d.lgs n. 5/2023, configurando un impianto rigido e di difficile gestione che finisce per dilatare il momento del contatto tra le parti e il giudice, vale a dire quella prima udienza che (al netto delle questioni preliminari) dovrebbe costituire lo snodo fondamentale per l’individuazione del percorso più appropriato cui il indirizzare il processo, verificando se la causa si presti a una composizione conciliativa, se possa essere già avviata alla fase decisoria (eventualmente anche a seguito di un’istruttoria ridotta), oppure ancora se si renda necessario procedere a un’istruttoria complessa. 

Vi è un certo scetticismo riguardo alla concreta possibilità che le soluzioni accolte possano concorrere davvero a realizzare l’obiettivo di semplificazione, razionalizzazione e concentrazione che la riforma si è proposta di perseguire, sicché è diffusa la convinzione (pur non disponendosi ancora di riscontri adeguati per poter trarre conclusioni al riguardo) che nella pratica applicativa sarà il rito semplificato (grazie a una struttura che favorisce, a differenza del rito ordinario, un contatto più rapido e immediato tra parti e giudice) quello verso cui verrà indirizzata prevalentemente la scelta dell’azione, e ciò anche in ragione dell’ampiezza di accesso che il legislatore gli ha assegnato. Del resto, è lo stesso legislatore ad aver configurato il rito semplificato come una sorta di corsia preferenziale rispetto a quello «ordinario», disponendo che, ad esito delle verifiche preliminari, il giudice debba tra l’altro indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e «alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato» (art. 171-bis cpc) e che, rilevata l’eventuale ricorrenza rispetto a tutte le domande proposte dei presupposti di cui al primo comma dell’art. 281-decies cpc, all’udienza di trattazione egli debba disporre con ordinanza non impugnabile – tenendo conto della complessità della lite e dell’istruzione probatoria, e sentite le parti – la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato (art. 183-bis cpc). 

Né un contributo significativo per il raggiungimento degli obiettivi di concentrazione e speditezza sembra poter essere riconosciuto ai due nuovi strumenti decisori[12] introdotti dal legislatore in ipotesi di cause su diritti disponibili, vale a dire le cd. ordinanze definitorie di accoglimento ex art. 183-ter cpc (quando i fatti costitutivi risultino provati e le difese della controparte appaiano manifestamente infondate) o di rigetto ex art. 183-quater cpc (quando la domanda sia manifestamente infondata o sia omesso o risulti assolutamente incerto il requisito di cui all’art. 163, comma 3, n. 3, cpc e la nullità non sia stata sanata o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persista la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al n. 4, terzo comma del predetto articolo 163): strumenti che non hanno incontrato il favore degli interpreti e sono stati per lo più considerati quali fattori non di snellimento, ma di ulteriore, possibile appesantimento del processo. 

È opinione concorde che la chiave di volta affinché il rito semplificato possa prestarsi nei fatti a costituire la strada privilegiata dell’azione risiede nell’interpretazione che si riterrà di accogliere circa l’ampiezza del «giustificato motivo» menzionato nell’art. 281-duodecies cpc («Se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria»): espressione che, ove interpretata nel senso che debba trattarsi di motivi gravi e non nell’altro (già accolto nella pratica applicativa di diversi uffici giudiziari) che il motivo deve ritenersi giustificato ogniqualvolta correlato a esigenze di esplicazione del contraddittorio, restringerebbe notevolmente l’ambito dell’istituto e ne frusterebbe in gran parte le finalità.

 

4. Il giudizio innanzi al giudice di pace

In attuazione dei principi contenuti nell’art. 1, comma 7 della legge delega, il legislatore delegato ha riscritto il giudizio dinanzi al giudice di pace. A parte l’ampliamento della competenza per valore, e ferma la norma di chiusura di cui all’art. 311 cpc (secondo cui «Il procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è regolato nel presente titolo o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica in quanto applicabili»)[13], il rito disegnato nel capo III, titolo II del libro II del cpc è stato modificato con interventi sugli artt. 316, 317, 318, 319, 320 e 321 cpc. 

La novità più significativa è che, per tale giudizio, verranno applicate le forme del procedimento semplificato di cognizione. 

La domanda dev’essere proposta con ricorso, e non più con atto di citazione. Alla prima udienza, fermo restando l’obbligo di procedere al tentativo di conciliazione, il giudice di pace – in base al disposto dell’art. 281-duodecies cpc – deve procedere all’istruttoria necessaria, ovvero mandare la causa in decisione. 

Il modello decisorio è identico a quello previsto per la decisione a seguito di discussione orale dinanzi al tribunale in composizione monocratica. 

Anche con riguardo al giudice di pace trovano applicazione le disposizioni sul processo civile telematico, con conseguenti adattamenti della relativa disciplina processuale[14].

Sembra opportuno ribadire che per il giudice di pace è necessario colmare le lacune che caratterizzano tuttora l’informatizzazione dei relativi uffici. Come noto, il legislatore ha prescritto l’introduzione del processo telematico presso i suddetti uffici nel contesto del più ampio intervento di riforma della magistratura onoraria di cui al d.lgs n. 116/2017, ove era scritto che «a decorrere dal 31 ottobre 2021» (e, cioè, alla stessa data prevista per l’entrata in vigore dell’intera parte del testo normativo concernente l’aumento di competenza del giudice di pace) «ai procedimenti civili contenziosi, di volontaria giurisdizione e di espropriazione forzata introdotti dinanzi al giudice di pace a norma dell’articolo 27 si applicano le disposizioni, anche regolamentari, in materia di processo civile telematico per i procedimenti di competenza del tribunale vigenti alla medesima data». L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha tuttavia rallentato il processo di adeguamento in considerazione, con conseguente differimento di un ulteriore quadriennio dell’entrata in vigore della riforma: con l’art. 17-ter, comma 1, lett. b del dl n. 80/2021 (convertito dalla l. n. 113/2021) il termine di cui all’art. 32, comma 5, d.lgs n. 116/2017 è stato infatti portato al 31 ottobre 2025.

 

5. Le impugnazioni 

Comune a tutte le impugnazioni è la prescrizione relativa alla «chiarezza» e «sinteticità» che, già enunciata in via generale nell’art. 121 cpc, è stata riproposta (con l’aggiunta per l’atto di appello del requisito della «specificità») e inclusa tra i requisiti indicati, a pena di inammissibilità, nelle norme relative alle singole impugnazioni (art. 342 cpc per l’appello; art. 434 cpc per l’appello nelle controversie di lavoro; art. 366 cpc con riguardo al ricorso per cassazione). 

«Chiarezza» e «sinteticità» (un portato culturale dell’elaborazione maturata, in particolare, nell’ambito degli Osservatori sulla giustizia civile) da interpretarsi nel senso che l’eccessiva lunghezza e l’eventuale farraginosità dell’atto possano tradursi in ragione di inammissibilità solo quando si risolvano in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa, e siano tali da pregiudicare l’intellegibilità delle censure mosse alla sentenza gravata; e ciò, conformemente all’insegnamento espresso dalla Corte di cassazione[15]

L’impugnazione, dunque, non può essere considerata inammissibile ove consenta comunque di individuare con precisione le doglianze mosse alla sentenza impugnata, soddisfacendo in tal modo al requisito della «specificità» di cui parlano le norme più sopra richiamate. Né argomenti contrari potrebbero essere desunti dall’art. 46 disp. att. cpc, sia perché la norma si riferisce a un diverso ambito (forma e criteri di redazione dei processi verbali e degli altri atti giudiziari creati in modalità informatica)[16], sia perché pure in tale diverso ambito la norma precisa testualmente, al penultimo comma, che il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto «non comportano invalidità», ma possono essere valutati dal giudice unicamente «ai fini della decisione sulle spese del processo»[17].

 

5.1. Il giudizio d’appello

a) Con riguardo al processo d’appello nel giudizio «ordinario» (cui sono dedicati, in questo fascicolo, i contributi di Luca Passanante[18] e Guido Federico[19]), le novità più rilevanti sono quelle relative ai requisiti per ottenere la sospensione della sentenza impugnata (anteriormente alla riforma, legata alla sussistenza del duplice presupposto di «gravi» e «fondati» motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, e ora alla ricorrenza alternativa dell’uno o l’altro requisito: cfr. il novellato art. 283 cpc), alla discussa reintroduzione della figura del consigliere istruttore, di cui al novellato art. 349 cpc («quando l’appello è proposto davanti alla corte di appello, il presidente, se non ritiene di nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente di questo per la trattazione e l’istruzione della causa») e alle modifiche della disciplina relativa all’inibitoria. Sebbene, nella stesura finale della riforma, il legislatore abbia evitato di prescrivere la designazione del consigliere istruttore come scelta obbligata, configurandola invece quale atto discrezionale del presidente, il quale, sulla base della sentenza e dell’atto di appello, dovrebbe svolgere una funzione di “filtro” al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per pervenire alla decisione in forma semplificata ai sensi dell’art. 350-bis cpc, si è osservato che, nella concreta pratica applicativa, proprio l’organizzazione di questa attività di filtro, anche se delegata dal presidente, potrebbe essere fonte di complicazioni e produttiva di quelle inefficienze che la novella del 1990 aveva inteso evitare, abolendo la figura in considerazione.

b) Per quanto concerne il giudizio d’appello in materia di persone, minorenni e famiglie, problemi interpretativi particolari si pongono con riguardo alla distinzione tra i «provvedimenti indifferibili» di cui all’art. 473-bis.15 cpc, che li definisce come «necessari», e gli «opportuni» provvedimenti «temporanei ed urgenti» di cui all’art. 473-bis.22 cpc, nonché in ordine al regime di impugnabilità di tali provvedimenti interinali. Si rinvia, al riguardo, agli approfondimenti contenuti nel resoconto dell’incontro seminariale del 2 marzo 2023[20]

c) A tale resoconto si rinvia altresì per le limitate novità introdotte dalla riforma con riguardo al giudizio d’appello in materia di processo del lavoro.

 

5.2. Il giudizio di cassazione

Con riguardo al giudizio di cassazione[21], i punti di maggiore discussione sono stati quelli relativi alla soppressione della VI sezione, con le connesse modificazioni quanto all’esame preliminare, all’assegnazione e alla trattazione dei ricorsi, e al rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis cpc da parte del giudice di merito. 

La funzione della “sezione filtro”, consistente nell’eliminazione rapida dei ricorsi decidibili prima facie in modo da liberare le maggiori energie della Corte al servizio della funzione nomofilattica, ha finito per sovrapporsi ai compiti delle sezioni ordinarie, nell’ambito delle quali ugualmente deve operarsi una sorta di scrematura delle questioni più o meno rilevanti per incanalare la decisione alla camera di consiglio o alla pubblica udienza. Ne è risultato un oggettivo allungamento dei tempi di trattazione e, talvolta, anche un qualche scollamento nella trattazione delle medesime questioni tra la sezione filtro e le sezioni ordinarie[22]

A tali inconvenienti la riforma ha inteso ovviare con l’introduzione del procedimento per la decisione accelerata di cui all’art. 380-bis cpc, esperibile solo nei casi di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso[23]. La destinazione dei ricorsi inammissibili, improcedibili e manifestamente infondati al canale “accelerato” è organizzata, all’interno delle sezioni civili, mediante gli uffici spoglio posti a presidio organizzativo di ognuna delle aree di specializzazione di ciascuna sezione. Su questa forma di definizione accelerata (il cui procedimento è disciplinato dall’art. 380-bis cpc appena citato) sono stati espressi dubbi e riserve, rilevandosi tra l’altro come essa stabilisca un esclusivo rapporto tra relatore e difensori delle parti, ignorando ogni collegialità e ogni possibile scrutinio ad opera di una parte pubblica esterna al rapporto contenzioso, secondo una linea di tendenza che, attraverso interventi successivi, vede sempre più emarginato il ruolo del procuratore generale all’interno del giudizio civile di legittimità, mentre verrebbe lasciato agli interessi delle parti il compito di decidere la sorte del procedimento che le ha viste contrapposte fino a quella terza istanza, quando poi l’incentivo si risolve unicamente nel risparmio del contributo unificato. Si è dubitato, inoltre, dell’effettiva efficacia deflattiva del rito accelerato, in quanto la possibilità che alla iniziale proposta di inammissibilità possa poi seguire una richiesta di camera di consiglio da parte del difensore, introduce un elemento di incertezza nel procedimento, con possibili riflessi negativi anche sull’organizzazione della Corte. 

Al fine di limitare criticità e disfunzioni si è, pertanto, suggerito in primo luogo di far sì che la proposta formulata dal consigliere o dal presidente, benché sintetica, sia tale da affrontare in forma chiara tutti i temi fondamentali del ricorso, solo così potendo aspirare a svolgere una funzione persuasiva. Ove, poi, la proposta non venga accettata, sembra funzionale alle esigenze di speditezza e di economia processuale assicurare la coincidenza del consigliere o presidente che l’ha redatta con quello che sarà relatore nella camera di consiglio o, quanto meno, organizzare i ruoli in modo tale che egli faccia parte del collegio chiamato a pronunciarsi sul ricorso[24].

Ma, a parte i rilievi critici sollevabili relativamente a questa o quella norma, è indubbio come, con l’insieme delle modifiche introdotte dalla riforma, il legislatore abbia mirato a risolvere i problemi della Cassazione con un diverso assetto organizzativo, verso il quale sta convergendo fin dall’emanazione del decreto delegato n. 149/2022: un impegno corale degli organi apicali e di tutte le sezioni, nonché del personale amministrativo della Corte. Come è stato messo in luce nell’incontro seminariale del 2 marzo 2023[25], un’oculata organizzazione delle sezioni, fondata su un rapporto sinergico fra presidente di sezione e consigliere delegato, e su un preventivo confronto in riunioni di sezione in cui individuare i criteri generali da seguire nella formulazione delle proposte (con ciò mutuando prassi organizzative già positivamente diffuse negli uffici di merito), varrà tra l’altro a scongiurare o, comunque, a contrastare il rischio di dispersione di collegialità che si paventa come conseguenza del rito accelerato ex art. 380-bis cpc. 

Del pari, fortemente innovativo è il rinvio pregiudiziale introdotto dall’art. 363-bis cpc[26]: un istituto di nomofilachia preventiva, volto anche a deflazionare il contenzioso e a favorire la certezza del diritto vivente mediante la formazione anticipata di un autorevole orientamento giurisprudenziale che, altrimenti, in presenza di norme di nuovo conio, rischia di consolidarsi solo a molta distanza di tempo, provocando nel frattempo molteplici contrasti. Non mancano, tuttavia, i timori che il meccanismo di rinvio (il quale, ricorrendo le condizioni di cui ai punti 1, 2 e 3 indicati dalla norma, può essere avviato da qualunque giudice del merito a propria discrezione, con l’unico limite di aver sentito le parti cui è riservata unicamente la facoltà di depositare «brevi memorie», peraltro solo dopo che l’ordinanza è stata emessa e solo se e quando il presidente della Cassazione avrà assegnato la questione alla sezione semplice o alle sezioni unite), anziché concorrere alla formazione di una nomofilachia preventiva e a conseguire un effetto deflattivo, come auspicato dal legislatore, possa trasformarsi andando, da un lato, a ingolfare la Suprema corte (che peraltro ha già istituito un ufficio per la valutazione dell’impatto della norma); dall’altro – ove utilizzato in modo improprio –, a ritardare notevolmente la definizione dei giudizi nella fase di merito. E già non mancano esempi di rinvio attuati dai giudici di merito senza che appaiano rispettati i rigorosi limiti indicati dalla norma e tali da suggerire l’impressione che lo strumento sia stato utilizzato in sostanziale elusione di quella funzione interpretativa che è connaturale all’esercizio della giurisdizione e che è compito istituzionale del giudice svolgere in ogni processo, senza pigrizie e senza “fughe” dalle difficoltà di studio e ricerche anche elevate che le questioni sottoposte al suo caso possano comportare[27]

Il tema rimanda, ancora una volta, alla necessità di organizzarsi e di attivare un contesto di confronto idoneo a scongiurare la tentazione del singolo magistrato di interpellare direttamente la Cassazione al di fuori di orientamenti dell’ufficio[28]

 

6. Le controversie di lavoro

La “riforma Cartabia” del processo civile non ha modificato la dinamica complessiva del processo del lavoro nelle sue caratteristiche di oralità, concentrazione, regime di preclusioni e poteri officiosi del giudice. Le principali modifiche attengono alla tutela in tema di licenziamenti, con il definitivo superamento del cd. “rito Fornero” di cui alla l. n. 92/2012 che, inizialmente guardato con favore, aveva presto messo in luce rilevanti criticità (tra cui, in particolare, quella relativa alla frammentazione sul piano processuale per le domande non strettamente connesse all’area dell’integrazione e le incertezze collegate alla scelta del rito che avevano visto moltiplicarsi decisioni di nullità e inammissibilità dei ricorsi e che, per evitare decadenze, avevano indotto spesso a promuovere un’identica azione con il rito ordinario e con il rito speciale, salvo poi abbandonare quella che fosse risultata erronea) e che, proprio a causa di tali criticità, aveva subito nel corso del tempo diverse modificazioni. Tra le peculiarità che contraddistinguono la trattazione e la decisione delle controversie in tema di licenziamento introdotte a partire dal 1° marzo 2023[29] vi sono quelle relative al «carattere prioritario» dell’impugnativa del licenziamento, proposta con domanda di reintegrazione, cui il legislatore (art. 441-bis cpc) ha assegnato una corsia preferenziale, attribuendo al giudice poteri correlati all’esigenza di assicurarne, anche in appello e in cassazione, celerità di trattazione, anche se la riduzione dei termini prevista dalla norma potrebbe rendere più difficoltosa per il convento la predisposizione di una difesa adeguata. L’esigenza, poi, di evitare che la riduzione dei termini sia rimessa alla mera discrezionalità del giudice dovrebbe portare all’adozione di un criterio orientativo e di una regola organizzativa interna all’ufficio, in base ai quali – pur dovendosi tener conto delle diverse realtà e situazioni territoriali – in linea di massima il giudice, quando non ritiene di ridurre i termini fissati dalla legge, si attesti per i licenziamenti sui termini ordinari già previsti dal cpc nel rito ordinario del lavoro. 

Peraltro, nelle sezioni lavoro di alcuni tribunali, i magistrati hanno già sottoscritto verbali di riunioni ex art. 47-quater o.g., impegnandosi a trattare questo tipo di controversie nel termine massimo dei due mesi, a concentrare la fase istruttoria e decisionale in tre/quattro mesi, con un monitoraggio e un aggiornamento costante nelle riunioni organizzative di sezione.

Con la riforma è stata, inoltre, superata la questione relativa all’individuazione del rito applicabile e del giudice competente per le controversie concernenti il lavoro dei soci di cooperativa, una questione rispetto alla quale il succedersi di ripetuti capovolgimenti di giurisprudenza e di disordinate modifiche di legge negli ultimi vent’anni non aveva contribuito al raggiungimento di risultati soddisfacenti in termini di certezza del diritto, e che, alla stregua della duplicità di posizioni ravvisabili nella figura del socio lavoratore (l’una facente capo al contratto associativo, l’altra al contratto di lavoro), aveva portato a configurare una duplice competenza, rispettivamente, del tribunale delle imprese e del giudice del lavoro.

L’art. 1, comma 11, lett. b della legge delega n. 206/2021, al fine di superare ogni incertezza applicativa, ha prescritto infatti che fossero assoggettate al rito di cui agli artt. 409 ss. cpc tutte «le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative», anche nel caso in cui ne conseguisse «la cessazione del rapporto associativo» (così, peraltro, alterando la relazione tra rapporto di lavoro e rapporto associativo, dal momento che alla cessazione del rapporto di lavoro non «consegue» la cessazione di quello associativo, ma è dall’esclusione del socio che consegue, ope legis, l’estinzione del rapporto lavorativo); e in base al novellato art. 441-ter cpc, intitolato «licenziamento del socio della cooperativa», «le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate alle norme di cui agli articoli 409 e seguenti e, in tali casi, il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte. Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo» (per una più ampia analisi sulle questioni interpretative, cfr. il resoconto dell’incontro seminariale del 22 marzo 2023[30]

Una specifica norma (art. 441-quater cpc) è stata poi dettata per i licenziamenti discriminatori, relativamente ai quali vi è la possibilità di avvalersi, in modo alternativo, sia del nuovo rito accelerato previsto dai novellati 441-bis ss. del codice di rito, sia dei riti speciali in materia di discriminazioni (quello previsto per la generalità delle discriminazioni dall’art. 28 d.lgs n. 150/2011, e il rito previsto per le discriminazioni di genere in materia di lavoro dagli artt. 36 ss. del codice delle pari opportunità, di cui al d.lgs n. 198/2006), con la specificazione che la proposizione della domanda, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda. 

 

7. Udienze mediante collegamento da remoto e trattazione scritta

Con riguardo alle norme dell’art. 127-bis cpc (udienze mediante collegamento da remoto) e dell’art. 127-ter cpc (trattazione scritta), non mancano dubbi in ordine al concreto ambito applicativo delle norme nonché perplessità e preoccupazioni sotto il profilo che le modalità previste da tali norme (in particolare quella relativa alla trattazione scritta), da strumenti emergenziali dettati per far fronte all’esercizio della giurisdizione nella fase della pandemia, finiscano per trasformarsi in strumenti ordinari in grado di erodere progressivamente il principio di oralità del processo[31].

Tali preoccupazioni sono particolarmente diffuse con riguardo al processo del lavoro, relativamente al quale è stata tra l’altro sottolineata l’impossibilità di conciliare l’art. 429 cpc con l’art. 127-ter cpc e – per quanto concerne le controversie in tema di licenziamento di cui al richiamato art. 441-bis cpc – si è osservato come la fissazione del termine (minimo) di venti giorni tra la notificazione del ricorso e del decreto e la data dell’udienza, e il dimezzamento del termine di costituzione del convenuto, non appaiono compatibili con lo svolgimento della udienza di discussione in modalità “cartolare”.

Sul tema può tuttavia osservarsi come – mentre è generalmente condivisa la tesi dell’applicabilità anche alle controversie di lavoro dell’art. 127-bis cpc, relativo alle udienze mediante collegamento da remoto[32] – non sembra esistere incompatibilità assoluta tra processo del lavoro e trattazione scritta[33]. Peraltro, il rito in considerazione non riguarda soltanto le controversie di lavoro, ma anche quelle di assistenza e previdenza, dove il contenzioso è solo documentale, oltre che una fascia molto ampia di controversie di varia natura (cause locatizie, agrarie, opposizioni a ordinanze-ingiunzioni già previste dall’art. 22 l. n. 689/1981 e a quelle regolate dal codice della strada; in materia di stupefacenti e di protezione dei dati personali; in tema di provvedimenti di recupero degli aiuti di Stato, di registro dei protesti e riabilitazione del debitore protestato, etc.) relativamente alle quali le esigenze di oralità non sono certo maggiori di quelle che possono ravvisarsi in qualunque processo “ordinario”. Nell’ambito dello stesso rito specificamente dedicato al lavoro, del resto, esistono controversie (come quelle di lavoro pubblico, ad esempio nel settore della pubblica istruzione) che ben si prestano alla trattazione scritta per il loro carattere soprattutto documentale, e le esigenze di oralità sono ben scarse – per fare un altro esempio – nelle cause previdenziali.

La trattazione scritta, al pari dell’udienza mediante collegamento a distanza, rappresenta un semplice strumento di duttilità del processo (che può dimostrarsi utile specie in contesti caratterizzati da gravosi carichi di lavoro, o in periodi di emergenza come quello determinato dal Covid-19), da utilizzare in relazione alle circostanze del caso concreto e tali da non poter essere esclusi in tutte le situazioni in cui l’oralità non costituisce una caratteristica intrinseca dell’adempimento di determinate attività processuali (quali, ad esempio, la prima udienza con la comparizione delle parti, il tentativo di conciliazione o altre attività che non richiedono la presenza di soggetti diversi dalle parti, dai difensori e dagli ausiliari del giudice, per le quali l’oralità è connaturale). E può, anzi, affermarsi che un uso oculato della trattazione scritta, laddove a essa può ricorrersi senza sacrificio della garanzia del contraddittorio e della qualità della tutela, può giovare al recupero di oralità nelle controversie in cui l’oralità costituisce una garanzia intrinseca delle garanzie processuali[34].

 

8. Il processo di esecuzione

Come osserva Francesco Vigorito nell’articolo pubblicato in questo fascicolo[35], il settore delle procedure esecutive è stato oggetto, negli ultimi decenni, di una serie incessante di interventi legislativi, a partire dalla legge n. 302/1998 («Norme in tema di espropriazione forzata e di atti affidabili ai notai») che, dopo quasi sessant’anni di applicazione della originaria disciplina codicistica, diede il via alla stagione di riforme in una materia che è andata assumendo «una centralità in precedenza insospettata, come indice dell’efficienza della giurisdizione civile e della sua capacità di incidere sul sistema economico nel suo complesso».

L’ultimo intervento riformatore si riconduce all’obiettivo, perseguito dalla legge delega n. 206/2021, di dare attuazione al PNRR prestando una attenzione particolare al settore dell’esecuzione forzata «in ragione della centralità della realizzazione coattiva del credito ai fini della competitività del sistema paese» e dell’esigenza «di rendere più celeri e spediti i procedimenti esecutivi»: un obiettivo in realtà già insito negli interventi normativi succedutisi nell’ultimo quarto di secolo – con risultati non sempre corrispondenti alle aspettative –, anche con l’intento di dare una risposta alle preoccupazioni manifestate dalle istituzioni internazionali in ordine ai problemi di efficienza presenti nel nostro ordinamento con riguardo al settore del “recupero crediti” e, in particolare, delle procedure espropriative e concorsuali, e con riguardo ai conseguenti effetti negativi per la competitività del sistema economico. 

Ad esito di un esame complessivo degli interventi normativi realizzati in questi anni, può affermarsi che, pur con luci e ombre, essi abbiano contribuito a restituire efficienza al sistema dell’esecuzione forzata, che deve coniugare il diritto del creditore al soddisfacimento della propria pretesa, garantendo nel contempo la dignità e la posizione del debitore pur senza dare spazio a comportamenti ostruzionistici.

Per un esame approfondito della novità introdotte dalla riforma Cartabia e dal d.lgs di attuazione, si rinvia al contributo di F. Vigorito appena citato, nonché – con specifico riferimento all’istituto della vendita diretta – a quello di Giulio Cataldi[36].

Con riguardo alle questioni applicative collegate alla novità della riforma si rinvia, altresì, al resoconto dell’incontro seminariale del 13 aprile 2023[37]

 

9. Gli interventi in tema di persone, minorenni e famiglie

Gli interventi in materia di persone, minorenni e famiglie (parte della riforma, cui sono dedicati in questo fascicolo i contributi di Cristina Maggia[38] e di Claudio Cecchella[39]), rientrano tra quelli che hanno suscitato maggiori diversità di vedute. Nel corso dell’incontro seminariale del 15 febbraio 2023[40], è stata anzi prospettata la tesi secondo cui la nuova normativa sul processo “unificato” non troverebbe applicazione con riguardo ai tribunali per i minorenni, relativamente ai quali, sino a quando non sarà stata data attuazione alla parte ordinamentale, continuerebbe a valere la disciplina in vigore prima della riforma. Porterebbero a tale conclusione le previsioni della legge delega relative all’istituzione di un nuovo tribunale per le persone, le famiglie e i minori quale trasformazione del tribunale per i minorenni, e quella di un percorso di due anni comprendente modifiche ordinamentali al regime e allo status dei giudici onorari, all’«Ufficio per il processo» (Upp) e al processo medesimo; l’inefficacia delle disposizioni contenute nella sezione VII del capo IV del d.lgs n. 149/2022 prima del decorso di due anni dalla data della pubblicazione di quest’ultimo nella Gazzetta ufficiale (art. 49 d.lgs n. 149/2022); la circostanza che nel d.lgs n. 151/2022 sia prevista l’istituzione di uffici per il processo con riguardo al nuovo tribunale per le persone, i minori e la famiglia, ma non anche per i tribunali per i minorenni; la mancata previsione del passaggio dei giudici onorari all’Upp sino all’attuazione delle nuove norme e alla creazione del nuovo ufficio e la mancata abrogazione delle norme che prevedono la composizione dell’ufficio, sia di quello di primo grado del tribunale per i minorenni, sia delle sezioni minorili; altri elementi, tra cui la mancata digitalizzazione del tribunale per i minorenni, prevista invece per il futuro nuovo tribunale quale aspetto – insieme alla trasformazione del sistema dei giudici onorari – della sua struttura e delle sue articolazioni territoriali. Sotto altro profilo, sono state messe in luce in altri interventi le non indifferenti difficoltà che l’applicabilità del nuovo rito determinerebbe sul funzionamento dei tribunali per i minorenni. Essi, infatti, sono rimasti esclusi dall’ufficio per il processo; non potranno più avvalersi (con riguardo a procedimenti introdotti successivamente al 30 giugno 2023)[41] della possibilità di delegare attività istruttorie ai giudici onorari, stante il rigido divieto di cui all’art. 473-bis.1 cpc; restano la “cenerentola” degli uffici giudiziari italiani per quanto concerne il processo telematico, e dovrebbero continuare a operare con un organico del tutto irrisorio, a fronte tra l’altro di una mole di lavoro cresciuta in modo esponenziale dopo il lockdown e dovendo far fronte anche alla contestuale attuazione della riforma penale. In tale contesto, i tribunali per i minorenni si vedrebbero costretti ad abbandonare completamente l’attività di prevenzione, per la necessità di concentrarsi sulle urgenze determinate dalle tante fragilità (di ragazzi, di bambini, di famiglie intere) da proteggere. Il differimento dell’entrata in vigore del nuovo rito – per quanto attiene alla parte minorile – al momento in cui entrerà in funzione il nuovo tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie avrebbe consentito di organizzare le risorse e di costruire un sistema in grado di funzionare. 

Le difficoltà organizzative e operative in cui verrebbero a trovarsi i tribunali per i minorenni sono innegabili[42]; e, peraltro, difficoltà non indifferenti si prospettano anche per i tribunali ordinari (sui quali andrà a trasferirsi un ulteriore gran numero di procedimenti rispetto a quelli che già vennero trasferiti nel 2012) e per le sezioni delle corti d’appello in materia di famiglia e minorenni, così come è certo che la futura unificazione degli uffici in materia di persone, minorenni e famiglie imporrà un notevole sforzo di adattamento anche per evitare la dispersione delle professionalità acquisite nell’esperienza dei tribunali per i minorenni. Né è mancata la considerazione che l’insieme dei problemi da affrontare e risolvere, in assenza di un appropriato contesto organizzativo e di risorse adeguate (e, purtroppo, i segnali che provengono dall’ultima legge di bilancio, che ha tagliato alcuni capitoli di spesa relativi alla giustizia, non sono incoraggianti) rischia di mettere in crisi il principio della ragionevole durata del processo. 

In contrario, si è tuttavia osservato come una molteplicità di disposizioni (cfr. il resoconto dell’incontro seminariale del 15 febbraio 2023, più sopra citato) impongano di ritenere che la normativa sul rito “unificato” debba trovare applicazione anche con riguardo a questi ultimi uffici. Le norme della riforma potranno piacere o non piacere, essere considerate adeguate o incongrue, ma il giudice – che per canone costituzionale è soggetto alla legge – non può non applicarle, salva sempre la possibilità di sollevare, ricorrendone i presupposti, questione di legittimità costituzionale rispetto a questa o a quella norma. 

Ma la riforma in materia di famiglia presenta indubbiamente aspetti positivi, a partire dall’introduzione di un nuovo rito che segue le forme della cognizione piena ed esauriente, in luogo della sovrapposizione di tutele differenziate vigenti prima della riforma[43]; prevede una fase introduttiva (improntata al principio di collaborazione delle parti nella ricerca di una soluzione del conflitto), cui seguono una eventuale fase istruttoria e la decisione; introduce un regime di preclusioni “a geometria variabile”, perché operante soltanto in materia di diritti disponibili[44]. Il nuovo rito, disciplinato dal titolo IV-bis del cpc[45], convive peraltro – oltre che con la disciplina generale del processo di cognizione di cui agli artt. 163 ss. cpc – con altre e differenti forme processuali nelle ipotesi in cui la legge ha disposto in modo diverso, ed è differentemente declinato a seconda delle situazioni sostanziali dedotte nel giudizio per effetto delle disposizioni speciali e dall’attenzione rivolta alla protezione dei soggetti più vulnerabili (minori o maggiorenni portatori di handicap), con un conseguente rafforzamento di tecniche di tutela già in qualche modo esistenti, benché di fatto scarsamente utilizzate: si pensi alle disposizioni relative ai poteri del pm, all’ampliamento dei poteri ufficiosi del giudice, tra cui quello relativo alla nomina di un curatore speciale; alla possibilità di adottare provvedimenti in deroga all’art. 112 cpc nonché in deroga ai limiti di ammissibilità della prova (sempre, ovviamente, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria); all’ascolto del minore; al regime dell’attuazione dei provvedimenti e al raccordo tra servizi sociali, sanitari e assistenziali (p.a.) e giurisdizione; al nuovo procedimento giurisdizionalizzato, secondo il novellato art. 403 cc, a tutela del minore in stato di abbandono o di pregiudizio; agli interventi volti ad allargare le maglie della giustizia collaborativa (mediazione familiare e negoziazione assistita) e a rafforzare la tutela dei soggetti vittime di violenza familiare o di genere.

La nuova normativa pone indubbiamente problemi rilevanti anche sul piano interpretativo[46], tra l’altro – e in particolare – con riguardo ai provvedimenti «temporanei ed urgenti», a quelli «indifferibili» e ai provvedimenti «provvisori»[47]; ma spetterà anche agli interpreti, agli operatori pratici e, più in generale, alla cultura giuridica dare il proprio contributo affinché la riforma possa raggiungere gli obiettivi di maggior celerità e di più forte tutela dei soggetti più vulnerabili che il legislatore si è proposto con l’insieme delle modifiche introdotte. 

Infine, è da ricordare che il d.lgs n. 149/2022, in attuazione della legge delega, ha dato ampio rilievo al ricorso alla mediazione familiare nel rito unificato in materia di persone, famiglie e minori, prevedendo anche l’istituzione di un apposito elenco di mediatori tenuto presso ogni tribunale. Si rinvia, al riguardo, al ricordato contributo di C. Cecchella.

 

10. Le ADR

Sulle ADR (in particolare, con riguardo alla mediazione a scopo di conciliazione e alla negoziazione assistita, che occupano uno spazio significativo all’interno della riforma Cartabia), diverse considerazioni sono state già svolte nel fascicolo n. 3/2021 di Questione giustizia, più volte richiamato. Ad esse è dedicato, in questo numero, l’ampio contributo di Alberto Maria Tedoldi[48].

Appartiene ormai all’opinione comune che gli interventi in tema di ADR, nel cui ambito vanno annoverate anche la mediazione a scopo di conciliazione e la negoziazione assistita[49], si collocano all’interno del dibattito che, ormai da decenni, ha investito anche nel nostro Paese il rapporto tra processo civile e strumenti stragiudiziali di composizione dei conflitti e che, aventi nella loro origine come collante principale (se non unico) l’intento di deflazionare i carichi giudiziari, sono venuti sempre più assumendo le caratteristiche di strumenti riconducibili a un più ampio bisogno di una giustizia partecipativa, capace di declinarsi in ambito civile come espressione di quella che, con terminologia recente, viene definita anche come giustizia consensuale.

La stessa prospettiva di effettività della giurisdizione si lega, infatti, non solo alla tensione verso il pieno recupero di funzionalità del processo civile, ma a una riflessione più generale circa i modi di partecipazione di altri soggetti all’amministrazione della giustizia, di talché la ricerca di “alternative” non si pone in termini di contrapposizione rispetto alla tutela giudiziaria, ma rimanda a possibilità di appagamento diverse dal processo: o perché aiutano a risolvere il conflitto attribuendo lo stesso bene della vita che si chiederebbe alla giurisdizione, o perché assicurano forme di soddisfazione che il processo, a causa dei suoi limiti istituzionali, non sarebbe in grado di assicurare. 

Alla mediazione a scopo di conciliazione – per stare al linguaggio della legge – come pure alla negoziazione assistita da avvocati, occorre dunque guardare come a segmenti di quel più ampio movimento in favore dell’effettività dei diritti che ha portato, tra l’altro, a far emergere la consapevolezza secondo cui la composizione delle controversie può essere affidata non solo agli organi della giurisdizione statale, ma – in presenza della volontà concorde delle parti – anche a istituzioni diverse di cui – e purché – sia assicurata la terzietà, l’imparzialità e l’efficienza.

L’approdo di questa riflessione è stato, com’è noto, quello della riforma Cartabia, che nel civile, valorizzando le sedi di composizione stragiudiziale dei conflitti diversi dalla decisione, le ha assunte espressamente come strumenti complementari alla giurisdizione e, dall’altro lato, ha dedicato specifica attenzione (in una delle parti più significative del processo penale) alla giustizia riparativa.

Sarà adesso compito anche dei diversi attori coinvolti nella riforma concorrere a far sì che la relazione tra processo e strumenti stragiudiziali di composizione della controversia non si trasformi in un rapporto conflittuale, quasi che l’ampliamento dell’ambito della mediazione e della negoziazione assistita attuato dal legislatore si ponga in funzione antagonistica rispetto al processo, i cui problemi di funzionamento non possono essere elusi con una fuga dalla giurisdizione, che finirebbe per porre anche problemi di compatibilità costituzionale[50], ma adottando tutte le misure organizzative e ordinamentali necessarie per far sì che esso possa assolvere la sua funzione di garanzia fondamentale di tutela dei diritti. E in quest’opera (non di sovrapposizione, ma) di integrazione, un ruolo importante spetta alla mediazione demandata, che il legislatore ha inteso incentivare e valorizzare con una pluralità di prescrizioni[51]. In particolare – come osservato in altre occasioni – la previsione in base alla quale la mediazione demandata dal giudice dovrà essere riorganizzata, coordinata e valorizzata nel contesto dell’ufficio del processo, con adeguati e ben formati ausili di personale e giovani tirocinanti, e in un circolo virtuoso tra uffici giudiziari, università, avvocatura, organismi di mediazione, enti e associazioni professionali, fa sì che la mediazione demandata diventi l’anello fondamentale della cultura di un raccordo la cui concreta esplicazione implica, tra l’altro, di affrontare con oculatezza i problemi posti dalla riforma circa l’individuazione del momento più appropriato per disporre, nel rito “ordinario” di cognizione e in quello “semplificato”, l’invio in mediazione[52].

Per quanto riguarda la negoziazione assistita da avvocati (dl n. 134/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 162/2014), è noto che la riforma Cartabia ha inteso estendere l’ambito di applicazione soprattutto laddove l’istituto aveva dimostrato maggiore capacità di funzionamento, e cioè nell’ambito delle separazioni personali, delle cessazioni degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, primo comma, n. 2, lett. b della legge n. 898/1970 e successive modifiche. La stessa legge delega lo aveva infatti già reso applicabile alle controversie in materia di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, ivi compresi i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti; di modifica delle condizioni di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili, affidamento e mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio, ivi compresi i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti; di alimenti e accordi per la determinazione dell’assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. 

Con l’art. 9 d.lgs n. 149/2022 – oltre alle norme che hanno esteso l’ambito di operatività della negoziazione assistita alle controversie in materia di lavoro, nei limiti e alle condizioni di cui al novellato art. 2-ter l. n. 132/2014, e oltre alle disposizioni in tema di istruttoria stragiudiziale[53], di negoziazione assistita telematica e di patrocinio a spese dello Stato (nei casi assai limitati in cui il previo esperimento della negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda)[54] – sono poi state inserite: 

* la previsione secondo cui gli eventuali patti di trasferimento immobiliari contenuti nell’accordo hanno effetti obbligatori[55], con la conseguenza che in caso di inadempimento, per qualsiasi ragione, dell’obbligato alla promessa di trasferimento della proprietà di beni in sede di accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto, la controparte di siffatti accordi non potrà che intraprendere un lungo e incerto giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo ai sensi dell’art. 2932 cc, dovendo escludersi anche una risoluzione del patto per inadempimento, non trattandosi di un contratto sinallagmatico, bensì dell’adempimento di un dovere di mantenimento previsto dalla legge (cfr. Cass., sez. unite, e i richiami in essa contenuti);

* quella secondo cui al coniuge o al partner dell’unione civile sprovvisto di mezzi adeguati, o che comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, potrà essere riconosciuto un assegno una tantum, da versare in unica soluzione e la cui congruità è asseverata dagli avvocati, che assistono le parti e sottoscrivono l’accordo;

* la disposizione in base alla quale il procuratore della Repubblica, quando ritenga che l’accordo non risponde all’interesse dei figli o che sia opportuno procedere al loro ascolto, lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, senza che peraltro siano disciplinate dalla legge la procedura del passaggio dal pm al presidente del Tribunale, né quella della fase successiva a tale passaggio, limitandosi la norma del novellato art. 6 a stabilire che il presidente del tribunale «fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo».

La possibilità di pervenire alla separazione e al divorzio per via negoziale semplicemente mediante un’intesa diretta tra le parti, con l’assistenza degli avvocati (sia pure entro i limiti e alle condizioni stabiliti dalla legge), costituisce un’evoluzione del regime contrattualistico che si è andato sviluppando nella disciplina positiva con riguardo all’ambito familiare, ciò che ha portato a introdurre, proprio nella delicata materia del diritto di famiglia, una deroga al principio di disponibilità dei diritti oggetto di negoziazione di cui all’art. 2, comma 2, lett. b, l. n. 162/2014, e a un’erosione del dogma dell’indisponibilità degli status.

Anche per questa ragione, il legislatore ha valorizzato il ruolo degli avvocati, cui non soltanto spetta di assistere le parti nella ricerca, secondo il met0do della pratica collaborativa di cui la negoziazione costituisce una significativa manifestazione, la soluzione condivisa più congrua rispetto ai loro interessi e, quando vi sono, all’interesse primario dei figli, ma ai quali il legislatore ha affidato – oltre che compiti informativi, che si traducono in altrettanti doveri nei confronti delle parti da loro assistite –, anche funzioni certificative assai rilevanti ai fini della validità dell’accordo e della possibilità che esso possa costituire titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, dal momento che spetta agli avvocati di certificare (analogamente a quanto previsto nella disciplina della mediazione di cui al d.lgs n. 28/2010 e succ. mod.) l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative, tra le quali deve farsi rientrare, quale principio cardine della materia, anche la verifica circa la corrispondenza dell’accordo all’interesse del minore, su cui la legge ha demandato una funzione di controllo anche al pubblico ministero.

 

11. Dalle critiche della riforma all’impegno per farla funzionare

È stato da più parti messo in luce come la riforma, ispirata all’intento di acquisire i fondi del PNRR, sia stata frettolosa e presenti in più punti contraddizioni e lacune; ed essa è stata anche definita, in ragione delle sue aporie, una «brutta riforma»[56]. Oltre tutto, l’obiettivo della semplificazione (che annovera tra le sue condizioni un deciso sfoltimento della moltitudine di riti processuali oggi in vigore) è ben lontano dall’essere raggiunto, dovendosi contare tuttora la persistenza di ben otto modelli processuali del giudizio di cognizione (processo ordinario; processo semplificato; processo innanzi al giudice di pace; processo «del lavoro»; processo «unificato» in materia di stato delle persone, famiglia e minori; processo unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alle procedure di insolvenza; processo per l’accertamento del passivo nelle procedure concorsuali; processo in camera di consiglio) e, al loro interno, di una numerosa quantità di varianti. 

Sotto altro profilo, le misure adottate (la cui ampiezza va ben oltre i tradizionali interventi di semplice novellazione processuale) soffrono del limite consueto di essere state introdotte senza che risulti effettuata un’analisi attenta e approfondita della realtà giudiziaria (una realtà che è molto diversa da zona a zona del Paese e che riporta in primo piano, tra l’altro, il problema della geografia giudiziaria)[57] e ignorando ancora una volta la necessità di una revisione complessiva del quadro normativo, liberandolo delle incrostazioni di disposizioni frammentarie e contraddittorie, che si sono andate accumulando negli anni[58].

Ma la riforma è ormai cosa fatta e, più che indugiare in recriminazioni, occorre applicarsi per farla funzionare al meglio, senza che ciò faccia venir meno, ovviamente, l’utilità della riflessione e delle proposte migliorative (tanto più che già si preannunciano modifiche e correttivi), e fermo restando il potere-dovere di ogni giudice di sollevare, quando ne ricorrano i presupposti, questione di legittimità costituzionale rispetto a questa o quella norma.

 

11.1. Le questioni organizzative

Ogni riforma determina un impatto sugli assetti organizzativi; e ciò vale, naturalmente (e in modo particolare), anche con riguardo alle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia, da cui discendono conseguenze immediate per quanto concerne le necessità di adeguamento delle direttive del Csm in materia tabellare, le funzioni organizzative demandate ai dirigenti degli uffici giudiziari, i compiti di ogni magistrato nell’organizzazione del proprio lavoro.

Al fine di garantire, ad esempio, il rispetto del carattere prioritario delle controversie in tema di licenziamento e la “calendarizzazione” prevista nel novellato art. 441-bis cpc, la possibilità di individuare i criteri operativi più adeguati rispetto alle esigenze di funzionamento del servizio è non solo affidata, ovviamente e in primo luogo, alla valutazione dei singoli magistrati e al dovere di autorganizzazione cui essi sono tenuti, ma coinvolge l’intera sezione in un impegno gestionale alla cui esplicazione potranno dimostrarsi quanto mai utili le riunioni ex art. 47-quater o.g., nonché un raccordo con la cancelleria e con le articolazioni amministrative e di supporto dell’ufficio.

Anche nei casi in cui l’interpretazione del singolo magistrato si dimostri sufficiente a risolvere problemi di attuazione della nuova normativa, il coinvolgimento dell’intera sezione e, più in generale, dell’intero ufficio nell’attività di ricognizione degli istituti e nell’elaborazione di orientamenti interpretativi (sia pur non vincolanti) potrà rivelarsi un fattore di maggior affidabilità nella formazione degli indirizzi giurisprudenziali, oltre che di maggiore efficienza e razionalità nell’organizzazione dell’ufficio. Ed è superfluo sottolineare quanto alla logica della buona organizzazione possano giovare, tanto più a fronte di un complesso disegno riformatore come quello di cui si sta discutendo, momenti di confronto con l’avvocatura. 

Torna qui in gioco un aspetto specifico di quel metodo dialettico cui in tanti uffici giudiziari hanno dato impulso le esperienze virtuose di autoriforma, che lo stesso Csm ha inteso incentivare con le proprie circolari in materia di organizzazione degli uffici giudiziari, radicandosi in tal modo quella pratica del confronto da cui probabilmente – più che da occhiute visioni sanzionatorie come quelle che hanno ispirato la riforma dell’ordinamento giudiziario – dipenderà anche l’uso accorto dei poteri discrezionali del giudice nel governo dei tempi del processo, da sottrarre a un giustamente temuto soggettivismo incontrollato e ricondurre a un quadro di maggiore razionalità e coerenza organizzativa. Sotto altro profilo, è inutile sottolineare quanto l’ausilio di protocolli concordati, frutto di elaborazioni collettive e di logiche di partecipazione, possa giovare alla ricucitura delle smagliature del sistema, facendo sì che le stesse norme processuali, nonostante l’opinabilità e le perplessità che possono fondatamente avanzarsi con riguardo a più di una delle scelte compiute dal legislatore, riescano a comporsi in un quadro operativo capace di dare maggior concretezza all’idea, cui da tempo inutilmente si aspira, di un processo tendenzialmente unitario, duttile nelle forme e ricco nei mezzi di tutela, che consenta di adattare la risposta di giustizia a seconda delle circostanze del caso concreto, in un quadro certo di garanzie di cui l’imparzialità del giudice, il contraddittorio delle parti, la parità delle armi e la ragionevole durata del giudizio sono profili strettamente intrecciati. Una ricomposizione razionale del sistema, in cui lo stesso rapporto tra rito «semplificato» e rito «ordinario» di cognizione venga a configurarsi non tanto in termini di scelte alternative, quanto in forma di vasi comunicanti che consentono di scegliere, di volta in volta, la forma procedimentale e il tipo di provvedimento ritenuti più idonei a soddisfare il bisogno di tutela del caso concreto.

 

11.2. L’«Ufficio per il processo»

Anche negli scritti pubblicati nel fascicolo n. 3/2021 della Rivista, dedicato al commento della legge delega, si è avuto modo di esprimere apprezzamento per il fatto che, questa volta, gli interventi legislativi non si sono limitati alla consueta opera di novellazione della disciplina processuale, ma sono stati inseriti in un quadro più articolato e complesso di misure destinate a comporre nel loro insieme il disegno riformatore, nel cui ambito la piena attuazione dell’ufficio del processo è stata individuata come uno dei perni dell’azione riorganizzativa della giustizia. E, in effetti, la possibilità che le stesse norme processuali possano conseguire risultati positivi è strettamente legata, tra l’altro, alla contestuale realizzazione di misure organizzative, prima tra le quali l’«Ufficio per il processo», che può rappresentare davvero una svolta, anche sul piano culturale e professionale, nel modo di lavorare e di fornire le prestazioni relative al “servizio giustizia”[59], e nel cui ambito sarà possibile avvalersi delle proficue esperienze già maturate in diversi uffici giudiziari (cfr., ad esempio, quelle del Tribunale di Paola e del Tribunale di Nola, richiamate dall’articolo di Paola Del Giudice[60], in questo fascicolo – fermo l’intento di poter riferire delle esperienze di altri uffici in successivi numeri della Rivista). Come osservato in alcuni degli scritti riportati nel fascicolo n. 3/2021 della Trimestrale, la stessa progettualità custodita in «banche dati ragionate» e in «archivi organizzati di precedenti giurisprudenziali legati a un determinato territorio» potrà offrire un contributo fondamentale per innalzare la qualità del servizio giustizia, dando un volto concreto e una dimensione appropriata a quella predittività che non può e non deve risolversi in un sistema precostituito e automatizzato di provvedimenti e di decisioni, ma rimanda a un contesto in cui ogni decisione e ogni provvedimento sono il frutto non di automatismi o di solipsistiche posizioni, ma di una ragionata ricerca della soluzione che appare più conforme a giustizia nel caso concreto, anche avvalendosi dell’insieme di informazioni e di precedenti che costituiscono l’esperienza giuridica[61]: giacché «il diritto al presente che oggi (...) quotidianamente amministriamo ricerca una calcolabilità» legata, più che alla sua relazione con la norma, alla «sua relazione con il passato deciso, con il dictum già concretizzato: la banca dati che si mira a realizzare con l’ufficio del processo non può essere solo il luogo di un’archiviazione accumulativa del passato deciso, ma deve proporsi come strumento per “rappresentazioni cognitive” capaci di contestualizzare l’azione della giurisdizione, quantomeno nell’immediato futuro»[62].

Occorre ribadire che la compiuta realizzazione dell’Upp è legata a una pluralità di condizioni e potrà avere speranza di successo solo se, come obiettivi, verranno posti non soltanto la pur necessaria definizione del pesante arretrato tuttora gravante sugli uffici giudiziari, ma la realizzazione di una struttura stabile e duratura di sostegno all’esercizio della giurisdizione, fondata sulla logica – propria di ogni organizzazione complessa – della partecipazione diffusa e collaborativa; sul coordinamento dei diversi fattori umani e tecnologici destinati a comporla; sulla valorizzazione e il rispetto delle diverse componenti professionali che ne faranno parte, avendo cura, tra l’altro, di evitare che la sollecitazione a far subito e presto si traduca in uno scadimento delle caratteristiche e delle qualità della giurisdizione; sul confronto costante tra le diverse esperienze pratiche e la diffusione che, in tal senso, potrà esserne favorita per il tramite degli incontri di formazione professionale e dell’opera di organismi come gli Osservatori sulla giustizia civile. 

L’importanza strategica dell’ufficio per il processo impone che siano chiarite definitivamente le “specifiche” e i “contenuti professionali” di coloro che vi sono addetti, evitando tra l’altro che la figura dei funzionari, a metà strada tra funzioni amministrative e funzioni di supporto alla giurisdizione, da un lato finisca per essere utilizzata per far fronte alle carenze di organico delle cancellerie; dall’altro, per riprodurre una logica deleteria di “doppia dirigenza” contraria alla funzionalità del servizio e al modello collaborativo e partecipativo cui deve ispirarsi l’organizzazione degli uffici giudiziari. Né può essere trascurata l’esigenza, tuttora inappagata, di una riforma organica e compiuta della magistratura onoraria[63].

Per quanto concerne l’Ufficio per il processo in Cassazione, si rinvia in questo fascicolo all’articolo di Antonella Di Florio[64].

 

11.3. La governance

Come viene giustamente osservato nell’articolo di Claudio Castelli pubblicato in questo fascicolo[65], il complessivo disegno di riforma relativo all’Upp avrebbe richiesto un salto di qualità nella cultura e nella governance del sistema giustizia, che invece sembra essere mancato e che, comunque, appare inadeguato. Hanno fatto difetto «la necessaria coesione tra le diverse istituzioni coinvolte (Ministero, Csm, Ssm)» e un vero coordinamento nazionale; ed è emersa altresì – si legge sempre nel contributo – «la separatezza tra le diverse articolazioni ministeriali che non comunicano tra di loro e che non riescono a dare coerenza ai diversi interventi normativi e organizzativi». Nel contempo, la digitalizzazione sta sempre più prendendo campo, sino a diventare «il vero decisore e gestore occulto», imprimendo al percorso una «direzione solo apparentemente tecnica» che sembra svolgersi al di fuori del pur necessario dialogo con gli operatori del diritto. Il monopolio dell’informatica, tutta in mano al Ministero della giustizia, «sta alterando gli equilibri costituzionali», e finisce per favorire una sostanziale privatizzazione.

Nel contempo – per fare alcuni esempi –, l’attuale mancanza negli applicativi ministeriali di un «codice oggetto» per i licenziamenti ex art. 441-bis cpc rende più difficoltose non soltanto la calendarizzazione delle controversie presupposta dalla norma, ma anche le verifiche che l’art. 144-quinquies cpc prescrive, oltre che con possibili risvolti sanzionatori, altresì ai fini delle estrazioni statistiche trimestrali necessarie per valutare la durata media dei processi in considerazione della durata degli altri processi in materia di lavoro: con la conseguenza che in alcuni uffici si sta facendo ricorso, in modo del tutto artigianale, all’uso di appunti o di registri cartacei per supplire in qualche modo alla lacuna. Allo stesso modo, il grave inconveniente derivante dal mancato aggiornamento degli applicativi ministeriali necessari per poter scaricare le sentenze emesse a seguito di trattazione scritta ha creato difficoltà e dato origine anche ad atteggiamenti oppositivi da parte delle cancellerie, rendendo necessarie specifiche autorizzazioni da parte dei presidenti di sezione. Si tratta di un’ulteriore lacuna (e di un’altra “interferenza” ministeriale nel campo proprio dell’attività giurisdizionale) che la stessa Anm ha avuto modo di evidenziare in un’apposita interlocuzione con la Dgsia, e alla quale è auspicabile venga posto rimedio al più presto. E mentre, in base al novellato comma 2-bis dell’art. 6 della l. n. 162/2014, ai fini del rilascio del nullaosta o dell’’autorizzazione l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita deve essere trasmesso con modalità telematiche al procuratore della Repubblica, il quale a sua volta, quando appone il nullaosta o rilascia l’autorizzazione, trasmette l’accordo sottoscritto digitalmente agli avvocati delle parti, con circolare del Ministero della giustizia (prot. 28 febbraio 2023) si è reso noto che, in attesa che venga strutturato il flusso telematico che consentirà tali comunicazioni, gli uffici competenti sono autorizzati ad accettare il deposito in forma cartacea di tali accordi da parte degli avvocati che assistono le parti. Più in generale, non può non evidenziarsi come anche a causa delle difficoltà di comunicazione e di sinergia tra le varie articolazioni ministeriali, continuino a registrarsi ritardi nell’adeguamento del processo civile telematico alle modifiche legislative introdotte, con alcune norme che restano sostanzialmente inattuate anche per lungo tempo e altre per cui occorre trovare soluzioni temporanee. E tutto questo accade mentre la digitalizzazione (peraltro, di per sé necessaria e inevitabile) sta diventando sempre più il formante della giurisdizione, che incide sulle modalità quotidiane di lavoro e sugli stessi ambienti lavorativi, una sorta di decisore e gestore occulto che – con un rovesciamento della regola per cui dovrebbe essere la tecnica a servire il processo, e non il contrario – costringe i soggetti che vi operano, i codici e la stessa organizzazione ad adeguarsi.

 

12. Considerazioni conclusive

A conclusione di queste note, non può non ribadirsi l’impressione che, ancora una volta, la visione “procedurale” della giustizia civile sembra aver preso il sopravvento, dando origine a interventi legati essenzialmente alla logica del “far presto” e al filo conduttore del fattore tempo: un fattore certo fondamentale, ma che non può prescindere dalla considerazione che il valore e le finalità della giurisdizione, come «strumento di attuazione di una giustizia a servizio della persona e della sua dignità»[66], conservano tutta la loro attualità (tanto più, anzi, si direbbe) al cospetto delle profonde ripercussioni che gli eventi tragici che stiamo vivendo continuano a produrre sulla sorte e sulla vita delle persone, sulla salute pubblica, le relazioni sociali, il mondo dell’economia e del lavoro, producendo un ancor più spaventoso allargamento delle diseguaglianze e delle povertà, vecchie e nuove. 

Come ci ricorda Luciana Breggia[67], «non di solo processo vive il giurista, e alla discussione sui metodi di tutela deve affiancarsi la riflessione sui beni della vita da tutelare per rifondare la giurisdizione civile come giurisdizione dei diritti», ciò di cui costituisce esempio vivente l’esperienza degli Osservatori sulla giustizia civile[68]. E quindi non può non ribadirsi che, se è pur vero che l’efficienza del settore giustizia costituisce «una condizione indispensabile per lo sviluppo economico e per un corretto funzionamento del mercato»[69], sarebbe nondimeno il caso di abbandonare il postulato delle esigenze dell’economia e degli interessi del mercato come paradigma unico o principale e come motore fondamentale delle riforme in materia di giustizia civile, sostituendo ad esso l’orizzonte ben più ampio e complesso dei diritti e di coloro che continuano a esserne i titolari insoddisfatti.

Questa è la sfida a cui siamo di fronte, una sfida tutt’altro che semplice, il cui esito positivo è legato a una molteplicità di fattori e in cui avrà un peso fondamentale il ruolo della cultura giuridica coinvolta da sempre nella costruzione materiale dell’ordinamento giuridico, con la consapevolezza che, anche questa volta, alla constatazione delle oggettive difficoltà da affrontare occorre unire la volontà di contribuire, ciascuno per la parte che gli compete, alla costruzione dell’edificio capace di restituire alla giustizia – al di là delle urgenze imposte dal Next generation EU – fondamenta solide e durature, e ai cittadini quella fiducia nelle istituzioni che si è andata sempre più indebolendo nel tempo. In quest’ambito, acquista tra l’altro ancora più forza – per usare le parole di Remo Caponi[70] –  «l’intuizione vitale» degli Osservatori sulla giustizia civile «che era necessario strutturare un nuovo spazio collettivo, affinché la moltitudine delle risposte individuali di avvocati, magistrati, personale giudiziario ai problemi quotidiani della giustizia civile non fosse organizzata solo secondo una logica ispirata dagli interessi corporativi della rispettiva categoria professionale di appartenenza», ma confluisse in un alveo capace «di generare risposte collettive dettate in vista della tutela degli interessi dei cittadini utenti del servizio giustizia». Con uno sguardo sempre rivolto all’immagine di società disegnata dalla Costituzione, per restituire al processo quell’anima che spesso il legislatore dimentica e che a Salvatore Satta faceva dire: «È possibile continuare così? È ammissibile che noi perdiamo la nostra vita a scrivere trattati di diritto processuale, a parlare di azione, di rapporto processuale, di legittimazione, e di simili bizantinismi? Tutte queste cose valgono certamente, anzi hanno un immenso valore, quando però non siano fine a se stesse, quando ci sia alla base della speculazione giuridica un accordo fondamentale sul fine, che illumina i concetti, e dà loro una razionalità che altrimenti è del tutto fittizia. Se manca questo, se manca l’umanità del giudizio, tutto si riduce a un gioco, la scienza, la scuola, la giustizia. La giustizia, appunto, di Evaristo»[71].

 

 

1. Cfr., tra i tanti contributi, la Relazione dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione sulle novità introdotte dal d.lgs n. 149/2022, n. 110, 1° dicembre 2022 (www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel110-2022_no-index.pdf), nonché la rassegna delle Relazioni sulle novità normative della riforma “Cartabia”. Diritto e procedura civile, 24 gennaio 2023 (www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rassegna_riforma_Cartabia_-_settore_civile_no-index.pdf). 

2. www.questionegiustizia.it/rivista/il-nuovo-volto-della-giustizia-civile-tra-il-pnrr-ed-il-ddl-1662-s-xviii.
Alla riforma ha dedicato, altresì, numerosi scritti la Rivista Giustizia insieme.

3. I resoconti dell’Osservatorio milanese sono stati redatti da Elena Riva Crugnola, e al relativo materiale può attingersi anche tramite il sito www.milanosservatorio.it

4. «Le disposizioni dei commi da 27 a 36 del presente articolo si applicano ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge». 

5. Le norme modificate dall’art. 1 della legge delega ed entrate in vigore sin dal 22 giugno 2022 sono: 
l’art. 403 cc; l’art. 38 disp. att. cc; l’art. 26-bis cpc; l’art. 78 cpc con l’inserimento del terzo e quarto comma, l’art. 80, comma 1, cpc con l’inserimento altresì di un terzo comma – le disposizioni dei commi aggiunti agli artt. 78 e 80 cpc sono state abrogate con il d.lgs n. 149/2022 e il relativo contenuto è stato collocato nel nuovo art. 473-bis.8 cpc –; l’art. 543 cpc; l’art. 709-ter, secondo comma, n. 3, cpc – tale norma, poi abrogata dal d.lgs n. 149, è stata trasposta, con alcune ulteriori variazioni, nell’art. 473-bis.39 cpc –; l’art. 15 disp. att. cpc; l’art. 6 l. n. 162/2014 sulla negoziazione assistita; l’art. 4 dl n. 13/2017 convertito, con mod., dalla l. n. 46/2017 in tema di protezione internazionale.

6. Cfr., al riguardo, il parere espresso dal Csm con delibera del 21 dicembre 2022 sugli emendamenti alla legge di bilancio dello Stato 2023 in tema di anticipazione delle disposizioni di cui al d.lgs n. 149/2022 e sulla riduzione della durata del tirocinio dei magistrati ordinari.

7. Fino all’adozione del decreto ministeriale previsto dal novellato art. 13 disp. att. cpc e disp. transitorie, continuano ad applicarsi gli artt. 15 e 16 delle medesime disposizioni di attuazione, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del d.lgs n. 149/2022.
Fino all’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 196-duodecies, comma quinto, disp. att. cpc e disp. transitorie, i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continuano a essere regolati dal provvedimento del direttore generale per i sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, del 2 novembre 2020.

8. Sulla disciplina transitoria, oltre ai resoconti degli incontri seminariali richiamati nella presente introduzione, cfr., tra gli altri, G. Costantino, Riforma del processo civile: la disciplina transitoria novellata dalla legge di bilancio 2023 e dal decreto milleproroghe, in Foro it. (Foronews), 30 dicembre 2022. 

9. Da introdurre sempre con atto di citazione, che – per le cause iniziate dopo il 28 febbraio 2023 – deve contenere, tra l’altro, l’esposizione «in modo chiaro e specifico» dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni (n. 4); la «indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento» (n. 3-bis); l’invito al convenuto a costituirsi, con deposito di comparsa di costituzione e risposta, «nel termine di settanta giorni prima dell’udienza» di prima comparizione, pena le consuete decadenze di cui all’art. 167 cpc.

10. S. Izzo, Il giudizio a cognizione piena innanzi al tribunale; B. Gambineri, Il procedimento semplificato di cognizione (o meglio il “nuovo” processo di cognizione di primo grado), quest’ultimo già pubblicato in Questione giustizia online, 31 maggio 2013 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-procedimento-semplificato-di-cognizione). Cfr., altresì, S. Dalla Bontà, La (nuova) introduzione e trattazione della causa nel processo di prime cure e i poteri lato sensu conciliativi del giudice. Un innesto possibile?, in Giustizia consensuale, n. 2/2022, pp. 587 ss., e il resoconto dell’incontro seminariale del 19 gennaio 2023 (www.magistraturademocratica.it/data/doc/3323/resoconto-19-01-2023.pdf). 

11. Il cui contenuto non appare dissimile da quello dell’atto di citazione nel rito «ordinario». Anche il ricorso con il quale viene introdotto il rito semplificato deve contenere l’«indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento», e l’«esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni».

12. Su cui vds., in questo fascicolo, F. Gigliotti, Le cosiddette ordinanze definitorie. Prime riflessioni, già pubblicato come anticipazione su Questione giustizia online il 2 giugno 2023.

13. Il d.lgs n.116/2017 (recependo prassi già in vigore nella gran parte degli uffici giudiziari) ha attribuito altresì al giudice di pace la competenza sulle espropriazioni mobiliari, pur differendone l’entrata in vigore al 31 ottobre 2025, in considerazione della necessità di una riorganizzazione degli uffici del giudice di pace e della magistratura onoraria nel suo complesso.

14. Per un esame più approfondito delle modifiche apportate dal d.lgs n. 149/2022, e per i problemi interpretativi posti dalla riforma, si rinvia al resoconto della riunione dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, dedicato all’argomento (14 marzo 2023; www.milanosservatorio.it/gruppo-processo-civile-riformato-resoconto-riunione-14-marzo-2023/).

15. Cfr. sent. n. 37522/2021, pronunciata quando il principio di chiarezza e sinteticità, già prima della riforma, era ritenuto immanente al sistema.

16. È stato inviato al Csm e al Cnf, per il prescritto parere, lo schema del decreto del Ministro della giustizia recante «Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie». Ad esito dei pareri del Csm e del Cnf, il testo dovrà essere sottoposto anche al Consiglio di Stato, e il decreto ministeriale dovrà acquistare efficacia il 30 giugno 2023.

17. Anche il «Protocollo d’intesa sul processo civile in cassazione», stipulato tra la Corte di cassazione, la Procura generale della Corte di cassazione, l’Avvocatura generale dello Stato e il Consiglio nazionale forense, e sottoscritto il 1° marzo 2023 (un testo che raccoglie e unifica i protocolli d’intesa già intercorsi tra i medesimi soggetti e ha come oggetto, tra l’altro, le modalità di redazione degli atti da parte degli avvocati e i canoni di sinteticità e chiarezza in relazione all’obbligatorietà del processo telematico), pur indicando la dimensione normalmente richiesta per i ricorsi, i controricorsi e le memorie, e pur facendo carico alla parte che ecceda tali misure di motivarne la ragione, ha chiarito che il mancato rispetto di tali indicazioni non implica inammissibilità o improcedibilità, ma può rilevare eventualmente soltanto ai fini della condanna alle spese processuali. Nel protocollo viene comunque richiesta l’esplicitazione delle ragioni in base alle quali non è stato possibile il contenimento della dimensione dell’atto nei limiti convenuti (www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Protocollo_di_intesa_sul_processo_civile_in_Cassazione__-_01.03.2023.pdf). 

18. L. Passanante, Le impugnazioni civili dopo il d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149, anticipato su Questione giustizia online il 1° giugno 2023 (www.questionegiustizia.it/data/doc/3559/l-passanante-ok.pdf).

19. G. Federico, Il nuovo giudizio d’appello, ivi anticipato in data 9 marzo 2023 (www.questionegiustizia.it/data/doc/3476/g-federico-ok.pdf).

20. www.magistraturademocratica.it/data/doc/3358/resoconto-2-03-2023.pdf.

21. Cfr., in questo fascicolo, il contributo di Rita Sanlorenzo e Maria Acierno (anticipato su Questione giustizia online il 16 maggio 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/l-attuazione-della-legge-di-riforma-per-il-giudizio-di-cassazione), L’attuazione della legge di riforma per il giudizio di cassazione, a cui si rinvia per maggiori indicazioni sulle novità introdotte dalla riforma, tra le quali occupa un posto significativo la revocazione delle sentenze passate in giudicato, ma dichiarate contrarie alla Cedu (art. 391-quater cpc).

22. Sulle ragioni della soppressione della VI sezione, vds. G. Costantino, De profundis per la sezione filtro della Cassazione civile, anticipato in Questione giustizia online, 16 novembre 2022 (www.questionegiustizia.it/data/doc/3378/costantino-221029_2009_cassazione_23-04_rel-1.pdf), ora in questo fascicolo.

23. Come è stato rilevato, la limitazione ai soli casi di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso comporterebbe, sul piano della buona organizzazione, la creazione di canali decisori tali da evitare l’anomala conseguenza che chi ha evidenti ragioni per l’accoglimento dell’impugnazione venga soddisfatto in ritardo rispetto agli altri.

24. Nel protocollo d’intesa richiamato in nota 17 sono previste anche regole minime di redazione della proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis cpc che, in caso di ritenuta inammissibilità o improcedibilità del ricorso, dovrà indicare a quale specifica ipotesi si intende fare riferimento; mentre, laddove si ravvisino gli estremi della manifesta infondatezza, dovrà riportare i precedenti giurisprudenziali a cui si ispira e le ragioni del giudizio prognostico sui motivi «anche mediante una valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i presupposti».

25. www.magistraturademocratica.it/data/doc/3358/resoconto-2-03-2023.pdf.

26. Da segnalare l’introduzione, tra le disposizioni di attuazione del cpc, dell’art. 137-ter, che prescrive la pubblicità sul sito internet della Cassazione dei provvedimenti dei giudici di merito che abbiano disposto il rinvio pregiudiziale e dei relativi decreti del presidente della Corte (oltre che dei ricorsi del procuratore generale nell’interesse della legge), all’evidente scopo di consentire anche a ogni altro giudice investito della medesima questione di attendere il responso della Cassazione o anche, eventualmente, di proporre a propria volta un quesito interpretativo pregiudiziale.

27. Pare opportuno richiamare i rilievi formulati da M. Gattuso, La riforma governativa del primo grado: le ragioni di un ragionevole scetticismo e alcune proposte organizzative ancora possibili, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 55-73 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/957/3-2021_qg_gattuso.pdf), secondo cui il nuovo strumento rischia «di non tenere conto del valore culturale della giurisdizione e di sottovalutare il contributo che l’elaborazione della giurisprudenza di merito, e della dottrina che con essa dialoga, fornisce alla Corte di cassazione nello svolgimento della sua funzione nomofilattica», sacrificando l’esigenza di un diritto aderente all’evoluzione di una realtà sociale ed economica sempre più complessa e in rapido mutamento, ed esponendo al rischio di un continue sospensioni e, soprattutto, di un «rifugio nel conformismo giudiziario». 

28. Con decreto presidenziale n. 16 del 2023, è stato costituito presso la Corte di cassazione l’ «Ufficio questioni pregiudiziali» (Uqp), composto dal membro stabile delle sezioni unite, il direttore del Massimario e il direttore del Ced (Centro elettronico di documentazione), con il compito di verificare prima facie la natura e l’ammissibilità dell’istanza, la predisposizione di una breve relazione illustrativa e la trasmissione al presidente della sezione o delle sezioni cui è attribuita la competenza sulla materia oggetto dell’istanza per una successiva valutazione. All’esito di questo complessivo esame preliminare, il primo presidente emetterà decreto d’inammissibilità o la trasmissione alle sezioni unite o alla sezione semplice che, come previsto dall’art. 137-ter, n. 1, disp. att. cpc, sarà pubblicato sul sito web della Corte.

29. Attualmente vi è la coesistenza, destinata col tempo a scomparire, di impugnative di licenziamento soggette al “rito Fornero”, di impugnative sottoposte al rito del jobs act e di impugnative disciplinate dall’insieme di norme costituenti il rito “accelerato” di cui agli artt. 441-bis ss. cpc, con un duplice “binario”, in quanto: a) i procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 sono assoggettati alle disposizioni anteriormente vigenti; b) i procedimenti iniziati successivamente a tale data sono regolati dal rito riformato del lavoro, con il tradizionale regime improntato a rigide preclusioni e con l’attribuzione di una “corsia preferenziale” nel caso in cui vi sia anche domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro.

30. www.magistraturademocratica.it/data/doc/3357/resoconto-22-03-2023.pdf.

31. Vds., tra gli altri, il contributo di Giulio Cataldi, Contro la trattazione scritta delle cause civili! (qualche principio bisogna pur averlo), in questo fascicolo.

32. Che non fa venir meno – pur attenuandola – la caratteristica del confronto contestuale tra le parti, e si dimostra particolarmente utile, anche sotto il profilo del risparmio delle spese, quando l’ufficio giudiziario innanzi al quale si svolge il processo è distante dal luogo di residenza delle parti o dalla sede dei difensori.

33. Cfr. al riguardo, in questo fascicolo, le considerazioni di Amato Carbone, In difesa dell’udienza cartolare. Compatibilità tra la norma dell’art. 127-ter cpc e il rito del lavoro (anticipato su Questione giustizia online il 31 gennaio 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/udienza-cartolare).

34. Per più ampi riferimenti, si rinvia al resoconto relativo all’incontro seminariale del 1° dicembre 2022 (www.magistraturademocratica.it/data/doc/3308/resoconto-1-seminario-md-riforma-giust-civ_1-12-2022.pdf).

35. F. Vigorito, Qualche considerazione sulle procedure esecutive dopo la “riforma Cartabia”.

36. G. Cataldi, La vendita diretta (anticipato su Questione giustizia online il 15 maggio 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/la-vendita-diretta).

37. www.magistraturademocratica.it/articolo/resoconto-e-registrazione-sesto-seminario-la-riforma-della-giustizia-civile

38. C. Maggia, La riforma del processo civile e il mondo minorile: alcuni spunti migliorativi e molti effetti paradosso (anticipato su Questione giustizia online il 27 dicembre 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/maggia-proc-civ-riforma).

39. C. Cecchella, La riforma del processo in materia di persone, minorenni e famiglie dopo il d.lgs n. 149/2022 (anticipato su Questione giustizia online il 13 aprile 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/riforma-famiglia-persone).

40. www.magistraturademocratica.it/data/doc/3336/resoconto-15-02-2023.pdf.

41. Ciò in base alla proroga disposta in sede di conversione del dl n. 198/2022.

42. Si rinvia, per più analitiche e puntuali considerazioni, all’articolo di C. Maggia, La riforma del processo civile, op. cit. 

43. Occorre tuttavia precisare che, sebbene l’art. 1, comma 23, lett. a della legge delega n. 206/2021 avesse attribuito al legislatore delegato il compito di prevedere l’introduzione di nuove disposizioni in un apposito titolo IV-bis del libro II cpc, recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare, l’unificazione è avvenuta solo in parte, giacché il nuovo rito convive – oltre che con la disciplina generale del processo di cognizione di cui agli artt. 163 ss. cpc – con altre e differenti forme processuali nelle ipotesi in cui la legge ha disposto in modo diverso, ed è differentemente declinato a seconda delle situazioni sostanziali dedotte nel giudizio per effetto delle disposizioni speciali contenute nel capo terzo del titolo IV: cfr., per indicazioni più specifiche al riguardo e per le molteplici varianti al “rito unificato”, il resoconti degli incontri seminariali del 19 gennaio 2023 e del 15 febbraio 2023, entrambi già richiamati (vds., rispettivamente: www.magistraturademocratica.it/data/doc/3323/resoconto-19-01-2023.pdf e www.magistraturademocratica.it/data/doc/3336/resoconto-15-02-2023.pdf).

44. Tra le disposizioni che hanno incontrato un generale consenso vi è quella, introdotta dal novellato art. 473-bis.49 cpc sulla base della legge delega, che consente di proporre in un unico giudizio la domanda di separazione personale tra i coniugi e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché le domande a queste connesse, pur restando la domanda di divorzio procedibile solo una volta decorsi i 6 o 12 mesi, a seconda dei casi, previsti dall’art. 3, secondo comma, l. n. 898/1970 e successive modifiche, previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, e con l’ulteriore specificazione che la sentenza emessa all’esito dei procedimenti così proposti dovrà contenere autonomi capi per le diverse domande e determinare la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti. Tale disciplina dovrebbe indurre a ritenere, secondo il rilievo di A. Proto Pisani – Note a prima lettura di una brutta riforma del processo civile, in Foro it. (Foronews), 29 agosto 2022 –, che la possibilità di cumulo in uno stesso giudizio delle diverse domande sia dipesa dalla volontà di conservare il giudizio dell’addebito, «la cui unica grave funzione è quella di mantenere aperta la lite fra i due coniugi impedendo loro di ricordare quei momenti felici che pure devono esserci stati durante la loro convivenza», laddove sarebbe stato sufficiente prevedere che, esaurita la fase introduttiva del processo caratterizzata dal tentativo di conciliazione e, in caso di fallimento del tentativo, dall’emanazione dei provvedimenti urgenti, vi fosse rinvio puro e semplice a una data successiva a sei o anche dodici mesi dalla separazione già avvenuta per consentire, in questa successiva nuova udienza, se ve ne fosse stata richiesta, l’emanazione del provvedimento di divorzio. 

45. Come è stato osservato, nel vigore della disciplina precedente alla riforma, il processo in materia di famiglia era essenzialmente quello modellato sul rito della separazione e del divorzio, con una prima parte decontenziosa legata alla figura del presidente del tribunale, che tentava la conciliazione sulla base di difese non ancora formalizzate. Dopo i provvedimenti presidenziali provvisori, si apriva la fase istruttoria e solo con le memorie integrative si provvedeva a formalizzare le difese, con gli avvisi di legge e le prime decadenze. Sulle memorie integrative e la prima udienza di comparizione innanzi all’istruttore si innestava un procedimento con l’assegnazione dei termini ex art. 183 cpc. Pur avendo aspetti positivi, tale modello processuale determinava una dilatazione dei tempi tale che al “cuore” della causa si perveniva dopo almeno un anno e mezzo dal deposito del ricorso, mentre con il nuovo rito è possibile che il processo giunga a compimento anche in una sola udienza.

46. Una delle questioni su cui si sono già verificati contrasti in giurisprudenza attiene al se la domanda contestuale di separazione e divorzio possa essere presentata anche congiuntamente. Secondo alcune delle pronunce sino ad ora note, ciò è consentito; secondo altre invece no, con la conseguenza che, ove ciò accadesse, la domanda di divorzio dovrebbe essere dichiarata inammissibile. Il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 31 maggio 2023, ha proposto rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis cpc alla Corte di cassazione. Sull’argomento, cfr. L. Lenti, Domanda contestuale di separazione e divorzio e domanda congiunta dei coniugi, in Questione giustizia online, 13 giugno 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/domanda-congiunta).

47. Per più analitiche osservazioni su questa parte della riforma, cfr. i resoconti relativi ai già richiamati incontri seminariali del 19 gennaio e del 15 febbraio 2023 (cfr. supra, nota 43).

48. A.M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile (già anticipato su Questione giustizia online il 27 marzo 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/adr-riforma).

49. Non così l’arbitrato che, pur essendo da annoverare tra i metodi alternativi di risoluzione delle controversie, adempie tali funzioni con pronunce decisorie vincolanti per le parti e suscettibili di essere eseguite anche in via forzata. 

50. Per osservazioni critiche e dubbi di costituzionalità sull’ampiezza della mediazione “obbligatoria”, cfr. A. Proto Pisani, Note a prima lettura, op.cit. 

51. Mi permetto di rinviare, sul punto, al mio La riforma della giustizia civile: dal ddl 1662/S/XVIII alla legge 26 novembre 2021, n. 206 (Introduzione), in questa Rivista trimestrale, n. 3/2o21, pp. 8-27, e ai richiami ivi contenuti (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/969/3-2021_qg_introduzione-gilardi.pdf).

52. Cfr., al riguardo, S. Dalla Bontà, La (nuova) introduzione, op. cit.

53. Sebbene l’attività di istruzione stragiudiziale delineata dalla riforma vada ben oltre la possibilità di testimonianza scritta quale disciplinata nell’art. 257-bis cpc, introdotto con la riforma del 2009 e rimasto tuttavia lettera morta, è difficile immaginare che essa possa incontrare nella pratica un grande favore: cfr., per dubbi al riguardo, A.M. Tedoldi, Le ADR, op. cit.

54. Il patrocinio a spese dello Stato (che, già con riguardo alle fattispecie relativamente alle quali è previsto, soffre del limite di applicarsi solo sul presupposto del raggiungimento di un accordo) non si estende alla negoziazione assistita in ambito familiare, il che ne costituisce indubbiamente un limite. Peraltro, il relativo beneficio – anche laddove previsto – è caratterizzato da margini di ineffettività, come messo in luce, tra gli altri, dall’Organismo congressuale forense con delibera del 25 marzo 2023, in cui il Ministro della giustizia è stato sollecitato alla rapida adozione dei decreti ministeriali che regolano l’ammissione al gratuito patrocinio per la mediazione e la negoziazione assistita, disciplinando i compensi degli avvocati e le modalità di liquidazione e pagamento. Più in generale, non può non rilevarsi la lacunosità di un sistema che, da un lato, tende sempre più a favorire l’accesso a procedimenti alternativi, anche a scopo deflattivo del contenzioso giudiziale; dall’altro, finisce per disincentivarlo con riguardo ai non abbienti.
Concludo su questo punto, osservando come la legge delega prevedesse più genericamente, all’art. 1, comma 4, lett. a, l’estensione del patrocinio a spese dello Stato «alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita».
Per un inquadramento storico del patrocinio a spese dello Stato, cfr. F.A. Goria, Accesso alla giustizia e attività stragiudiziali: le remote origini delle lacune del patrocinio a spese dello Stato, in Questione giustizia online, 26 aprile 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/legal-aid-lacune).

55. Con riguardo al tema dei trasferimenti immobiliari, è noto come fosse del tutto incontroversa, anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione, la possibilità che negli accordi di separazione o divorzio fosse inserito l’obbligo di trasferire la proprietà di un bene o altro diritto reale, ed era riconosciuta la piena legittimità di qualsiasi clausola che fosse in grado di soddisfare gli interessi delle parti a regolare consensualmente (nel particolare e delicato contesto costituito dalla crisi coniugale) gli aspetti economici della vicenda in atto.
Con la sentenza n. 21761/2021, le sezioni unite della Cassazione, prendendo posizione su una questione assai dibattuta e oggetto di contrasto, soprattutto in dottrina e nella giurisprudenza di merito, hanno affermato (o meglio, ribadito) la validità delle clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano a uno o a entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, senza che tale accordo integri gli estremi della liberalità donativa, assolvendo esso, di converso, una funzione solutorio-compensativa dell’obbligo di mantenimento.

56. Cfr. A. Proto Pisani, Note a prima lettura, op.cit. 

57. Sull’argomento, cfr., tra i più recenti, E. Bruti Liberati, Questo sistema non può permettersi i “tribunalini”, in Domani, 24 aprile 2023. 

58. Cfr., sul punto, il severo richiamo di G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, p. 33, il quale, nel sottolineare l’esigenza di porre un freno alla «frenesia legislativa» e di ricondurre le norme a un sistema leggibile e coerente, anche per adeguarne il contenuto al processo telematico, osserva come la disciplina processuale sia «ormai da tempo un tessuto patchwork o un vestito di Arlecchino nell’ambito del quale l’incubo degli interpreti e degli operatori consiste nello scioglimento delle contraddizioni in funzione di una necessaria opera di coordinamento» (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/954/3-2021_qg_costantino.pdf).

59. Si pensi, ad esempio, all’importanza cruciale che lo studio preliminare dei fascicoli e l’opera di ricerca dei precedenti e delle fonti normative può avere nel quadro di una disciplina processuale che, mentre impone alle parti nel procedimento ordinario di “scoprire le carte” anteriormente alla prima udienza, postula correlativamente che il giudice a tale udienza giunga preparato e sia in grado di adottare i provvedimenti ordinatori o decisori più idonei rispetto alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame; di una disciplina che, demandando al giudice del merito la possibilità di disporre il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis cpc, postula ricerche al fine di verificare che si tratti di questione effettivamente nuova, non ancora risolta dalla Corte di cassazione e tale da implicare «gravi difficoltà interpretative»; o, ancora, di una disciplina che, ai fini della designazione del consigliere istruttore ex art. 349 cpc, postula necessariamente un preventivo spoglio dei fascicoli affluiti in sezione, e via dicendo. E, tutto ciò, in un contesto in cui il giudice non è più soltanto un giudice nazionale, ma un giudice inserito in un ordinamento multilivello, che deve aver conoscenza della molteplicità di fonti normative e giurisprudenziali che si formano in ambito europeo, e anche oltre.
A titolo esemplificativo, sulle verifiche preliminari da parte dell’Upp, cfr. il vademecum predisposto dall’Osservatorio milanese sulla giustizia civile, riportato nell’Appendice a questo fascicolo.

60. P. Del Giudice, L’Ufficio per il processo: finalità, struttura, criticità. L’esperienza del Tribunale di Paola e del Tribunale di Nola.

61. Come osserva G. Costantino (Perché ancora riforme, op. cit.), in un contesto caratterizzato da «pluralità di fonti concorrenti», «frenesia legislativa», «mutevolezza» e «opacità dei testi normativi», torna in primo piano l’attenzione sul ruolo della giurisprudenza, sulle tecniche interpretative e sulla «prevedibilità delle decisioni, la quale implica e presuppone la circolazione delle informazioni» e l’«assoluta trasparenza delle decisioni» stesse.

62. Così P. Liccardo, Il nuovo tempo della decisione giudiziaria: la nomometrica delle banche dati, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 215-222 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/977/3-2021_qg_liccardo.pdf).

63. Sul tema cfr., da ultimo, A. Di Florio, Lo stato giuridico della magistratura onoraria: un cantiere ancora aperto, in Questione giustizia online, 18 maggio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/stato-mag-onor).

64. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 151: norme di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206 e della legge 27 settembre 2021, n. 134. Prime valutazioni sull’Ufficio per il processo alla prova dei fatti nella Corte di cassazione (anticipato su Questione giustizia online il 23 gennaio 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/dlgs-upp-2022).

65. C. Castelli, La crisi della governance del sistema giustizia.

66. Vds. il documento degli Osservatori sulla giustizia civile del 9 marzo 2021: www.milanosservatorio.it/wp-content/uploads/2021/03/OSSERVATORI-DOC-PER-MIN-CARTABIA-9-3-2021.pdf (Premessa).

67. L. Breggia, «Cogliere il kàiros». L’Osservatorio sulla giustizia civile di Firenze vent’anni dopo, in Questione giustizia online, 10 maggio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/cogliere-il-kairos-l-osservatorio-sulla-giustizia-civile-di-firenze-vent-anni-dopo).

68. Cito, per tutti, il poderoso lavoro di sistemazione teorica e pratica in tema di danno alla persona, portato avanti in tre anni di studio e riflessione, un lavoro sfociato – per usare le parole del coordinatore nazionale del gruppo, Damiano Spera – in nuovi criteri e tabelle che, dopo cento anni, permettono finalmente ai giudici di merito, agli avvocati e ai liquidatori (anche in sede stragiudiziale) di superare la vetusta e iniqua tabella di cui al rd n. 1403/1922. Cfr., per un’illustrazione del lavoro svolto: https://ridare.it/articoli/news/capitalizzazione-anticipata-di-una-rendita-milano-2023-i-nuovi-criteri-elaborati-dall.

69. Così il PNRR, ove si osserva che, in base a studi empirici, «una giustizia rapida e di qualità stimola la concorrenza, poiché accresce la disponibilità e riduce il costo del credito, oltre a promuovere le relazioni contrattuali con imprese ancora prive di una reputazione di affidabilità, tipicamente le più giovani; consente un più rapido e meno costoso reimpiego delle risorse nell’economia, poiché accelera l’uscita dal mercato delle realtà non più produttive e la ristrutturazione di quelle in temporanea difficoltà; incentiva gli investimenti, soprattutto in attività innovative e rischiose e quindi più difficili da tutelare; promuove la scelta di soluzioni organizzative più efficienti».

70. R. Caponi, «Ciò che è nella voce». Gli Osservatori sulla giustizia civile alla volta dei trent’anni, in Questione giustizia online, 10 maggio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/cio-che-e-nella-voce-gli-osservatori-sulla-giustizia-civile-alla-volta-dei-trent-anni).

71. S. Satta, Un giudizio di conciliazione ovvero la giustizia di Evaristo, in Riv. dir. comm., 1963, p. 228.