Magistratura democratica

Le riforme per un’Europa più forte, coesa e democratica

di Daniela Rondinelli

Per rispondere alle sfide del nostro tempo, bisogna realizzare l’Europa unita e federale. È fondamentale riformare i Trattati per una governance più trasparente e democratica, con un bilancio rafforzato. Inoltre, materie strategiche come le politiche sociali, il fisco e l’energia dovranno divenire di competenza europea per essere sempre più vicine ai bisogni di imprese, associazioni e cittadini.

1. Premessa / 2. Un nuovo modello istituzionale / 2.1. Superare il meccanismo di voto all’unanimità in Consiglio / 2.2. Diritto di iniziativa legislativa al Parlamento europeo / 2.3. Istituzionalizzare il Trilogo / 3. Più competenze all’Europa. Sostenere la cittadinanza attiva per contrastare il deficit democratico / 3.1. Competenze Ue / 4. Un progetto unico di proiezione esterna dell’Ue / 5. La difesa dello Stato di diritto / 6. Conclusioni. Far coincidere sogno e bisogni reali: realizzare l’Unione politica

 

1. Premessa

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno messo in luce tutti i limiti del nostro modo di produrre, lavorare, consumare e, più in generale, di vivere. Ma hanno anche dimostrato che il nostro modello di governance europea non era più adeguato alle nuove sfide, che necessitavano di risposte immediate e incisive per mezzo miliardo di abitanti, a condizione di preservare i valori democratici e favorire la definizione di meccanismi di funzionamento istituzionale più aperti e trasparenti.

Se, da una parte, è fuori discussione che la crisi pandemica abbia portato l’Unione europea a un bilanciamento delle politiche economiche e sociali, grazie a strumenti innovativi come SURE e il Next Generation EU, finanziati attraverso emissioni di titoli di debito pubblico europeo, è altrettanto vero che la guerra in Ucraina ha reso necessaria una riflessione più approfondita sulla necessità di un nuovo assetto politico-istituzionale dell’Unione europea.

Ritengo che almeno quattro siano le aree interessate da una non più rinviabile riforma dei trattati, incrociando le sfide storiche del completamento del processo di integrazione europea. In particolare, mi riferisco al consolidamento e democratizzazione del processo decisionale, all’aumento delle competenze dell’Ue per legiferare su materie sensibili e d’interesse diretto dei cittadini, alla proiezione esterna dell’Unione europea e, infine, alla ridefinizione di “cosa è l’Europa” e di “come si sta in Europa”. 

 

2. Un nuovo modello istituzionale

Dall’inizio del mio mandato, ho ritenuto che la riforma dei Trattati fosse una necessità. Le conseguenze della pandemia, aggravate dallo scoppio della guerra in Ucraina e dall’ascesa dei nazionalismi, pongono l’esigenza non più procrastinabile di un’Europa che funzioni con maggiore agilità e fornisca soluzioni politiche quanto più rapide possibili a fronte di problemi immediati e contingenti, ma senza tralasciare la visione di lungo termine, come avvenuto con il Next Generation EU

Dal rafforzamento delle istituzioni europee passa la possibilità di difendere i nostri valori e i nostri interessi nel mondo. Se vogliamo davvero avere successo nelle sfide epocali del nostro tempo – quali la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico e la digitalizzazione, così come le guerre in corso ai confini dell’Europa – dobbiamo adattarci al contesto geopolitico, nel rispetto dei nostri valori, ma con sguardo lungimirante verso il futuro. 

 

2.1. Superare il meccanismo di voto all’unanimità in Consiglio

Per avere una Europa più forte e più democratica, ma soprattutto per renderla all’altezza del suo ruolo nel nuovo ordine mondiale, dobbiamo avviare un percorso che miri a riformare i trattati europei, superando il meccanismo dell’unanimità in Consiglio a favore di un meccanismo a maggioranza qualificata. 

Vanno, quindi, sostenute iniziative che mirano a superare questo limite, come la dichiarazione del 4 maggio 2023 sottoscritta da nove Stati membri, tra cui l’Italia (ITA, SPA, BEL, FIN, FRA, GER, PB, LUX, SLO), volta a costituire in Consiglio un «gruppo di amici del voto a maggioranza qualificata» in materia di politica estera e sicurezza comune, su cui ancora oggi vige il diritto di veto. Ma questo non basta.

Serve creare un consenso politico forte dalla base, non solo per chiedere una generica modifica dei Trattati, ma nell’ottica di una maggiore cessione di sovranità, spiegando che “uniti siamo più forti”. Credo che questo sia un pensiero chiave, molto caro al nostro Presidente Mattarella, quando invita tutti i cittadini a «coltivare la democrazia».

 

2.2. Diritto di iniziativa legislativa al Parlamento europeo

Ma questo potrebbe non bastare. Il superamento dell’unanimità va accompagnato da un’altra riforma che considero prioritaria, ossia quella di una rimodulazione del peso politico delle istituzioni europee. Penso in particolare al Parlamento europeo, il quale, sebbene abbia visto crescere il proprio ruolo e la propria influenza negli ultimi anni, resta spesso schiacciato tra la Commissione europea e il Consiglio.

Il Parlamento europeo deve essere parte proattiva e centrale del processo decisionale, attraverso un meccanismo che lo renda a tutti gli effetti co-decisore. Questo modello si fonda sul riconoscere al Parlamento europeo il diritto d’iniziativa legislativa, oggi esclusivamente in capo alla Commissione, la quale, dietro oscure ragioni tecnico-giuridiche, si è spesso caratterizzata in questi anni per aver pubblicato delle proposte di legge prive di valutazioni di impatto oppure basate su studi vaghi, che non tenevano conto delle reali esigenze della società civile organizzata e dei territori; alimentando uno scollamento tra cittadini e istituzioni che ha portato a una crescente disaffezione e diffidenza verso l’Europa.

 

2.3. Istituzionalizzare il Trilogo

Questo nuovo modello va altresì integrato dall’istituzionalizzazione del modello di negoziato interistituzionale attualmente in vigore, il cd. “Trilogo”. A causa del suo meccanismo di porte chiuse, e quindi di una assenza totale di trasparenza, esso non solo sminuisce il ruolo e il peso del Parlamento europeo dinanzi alla Commissione e al Consiglio, ma spesso lo subordina a quest’ultima costringendolo ad accettare testi legislativi senza una reale condivisione, contribuendo ad acuire crisi di fiducia dei cittadini verso le istituzioni europee. 

In questa direzione va quindi il lavoro che, insieme ai miei colleghi del Gruppo dei Socialisti e Democratici, in coordinamento con le altre forze politiche europeiste, abbiamo svolto durante questo mandato per stabilire una bussola che sappia guardare con ambizione al nuovo assetto istituzionale e per impegnarci a costruire una nuova Europa all’altezza delle nuove sfide. 

La recente risoluzione, approvata in plenaria a novembre 2023, con cui abbiamo chiesto al Consiglio l’apertura di una convenzione per la riforma dei Trattati, è stata segnata da due aspetti negativi. Innanzitutto, il voto contrario delle forze sovraniste e populiste, incluso ECR – il gruppo politico a cui aderisce Fratelli d’Italia –, seguito da una risposta ancor più sfacciata da parte del Consiglio, che ha semplicemente messo la richiesta in un cassetto, in attesa delle prossime elezioni, senza cogliere la necessità avviare un processo nuovo e di rilancio.

Nel complesso, è prevalso un approccio distruttivo volto a minimizzare la questione, recando un grave danno al progetto europeo. È assurdo anche solo immaginare di poter affrontare sfide epocali come la digitalizzazione e la transizione verde in solitudine. Così come non è più rinviabile un rafforzamento dell’unica istituzione europea direttamente eletta dai cittadini. Perché se il rafforzamento dell’Europa dipende dalla sua democratizzazione, è altresì vero che quest’ultima passa da un ravvicinamento dell’Unione europea ai propri cittadini. 

 

3. Più competenze all’Europa. Sostenere la cittadinanza attiva per contrastare il deficit democratico

Jean Monnet, uno dei Padri fondatori, sosteneva che «l’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni che si daranno a queste crisi».

L’interrogativo fondamentale che dobbiamo oggi porci è se sia indispensabile attendere nuove crisi, con tutto quello che esse comportano in termini di impatto politico, economico e sociale, oppure se siamo in grado di recuperare e rilanciare la visione dei Padri fondatori, e immaginare un’Europa del futuro davvero “politica”, in grado di anticipare le sfide e governare i processi di cambiamento. 

E questo ragionamento richiama, inevitabilmente, una riflessione sul tema delle competenze dell’Unione, perché l’Europa è diventata, nel tempo, l’unica cornice all’interno della quale trovare risposte ai problemi nazionali, europei e globali. 

 

3.1. Competenze Ue

Mai come oggi l’Ue deve presentarsi come un attore economico, politico e sociale forte. Sono convinta che le sfide che il nostro continente deve oggi affrontare non possono essere gestite né risolte singolarmente dagli Stati membri. Lo abbiamo visto con la pandemia e lo stiamo vedendo con la guerra in Ucraina. Il perfezionamento dell’Ue richiede un cammino progressivo di cessione di sovranità in settori strategici. 

Durante la pandemia abbiamo tutti compreso la necessità di una politica sanitaria unica a livello europeo. Senza di essa, andando oltre i vincoli previsti dagli stessi Trattati, non avremmo avuto una gestione ordinata della crisi sanitaria – penso, in particolare, all’acquisto e distribuzione dei vaccini. 

Ma altrettanto importanti sono le iniziative prese in materia di politiche sociali e bilancio. Sempre durante la pandemia, grazie allo SURE, abbiamo pagato oltre 33 milioni di casse integrazioni in Europa (oltre 10 milioni solo in Italia) e aiutato oltre 3 milioni di piccole aziende, di cui 850 mila solo in Italia. Uno strumento fondamentale con cui abbiamo limitato gli impatti economici e sociali della pandemia, ma anche posto le basi per il rilancio attraverso il Next Generation EU: un nuovo grande “Piano Marshall”, ma che – questa volta – gli Stati europei si sono dati da soli, senza l’intervento americano.

Con la guerra in Ucraina, poi, abbiamo visto la differenza tra un sistema agroalimentare già coeso e coordinato attraverso PAC e il settore dell’energia, oggetto di 27 strategie energetiche nazionali diverse con altrettanti mix energetici e fornitori differenti. È dunque chiaro che la nostra autonomia strategica non può prescindere da una trattazione europea dei settori critici, ma altresì il nostro mercato interno non può reggere la competizione globale e, contestualmente, difendere i nostri valori fondanti se non adottiamo standard sociali e ambientali uniformi.

Un discorso a parte concerne la governance economica che sovrintende a tutti questi processi, che dovrebbe condurre a un bilancio comune e a un meccanismo per rafforzare le risorse proprie sull’UE, liberando l’Europa dal giogo degli Stati membri più ricchi e potenti. Inoltre, è necessario avviare una riflessione seria su un maggiore coordinamento fiscale. 

A inizio mandato, Ursula Von der Leyen – in occasione dell’intervento con il quale illustrò al Parlamento il suo programma – evidenziò due gravi fattori distorcenti del mercato interno: il dumping sociale e quello fiscale. Se per il primo si è portato a casa un risultato importante come la direttiva salario minimo, nulla è stato fatto sul secondo. 

Sul fronte della direttiva salario minimo, ritengo rilevante richiamare il ruolo centrale riservato alla contrattazione collettiva, sia come strumento di fissazione dei salari, ma anche come fattore-chiave per lo sviluppo di un modello di relazioni industriali moderno, proprio di una democrazia matura, ponendo le basi per un’economia sociale di mercato in cui la ripartizione delle opportunità e della ricchezza diventa volano per il benessere individuale e collettivo. 

 

4. Un progetto unico di proiezione esterna dell’Ue

A seguito della guerra in Ucraina, è tornato in auge il tema della sicurezza comune europea. Un argomento centrale, ma che non può prescindere da un passo avanti dell’Europa politica. Nel momento in cui – per fortuna – non sono ipotizzabili guerre tra Stati membri, è chiaro che la politica di sicurezza si rivolge verso le minacce esterne e, quindi, non può prescindere da una politica estera comune. 

È prioritario parlare a una sola voce, con chiarezza e autorevolezza, di fronte alle grandi crisi geopolitiche, e per questo occorre innanzitutto un meccanismo per fare sintesi. 

Non può esistere una Difesa comune senza Politica estera comune. Altrimenti, si corre solo il rischio di un riarmo frettoloso, costoso e scarsamente utile per le esigenze europee, che rischiano di alimentare un arsenale militare enorme ma svincolato da una governance comunitaria orientata alla costruzione della pace e al suo consolidamento.

In quest’ottica, un’altra sfida decisiva riguarda l’allargamento potenziale a 35 Stati, in cui siano inseriti i Paesi dei Balcani occidentali, l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia. Anche nei giorni scorsi la Presidente Metsola ha ribadito che, se da un lato è ormai inaccettabile mantenere lo status di “Stati candidati” per oltre vent’anni, è altrettanto vero che la strada delle riforme per allinearsi alle basi democratiche dell’Ue va necessariamente accelerata e conclusa da tutti e senza ulteriori indugi. 

Inoltre, è altrettanto chiaro che l’ingresso di otto nuovi Stati membri farebbe collassare la struttura economico-finanziaria che l’Ue si è data, per non parlare di quella politica, ancora più precaria. Per questo, è necessario procedere a una revisione dei Trattati, come proposto dalla Presidenza Spagnola e, poi, ripreso dalla Presidenza Belga, ripartendo – se necessario – dal ribadire cosa significhi “essere Europa” e cosa comporti per uno Stato membro “farne parte”.

 

5. La difesa dello Stato di diritto

La Brexit ci ha insegnato che l’adesione all’Unione europea, così come il suo progetto complessivo, non è irreversibile e si alimenta proprio della volontà degli Stati membri e dei cittadini di animare i valori di pace e condivisione di un unico destino a cui i Padri fondatori si ispirarono.

Ma non solo. Ci hanno anche dimostrato che, con il passare del tempo, gli Stati membri, per effetto delle politiche attuate dai rispettivi governi nazionali, possono discostarsi dai valori europei mettendo a rischio l’impalcatura istituzionale per tutta la nostra comunità.

È il caso della Polonia di Morawiecki e, soprattutto, dell’Ungheria di Orbán. Per David Sassoli «l’Unione europea non è un incidente della storia», è frutto di un sogno condiviso tra milioni di persone, così come la pace e la democrazia sono valori irrinunciabili e identitari.

Ancora più inaccettabili, in questi casi, sono stati i goffi tentativi di giustificare chi sceglieva i giudici, chi silenziava media e opposizioni, impediva alle donne di abortire o a una persona di esprimere in libertà il proprio orientamento sessuale.

Per questo, noi Socialisti e Democratici abbiamo strenuamente combattuto in questo mandato non solo per scongiurare l’idea che l’Unione europea fosse un bancomat, bloccando i fondi europei all’Ungheria, ma anche per rivendicare il principio che i nostri valori e la nostra democrazia non sono negoziabili. Soprattutto a seguito delle ambiguità rispetto alla Russia di Putin. 

 

6. Conclusioni. Far coincidere sogno e bisogni reali: realizzare l’Unione politica

La grande sfida di oggi è completare l’Europa e renderla federale. Perché solo un’Europa più politica, più unita e grande potrà avere un peso determinante nello scenario globale, capace di affrontare in modo coeso le sfide che abbiamo di fronte. 

Ciò che serve oggi è un’Europa sovrana nelle materie federali, come in politica estera, difesa, politica monetaria, sociale ed economica, ma al contempo rispettosa del principio di sussidiarietà. Per nessuna di queste sfide basta più il solo Stato nazionale. L’Ue è ormai l’orizzonte in cui vengono prese scelte strategiche che hanno un impatto tanto nella quotidianità quanto nella costruzione di lungo periodo. 

Le prossime elezioni europee sono, quindi, decisive e avranno una valenza storica perché rappresentano il bivio tra la possibilità di un’Europa nuova, più grande e più autorevole, oppure la sua progressiva disintegrazione.

Ma attenzione. Le prossime elezioni rappresentano un punto di svolta non solo per l’affermazione e il consolidamento delle prassi democratiche a livello comunitario, ma anche nei nostri Stati membri, che ormai si alimentano dei valori democratici che l’Unione europea richiama, con sempre maggior forza, su questioni basilari come i diritti sociali e civili. 

Pensando ai valori ispiratori della Rivoluzione francese da cui sono poi nate tutte le democrazie moderne (libertà, uguaglianza e fratellanza), credo che tutti noi – decisori politici, accademici, rappresentanti della società civile e della cultura, singoli cittadini – sapremo dare un futuro al sogno europeo solo rilanciando la potenza immaginativa di cui esso è tuttora portatore, e le opportunità individuali e collettive che ne discendono.

Se sapremo alimentare e custodire i valori della libertà e dell’uguaglianza, potremo ambire a realizzare anche la fratellanza, vero segreto del sogno europeo: essa preconizza il principio “dell’unione nella diversità”, che non obbliga e non comprime, creando sempre nuovi spazi e possibilità. E grazie alla quale possiamo rilanciare la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini: al contempo destinatari e forza propulsiva di una democrazia sana.