Il 21 settembre dello scorso anno il Ministro della Giustizia francese annuncia la nomina alla direzione dell'Ecole Nationale de la Magistrature per la prima volta dalla sua fondazione di una donna, per di più, ancora per la prima volta, di un'avvocata, Nathalie Roret. Il Ministro, anch'egli avvocato, già distintosi in passato proponendo la soppressione dell'ENM e la sua trasformazione in una scuola per le professioni legali, illustra con frasi forti la sua decisione[1]: una lezione appresa in «queste prime settimane di consultazioni è l'impegno e l'entusiasmo della maggioranza dei magistrati. Ma è anche … la forza dell'inerzia di alcuni, la riluttanza a modernizzare l'istituzione e gli eccessi di una cultura dell'egocentrismo. Quali sono le cause di questo? Da molto tempo esprimo l'idea che questo corporativismo, che allontana la giustizia dai cittadini, stia in parte prendendo forma nella Scuola Nazionale della Magistratura. E questo nonostante l'eccellenza del suo insegnamento, che mi fu dato di capire su invito del suo direttore, quando ero avvocato. (....) io non rinuncio ad aprire di più questa scuola. L'apertura significa prima di tutto rompere con le tradizioni superate, significa rompere con la tentazione del vaso chiuso e del tra noi. Significa voler pensare e discutere in modo diverso che soltanto coi propri pari. Gli sforzi sono già stati fatti, ma meritano di essere amplificati. L'apertura significa anche rafforzare l'apprendimento di una vera cultura del contraddittorio tra i futuri magistrati, tenendo presente che la giustizia può essere forgiata solo attraverso il contraddittorio».
La decisione è fortemente criticata dai magistrati. La presidente dell'Union Syndicale des Magistrats, Céline Parisot dichiara a Radio France: «È originale nominare qualcuno che non sa esattamente cosa si fa quando si è magistrati per guidarne la formazione«. «Chiaramente, è un colpo di mano», dice il magistrato, che deplora l'«ignoranza del ministro della giustizia sui metodi didattici dell'ENM». Su iniziativa dell'Union syndicale des magistrats (USM) e del Syndicat de la magistrature (SM), si organizzano manifestazioni davanti ai tribunali; numerosi magistrati partecipano in toga e brandendo cartelli di protesta. La scelta della direttrice viene infatti letta, in combinazione con un'inchiesta disciplinare lanciata contro tre magistrati in relazione a una risalente fuga di notizie sulle indagini che avevano interessato l'ex Presidente Sarkozy, come un'attacco all'indipendenza della magistratura addirittura espressione di un possibile conflitto d'interessi[2]
Subito dopo, la conferenza nazionale dei primi presidenti di corte d'appello e la conferenza nazionale dei procuratori generali di Francia adottano un documento comune in cui si felicitano per la nomina di una avvocata a direttrice dell'ENM, la prestigiosa Scuola Nazionale della Magistratura francese. Con penna delicata ma precisa, i Capi di Corte affermano che «essere avvocato d'esperienza le permetterà di comprendere rapidamente come, ben lontana da procedure stregonesche, la realtà pedagogica della Scuola da più di 10 anni è quella di una scelta risoluta di apertura alla società, di un insegnamento prioritario della deontologia e dunque di rispetto assoluto del principio del contraddittorio, di un approccio internazionale». Ricordano che l'ENM è ricca in «diversità» e ha sempre accolti gli avvocati nel suo Consiglio di Amministrazione così come tra i partecipanti e i formatori; affermano con orgoglio che la Scuola è «invidiata e copiata nel mondo intero, richiesta dalle grandi organizzazioni europee e internazionali per la sua competenza nella formazione giudiziaria e non è mai stata al servizio della sola formazione dei magistrati ma di tutti gli attori della giustizia». Chiudono rammaricandosi «dei toni inutilmente polemici del Ministro della Giustizia sulla pretesa "culture de l'entre soi" e del "vase clos" o delle tradizioni obsolete" e interrogandosi sulle "finalità di tali esternazioni che dividono e stigmatizzano in luogo di riunire e di costruire».
Xavier Ronsin, Direttore dell'ENM tra il 2012 e il 2016, Presidente della corte d'appello di Rennes e della Conferenza dei premi presidenti, sui social media (Linkedin) ricorda alla novella direttrice che sarà giudicata per la sua capacità di difendere la missione di questa scuola repubblicana e di proteggerla contro i pregiudizi, il disprezzo, l'animosità. E lancia un'idea dirompente: a quando un poliziotto, un gendarme o un magistrato alla testa di una delle principali scuole dell'avvocatura?.
Passano pochi mesi e il 7 gennaio 2021 Gilles Accomando, Primo Presidente della corte d'appello di Pau, è nominato direttore della EFB di Parigi, la principale Scuola di Formazione dell'avvocatura del Paese. Dopo la prima storica di un'avvocata all'ENM, un'altra prima storica: un giudice a capo della più prestigiosa scuola dell'avvocatura. E con la benedizione del Ministro: «È una bellissima prova di apertura delle menti e delle culture. La nomina di Gilles Accomando è virtuosa, perché queste due professioni hanno un bisogno assoluto di ricucire i legami, per evitare un'opposizione sterile. È solo a questo prezzo che garantiremo una giustizia di qualità».[3]
Se le storie di ministri che cercano di comprimere l'indipendenza della magistratura, se necessario a colpi di disciplinare o torcendo le istituzioni che la reggono, non ci raccontano niente di nuovo, molto interessante appare la vicenda delle scuole della magistratura e dell'avvocatura e delle nomine scambiate. Ci parla – attraverso le proteste sotto i tribunali e le contenute ma forti parole dei Capi di Corte – di amore per la scuola, senso di appartenenza, orgoglio, identificazione, consapevolezza della sua valenza di "casa" dove crescono i nuovi magistrati. Ci parla anche di equilibrio, senso di responsabilità, capacità di correggere passi avventati e di trasformare un atto di azzardo in una possibile occasione di crescita generale.
Questa consapevolezza, amore, ricerca di equilibri istituzionali e di nuovi obbiettivi di qualità della giustizia non sembrano oggi applicabili alla relazione tra la Scuola Superiore della Magistratura, il CSM, che è il suo organo di "tutela" per dirla alla francese, e i magistrati.
Dopo anni di formazione consiliare e appassionate discussioni notturne, da Frascati a Tivoli a qualche albergo della periferia romana, ottenuta la Scuola, è come se la tensione ideale si fosse allentata. Le discussioni si sono pacate, l'analisi critica si appunta soprattutto sugli hotel dei dintorni di Scandicci, la partecipazione corale alla costruzione della "casa comune di tutti i magistrati" si è pian piano sopita. Benché si sia al terzo mandato e al decennio di vita della Scuola, si continua ad accettare senza nemmeno farne oggetto di discussione il fatto che la stessa non sia (mai stata) presieduta da un magistrato preferendo adagiarsi sulla rassicurante nomina di personalità di grande rilievo istituzionale; non vi è traccia di progettualità, benché sarebbero maturi i tempi per l'adozione di una struttura organica più complessa e all'altezza del mandato, con un consiglio d'amministrazione ampio e pluralista (sull'esempio francese), un consiglio direttivo integralmente operativo a tempo pieno, una struttura con magistrati e personale di supporto distaccati. Anziché accentuare la stabilità e continuità della direzione della Scuola, la si indebolisce consentendo che più membri del direttivo lo siano solo part-time e delegando sempre più la concreta organizzazione delle azioni formative, con l'appalto dei corsi a interni o esterni alla magistratura.
L'ultimo capitolo nella storia del disamore verso la Scuola (e la nostra cultura) viene poi dalla vicenda della nomina dell'ultimo consiglio direttivo, annullata dal TAR del Lazio con sentenza 10 agosto 2020[4] confermata dal Consiglio di Stato con sentenza 11 gennaio 2021[5].
Impugnata la delibera di nomina dei membri del direttivo da un magistrato che denunciava di essere stato illegittimamente pretermesso (e si ricorda che un'altra impugnazione è ancora pendente), la tesi sostenuta dal CSM e dal Ministro davanti alla giustizia amministrativa è stata che – come si legge nella sentenza del TAR - «il legislatore, attraverso una norma “in bianco”, avrebbe assicurato al CSM, quale Organo di autogoverno della Magistratura, la più ampia discrezionalità nella designazione dei relativi componenti, coerentemente, peraltro, con l’importanza, non solo nell’ordinamento giudiziario italiano, ma anche internazionale, del ruolo istituzionale della Scuola, tanto che lo stesso Presidente viene designato “per chiara fama”». Il Tribunale Amministrativo disattende questa interpretazione e rileva che «il tessuto motivazionale … della delibera impugnata… è tutto ed esclusivamente orientato a illustrare, in assoluto, la figura dei sei magistrati prescelti, senza alcun approfondimento sulle valutazioni comparative con gli altri venti aspiranti, come già (pre)selezionati», per poi specificare che «Nella delibera impugnata si rinviene solo un breve accenno alle figure e alle esperienze professionali dei magistrati pretermessi, a fronte di un approfondito “excursus” su quelle dei sei prescelti, da cui manca, però, una valutazione comparativa, sia pure sintetica, che possa fare ritenere le scelte effettuate come pienamente rispondenti alla logica seguita, dandosi luogo, altrimenti, a una sorta di scelta “fiduciaria” che non emerge come modalità idonea a legittimare la decisione finale, ricadente su venti magistrati, comunque ritenuti validi dopo una prima selezione di massima e pure “auditi” singolarmente». E il Consiglio di Stato precisa: «Mentre, …, relativamente alla competenza del Ministro, la discrezionalità selettiva che la connota può arrivare ad assumere, per la natura strettamente amministrativa dell’organo e la responsabilità politica del Ministro, il tratto di una individuazione intuitu personae (cioè di una nomina ‘a scelta’, dove l’apprezzamento del merito professionale e della capacità rispetto all’ufficio ad quem sono rimessi all’autonomo apprezzamento discrezionale ministeriale), nel caso del Consiglio Superiore della Magistratura (che non è organo politico ma organo di alta amministrazione di rilievo costituzionale; …), la scelta va connessa non solo all’ufficio di destinazione, ma prima ancora alla particolare natura a struttura del CSM. E proprio in ragione del suo carattere di organo di governo autonomo a base composta ed essenzialmente elettiva, la valutazione tecnico-discrezionale orientata ad una tale selezione va condotta secondo canoni di trasparenza, di verificabilità, di idoneità e di razionalità che accentuino – rapportandoli alle caratteristiche di questo particolare organo di rilievo costituzionale – i connotati già propri di ogni attività amministrativa (…), emancipandoli dai caratteri di una ripartita nomina ‘a scelta’. Sicché, nel rispetto dell’alta funzione propria dell’organo di governo autonomo, costituzionalmente ben distinta da quella ministeriale, e anche ad evitare che l’occasionale formula di rappresentatività del selettore prevalga sull’obiettiva valutazione comparata delle attitudini dei selezionandi, il vaglio della professionalità - in termini di merito e di attitudini - va svolto e congruamente motivato secondo rigorosi ed obiettivi parametri, strettamente professionali e non mai di altra natura o ordine».
Siamo dunque di fronte a un direttivo nominato "a pacchetto" - all'unanimità con delibera la cui motivazione assume il ruolo di giustificazione a posteriori di scelte effettuate fuori da percorsi di trasparenza e verificabilità – e oggi rimesso in discussione.
E il dopo? Il CSM – che già ha i suoi problemi di legittimazione e ricerca di una pristina purezza – ha scelto una scorciatoia. Approfittando delle provvidenziali dimissioni di uno dei componenti del Direttivo, il magistrato vittorioso nel contenzioso davanti alla giustizia amministrativa è stato prontamente messo al suo posto, sfuggendo a quel giudizio comparativo richiesto dalle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato. Giudizio che potrebbe essere di nuovo e presto necessario, visto che l'udienza di un secondo ricorso è fissata in maggio ed è facile prevederne un finale in linea con gli eventi, e che potrebbe ora, davanti a questa nuova composizione, essere persino più complicato. La mossa non ripara la delegittimazione riflessa dell'organo di governo della Scuola e non offre motivi di speranza per il futuro...
Non ci sarebbe di che mettere la toga e protestare davanti ai Tribunali?
[1] http://www.presse.justice.gouv.fr/art_pix/Discours%20d%E9claration%20ministre%20ENM.pdf
[2] https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/09/24/les-magistrats-en-colere-contre-le-ministre-de-la-justice-eric-dupond-moretti_6053501_3224.html
[3] https://www.lefigaro.fr/actualite-france/un-magistrat-pour-diriger-l-ecole-du-barreau-de-paris-20210107
[4] https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=tar_rm&nrg=202000399&nomeFile=202009131_01.html&subDir=Provvedimenti
[5] https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=202007217&nomeFile=202100330_11.html&subDir=Provvedimenti