Magistratura democratica

L’allargamento dell’Unione europea come «responsabilità condivisa»: un’opportunità per rafforzare la rule of law

di Sara Cocchi

Parlamento e Commissione riflettono insieme sul processo di allargamento dell’Unione europea, ricordando che i valori e i principi enunciati dall’art. 2 TUE ne costituiscono il nucleo fondativo non negoziabile, tanto per i Paesi candidati quanto per gli Stati membri.

1. Alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo, previste per i giorni 6-9 giugno prossimi, la riflessione sul futuro dell’Unione europea assume una particolare densità di significati. Non solo, infatti, il momento elettorale rappresenta una delle manifestazioni più tangibili e immediate di quella democrazia consacrata nell’art. 2 TUE fra i valori fondanti dell’Unione stessa. Esso offre anche un’occasione privilegiata per guardare ai principi dello Stato di diritto, della rule of law, anch’essi enunciati dall’art. 2 TUE, nell’ottica prospettica delle sfide che attendono le rinnovate istituzioni europee. 

In particolare, l’attività che da alcuni anni svolgo come consulente in progetti di cooperazione giuridica promossi dall’Unione europea nei Paesi candidati all’ingresso nell’Ue, o che ne sono partner quali Paesi del vicinato, mi suggerisce alcuni spunti di approfondimento sul ruolo che il processo di allargamento ha e potrà avere per il rafforzamento e la promozione della rule of law, tanto entro i confini dei suoi Stati membri quanto di quegli Stati che aspirino a diventare tali. 

Due recentissimi documenti ci offrono qualche coordinata utile a riguardo: la risoluzione del Parlamento europeo «Approfondimento dell’integrazione dell’UE in vista del futuro allargamento», del 29 febbraio 2024, e la comunicazione della Commissione «sulle riforme e sulle revisioni strategiche pre-allargamento», del 30 marzo 2024. Come si vedrà, essi si distinguono sotto un duplice profilo di metodo e di merito proprio per alcune affermazioni in tema di protezione e promozione della rule of law dotate di un interessante potenziale espansivo e pervasivo. Tali atti si prefiggono infatti di stimolare, da un lato, una sempre più rigorosa verifica dell’adesione dei Paesi candidati ai valori di cui all’art. 2 TUE; dall’altro, alcune riflessioni “domestiche” ormai non più rimandabili, in primo luogo sul rispetto dei medesimi da parte di quegli Stati che membri già sono, ed in secondo luogo sull’organizzazione interna dell’Unione stessa: due aspetti che, alla luce del processo di allargamento dell’Unione europea e dei noti episodi regressivi che hanno interessato alcuni Stati membri, impongono approfondimento e cautela. 

 

2.1. La risoluzione del Parlamento Approfondimento dell’integrazione dell’UE in vista del futuro allargamento[1] riprende ed amplia alcune posizioni già espresse e sviluppate nella risoluzione Imprimere nuovo slancio alla politica di allargamento dell’UE[2], approvata il 13 dicembre 2023 in occasione del trentennale dei criteri di Copenaghen[3], quei principi angolari, sintetici e densissimi, che guidano e consentono di valutare il processo di allargamento dell’Unione e – specularmente – il processo di adesione di uno Stato candidato. 

Dopo aver sottolineato che i meccanismi per assicurare il rispetto dei principi fondamentali e dell’acquis europeo devono essere rafforzati in vista dell’allargamento (considerando Z), e aver ricordato l’importanza strategica fondamentale di tale processo quale investimento di lungo periodo in termini di pace duratura, democrazia, stabilità e sicurezza geopolitica del continente, il Parlamento descrive il processo di allargamento dell’Unione come «procedura basata sul merito» (considerando F), evidenziando come ciascun Paese richiedente debba «essere valutato in base al proprio merito nel soddisfare integralmente i criteri di Copenaghen» (punto 6). È lo stesso Parlamento a ricordare, infatti, che la valutazione di tale percorso non prevede sconti né «scorciatoie», laddove a essere in gioco sono «i valori e i principi fondamentali dell’UE[4]», quali «lo Stato di diritto, la riforma democratica, la libertà dei media e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle minoranze». Sono i fundamentals che, insieme alla «indipendenza della magistratura, [al]la lotta alla corruzione e [al]l’emancipazione della società civile» rappresentano i «presupposti essenziali per progredire lungo il cammino verso l’adesione all’UE». 

A questo proposito, inoltre, il Parlamento (punto 7) ricorda l’importanza cruciale dei meccanismi di monitoraggio che consentano la verifica costante del rispetto e del livello di protezione dei valori fondamentali dell’Unione, plaudendo alla scelta della Commissione di includere nelle relazioni annuali sullo Stato di diritto[5], a partire dal 2023, anche i Paesi candidati il cui cammino sulla strada della piena adesione sia più avanzato. Infine, il Parlamento insiste affinché le conclusioni formulate per tali Paesi candidati nei Rule of Law Reports confluiscano a loro volta nei Progress Reports, le relazioni annuali della Commissione che fotografano lo stato di avanzamento del percorso di adesione di un Paese candidato e che formulano raccomandazioni specifiche a riguardo. È questo un dato ancor più interessante, che se ben sfruttato in termini di analisi e formulazione di raccomandazioni specifiche ed appropriate, potrà essere destinato a innescare un “corto circuito positivo” nei meccanismi europei di protezione e promozione dello Stato di diritto.

Un’ulteriore spunto innovativo è dato poi dall’auspicio di un processo di adesione costruito in modo «incrementale» (il punto 21 è esplicito a riguardo), graduale, articolato su obiettivi concreti, chiari e tangibili, raggiungibili (e dunque monitorabili) secondo una scansione temporale ben definita, che scongiuri il protrarsi indefinito del processo di adesione e, conseguentemente, eviti conseguenze dannose sull’opinione pubblica e sull’impegno politico-istituzionale dei Paesi candidati. Per questo – si augura il Parlamento – è necessario che la prossima fase dell’allargamento possa concludersi entro la fine del decennio (punto 13), pur avvertendo che, per quegli Stati che non adempiano agli obblighi assunti, il processo di adesione può essere reversibile e i negoziati possono essere soggetti a un “congelamento” superabile solo con adeguati progressi sulla via delle riforme (punto 14). 

Ciò che di questa risoluzione più colpisce è, però, l’affermazione secondo la quale «l’allargamento dell’UE è una responsabilità condivisa degli Stati membri attuali dell’Unione e dei Paesi che desiderano aderire ad essa» (punto 14, c.vo aggiunto). 

Se guardiamo ai fondamenti della rule of law, che del percorso di adesione tracciato dai criteri di Copenaghen costituiscono uno dei pilastri irrinunciabili, il cambio di prospettiva rispetto al passato (anche recente) è netto e potenzialmente dirompente. Letta alla luce dei passi appena segnalati, questa enunciazione segna il tramonto di un approccio paideutico, che vedeva gli Stati membri investiti del compito storico-politico di “educare” gli Stati candidati a quei principi dello Stato di diritto dei quali si dava per scontato il pieno rispetto entro i confini nazionali. 

Due le conseguenze. Da un lato, sembra avviarsi una nuova fase, nella quale anche gli Stati membri prendono coscienza delle proprie fragilità interne e, rispecchiandosi negli Stati candidati, si impongono una riflessione “domestica” sul rispetto e sulla promozione della rule of law all’interno non solo dei propri confini, ma anche di quelli sovranazionali dell’Unione stessa. Non è un caso infatti, che il Parlamento chieda che, «nel contesto della [futura] riforma dei trattati, si esplorino opzioni volte a rafforzare ulteriormente la tutela dello Stato di diritto e dei valori democratici dell’UE contro l’arretramento sia negli attuali che nei futuri Stati membri» (punto 17), fra cui l’attribuzione alla Corte di giustizia della giurisdizione sulle violazioni ex art. 7 TUE (punto 33) e ulteriori riforme dei meccanismi di condizionalità. 

Dall’altro, poiché anche gli Stati membri devono «dare prova di un impegno politico chiaro e inequivocabile a favore del processo di allargamento», è ormai giunto il momento di ripensare alcuni aspetti fin qui considerati intoccabili dell’architettura e del funzionamento delle istituzioni europee: dalla composizione e dal ruolo del Consiglio e del Parlamento, al quale peraltro si propone che i Paesi candidati il cui processo di negoziato sia sufficientemente avanzato siano ammessi con lo status di osservatori (punti 24 e 25; punto 37), all’introduzione di maggioranze qualificate nelle procedure di voto relative all’allargamento (punto 33), al pieno utilizzo del potenziale di flessibilità offerto dagli strumenti che i Trattati già offrono (clausole passerella, cooperazione rafforzata, astensione costruttiva, cooperazione strutturata permanente, meccanismi di opt-out; cfr. punto 35). L’obiettivo è preparare il terreno all’adesione di nuovi membri e successivamente governare in modo efficace ed efficiente una Ue destinata, in prospettiva, ad abbracciare oltre 30 Stati. 

La flessibilità e la gradualità tanto nell’integrazione quanto nell’adesione al progetto eurounitario sembrano dunque essere promosse come soluzioni da esplorare nel contesto di una «UE allargata efficiente ed approfondita». Un solo limite è però «non negoziabile»: «il rispetto dei valori dell’Unione di cui all’articolo 2 TUE», che «non dovrebbe essere soggetto ad alcuna deroga o clausola di non partecipazione e che l’adesione all’Unione deve comportare l’obbligo di un forte impegno a rispettare integralmente il diritto dell’UE» (punto 34). 

 

2.2. In un significativo esempio di dialogo inter-istituzionale, molti degli spunti offerti dalla risoluzione appena discussa risuonano nella comunicazione della Commissione sulle riforme e sulle revisioni strategiche pre-allargamento[6], approvata un mese dopo e incentrata sulla necessità di avviare quei processi di riforma che possano consentire all’Unione europea di essere preparata all’ormai prossimo ingresso di nuovi membri. 

Ribadendo la rilevanza strategica prioritaria che la vocazione all’allargamento riveste costitutivamente per l’Unione europea, e sottolineando che tanto gli Stati candidati quanto l’Unione stessa devono essere pronti per il momento dell’adesione, la Commissione afferma in primo luogo che «l’Unione (…) deve approfondirsi mentre si allarga» (p. 2), cosicché i due processi risultano, quantomeno nelle intenzioni, l’uno lo specchio dell’altro. Non solo: mentre si indicano i temi cruciali del processo di allargamento («democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti fondamentali», p. 3), il nucleo intangibile di tale vocazione espansiva, si ricordano anche quelle possibilità di «integrazione graduale» che la metodologia per allargamento riveduta (2020) offre ai Paesi candidati e potenziali candidati. Il processo, avverte la Commissione, è sempre però reversibile e fondato sul merito, avrà come traguardo ultimo esclusivamente la piena membership dell’Unione e mai potrà essere finalizzato a un’appartenenza in qualche maniera “diminuita” o “selettiva”.

La comunicazione si snoda lungo quattro assi principali: valori, politiche, bilancio, governance. In particolare, è la sezione sui «Valori» a segnalare ancora una volta la centralità dell’art. 2 TUE, tanto per il processo di allargamento quanto per la tutela della solidità dell’Unione stessa: non solo, infatti, le istituzioni europee devono promuovere negli Stati candidati il rispetto dei valori in esso consacrati, quali condizioni imprescindibili per l’adesione alla Ue, ma al contempo «[a]gli Stati membri è chiesto di garantire che le leggi che [li] concretano non subiscano regressioni» (p. 4). Al cuore di questi valori si colloca la rule of law, nella sua accezione più estesa e sostanziale di forza attrattiva e propulsiva di democrazia, uguaglianza e rispetto dei diritti fondamentali, di precondizione per l’indipendenza del potere giudiziario e delle fonti di informazione, nonché di garanzia per l’efficace attuazione delle politiche economiche dell’Unione. Per questo, a determinare «il ritmo complessivo dei negoziati di adesione» sono i progressi tangibili nelle riforme finalizzate a rafforzare la rule of law e i suoi corollari. Al tempo stesso, la Commissione riconosce tuttavia che, negli ultimi anni, «l’Unione [ha] dovuto far fronte a considerevoli sfide per lo Stato di diritto, anche in Stati membri». Per questo ricorda, come poco prima aveva fatto il Parlamento, che alcuni degli strumenti recentemente dedicati al monitoraggio e alla garanzia dello Stato di diritto all’interno dell’Unione stessa sono stati estesi anche ai Paesi candidati «che si trovano nella fase più avanzata dei negoziati di adesione, così da poterne orientare ancora meglio le riforme in questo settore». È il caso dei già citati Rule of Law Reports, che consentiranno la valutazione di «taluni Paesi dell’allargamento (…) nello stesso modo degli Stati membri attuali» (p. 5, c.vo aggiunto). 

Il salto concettuale e politico in tal senso non ha precedenti, così come la convergenza sempre più evidente fra gli standard di tutela e valutazione del rispetto della rule of law applicabili agli (e negli) Stati membri e quelli prescritti ai Paesi candidati[7], e sembra completare l’individuazione, da parte del Parlamento, di quella «responsabilità condivisa» che caratterizza il processo di allargamento dell’Unione europea. 

Proprio la valutazione uniforme di membri e candidati potrebbe inoltre sorreggere, almeno in parte, la possibilità di un’adesione incrementale quantomeno al mercato unico, che anzi diventerebbe (come in effetti, per alcuni aspetti, è già[8]) il settore privilegiato per sperimentare tali modalità di accesso “graduato”. Di questo si occupa la sezione «Politiche» della comunicazione, dove però si specifica che «l’accesso anticipato e graduale al mercato unico» non deve essere inteso come possibilità di «adesione à la carte» all’Unione europea, poiché essa «[i]mplica l’adesione totale a un insieme unico e completo di diritti e obblighi». Sarà uno dei temi oggetto di futura discussione delineare come poter rendere pienamente applicabile questa prospettiva, in termini di enforcement di diritti e obblighi connessi al mercato unico nonché di meccanismi di controllo (ed eventualmente sanzionatori) nei confronti di Stati ancora formalmente solo candidati all’ingresso (p. 6). 

Degne di nota, e anch’esse risonanti le osservazioni già proposte dal Parlamento, sono infine le riforme auspicate dalla Commissione nella sezione «Governance». In una futura Ue con oltre 30 Stati membri, chiamata ad operare con tempestività e massima efficacia in settori spesso soggetti a rapidissima evoluzione, occorre ormai superare alcuni meccanismi decisionali tipici della diplomazia tradizionale – primo fra tutti il voto all’unanimità – rivedendone la preminenza in favore di maggioranze qualificate e altri strumenti, già offerti dai trattati, il cui potenziale non risulta ancora pienamente sfruttato. In parallelo, la Commissione evidenzia la necessità di provvedere a un ripensamento profondo della composizione delle istituzioni europee e degli organi direttivi delle principali agenzie, così da renderle preparate all’ingresso di nuovi membri. Al tempo stesso, anche la Commissione suggerisce di esplorare i meccanismi di integrazione differenziata che i trattati già mettono a disposizione degli Stati membri, avvertendo tuttavia nuovamente che «[q]ueste opzioni di flessibilità funzionano solo fintanto che le politiche fondamentali e tutti i principi e valori fondanti dell’Unione europea sono condivisi e rispettati da tutti gli Stati membri» (p. 22).

 

3. I documenti appena ripercorsi ci dicono naturalmente anche molto altro, a completamento della linea ricostruttiva sintetica che qui si è dovuto necessariamente privilegiare. Tuttavia, a conclusione di questa breve analisi, fra i molteplici spunti di indagine che essi ci offrono, vorrei evidenziarne in particolare alcuni. 

Una prima notazione, di metodo, riguarda l’approccio dialogico che Parlamento e Commissione sembrano adottare nel discutere le prospettive di allargamento dell’Unione europea e, al tempo stesso, nel riflettere sul necessario ripensamento del proprio funzionamento interno. È infatti interessante notare come più volte le affermazioni dell’uno trovino eco nelle parole dell’altra, certo nella reciproca consapevolezza del proprio ruolo politico, ma anche della rilevanza strategica che il processo di allargamento riveste per l’Unione intera, e dunque dello sforzo condiviso che le sue istituzioni sono chiamate a compiere per affrontarlo in modo organico. 

Nel merito, tre mi sembrano poi i punti salienti, già in parte accennati sopra. In primo luogo, “adesione” e “allargamento” sono ormai considerati due facce della stessa medaglia, due processi dei quali Paesi candidati e Stati membri condividono una responsabilità politica, istituzionale e giuridica. La condivisione di questa responsabilità è particolarmente evidente proprio con riferimento al rispetto e alla promozione dei fundamentals di cui all’art. 2 del TUE, e in particolare della rule of law e dei suoi capisaldi. È innovativa, in proposito, la sottoposizione tanto degli Stati membri quanto dei Paesi candidati “avanzati” al Rule of Law Mechanism e al relativo esercizio di reporting, segno di una ulteriore intenzione “protettiva da” ma anche “preventiva di” eventuali violazioni dei principi dello Stato di diritto, che sono in ogni caso definiti in entrambi i documenti come «non negoziabili». 

Ecco quindi emergere il secondo punto di interesse. Se tanto il Parlamento quanto la Commissione aprono alla possibilità di un percorso di adesione incrementale all’Ue, così come a spazi di integrazione approfondita differenziata fra Stati già membri, attraverso la valorizzazione degli strumenti esistenti o mediante la creazione di nuovi meccanismi, il limite ultimo non intaccabile risulta sempre essere quello dei core values di cui all’art. 2 TUE. Così come non possono esserci dubbi o ripensamenti a riguardo, non possono esserci neppure adesioni parziali ai principi fondamentali che sorreggono l’Unione. 

Infine, in vista del suo allargamento – e siamo al terzo punto – l’Unione non può esimersi dall’avviare una riflessione ampia del suo funzionamento e della sua organizzazione. Il lavoro di «revisione strategica» che la Commissione si propone nella comunicazione appena ripercorsa è certamente ambizioso. Esso dovrà fare i conti con la volontà politica delle istituzioni europee come rinnovate a seguito delle imminenti elezioni, non potendo prendere avvio di fatto prima del 2025, ma anche con le prospettive concrete di ingresso di quei Paesi candidati che si trovino attualmente in una posizione più avanzata sulla via dei negoziati per l’accesso. 

Vedremo nei prossimi mesi quale esito avranno le intenzioni annunciate e se, e in quale misura, l’Unione europea e suoi Stati membri sapranno cogliere l’occasione di un confronto costruttivo con i Paesi candidati per tutelare e promuovere, con rinnovato slancio, quella rule of law che ne costituisce il fondamento.

 

 

1. www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2024-0120_IT.pdf.

2. www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2023-0471_IT.pdf.

3. Per l’enunciazione ufficiale, si veda la relativa pagina su EUR-Lex: https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/glossary/accession-criteria-copenhagen-criteria.html.

4. Il riferimento è qui al nucleo essenziale dei cd. “fundamentals” del processo di adesione alla Ue, come definiti da ultimo nella comunicazione della Commissione 2023 Communication on EU Enlargement Policy (https://neighbourhood-enlargement.ec.europa.eu/document/download/cc71d42b-6c07-4deb-9069-5ca2082d166d_en?filename=COM_2023_690%20Communication%20on%20EU%20Enlargement%20Policy_and_Annex.pdf), annessa all’EU Enlargement Package dell’8 novembre 2023, ovvero: «The rule of law, fundamental rights, the functioning of democratic institutions, public administration reform and the economic criteria».

5. Le relazioni annuali sullo Stato di diritto si inseriscono nello “strumento preventivo” del Rule of Law Mechanism (https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/policies/justice-and-fundamental-rights/upholding-rule-law/rule-law/rule-law-mechanism_en), istituito a partire dal 2020 per monitorare e promuovere il rispetto della rule of law nei Paesi membri, evitare l’emersione di nuove criticità e scongiurarne l’ulteriore deterioramento. Fotografano la situazione con cadenza annuale i Rule of Law Reports, articolati in quattro macro-aree (sistema della giustizia, anti-corruzione, pluralismo dei media e sistema dei checks and balances istituzionali). Al link sopra indicato sono disponibili i reports per gli anni 2020-2024. 

6. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52024DC0146.

7. Su questo specifico argomento, sia consentito il rinvio a S. Cocchi, «Strengthening the rule of law»: sketching a comparison between the “domestic” and “external” constructions of an EU foundational principle, in Ianus, n. 15-16/2017, pp. 201-216 (www.rivistaianus.it/numero_15-16_2017/09_Cocchi_201-216.pdf).

8. Si pensi, ad esempio, ai «Deep and Comprehensive Free Trade Agreements» (DCFTA) conclusi dalla Ue con Georgia, Ucraina e Moldavia come parte dei rispettivi Accordi di Associazione.