Le cosiddette ordinanze definitorie. Prime riflessioni
Le novità legislative introdotte dalla riforma Cartabia con riguardo alle “ordinanze definitorie” presentano criticità prevalenti rispetto alle implicazioni potenzialmente positive. Allo stato, non è prevedibile una significativa diffusione dei due nuovi istituti.
1. Premessa e impostazione della trattazione: le cosiddette ordinanze definitorie / 2. Origini e finalità della nuova disciplina (tra “progetto Luiso” e legge delega) / 3. L’attuazione da parte del legislatore delegato / 4. I tratti comuni alle ordinanze di cui agli artt. 183-ter e 183-quater cpc / 5. Le principali questioni interpretative / 6. Considerazioni conclusive
1. Premessa e impostazione della trattazione: le cosiddette ordinanze definitorie
Il tema che mi è stato assegnato riguarda – come è possibile rilevare dal programma – le cosiddette “ordinanze definitorie”, quali ora regolate, a seguito della “riforma Cartabia”[1] (in particolare: del processo civile), dagli articoli 183-ter e 183-quater, così come ora introdotti nel testo del codice di procedura civile[2].
Si tratta, com’è noto, di istituti di nuovo conio[3] – inseriti all’interno di un più vasto quadro riformatore, del quale già si è detto negli interventi che hanno preceduto il mio[4] – della cui effettiva efficacia non si può ancora discorrere con sicurezza, essendone evidentemente necessaria, a tal fine, una fase di sperimentazione[5].
Devo anche dire, preliminarmente, che pure di essi, come – più in generale – dell’intera riforma, avevo avuto occasione di occuparmi (ma non da solo, naturalmente) durante l’esperienza al Consiglio superiore della magistratura, anche in qualità di direttore dell’Ufficio studi e di presidente della VI Commissione; e non posso non ricordare che in quella sede (specialmente avuto riguardo alle prime elaborazioni del progetto di riforma) diverse voci critiche erano state sollevate, sia con riguardo all’intera riforma (almeno per certi aspetti) che con specifico riferimento al tema che forma oggetto del mio intervento[6].
Ma su alcuni di questi profili ritornerò in chiusura.
Intanto, anche al fine di dare ordine al mio intervento, premetto che vorrei dividerlo in tre parti:
- una prima, diretta alla semplice illustrazione della nuova disciplina;
- una seconda parte, nella quale concentrare l’attenzione sulle più rilevanti questioni interpretative che la novella normativa già propone e che, naturalmente, attendono di essere verificate nell’applicazione pratica dei due istituti;
- una terza conclusiva, infine, per riflettere in ordine all’effettiva utilità – o, per contro, alle possibili criticità – che questi nuovi istituti presentano, tenuto anche conto degli obiettivi di fondo della riforma.
2. Origini e finalità della nuova disciplina (tra “progetto Luiso” e legge delega)
La novella legislativa si fonda, com’è noto, su alcune proposte elaborate dalla cd. Commissione Luiso, ancorché con significative modifiche rispetto a quelle.
La Commissione, infatti, prendendo spunto da alcuni istituti stranieri giudicati analoghi[7], aveva suggerito l’introduzione, all’interno del libro IV del codice di procedura civile, di un capo III-bis, denominato «Ordinanza di condanna con riserva», per consentire che, prima dell’inizio del processo di cognizione, o nel corso del giudizio di primo grado, nelle controversie di competenza del tribunale in materia di diritti disponibili, il giudice potesse, su istanza di parte, pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda proposta nel caso in cui i fatti costitutivi fossero provati e le difese del convenuto apparissero manifestamente infondate; ordinanza provvisoriamente esecutiva, reclamabile, non idonea al giudicato né ad avere autorità in altre sedi processuali[8].
Su questa base – ma in una prospettiva più ampia e, comunque, diversa –, la legge 26 novembre 2021, n. 206 (all’art. 1, comma 5, lett. o e p) ha poi dettato disposizioni di delega:
- sia per la regolamentazione dell’ordinanza provvisoria di accoglimento, in termini abbastanza vicini (ma non del tutto coincidenti) a quelli proposti dalla Commissione Luiso[9];
- sia per l’introduzione di altro e speculare istituto, e cioè quello della ordinanza provvisoria di rigetto della domanda proposta, quando quest’ultima è manifestamente infondata ovvero quando ricorrano taluni vizi della editio actionis[10].
La legge delega, dunque (al di là di altri più specifici aspetti di dettaglio), ha diversamente disegnato l’ambito dell’intervento normativo programmato: non più «l’introduzione di un procedimento sommario non cautelare e senza efficacia di giudicato, al fine di consentire la creazione di un titolo esecutivo anche al di fuori dei casi in cui è utilizzabile il procedimento per ingiunzione», secondo le originarie prospettive della Commissione Luiso; quanto – e piuttosto – la previsione di un nuovo sistema di eventuale definizione della lite[11], in primo grado, tanto per l’accoglimento della domanda quanto per il suo rigetto, e solo a seguito dell’instaurazione della controversia[12].
Detto altrimenti, non si è data delega per l’introduzione di un nuovo procedimento speciale, diretto ad assegnare al creditore, tempestivamente e anticipatamente, un titolo esecutivo mediante la possibile pronuncia di una condanna provvisoria con riserva (destinata a essere poi assorbita dalla futura sentenza); ma per la regolamentazione di uno strumento alternativo per la definizione del giudizio di primo grado, e non solo attraverso una pronuncia di condanna, ma anche di rigetto della domanda proposta[13].
3. L’attuazione da parte del legislatore delegato
In attuazione della delega legislativa, il d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149 ha introdotto nel testo del codice di rito gli artt. 183-ter e 183-quater, rispettivamente dedicati all’ordinanza di accoglimento e a quella di rigetto della domanda.
La prima disposizione (art. 183-ter cpc) prevede che «nelle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado può pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda quando i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate. In caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte. L’ordinanza di accoglimento è provvisoriamente esecutiva, è reclamabile ai sensi dell’art. 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. L’ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata».
In modo sostanzialmente speculare[14], ma con disciplina modellata sulla traccia della prima ipotesi, l’art. 183-quater prevede, poi, che «nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, all’esito dell’udienza di cui all’articolo 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando questa è manifestamente infondata, ovvero se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all’articolo 163, terzo comma, n. 3), e la nullità non è stata sanata o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma, del predetto articolo 163. In caso di pluralità di domande, l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte. L’ordinanza che accoglie l’istanza di cui al primo comma è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. L’ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata».
4. I tratti comuni alle ordinanze di cui agli artt. 183-ter e 183-quater cpc
Fatte salve alcune differenze di rilievo[15], i due istituti si caratterizzano per una serie di tratti comuni, che appare opportuno evidenziare.
In particolare, sotto il profilo dei presupposti applicativi, vengono in rilievo:
- la limitazione delle ordinanze definitorie al giudizio di tribunale di primo grado (non, dunque, quelli in cui il tribunale operi come giudice dell’impugnazione[16]);
- la possibilità dell’adozione di tali ordinanze solo se la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili, con conseguente riferibilità, fondamentalmente, a controversie di carattere patrimoniale ed esclusione, in linea di principio, di quelle aventi ad oggetto interessi familiari, personali, e simili altre[17];
- la non adottabilità d’ufficio, essendo sempre necessaria, tanto per l’ordinanza di accoglimento che per quella di rigetto, l’istanza (della parte interessata)[18];
- la valutazione giudiziale relativa alla (manifesta) fondatezza, o meno, della domanda: nel senso che, quando i fatti costitutivi di essa sono provati e le difese sono manifestamente infondate, può essere adottata l’ordinanza di accoglimento[19]; mentre quando la domanda è manifestamente infondata, può essere adottata l’ordinanza di rigetto[20].
Sotto il profilo regolamentare, poi:
- ambedue le ordinanze (accoglimento/rigetto) possono essere adottate solo quando i relativi presupposti sussistano – ovviamente: se le domande sono più d’una – con riguardo a tutte le domande proposte in giudizio[21];
- ambedue le ordinanze hanno i medesimi caratteri: provvisoria esecutività (accoglimento), reclamabilità, inidoneità al giudicato, mancanza di autorità in altri processi[22];
- ambedue le ordinanze, data la loro idoneità alla definizione della controversia, devono recare la liquidazione delle spese di lite;
- tanto l’ordinanza di accoglimento (ex art. 183-ter cpc) che quella di rigetto (ex art. 183-quater) adottate dal giudice sono soggette a reclamo, mentre deve escludersi, in ambedue i casi, la reclamabilità del provvedimento che non accoglie l’istanza di parte diretta alla pronuncia dell’ordinanza definitoria (di accoglimento o di rigetto): il che, oltre a desumersi agevolmente dal dettato normativo, è anche espressamente chiarito nella Relazione illustrativa della novella[23];
- ambedue le ordinanze sono idonee a definire il giudizio quando non siano state reclamate (o in caso di rigetto del reclamo);
- ambedue le ordinanze non sono ulteriormente impugnabili;
- ambedue le ordinanze, infine, precludono la prosecuzione del giudizio davanti allo stesso giudice che le ha pronunciate, quando il reclamo è stato accolto.
5. Le principali questioni interpretative
La novella legislativa in esame propone inevitabilmente, sul piano ermeneutico, alcune questioni interpretative: talora, per vero, abbastanza lineari; altre volte, invece, di assai più incerta soluzione.
Non sembra problematica, intanto, la riferibilità dei due nuovi istituti ai soli giudizi di tribunale, essendo in tal senso del tutto chiaro il testo del dettato legislativo: deve quindi escludersi, certamente, la possibilità di farne applicazione nei procedimenti davanti al giudice di pace e in quelli davanti alla corte d’appello[24].
Altrettanto sicura, con riguardo ai giudizi pendenti davanti al tribunale, è l’esclusione della sua operatività nei casi di procedimenti di impugnazione (che quindi, ancorché pendenti davanti a un tribunale, non sono giudizi di primo grado, come invece espressamente richiesto dagli artt. 183-ter e quater cpc).
Sennonché, le certezze interpretative in ordine a tale profilo (cioè, in ordine all’organo, o meglio, alla sede giudiziaria di riferibilità delle ordinanze definitorie), a ben vedere, si arrestano qui.
Assai più problematica, infatti, è la soluzione di altri interrogativi attinenti a un simile aspetto.
Una prima questione – peraltro la meno impegnativa, probabilmente, tra quelle più problematiche – si pone già rispetto ai giudizi di tribunale riservati alla trattazione collegiale; qualcuno tra i primi commentatori, infatti, argomentando dal rinvio all’art. 669-terdecies cpc (che discorre, con riguardo ai provvedimenti del tribunale, di reclamo al collegio per i provvedimenti del giudice singolo), ha implicitamente dedotto che l’adozione dell’ordinanza definitoria sarebbe consentita solo al tribunale in composizione monocratica[25].
Si tratta, tuttavia, di argomento ritenuto non decisivo dalla maggioranza degli autori che già si sono occupati della questione, attesa la ormai sicura reclamabilità (naturalmente, davanti a collegio diversamente composto) di provvedimenti collegiali[26].
Altra questione non priva di problematicità è se l’adozione di tali provvedimenti sia possibile in sede di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. L’orientamento ormai accolto anche dalla giurisprudenza di legittimità è che esso sia un giudizio ordinario di cognizione (o, a dir meglio, la seconda fase, a cognizione piena, di un giudizio pendente iniziato a cognizione sommaria) al quale dunque potrebbe farsi applicazione dei nuovi istituti. Secondo taluno, tuttavia, la possibilità di domandare e ottenere la provvisoria esecuzione del decreto opposto, ex art. 648 cpc, mal si concilierebbe con l’assetto di un istituto che consente l’emissione di un provvedimento provvisoriamente esecutivo, pena una inammissibile duplicazione di titoli[27].
Più in generale poi, anche argomentando dalla collocazione delle disposizioni di nuovo conio, dopo l’art. 183 cpc, all’interno del procedimento ordinario di cognizione, si è andato delineando tra alcuni dei primi commentatori il convincimento secondo il quale l’adozione delle ordinanze definitorie dovrebbe ritenersi incompatibile con il rito del lavoro e quello locatizio, nonché con la trattazione del procedimento a cognizione semplificata[28].
Quanto al rito semplificato di cognizione (da osservare quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa), oltre all’argomento della collocazione sistematica delle due disposizioni (dopo l’art. 183), che farebbe intendere che il giudice stia trattando il procedimento nelle forme ordinarie, si osserva anche che risulterebbe contraddittorio riconoscere la semplicità della controversia per poi pronunciare un provvedimento possibile oggetto di reclamo, con eventuale complicazione e allungamento dei tempi del giudizio di primo grado.
Con specifico riguardo al rito del lavoro e a quello locatizio, poi, si osserva anche che la legge richiede la decisione immediata (e cioè, che la sentenza sia pronunciata direttamente in udienza), con ciò imponendosi la decisione della controversia con sentenza piuttosto che con una mera ordinanza definitoria.
Non manca, tuttavia, chi rileva che la prassi applicativa dei due procedimenti insegna che si tratta di previsione spesso inapplicata; e che, quindi, non sarebbe da escludere una diversa soluzione[29]. D’altra parte, si è anche osservato che l’ammissibilità delle ordinanze definitorie nelle «controversie soggette al rito speciale può anche essere giustificata in base al principio per il quale il rito del lavoro (e, deve quindi ritenersi, anche il rito locatizio ed il processo semplificato di cognizione) va integrato con le regole del rito ordinario ove compatibili»[30].
Altra questione problematica è quella che riguarda il momento in cui l’adozione dei provvedimenti in questione è possibile[31].
Per l’ordinanza di rigetto, in particolare, è espressamente previsto che essa possa essere adottata nel corso del giudizio di primo grado (dunque, fino alla rimessione della causa in decisione ai sensi dell’art. 189), all’esito dell’udienza ex art. 183 cpc.
Quest’ultima precisazione temporale, invece, non è espressamente enunciata per l’ordinanza di accoglimento.
Si osserva, nondimeno, che certamente non sarà possibile la sua adozione prima ancora dell’udienza ex art. 183 cpc, essendo in quella sede fatto obbligo al giudice di esperire il tentativo di conciliazione (laddove l’adozione a monte impedirebbe di procedere al tentativo di conciliazione)[32].
Secondo la prospettiva originaria del progetto Luiso, l’ordinanza di accoglimento avrebbe avuto la funzione di dotare l’attore di un titolo esecutivo, essendo quindi pensata, fondamentalmente, per giudizi di condanna; la traduzione in testo normativo non ha confermato, però, questa delimitazione, essendo senz’altro possibile – secondo una prospettiva ampiamente condivisa – l’adozione dell’ordinanza definitoria anche per domande diverse da quelle di condanna.
In ogni caso, a differenza di quanto espressamente previsto dall’art. 655 cpc per il caso di decreto ingiuntivo esecutivo, sembra da escludere che l’ordinanza di accoglimento costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, data l’assenza di una specifica previsione positiva in tal senso.
Altre più specifiche questioni potrebbero porsi, poi, con riferimento alla sorte dei provvedimenti emessi, qualora:
a) si estingua il procedimento di reclamo;
b) si estingua, accolto il reclamo e riassunto il giudizio per la prosecuzione del merito, il giudizio riassunto.
Si tratta, infatti, di due vicende non regolate dal legislatore.
La seconda di esse, peraltro, non appare particolarmente problematica: invero, esclusa la possibilità che il provvedimento rimosso in sede di reclamo possa “rivivere”, dovrebbe solo ammettersi, secondo le previsioni generali, che l’estinzione del processo lascerà integra la possibilità di esercizio dell’azione, ai sensi dell’art. 310 cpc. Meno sicura, invece, appare la soluzione del primo quesito, che equivale a interrogarsi se, estinto il giudizio di reclamo, resti comunque integra l’efficacia dei provvedimenti reclamati (ferma restando, in ogni caso, l’impossibilità di farne valere l’autorità in altra sede processuale).
6. Considerazioni conclusive
Al di là di queste e altre possibili questioni interpretative, che sicuramente si porranno a seguito della “sperimentazione pratica” dei due istituti, occorre infine domandarsi se la novità legislativa relativa alle ordinanze definitorie sia da valutare, complessivamente, con favore o se, al contrario, risultino sostanzialmente prevalenti i profili di criticità.
Sarei portato a ritenere – credo, per il momento, in buona compagnia (trattandosi di una prospettiva di valutazione già abbastanza diffusa) – che le criticità siano senz’altro prevalenti rispetto alle implicazioni potenzialmente positive; e che, prevedibilmente – e il tempo presto ce lo dirà –, i due istituti di nuovo conio non siano destinati a una significativa diffusione.
Intanto perché – ma questa è, ancora, una considerazione meramente empirica – le ipotesi di domande manifestamente infondate, o di difese altrettanto prive di qualche parvenza di serietà, non sono poi così frequenti nella pratica giudiziaria; specialmente, poi, quando ciò sia da riferire (in presenza di una pluralità di domande, in esse comprese anche quelle riconvenzionali) a tutte le domande contestualmente proposte all’interno di un medesimo giudizio.
Soprattutto, però, sono da evidenziare altri inconvenienti che, ragionevolmente, freneranno la diffusione dei due istituti o, quanto meno, ne frustreranno le finalità pratiche.
Da quest’ultimo punto di vista, in particolare, la (pur comprensibile) previsione della reclamabilità dei provvedimenti in esame rischia di vanificare completamente gli obiettivi – di semplificazione e accelerazione della decisione – che la loro introduzione si proponeva di realizzare.
Invero, non è difficile ipotizzare una rilevanza statistica tutt’altro che trascurabile della proposizione del reclamo, con la paradossale conseguenza che procedimenti che si sarebbero potuti definire in tempi ragionevoli finiranno per vedere aprirsi ampie parentesi incidentali, dirette a valutare non già il merito sostanziale della controversia, ma l’evidenza o meno delle prospettazioni di fondatezza o infondatezza delle argomentazioni e deduzioni difensive proposte dalle parti: con inevitabili dilatazioni degli stessi tempi di definizione dei relativi giudizi[33].
A ciò si aggiunga, poi, che la necessità di trattazione della medesima vicenda giudiziaria, a causa delle incompatibilità previste, da parte di giudici diversi (in sede di reclamo e, poi, nel caso di eventuale prosecuzione del giudizio), specialmente in uffici a organico ristretto – e ancor di più (ove, come sembra, sia da ritenere ammissibile il ricorso ai descritti provvedimenti anche nelle controversie a trattazione collegiale) –, finirà per determinare inconvenienti pratici e organizzativi di significativa rilevanza per la composizione dell’organo giudicante destinato a decidere compiutamente nel merito la controversia[34].
Soprattutto, poi, la circostanza che, in caso di mancato reclamo (o reclamo respinto), l’assetto dato alla controversia sia destinato a non assumere carattere di definitiva stabilità a causa della inidoneità al giudicato della decisione assunta, risulterà ben poco incentivante già per le parti interessate, specialmente poi ove la disponibilità della cosa giudicata (come, ad esempio, nelle domande ex art. 2932 cc) assuma carattere di necessità[35].
Ben più preferibile, allora, appare ad esempio la soluzione predisposta, per situazioni di analoga caratterizzazione, nel codice del processo amministrativo, che, nell’art. 74, per il caso (tra gli altri) di manifesta fondatezza ovvero per la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, dispone più ragionevolmente che il giudice decida la controversia con sentenza in forma semplificata, stabilendo che la motivazione della sentenza possa consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, a un precedente conforme.
Appare dunque prudente, conclusivamente, esprimere qualche riserva sulla sicura ed effettiva utilità dell’istituto delle ordinanze definitorie: evidentemente, però, sarà la pratica del processo, negli anni a venire, a confermare o smentire quelli che, per ora, sembrano (almeno a me) timori abbastanza fondati[36].
* Il presente contributo costituisce (omesse le parole di circostanza), con alcune integrazioni e modifiche, e con l’aggiunta delle note, il testo dell’intervento al Convegno organizzato dall’ANF, sede di Catanzaro, sul tema «Il nuovo processo civile di cognizione» (Scuola di Alta formazione, Università “Magna Graecia”, Catanzaro, 13 marzo 2023).
1. Com’è noto, sotto il ministero di M. Cartabia sono state (ri)elaborate e portate a compimento una serie di riforme (cc.dd., appunto, “Cartabia”) in tema di giustizia, che hanno interessato non solo il settore processuale (e, in parte assai più ridotta, anche sostanziale) civile, ma anche quello penale e quello ordinamentale.
In materia penale vds., in particolare, la l. 27 settembre 2021, n. 134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», in G.U., 4 ottobre 2021, n. 237), su cui vds. ad esempio G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sistema penale, 15 ottobre 2021; Id., Codice penale – Le modifiche introdotte dalla riforma Cartabia (l. 134/2021), ivi, 21 dicembre 2021; D. Castronuovo - M. Donini - E.M. Mancuso - G. Varraso, Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, CEDAM-Wolters Kluwer, Milano, 2023; F. Izzo e G. Picciotto, Il nuovo processo penale dopo la Riforma Cartabia, Simone, Napoli, 2023.
Per gli aspetti ordinamentali vds., per tutti, il fascicolo n. 2-3/2022 di questa Rivista trimestrale, La riforma dell’ordinamento giudiziario: analisi e commenti alla legge delega n. 71 del 2022 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/pdf/46/2-3_2022_qg_la-riforma-dell-ordinamento-giudiziario_integrale.pdf).
2. Sul tema, vds., tra i primi commenti: P. D’Alessandro, Le nuove ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda, in Giustizia civile, 7 febbraio 2023; M. Stella, Interest rei publicae ut sit finis litium. Le nuove ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda nel corso del giudizio di primo grado (artt. 183-ter e 183-quater c.p.c.), in Diritto processuale civile italiano e comparato (DPCIeC), n. 1/2023, pp. 241 ss.; R. Metafora, Le nuove ordinanze di manifesta fondatezza e infondatezza introdotte dalla riforma del processo civile, in Giustizia civile, 12 gennaio 2023; R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie introdotte dalla riforma del processo civile, ivi, 9 gennaio 2023; nonché, anteriormente all’esercizio della delega legislativa (e, dunque, sul testo della legge delega), G. Della Pietra, Le ordinanze “divinatorie” nella delega sul processo civile, in DPCIeC, n. 3/2022, pp. 246 ss.
3. Destinati a trovare applicazione ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023, secondo quanto disposto dall’art. 35, comma 1, d.lgs n. 149/2022 (per tutti, vds. R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 3).
4. In materia civile, vds. part. i seguenti atti normativi: l. n. 206/2021; d.lgs n. 149/2022; l. n. 197/2022; dl n. 198/2022, conv., con modif., in l. n. 14/2023; dl n. 13/2023, conv. in l. n. 41/2023.
Per una prima analisi delle riforme in materia, vds.: A. Didone e F. De Santis, Il processo civile dopo la riforma Cartabia, CEDAM-Wolters Kluwer, Milano, 2023; A. Carratta, Le riforme del processo civile, Giappichelli, Torino, 2023; M. Bombelli, Il nuovo processo civile nella riforma Cartabia, Key, Milano, 2022.
5. È stato infatti sottolineato che «si tratta, all’evidenza, di strumenti tutti da “metabolizzare”, la cui riuscita è legata al grado di affidabilità e stabilità fattuale che i magistrati riporranno nell’adozione di provvedimenti integralmente anticipatori della decisione di merito, e tuttavia provvisori»: così F. De Santis, Declinazioni e chiaroscuri della riforma Cartabia, in A. Didone e F. De Santis, Il processo civile, op. cit., p. 40. Già con riguardo alla prospettazione che derivava dalla legge delega, osservava che «il giudizio su queste nuove ordinanze non può che essere parziale e provvisorio, ma il pronostico per questo nuovo filtro non si profila fra i più fausti» G. Della Pietra, Le ordinanze “divinatorie”, op. cit., p. 248.
6. In proposito, vds. spec. i pareri di cui alle delibere plenarie del Csm del 15 settembre 2021, 21 settembre 2022 e 21 dicembre 2022 (fonte: www.csm.it).
In particolare, nel parere del 15 settembre 2021 (seppure relativamente all’assetto originariamente previsto, di ordinanze provvisorie di accoglimento o di rigetto) veniva evidenziato (pp. 13 ss. della delibera) che «la previsione di un’ordinanza provvisoria di accoglimento o di rigetto, per quanto condivisibilmente volta ad anticipare gli effetti utili della sentenza in favore della parte che, secondo indici obiettivi e predeterminati, ha maggiori probabilità di risultare vittoriosa, risulta, in ragione della concreta disciplina approntata, foriera di ulteriori aggravamenti del procedimento in sé, oltre che di una duplicazione delle risorse giudiziarie impiegate. In particolare, la reclamabilità dell’ordinanza comporta – da un lato – l’investitura di un giudice ulteriore nell’ambito dello stesso grado di giudizio e – dall’altro – nell’ipotesi di accoglimento del reclamo stesso, la riassegnazione della controversia ad altro giudice, con intuibili effetti sui tempi complessivi del procedimento, da riesaminarsi ex novo da parte del nuovo assegnatario. Se, quindi, la ratio sottesa alla previsione non consiglia di suggerire la radicale eliminazione dell’innovazione, più razionale parrebbe estendere all’ordinanza provvisoria il regime previsto per l’ordinanza provvisionale del rito del lavoro, prevista dall’art. 423, comma 2, c.p.c., la quale, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, è revocabile solo con la sentenza che definisce il giudizio. In sostanza, l’ordinanza anticipatoria sarebbe da configurarsi come interinale, e dunque destinata a regolare i rapporti tra le parti per l’intero corso del procedimento, salvo essere assorbita, in ogni caso, dalla sentenza definitiva». Vds., pure, la delibera del 21 dicembre 2022, pp. 8 ss.
7. Il riferimento era, in particolare, al référé provision del sistema processuale civile francese e al summary judgment di cui all’articolo 24 delle civil procedure rules anglosassoni.
Sul primo istituto, vds., per tutti, A. Jommi, Il référé provision. Ordinamento francese ed evoluzione della tutela sommaria anticipatoria in Italia, Giappichelli, Torino, 2005; sul secondo, vds., per un’agile trattazione pratica, J.S. Cecil e C.R. Douglas, Summary Judgment Practice in Three District Courts, Federal Judicial Center, Washington D.C., 1987.
Esprime motivate perplessità sulla piena fondatezza del richiamo al “summary judgment” M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., pp. 247 ss. e 253 (rilevando, piuttosto, maggiori affinità con il modello statunitense della Federal Rule of Civil Procedure 56).
8. La proposta della Commissione, basata su «finalità acceleratorie e di semplificazione della decisione», mirava all’introduzione – all’interno del libro IV del codice di procedura civile (nell’ambito delle controversie su diritti disponibili) – di «un provvedimento sommario e provvisorio, con efficacia esecutiva, ispirato ad alcuni esempi della legislazione di altri ordinamenti (…) e modellato sulle fattispecie di c.d. condanna con riserva delle difese del convenuto, già prevista nel nostro ordinamento (cfr. gli articoli 1462 c.c. e 35, 648 e 665 c.p.c.)», rilevando che «il presupposto per la pronuncia di questo provvedimento sommario e provvisorio (…) è configurato dal raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e dalla valutazione giudiziale di manifesta infondatezza delle difese del convenuto».
Sul tema della condanna con riserva vds., per tutti, l’ampia monografia di G. Scarselli, La condanna con riserva, Giuffrè, Milano, 1989.
9. Con la rilevante precisazione, invero, che «in caso di accoglimento del reclamo, il procedimento di merito prosegua davanti a un magistrato diverso appartenente al medesimo ufficio», e con la scomparsa del carattere interinale provvisorio del provvedimento e della sua adottabilità ante causam.
10. In particolare, se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito dall’art. 163, comma 3, n. 3, cpc; ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al n. 4 del predetto comma 3: cioè, detto altrimenti, quando risulti omessa o assolutamente incerta la cosa oggetto della domanda, o difetti l’esposizione dei fatti posti a suo fondamento, con le relative conclusioni.
11. Cfr. R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 4.
Parla di «esito alternativo alla sentenza» (non senza rilevare, però, che «la pronuncia di queste ordinanze è subordinata a presupposti che di fatto ne limitano l’applicazione, rendendole istituti di scarsa appetibilità e praticabilità») F. Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in Giustizia insieme, 22 febbraio 2023, par. 5.
Prospetta le nuove ordinanze alla stregua di «una sorta di filtro nel giudizio di primo grado per le cause manifestamente fondate o infondate» la Relazione n. 110/2022 dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte suprema di cassazione, del 1° dicembre 2022, p. 65 (par. 17). In senso critico rispetto a una simile prospettiva si pronuncia, invece (non senza qualche fondamento, a nostro avviso) M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 244, secondo il quale «solo in senso atecnico (…) potrebbe parlarsi di “filtro” di ammissibilità della domanda. Semmai filtro di accesso alla tutela di merito a cognizione piena. Ed anzi, proprio la circostanza che ambedue le ordinanze possano essere pronunciate lungo tutto il corso del giudizio di primo grado, e quindi anche, in ipotesi, all’esito di istruttoria non sommaria svolta secondo le forme del Libro II c.p.c. (ciò che ben consentirebbe di decidere con plena cognitio su tutte le questioni), induce a ritenere che la finalità dell’istituto vada ricercata altrove o comunque non sia riducibile ad un puro interesse pubblicistico di economia processuale e di risparmio della risorsa giurisdizionale scarsa, rispetto al quale potrebbe apparire distonica la scelta di subordinare alla iniziativa di parte la attivazione di queste nuove forme di case disposal».
12. Secondo una prospettiva che rievoca, più direttamente, le ordinanze sommarie di cognizione dell’abrogato rito societario, di cui all’art. 19 d.lgs 17 gennaio 2003, n. 5 (in tal senso, espressamente, R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 4; M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., pp. 242 ss.).
13. Dunque nient’altro, appunto, che una modalità alternativa, ed eventuale, di definizione del giudizio ordinario di cognizione davanti al tribunale, pur se con le speciali caratteristiche e proprietà appena accennate.
14. Come rileva M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 243 (discutendo dell’ordinanza di accoglimento), «il legislatore si è sentito in debito di disciplinare anche il suo omologo corrispettivo in negativo, ossia la ordinanza di rigetto della domanda, peraltro adottabile anche in un caso diverso dalla manifesta infondatezza».
15. In particolare, l’espressa subordinazione dell’adozione dell’ordinanza di rigetto all’esito dell’udienza di cui all’art. 183 cpc, e, ovviamente, talune diversità di presupposti per l’adozione del provvedimento di rigetto.
Osserva M. Stella, op. ult. cit., p. 246, che «il richiamo alla udienza ex art. 183 si giustifica, nella ordinanza di rigetto disciplinata dall’art. 183-quater, in ragione della ipotesi ivi specificamente prevista del rigetto per mancata sanatoria della nullità della citazione dovuta a vizio della editio actionis. Logica vuole che prima di rigettare la domanda il giudice si sinceri, anche attraverso richieste di chiarimenti, se le oscurità della citazione siano davvero insuperabili».
16. Per tutti, vds. M. Stella, op. ult. cit., p. 252.
17. Come rileva M. Stella, ivi, p. 253, «l’accesso a questa forma di tutela sommaria, non decisoria, rimane dunque precluso per le cause in materia di status, diritti personalissimi, etc.».
18. Cfr. R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 7; M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 252, il quale, peraltro, reputa ragionevole tale presupposto per la sola ordinanza di accoglimento, laddove lo è assai di «meno in relazione alla ordinanza di rigetto della domanda, nella ipotesi contemplata dalla seconda parte dell’art. 183-quater» (lo stesso A., ivi, p. 253, ritiene altresì non essere necessaria, ai fini della proponibilità dell’istanza, l’espressa menzione del potere di proporre tale istanza nella procura ad litem ex art. 83 cpc).
19. Viene correttamente segnalato da P. D’Alessandro, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 9, che la valutazione giudiziale è, dunque, duplice e fondata su «accertamenti (almeno in parte) diversi perché, mentre con riferimento alla posizione dell’attore il giudice può limitarsi all’ordinaria valutazione della prova dei fatti costitutivi della domanda secondo il suo prudente apprezzamento, nel giudicare le difese del convenuto è necessario accertare se l’infondatezza sia (non solo emergente dagli atti, ma anche) manifesta, cioè a dire immediatamente e totalmente percepibile e comprensibile senza che sia necessario il ricorso ad accertamenti di tipo cognitivo o interpretativo più approfonditi». Lo stesso A. nota, nel seguito (p. 10), che l’infondatezza può essere in diritto o in fatto, proponendo anche alcune esemplificazioni di carattere generale.
20. Come rileva G. Scarselli (I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in Giustizia insieme, 15 novembre 2022, par. 4), «queste nuove disposizioni, per come sono congegnate, istituiscono una sorta di nuova ammissibilità della domanda e della difesa, che è quella della loro non manifesta infondatezza, cosicché, presentata al giudice una domanda oppure una difesa, il giudice non deve stabilire se queste sono o non sono fondate, ma deve preliminarmente valutare che queste non siano, appunto, manifestamente infondate, e solo se non hanno questa caratteristica esse saranno ammesse al giudizio di merito. Ma, deve rilevarsi, la manifesta infondatezza è concetto giuridico vago, e quindi le norme, nella sostanza, rimettono alla discrezionalità del giudice il proseguimento o meno del processo. Dunque, gli avvocati stiano bene attenti nella composizione degli atti introduttivi del giudizio, poiché imminente incombe su di loro sempre il rischio che tutto possa definirsi senza una reale cognizione piena dell’oggetto del contendere». Il che ha finanche portato ad adombrare il rischio che, per effetto di continui accoglimenti di istanze di rigetto sommario con ordinanza ex art. 183-quater cpc, l’attore si veda per sempre negato il diritto a ottenere una decisione di merito a cognizione piena sulla fondatezza della domanda, prospettando conseguenti dubbi di legittimità costituzionale di una simile disciplina, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. (in tal senso, F. Auletta, Relazione al convegno «Giustizia civile e riforma Cartabia: uno sguardo d’insieme», organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, 14 gennaio 2023; su tale prospettiva vds., peraltro, le riflessioni di M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., pp. 260 ss.).
21. La pluralità di domande viene intesa come riferibile anche all’ipotesi di concorso di domanda principale e riconvenzionale – per tutti, R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 7, alla quale pure si fa rinvio per la questione, più in generale, della separabilità delle cause fondate sulla pluralità di domande, in vista della possibilità di adozione (per alcuna di esse soltanto) dell’ordinanza definitoria.
22. Secondo M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 245 (successivi virgolettati a p. 266), «la formula della autorità non invocabile in altri processi, che ricalca quella dell’art. 337 cpv. c.p.c., sembra solo – in coerenza con l’assenza di un contenuto di accertamento – escludere che la ordinanza sia spendibile in altri processi aventi ad oggetto diritti o rapporti dipendenti da quello azionato con la domanda introduttiva del processo definito con la ordinanza stessa», ma nel giudizio di responsabilità che la parte, non adeguatamente dissuasa dal proseguire altrimenti la lite, «potrebbe aver voglia di promuovere nei confronti del suo vecchio patrono, la ordinanza di rigetto non sarà priva di peso», perché essa «rileverebbe invece, eccome, nella causa di danni da responsabilità professionale per inadempimento di obblighi informativi», avuto particolarmente riguardo a quell’orientamento giurisprudenziale (Cass., 3 settembre 2019, n. 21982) secondo il quale «la responsabilità dell’avvocato per inadempimento dell’obbligo di dissuadere il proprio cliente dall’agire in giudizio si configura sul presupposto che la domanda risulti chiaramente inammissibile per assenza dei presupposti previsti dalla legge o “completamente infondata”, giacché il professionista ha “l’obbligo di astenersi dalle cause perse o infondate”».
23. Cfr. la Relazione illustrativa al d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149, in G.U., 19 ottobre 2022, serie gen., 245, pp. 25-26.
24. Si tratta di soluzione senz’altro pacifica; ex multis: R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 4; P. D’Alessandro, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 8; R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 5; M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 252.
25. In tal senso, in particolare, R. Pezzella, Riforma processo civile: le ordinanze provvisorie di accoglimento e di rigetto della domanda, in Il Processo civile, 15 novembre 2022, ove anche il rilievo che «l’ordinanza non è adottabile per le decisioni riservate al Collegio dall’art. 50-bis c.p.c., atteso che la norma prevede espressamente che, in caso di accoglimento del reclamo, la causa prosegue dinanzi a un “magistrato” diverso”». Osserva, peraltro, M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 252, nota 19, che «l’uso del sostantivo al singolare ben potrebbe giustificarsi in virtù del fatto che il processo di merito, a valle del reclamo, dovrà comunque essere riassunto davanti al magistrato istruttore (cfr. art. 125 disp. att. c.p.c.)».
26. Per l’ammissibilità di ordinanze definitorie in sede di controversie riservate alla decisione collegiale, vds., ex multis: P. D’Alessandro, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 8; R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 5; non esprime una posizione netta, al riguardo, R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 4. Più articolata la posizione di M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 252, che dopo aver ammesso la praticabilità di tali ordinanze anche nella sede collegiale, si domanda, ulteriormente: «potrà o no il giudice istruttore pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento o rigetto o dovrà piuttosto investire il collegio? Opteremmo per quest’ultima soluzione, atteso che la ordinanza è idonea a definire il giudizio; perciò, irrevocabile dal giudice che la emette. È vero, peraltro, che il nuovo art. 189 c.p.c. non contempla, tra i casi di rimessione della causa al collegio, la ipotesi di decisione su istanze di definizione con ordinanza sommaria di accoglimento o di rigetto della domanda. Ma questo non induce a rilevare un difetto di coordinamento».
27. In tal senso, R. Pezzella, Riforma processo civile, op. cit.; R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 4. In senso contrario, invece, M. Stella (Interest rei publicae, op. cit., p. 255) osserva che «nessuna obiezione sembra potersi ricavare dalla legge. Il giudizio di opposizione, invero, non è configurabile come “altro grado” di giudizio, né secondo i più avrebbe struttura e oggetto di giudizio di impugnazione in senso tecnico del decreto ingiuntivo, ma costituisce lo sviluppo del medesimo processo, dalla fase inaudita altera parte a cognizione necessariamente sommaria, alla fase in contraddittorio a cognizione piena, sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso monitorio. Ecco che il tribunale, nel corso del giudizio di opposizione a d.i., ben potrà, su istanza del medesimo, attore in senso sostanziale, pronunciare ordinanza di accoglimento provvisorio della domanda monitoria e rigettare la opposizione del debitore opponente, se le difese dell’opponente (causae petendi dell’opposizione) appaiano manifestamente infondate».
28. Cfr. R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 5.
29. Così R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 4.
30. È l’opinione espressa da P. D’Alessandro, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 8. In senso favorevole all’applicazione anche M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., 246, a giudizio del quale «la naturale collocazione sistematica delle ordinanze prognostiche nel rito di cognizione piena par excellence non osta affatto, riteniamo, alla possibilità che dell’istituto si faccia applicazione anche in seno al nuovo “rito semplificato”, anch’esso a cognizione piena (come si era già chiarito a proposito del rito sommario ex art. 702-bis ss.), o nelle cause soggette al rito del lavoro o locatizio. Chi nega la vocazione espansiva delle nuove ordinanze, valorizza solo il dato estrinseco-formale, attinente alla diversa intelaiatura dei diversi riti».
31. Rileva M. Stella, ivi, p. 253, che «non vi è un termine iniziale né finale per la proposizione della istanza di definizione sommaria della lite, che potrà dunque anche essere per la prima volta formulata a valle della istruttoria. Da cui del resto non potrà prescindersi nei casi in cui l’attore non disponga già di prova documentale dei fatti costitutivi contestati dal convenuto costituito». Lo stesso A. prefigura, poi, alcuni scenari in cui potrà legittimamente pronunciarsi l’ordinanza di accoglimento ex art. 183-bis cpc, senza bisogno di istruttoria, come nei casi di fatti allegati dall’attore che siano forniti di prova precostituita con convenuto che non ha sollevato difese poiché è rimasto contumace o fatti allegati dall’attore non contestati dal convenuto costituito (e dunque non bisognosi di prova), o ancora di fatti allegati dall’attore che risultino forniti di prova documentale e difese del convenuto in iure inconcludenti; o, infine, di fatti allegati dall’attore forniti di prova, laddove le istanze di prova contraria formulate dal convenuto siano inammissibili.
32. In questa direzione R. Pezzella, Riforma processo civile, op. cit.; R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 8. Vds. pure, in proposito, R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 5.
33. Come rileva R. Giordano, Più ombre che luci nel nuovo processo civile di primo grado, in Giustizia civile, editoriale del 19 ottobre 2022, «la garanzia del reclamo, che la parte soccombente nella maggior parte dei casi, come l’esperienza insegna, con ogni probabilità non esiterà a proporre, aggraverà ulteriormente il carico dei ruoli dei giudici, determinando difficoltà anche organizzative negli uffici di minori dimensioni».
34. Il problema è segnalato da diversi commentatori della riforma. Ex multis, vds., ad esempio: R. Metafora, Le nuove ordinanze, op. cit., p. 9; M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 265; R. Masoni, Le nuove ordinanze definitorie, op. cit., p. 6.
35. Va anche segnalato, tuttavia, che – secondo una motivata ricostruzione dottrinale – «la ordinanza di accoglimento rimane pur sempre titolo esecutivo giudiziale, che definisce (sia pure in via sommario-delibativa, senza accertamento idoneo a stabilizzarsi) il giudizio di merito, e ciò impedirà al debitore di dedurre ammissibilmente a fondamento della causa petendi della opposizione difese ed eccezioni già valutate manifestamente infondate nel processo definito con la ordinanza medesima, non impugnabile dal debitore (salvo reclamo) e fatta salva, naturalmente, come lo sarebbe pure a petto del giudicato, l’opposizione di merito per fatti sopravvenuti rispetto all’ultimo momento utile per dedurli nel processo di merito. Escluso, dunque (…) che una surrettizia translatio iudicii sulla esistenza del diritto di credito possa avvenire in virtù di opposizione ex art. 615 c.p.c., il debitore, una volta subita la esecuzione forzata, dovrà invece ritenersi legittimato a esperire una azione di ripetizione»: così M. Stella, Interest rei publicae, op. cit., p. 245; con la conseguenza, secondo una siffatta prospettiva, che l’ordinanza provvisoria di accoglimento della domanda, che chiude il processo di merito, salvo riforma in sede di reclamo, precluderà al debitore l’esperimento delle opposizioni di merito ai sensi dell’art. 615 cpc (cfr., ancora, M. Stella, op. ult. cit., p. 256).
36. Si deve anche segnalare, peraltro, quella posizione secondo la quale il legislatore avrebbe «intuito che nella delibazione di manifesta fondatezza/infondatezza della domanda, specie se frutto di doppia conforme nella collegialità del reclamo, può esservi un salutare ingrediente per sedare la litigiosità o quanto meno ingraziare una transazione facilitata dalla prognosi rivelatrice, monocratica o collegiale che sia, comunque idonea a eliminare l’incognita del giudizio (…). Le ordinanze de quibus (…) non sono nude prognosi poiché saranno sempre guarnite di capo di condanna alle spese. Un assaggio per il soccombente prognostico di ciò che potrebbe voler dire la soccombenza meritale piena. Salvo connivente volontà della classe forense di farle cadere in desuetudine, queste ordinanze rappresentano un serio sprone per l’avvocatura a soppesare bene, meglio che in passato (a tacere dei costumi abusivi: frazionamento della domanda, etc.) ogni iniziativa processuale. Non sarà un balsamo curativo per i mali della giustizia civile. Comunque un deterrente» (in tal senso, ancora, M. Stella, op. ult. cit., pp. 266 ss.).