La Scuola della magistratura spagnola: un’esperienza, un progetto
Per me parlare di formazione, significa parlare del passato, ed in particolare degli anni, dal 1999 al 2002, in cui ho ricoperto il ruolo di presidente della Scuola della magistratura a Barcellona. Tuttavia, ritengo che l’approfondimento e lo studio condotto dalla Rivista Questione Giustizia, abbia ad oggetto il futuro della formazione. Ciò premesso, le lezioni che possiamo trarre dalle esperienze passate devono essere tenute di conto quando si organizza un’attività di formazione giudiziaria. È necessario sapere “da dove veniamo” per poter pianificare con successo il futuro.
È grazie alla mia esperienza pregressa nel campo della formazione che sono stato invitato a redigere questo articolo. Spero tuttavia di potermi concentrare sul futuro della formazione giudiziaria.
1. Determinando i fattori nella formazione iniziale dei giudici
Soprattutto nel campo della formazione è necessario coniugare le esperienze passate con quelle che ci accingiamo a pianificare. In effetti, l’attività pedagogica può essere concepita come l’attività di edificazione di ponti tra il passato ed il futuro. Hannah Arendt affermava che il compito dell’educatore è di «svolgere un’opera di mediazione tra il vecchio ed il nuovo»[1].
Parlerò adesso dei fattori che hanno determinato i contenuti della formazione giudiziaria in Spagna nel passato, e che tutt’oggi li influenzano.
1.1. La mancanza di una tradizione consolidata
Prima della fondazione della scuola della magistratura di Barcellona nel 1997, non esisteva una vera e propria formazione per i giudici. È vero che poco dopo la guerra civile, nel 1948, venne creata una Scuola a Madrid. Nonostante ciò, tale Scuola non ha mai organizzato corsi di formazione iniziale per i giudici. Una volta passato il concorso pubblico, i candidati vincenti trascorrevano alcuni mesi presso la Scuola di Madrid, ove fraternizzavano con i colleghi, e seguivano una serie di lezioni tenute principalmente da giudici della Corte suprema.
La creazione della Scuola di Madrid, che forniva una formazione alquanto scadente, non ha fornito un punto di partenza solido per l’istituzione di un sistema di formazione moderno, in grado di preparare gli uditori alla carriera giudiziaria.
L’affermazione di un efficiente sistema di formazione giudiziaria ha tardato ad affermarsi anche a causa della presenza ai vertici del corpo dei magistrati di giudici che, in ragionedell’anzianità, non avevano mai ricevuto alcuna formazione. Alla base del brocardo: «l’esperienza stessa ti mostrerà come diventare un buon giudice», risiedeva un concetto nocivo, ovvero che gli uditori avrebbero dovuto imparare la professione a detrimento degli interessi dei cittadini che ricorrevano alla giustizia.
I giudici anziani consideravano la formazione come non necessaria, in quanto loro erano riusciti a svolgere le loro funzioni senza mai seguire dei corsi formativi.
Comunque, al momento dell’istituzione della Scuola della magistratura di Barcellona, la magistratura spagnola soffriva di un grave deficit nel proprio organico. Per questa ragione, e altresì per la mole di arretrato giudiziario accumulatosi nel corso degli anni innanzi alle Corti di tutto il Paese, era facile sostenere innanzi all’opinione pubblica la tesi per cui era insostenibile per il sistema prevedere corsi di formazione della durata di due anni per gli uditori. Argomento fatto proprio anche da certi politici non interessati nel perseguire politiche di lungo termine, come è appunto quella di prevedere una formazione giudiziaria biennale.
L’introduzione della formazione obbligatoria per gli uditori ha introdotto un elemento di rigidità nel sistema di accesso alla carriera di magistrato, ed al contempo, ha rallentato la realizzazione del piano del Ministero della giustizia e del Consiglio superiore della magistratura finalizzato al miglioramento dell’amministrazione della giustizia tramite l’accrescimento dell’organico della magistratura.
1.2. La mancanza di una durata fissa per la formazione
È ovvio che la pianificazione della formazione non è possibile in assenza di un arco temporale determinato. I primi piani formativi della Scuola della magistratura erano tutti predisposti perché occupassero un lasso di tempo diverso. Dal 1999 è stato stabilito che gli uditori dovessero frequentare i corsi da settembre a giugno, permettendo così la nomina di insegnanti a tempo pieno. Dopodiché, il periodo di formazione per gli uditori è stato fissato in due anni dalla legge sull’organizzazione degli uffici giudiziari, un anno presso la Scuola ed un anno presso una Corte. Una legge del 2003 ha ridotto il periodo di formazione da due anni a 18 mesi.
Questi cambiamenti continui non favoriscono lo sviluppo di un piano di formazione efficace e minano il funzionamento della Scuola della magistratura. Semplicemente, non è serio presentare un programma di formazione suscettibile di essere completato in due anni o in 18 mesi, oppure in qualsiasi altro lasso di tempo ritenuto idoneo dal legislatore. Per esempio, che credibilità potrebbe avere un’università che ogni anno cambia la durata del corso di studi offerti?
1.3. L’ubicazione della scuola della magistratura
Ai fini dello sviluppo della formazione dei giudici, un fattore pratico importante risiede nell’ubicazione della Scuola.
In Spagna, la decisione di collocare la sede della Scuola a Barcellona ha riscontrato non poche opposizioni sia tra i giudici che tra gli studenti.
La Scuola è una delle poche istituzioni statali la cui sede non si trova a Madrid. A ciò si aggiunga; da un lato, che la scuola dipende dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministero della giustizia; e dall’altro, che il potere giudiziario è l’unico potere statale non decentrato.
La singolare ubicazione della Scuola presenta tuttavia dei notevoli vantaggi. Per esempio, essendo collocata su una collina in mezzo al parco di Collserola che domina Barcellona, la Scuola offre un ambiente ideale per lo studio. Tale collocazione isolata tuttavia comporta delle complicazioni per la pianificazione delle attività di formazione, e si pone in contrasto con l’idea per cui i giudici non dovrebbero essere isolati dalla società, risiedendo per così dire in una torre d’avorio, ma dovrebbero essere e sentirsi parte della società che devono servire. La posizione della Scuola in mezzo ad un parco fuori dalla città collide certamente con questa idea.
D’altro canto non è per caso che molte scuole della magistratura in Europa non si trovino nelle capitali (Bordeaux, Firenze, Utrecht). Forse la distanza da Parigi, Roma, Madrid o l’Aia è funzionale a ridurre l’influenza delle Corti supreme e dei rispettivi Consigli superiori della magistratura, e altresì ad incoraggiare una certa indipendenza didattica delle scuole.
1.4. Il concorso pubblico
Tra tutti i fattori che influenzano la formazione dei giudici, il concorso per l’accesso alla magistratura, e quindi alla formazione presso la Scuola, è certamente quello più importante. Le caratteristiche del concorso determineranno la struttura dei corsi di formazione, e talvolta definiranno i programmi didattici in modo che questi si concentrino sulle tematiche non coperte dal concorso. Per esempio, se il concorso è teorico, la formazione dovrebbe prevedere degli approfondimenti sulla natura pratica della professione del magistrato. Se il concorso verte esclusivamente su materie giuridiche, la formazione dovrebbe prevedere corsi di psicologia, economia e lingue straniere.
È utile notare che, dopo aver vinto il concorso, molti giovani giudici sono troppo sicuri di se stessi, e ciò li porta a ritenere come non necessaria la formazione della Scuola. In effetti, molti ritengono di essere già in possesso di tutte le conoscenze necessarie per svolgere la funzione di magistrato.
Questa non è la sede idonea per condurre un analisi esaustiva sul concorso per accedere alla magistratura, tuttavia è necessario indicare alcune caratteristiche che incidono sulla pianificazione dei corsi di formazione, costituendo infatti le materie del concorso il punto di partenza della formazione.
Il programma del concorso comprende tutte le branche del diritto, senza tuttavia un alto livello di approfondimento. Il concorso comprende dieci prove orali di 15 minuti, ove il candidato deve esporre una questione estratta a sorte da una lista di 400. Cinque prove vertono sul diritto sostanziale e cinque sulla procedura. Il concorso testa esclusivamente le conoscenze teoriche dei candidati, senza verificare la loro capacità di applicare le singole leggi ai casi concreti. Ciò rappresenta un serio paradosso, in quanto l’applicazione della legge al caso concreto è ciò che definisce meglio il lavoro del giudice.
Dalla configurazione del programma del concorso emerge con chiarezza che l’obiettivo dei corsi di formazione dovrebbe consistere nell’insegnare agli uditori come applicare la legge. Tale obiettivo è raggiunto, in prima battuta, tramite i corsi di formazione alla Scuola, ove gli uditori apprendono quanto necessario ai fini della corretta applicazione della legge dai docenti. In seconda battuta nell’anno di uditorato presso una Corte, ove gli uditori, affiancati ad un giudice anziano, applicano in prima persona ciò che hanno appreso durante la formazione alla Scuola.
La formazione funge perciò da ponte tra la conoscenza teorica del diritto – che l’uditore ha provato di possedere passando il concorso – e l’esercizio vero e proprio della funzione giurisdizionale.
1.5. Il modello di giudice
Il concorso pubblico si fonda su un modello di giudice che non esiste più.
Alla fine del 19esimo secolo, quando l’ordinamento era composto, fondamentalmente, dal codice civile, dal codice penale e dai rispettivi codici di procedura, era relativamente facile per il giudice memorizzare le norme del sistema. La conoscenza enciclopedica del diritto era utile in un sistema ove il giudice doveva sussumere i fatti del caso concreto e di seguito applicarvi la norma corretta. Una volta provati i fatti, l’applicazione della legge consisteva nel decidere se tali fatti rientravano o meno nella sfera di operatività della norma. Tuttavia tale paradigma non è più valido. Se si tiene conto di tutte le regole interpretative si comprende agevolmente che l’applicazione della legge non è un compito semplice.
Il processo di sussunzione oggi rappresenta solo il percorso logico seguito dal giudice nei casi più semplici, ove è chiaro quale norma debba applicarsi al caso di specie. Ma l’odierno stato di diritto non comprende meramente un sistema di regole, ma altresì di principi, la cui applicazione richiede una tecnica differente da quella della sussunzione: ovvero quella del bilanciamento.
Il bilanciamento comporta il confronto tra due principi, e l’identificazione di quello che deve prevalere. Ovviamente, tutto ciò introduce un elemento di difficoltà notevole nell’esercizio della funzione giurisdizionale, che non è più ridotta al meccanico procedimento della sussunzione.
Un giudice che esercita le sue funzioni all’interno del moderno Stato di diritto, dovrà non solo possedere una conoscenza approfondita del diritto, ma dovrà altresì riuscire ad interpretare quelle che Hart ha definito «open texture laws» (ovvero norme dal contenuto aperto), le quali includono «essentially disputed concepts» (tr. concetti non pacifici, Gallie) e «incompletely theorized ideas» (tr. idee teorizzate in modo non completo, Aguilò).
La tecnica del bilanciamento rende il compito del giudice molto complesso poiché nessuno dei due principi soccombe totalmente all’altro. Ciò che avviene è che uno dei principi prevale sull’altro, senza tuttavia escluderlo. In più, molti principi, essendo affermati dalla Costituzione, comportano una valutazione di valore connotata altresì da una dimensione etica.
2. Il contenuto della formazione iniziale
2.1. Le differenze con la formazione universitaria
La prima caratteristica della formazione dalla Scuola è quella di offrire un programma didattico diverso da quello delle facoltà di giurisprudenza. Infatti, il programma della Scuola è principalmente di natura pratica.
Tale natura si riflette nei titoli dei corsi: tribunale (corte di primo grado), (diritto privato) e giudice per le indagini preliminari (diritto penale). I due corsi si occupano rispettivamente del funzionamento dei due uffici cui gli uditori saranno assegnati al termine dell’anno trascorso alla Scuola. I corsi presentano al contempo sia elementi di diritto sostanziale che procedurale, ed introducono l’uditore alle questioni di natura pratica che si presentano nell’esercizio della funzione giurisdizionale in seno a tali uffici. Inoltre vengono trattate in modo approfondito materie che occupano solo in minima parte il programma del concorso, come per esempio la responsabilità extracontrattuale e la responsabilità dell’assicurazione in materia di circolazione di veicoli a motore.
Allo stesso modo, il corso di diritto penale approfondisce i temi delle misure cautelari e della limitazione dei diritti fondamentali. Argomenti questi che non vengono approfonditi nello studio per il concorso, e che invece assumono un ruolo rilevantissimo nell’esercizio della funzione di magistrato.
2.2. L’introduzione di conoscenza non acquisita nei precedenti corsi di formazione
La formazione comprende altresì l’insegnamento di materie non giuridiche, ma complementari e strumentali all’esercizio delle funzioni del giudice, come l’economia e la medicina legale.
La formazione mira a fornire agli uditori una conoscenza generale di codeste materie, tale da permettergli di valutare le prove, soprattutto in materia di reati finanziari (economia) o di scene del delitto, per la cui valutazione occorra possedere certe conoscenze medico scientifiche.
Allo stesso modo gli uditori vengono resi edotti sul funzionamento e l’amministrazione delle Corti. In effetti è importante che l’amministrazione degli uffici giudiziari non venga lasciata esclusivamente ai cancellieri e ai funzionari, ma che anche i giudici intervengano quando necessario.
Tra le materie non giuridiche vi è inoltre un corso che offre rudimenti di informatica (con un focus sui programmi utilizzati dagli uffici giudiziari), e corsi di lingua che comprendono l’insegnamento delle lingue ufficiali in Spagna (Catalano, Basco e Gallego), e dell’inglese e del francese.
2.3. Introdurre il giudice al contesto culturale e sociale
Alla Scuola, gli uditori seguono dei corsi e svolgono delle attività formative che hanno l’obiettivo di porli in contatto con le realtà ed i contesti sociali di cui essi dovranno tener conto nell’esercizio delle loro funzioni. Alcune di queste attività consistono nella visita di centri di riabilitazione per i tossicodipendenti, di attività commerciali e di cantieri edili.
L’inclusione di attività simili nei corsi di formazione permette di porre il giudice in stretto contatto con i problemi della società.
Inoltre sono previsti seminari vertenti su materie umanistiche, ove sono invitati scrittori e filosofi, e che comprendono visite a siti e la partecipazione ad eventi di rilievo culturale.
2.4. Familiarizzare con l’ambiente professionale
La formazione include lo svolgimento di stage presso le procure, gli studi legali, nelle carceri ed infine presso le questure. In tal modo l’uditore può sperimentare direttamente come la sua figura è percepita al di fuori del suo ufficio, o per così dire «dall’altro lato della barricata». Ciò permette ai futuri giudici di guadagnare una prospettiva che difficilmente potranno acquisire una volta che avranno iniziato il loro incarico.
Tali stage durano tutti una settimana, a parte quello nello studio legale per cui è prevista una durata di quindici giorni. Al fine di introdurre l’uditore ai meccanismi di funzionamento dell’ufficio ove è svolto lo stage, questo è affiancato da un mentore che si occupa della sua formazione.
2.5. Riflessione sul ruolo del giudice
In generale, ogni formazione professionale deve prevedere un approfondimento sul contenuto e sui limiti delle funzioni che dovranno essere svolte. Ciò è particolarmente vero per i giudici, i quali ricoprono un ruolo sempre più importante nello Stato di diritto. L’approfondimento sul ruolo del giudice è di non facile inclusione nella formazione. Gli uditori sono di solito più interessati ad imparare come applicare il diritto ai singoli casi concreti, piuttosto che ad affrontare questioni di lungo termine relative allo svolgimento della professione di giudice.
Tuttavia, gli uditori devono essere ben consci del fatto che nel corso della loro carriera dovranno affrontare delle situazioni in cui dovranno effettuare dei bilanciamenti tra principi per risolvere casi concreti con un alto coefficiente di difficoltà. Da ciò derivano questioni che li porteranno ad interrogarsi sul senso di essere giudice, e così essi dovranno districarsi tra ragioni di diritto e di giustizia, diritto al pari trattamento e positive discriminations, principio di legalità e equità, il potere giudiziario ed i suoi limiti, le relazioni con gli altri poteri statali, il loro ruolo nella società, e le loro competenze e capacità in veste di giudice.
Dworkin ha affermato che le decisioni giudiziarie si formano nel quadro di un processo «che richiede di formulare giudizi su questioni morali le quali sono oggetto di un intenso e continuo studio e dibattito filosofico (...) È tempo per gli operatori del diritto di confrontarsi col dato di fatto che gli statunitensi sono profondamente divisi sul piano della morale, che le decisioni giudiziarie inevitabilmente comportano valutazioni di ordine morale, e che i giudici hanno il dovere di riconoscere tale evidenza, e quindi argomentare logicamente ogni posizione da loro assunta» «(that requires judgments about such profound and polarizing moral issues that are the subject of intense and continuous study and philosophical confrontation ... It is time for the legal profession to openly confront the fact that the Americans are deeply divided on moral grounds, that judicial decisions inevitably involve such issues and that judges have a responsibility to acknowledge this and to explain any of the positions they hold»)[2].
Dworkin si chiede se i giudici debbano essere altresì filosofi, e la sua risposta è ovviamente negativa. Tuttavia, essi devono essere formati per svolgere correttamente le proprie funzioni in un ordinamento laddove i principi generali ricoprono un ruolo essenziale. La novità dello stato di diritto risiede nel fatto che i giudici devono ricercare nelle maglie del sistema normativo il singolo principio idoneo a risolvere il caso concreto. Ogni qualvolta un caso non possa essere risolto semplicemente applicando una norma specifica, il giudice deve ricorrere ai principi giuridici, cercando di individuare, quasi tramite uno sforzo erculeo, la (l’unica) soluzione corretta anche per i casi più difficili.
Il modello di giudice individuato da Dworkin presenta certamente delle caratteristiche erculee, è immensamente saggio, conosce tutte le leggi passate e presenti e tutte le fonti, ed è in grado di raccogliere tutte le informazioni necessarie in tempi brevi. Grazie a tali capacità, il giudice erculeo risolverà ogni caso concreto avendo ben presente tutte le fonti dell’ordinamento, e riuscirà così a pervenire ad una decisione al contempo innovativa e coerente con le decisioni precedenti.
Per avvicinarsi a tale modello di giudice, gli uditori devono essere non solo esperti delle leggi, ma devono altresì essere capaci di distanziarsi dalle incombenze quotidiane del loro ufficio al fine di poter acquisire una percezione migliorata del loro ruolo, e della figura del giudice in generale. I giovani giudici tendono a trascurare questo aspetto della propria formazione.
Per incoraggiare gli uditori a riflettere sull’essenza del ruolo della magistratura, la Scuola ha predisposto un seminario: «sulla giustizia e sui giudici». La Scuola invita un filosofo e gli uditori presentano un tema da questi già affrontato. Alla presentazione segue un dibattito tra gli uditori ed il filosofo. Durante un seminario è stato anche proiettato un film con a seguire un dibattito.
Senza professori di ruolo, non sarebbe stato possibile realizzare le attività finora descritte.
2.6. Consapevolezza della dimensione internazionale del ruolo del giudice
Oggi i giudici operano in una società globalizzata. La territorialità non può più costituire un ostacolo all’azione dei magistrati. Il giudice dovrebbe quindi conoscere nel dettaglio il funzionamento degli strumenti di cooperazione internazionale.
Nel quadro della cooperazione giudiziaria è di fondamentale importanza la fiducia reciproca, la quale deriverà da una conoscenza approfondita degli altri ordinamenti. Ai fini del corretto funzionamento della cooperazione giudiziaria è necessario che i giudici acquisiscano familiarità col funzionamento degli altri ordinamenti giudiziari, e che essi sappiano che tutti i sistemi si fondano sui medesimi principi generali.
La scuola spagnola è uno dei membri fondatori dello European network for Judicial Training (ENJT).
L’ENJT dovrebbe prevedere corsi di formazione comuni per gli uditori provenienti da Paesi diversi. Gli scambi tra la Scuola spagnola e quella francese sono abbastanza frequenti, e ciò grazie ad un duplice fattore di prossimità tra i due ordinamenti e geografica.
I corsi di formazione svolti dagli uditori presso Scuole della magistrature di Stati diversi dovrebbero essere convalidati (o riconosciuti) dall’autorità competente dello Stato di appartenenza. In tal modo si agevolerebbe la creazione di una singola area europea di giustizia.
2.7. Riempire il “gap of life”
In sistemi come quello spagnolo, gli uditori arrivano alla Scuola dopo un lungo periodo, di circa quattro anni, di preparazione per il concorso. Gli aspiranti magistrati vivono spesso in una sorta di limbo, laddove la loro vita privata risente fortemente dell’impegno conseguente alla preparazione del concorso. Tuttavia, essi, se supereranno il concorso, adotteranno decisioni che impatteranno profondamente la vita dei concittadini.
Così, in Francia, gli uditori, non appena entrano nella Scuola nazionale della magistratura, paradossalmente, la lasciano per svolgere uno stage di due mesi non attinente alla formazione di giudice. Dopodiché redigono un rapporto dello stage che presentano alla Scuola, e finalmente iniziano la formazione giudiziaria vera e propria.
In Spagna mancano percorsi di formazione extragiudiziaria per gli uditori. Ciò è dovuto in particolare all’attaccamento al modello burocratico continentale, che esclude a priori ogni formazione che non sia propriamente attinente al ruolo che di seguito dovrà essere svolto, in questo caso dagli uditori.
2.8. Etica professionale
Indipendenza, imparzialità, logicità delle motivazioni, responsabilità, integrità, trasparenza, diligenza ed onestà professionale sono i valori che devono ispirare l’attività del giudice. L’etica dovrebbe essere l’oggetto di un corso nonché di attività formative specifiche, volte a fornire agli uditori una conoscenza approfondita dei codici etici adottati a livello nazionale ed internazionale. In aggiunta a ciò, si sottolinea come occorra un approccio “orizzontale”, che preveda elementi di etica professionale in tutti i corsi e le attività della Scuola, sia quelle che abbiano ad oggetto questioni di natura legale, sia quelle che vertano su tematiche extra-giuridiche.
In generale, i valori e l’etica professionale si acquisiscono progressivamente con l’esperienza. I valori e l’etica necessari per svolgere le funzioni di giudice sono trasmessi dall’esempio dei giudici più anziani.
Nel corso degli anni ’90, i colleghi francesi spiegavano che nella formazione giudiziaria si possono distinguere tre livelli: conoscere, fare ed essere (connaître, faire et être). Allo stesso modo, in Spagna, il Prof. Pérez Lledó indica tre obiettivi nella formazione del giurista: 1) la trasmissione della conoscenza (knowledge transmission); 2) la pratica (practice); 3) l’etica (education in goals and values)[3].
Il terzo obiettivo è certamente il più difficile da raggiungere date le difficoltà nella determinazione del contenuto dei corsi di etica, nonché del rischio di travisamento ideologico dell’insegnamento dell’etica.
Al fine di determinare il contenuto dei corsi di etica professionale, è necessario che la scuola operi congiuntamente con il Consiglio superiore della magistratura e con le associazioni dei magistrati, in modo tale da individuare un programma in armonia con i valori di tutta la magistratura spagnola.
3. Metodologie
Sin dalla fondazione della Scuola, è risultato chiaro a tutti che la formazione degli uditori avrebbe dovuto comprendere una forte componente pratica.
L’espressione «formazione pratica» può essere oggetto di interpretazioni divergenti. Per Manuel Atienza, la formazione pratica dei giuristi è quella che li prepara a svolgere le professioni legali, e che gli permette di agire sensatamente (act with sense) nel quadro dell’ordinamento. Ciò significa per Atienza che la formazione dovrebbe concentrarsi sulla gestione delle informazioni e delle fonti del diritto, piuttosto che sul contenuto di quest’ultime[4].
3.1. La metodologia casistica
La prima conseguenza derivante dall’approccio proposto da Atienza comporta un abbandono parziale del metodo classico di insegnamento in favore dell’adozione del cd metodo casistico (case method).
In Spagna manca una tradizione consolidata dell’utilizzo del metodo casistico nell’insegnamento del diritto. Tale metodologia è usata nelle facoltà di economia spagnole, le quali hanno emulato il metodo di insegnamento della Harvard business school, la quale a sua volta ha adottato la metodologia casistica seguendo l’esempio della facoltà di diritto di Harvard. Nei sistemi di common law, all’interno dei quali riveste un ruolo fondamentale il principio dello stare decisis, per le facoltà di giurisprudenza è naturale l’adozione del metodo casistico per l’apprendimento del diritto.
Al contrario, nelle facoltà di giurisprudenza spagnole il metodo casistico è ancora scarsamente utilizzato. Ciò deriva logicamente dal fatto che nell’ordinamento spagnolo la giurisprudenza non prevale mai sul testo della legge, e così i precedenti giudiziari non ricoprono un ruolo importante tra le fonti del diritto. Così il diritto è studiato con un approccio dogmatico.
La Scuola ha il dovere di adottare la metodologia casistica per le seguenti ragioni:
1. Sarebbe illusorio ritenere che gli uditori, appena vinto il concorso, posseggano già gli strumenti necessari a permettergli di acquisire da soli le capacità necessarie per svolgere le funzioni di giudice. In più, dopo anni di preparazione meramente teorica per il concorso, sarebbe controproducente prevedere per gli uditori una formazione di carattere eminentemente dogmatico.
2. Inoltre, la formazione non ha l’obiettivo di insegnare tutto il diritto dell’ordinamento spagnolo agli uditori; bensì ha quello di prepararli a svolgere le funzioni di giudice, che comprendono: come interpretare il diritto, come valutare le prove, come valutare e bilanciare interessi contrapposti, come individuare la norma corretta. Ciò potrà essere appreso attraverso lo studio di fattispecie più ricorrenti.
3. Per la predisposizione di un programma di casi giudiziari da sottoporre agli uditori si basterebbe selezionarne alcuni, tenendo conto della loro rilevanza ai fini di un apprendimento corretto delle modalità di svolgimento della funzione giurisdizionale. Sarebbe utile fornire agli uditori le copie esatte dei fascicoli, così che essi possano acquisire familiarità con gli aspetti formali del loro futuro lavoro.
4. Il corpo insegnanti della Scuola è composto per la maggioranza da giudici. Ebbene, per questi sarà agevole adottare la metodologia casistica, laddove la loro esperienza gli permetterà di fornire agli uditori un livello di approfondimento del processo deliberativo e di analisi delle fattispecie maggiore rispetto a quello che sarebbe in grado di dare un accademico. Perciò, il metodo casistico esalta le capacità dei giudici preposti all’insegnamento presso la scuola.
5. Infine, il metodo casistico si presta meglio all’analisi di aspetti strettamente connessi allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali, come lo sviluppo del percorso logico della motivazione, la semplificazione del linguaggio giuridico e così via.
Tuttavia, l’introduzione della metodologia casistica presenta altresì delle difficoltà:
1. Gli insegnanti non hanno mai ricevuto una formazione che gli permetta di adottare efficacemente la metodologia casistica nelle loro attività pedagogiche. occorrerebbe quindi prevedere dei programmi di formazione per gli insegnanti preposti alla formazione degli uditori.
2. Uno dei punti di forza del metodo casistico risiede nel dibattito che l’insegnante promuove tra gli studenti. Tuttavia, gli studenti spagnoli non sono abituati a prendere parte a dibattiti o discussioni durante le lezioni, avendo questi un ruolo eminentemente passivo nei corsi da essi seguiti all’università. Perciò, anche gli uditori dovranno effettuare uno sforzo per abituarsi a tale metodologia pedagogica.
3. La valutazione degli esami sostenuti degli uditori nel quadro dei corsi che adottano un approccio casistico sarà estremamente difficoltosa. In effetti, al contrario di un esame teorico, la soluzione di un caso pratico non è quasi mai una sola, e di conseguenza, nella determinazione del voto finale dell’uditore l’esaminatore godrà di una grande discrezionalità. Per questo il processo valutativo dovrà essere accompagnato da garanzie a favore degli uditori, come per esempio la possibilità di «impugnare» il risultato di un esame innanzi alla corte suprema.
3.2. I processi simulati
I processi simulati presentano tre principali caratteristiche:
1. I processi simulati hanno luogo in una stanza realizzata come una replica di un’aula di tribunale. I processi sono organizzati congiuntamente con la scuola dei pubblici ministeri e con gli ordini degli avvocati, cosicché possano prendervi parte non solo gli uditori, ma anche gli stagisti pubblici ministeri e i praticanti avvocati.
2. Alcune simulazioni sono condotte al fine di far apprendere agli uditori come comportarsi in situazioni delicate. Per ricreare situazioni del genere la scuola chiama degli attori professionisti, che ricevono una formazione ad hoc dalla scuola, i quali interpretano il ruolo di testimoni.
3. Infine altre simulazioni permettono agli uditori di acquisire le capacità necessarie per gestire efficacemente ed efficientemente le udienze, ed in particolare come rapportarsi con gli avvocati, con le parti e con i testimoni.
4. Pianificazione della formazione iniziale
L’attività di formazione degli uditori richiede un’attenta pianificazione sia per ragioni di tipo pedagogico che per il fatto che gli uditori vengono selezionati nel quadro di un concorso pubblico trasparente.
4.1. Il ruolo del collegio degli istruttori a tempo pieno
I giudici che operano come insegnanti presso la Scuola sono in continuo contatto con gli studenti. Godono per questo di una posizione privilegiata per poter identificare i bisogni formativi degli studenti e definire così i programmi di insegnamento futuri.
Il direttore della scuola deve perciò tener conto del loro parere nella redazione del programma formativo.
Sono tra l’altro rilevanti le qualità personali degli insegnanti, oltreché le loro passioni e i contatti personali, ai fini della programmazione delle attività formative. Gli uditori si sentiranno coinvolti pienamente in tali attività solo se lo saranno anche i loro insegnanti, che assumeranno quindi un ruolo primario nella loro educazione.
4.2. Pianificazione in base alla capacità
Una delle maggiori conseguenze del cd processo di Bologna e della creazione della European higher education area è consistito nella focalizzazione dei programmi formativi sullo sviluppo delle capacità. Recentemente molte università hanno approvato dei programmi basati sul concetto dello sviluppo delle capacità. Anche la Scuola dovrebbe fondare il proprio programma su tale concetto.
Il concetto di capacità ricomprende al suo interno tre elementi: conoscenza, abilità, attitudine. Ognuno di tali elementi deve essere trasmesso agli studenti adattandolo alle loro caratteristiche personali (abilità, valori, motivazione, tempra …) e professionali.
Applicare il concetto di capacità alla formazione giudiziaria implica l’insegnamento agli uditori di tutte le qualità necessarie al fine di svolgere la funzione di giudice, seguendo una relazione del genere: profilo personale e professionale dell’uditore + strategie di apprendimento e formative = acquisizione da parte dell’uditore delle capacità necessarie per svolgere la funzione giurisdizionale (Input profile + learning strategies = output profile).
Le scelte programmatico-pedagogiche della Scuola devono certamente tener conto dei profili degli uditori che arrivano alla Scuola, ed allo stesso tempo individuare con chiarezza quali devono essere gli obiettivi finali in termini di capacità che gli uditori dovranno acquisire nel corso della formazione. Senza un calcolo strategico esatto, i piani formativi rischiano di non essere sufficienti, e quindi di non riuscire a fornire agli uditori il set di capacità necessarie per l’espletamento delle loro funzioni di giudici.
Detto ciò, sorge spontanea la domanda: quali sono le capacità che il giudice deve possedere ai fini di un corretto esercizio della giurisdizione?
A differenza di un libero professionista, le cui capacità saranno necessariamente influenzate dal mercato in cui esso opera, e di un dipendente di una grande impresa, le cui capacità saranno individuate dalla testa dell’organizzazione sulla base degli obiettivi da essa prefissi, il profilo professionale del giudice e le sue capacità saranno determinate dal quadro normativo ed istituzionale entro cui esso opera. Per esempio, se il processo civile o penale prevedono una procedimento principalmente orale, sarà necessario che il giudice sviluppi forti capacità inter-relazionali ed oratorie. Se il giudice non è preposto alla direzione di un ufficio giudiziario, non sarà importante di occuparsi di sviluppare le sue capacità gestionali e direttive.
Al fine di determinare il contenuto dell’albo di capacità del giudice, sarà utile tener conto degli strumenti di soft law che di tale materia si occupano, come per esempio la Carta dei Diritti approvata dal Parlamento all’unanimità il 16 aprile 2002, il codice Ibero-americano sull’etica giudiziaria, adottato nel 2006 nel quadro del tredicesimo summit giudiziario ibero-americano, la raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1998 sui giudici (Recommendation CM/Rec(2010)12 ), ed infine le opinioni del Consiglio consultivo dei giudici europei.
Ai fini di fornire una formazione efficace basata sul concetto di sviluppo delle capacità, è necessario individuare: a) il contenuto delle capacità; b) i metodi didattici relativi; c) ed infine, i metodi per valutare i progressi degli uditori nell’acquisizione delle capacità individuate.
4.3. I comitati consultivi
Al processo di redazione dei programmi didattici della scuola prendono parte due comitati: la Comisión pedagócica e il Consejo rector. La Comisión è composta da rappresentanti della magistratura, ed il suo inserimento nella procedura che porta all’adozione dei programmi didattici della Scuola è utile al fine di assicurare una linea di continuità tra formazione e professione.
Allo stesso modo, il Consejo, composto da membri della società civile, è funzionale ad innescare quel dialogo necessario e salutare per lo stato di diritto, tra magistratura e società civile.
Il ruolo svolto dai due Comitati nella determinazione dei programmi della Scuola ha il merito di rafforzare l’indipendenza funzionale e pedagogica della Scuola nei confronti del Consiglio superiore della magistratura.
Il Consiglio superiore deve confidare nella Scuola per quanto concerne il compito di formare gli uditori. Ed innanzi agli uditori la Scuola deve poter apparire come un’istituzione che gode del pieno supporto del Consiglio superiore. Solo così la Scuola potrà adempiere al ruolo di «formatrice», che, prendendo in prestito le parole di Hannah Arendt, consiste nel «preparare i giovani ad affrontare un mondo (nel nostro caso “la magistratura”) di cui assumeranno le responsabilità, anche se non sono stati loro a crearlo e sebbene essi vogliono che sia differente».
[1] Arendt Hannah, Entre el pasado y el futuro. Ocho ejercicios sobre reflexión política, Ediciones Península Barcelona, pages 185 to 208.
[2] Dworkin R., «¿Deben nuestros jueces ser filósofos», Jueces para la Democracia Información y Debate, number 68, July 2010.
[3] Pérez LLedó, Juan A., La enseñanza del Derecho. Dos modelos y una propuesta, Ed. de F. Laporta. Universidad Autónoma de Madrid 2002, p. 41.
[4] Atienza, Manuel, El Derecho como argumentación, Ed. Ariel, 2006, pág. 18.