Politiche di concorrenza:
Aiuti di Stato
Sentenza della CGUE (Sesta Sezione) 19 marzo 2015, causa C-672/13, OTP Bank Nyrt contro Magyar Állam e Magyar Államkincstár.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Fővárosi Törvényszék - Ungheria.
Oggetto: Aiuto in materia di alloggi, concesso prima dell’adesione dell’Ungheria all’Unione europea, a favore di determinate categorie di nuclei familiari - Liquidazione dell’aiuto da parte di istituti di credito in cambio di una garanzia statale - Misura che non è stata preventivamente notificata alla Commissione europea - Illegittimità.
La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito al rimborso a titolo di una garanzia concessa dallo Stato ungherese alla OTP Bank. Secondo la giurisprudenza della Corte, quando un aiuto viene concesso sotto forma di garanzia, è essenziale, per i giudici nazionali, identificarne i beneficiari, che possono essere vuoi il mutuatario vuoi il mutuante o, in taluni casi, entrambi congiuntamente (v., in tal senso, sentenza Residex Capital IV, C‑275/10, EU:C:2011:814, punto 37).
Nella fattispecie in esame il decreto del 2001 prevede che spetti agli istituti di credito attuare il decreto medesimo e, quindi, beneficiare della garanzia statale. La misura in questione risulta pertanto favorire esclusivamente il settore degli istituti di credito. Pertanto, la garanzia statale può essere considerata di natura selettiva. La circostanza che, eventualmente, della stessa fruiscano anche beneficiari diversi dagli istituti di credito, quali, nel caso specifico, taluni nuclei familiari i cui redditi non consentono, da soli, di pianificare l’acquisto di un bene immobile, non rimette in discussione tale rilievo, sufficiente ai fini dell’applicazione dell’art. 107, par. 1, TFUE.
Ai fini della qualificazione di una misura nazionale quale aiuto di Stato, non deve dimostrarsi un’incidenza effettiva dell’aiuto di cui trattasi sugli scambi tra gli Stati membri e un’effettiva distorsione della concorrenza, ma occorre solo verificare se detto aiuto sia idoneo a incidere su tali scambi e a falsare la concorrenza (sentenze Italia/Commissione, C‑372/97, EU:C:2004:234, punto 44, e Unicredito Italiano, C‑148/04, EU:C:2005:774, punto 54). In particolare, quando un aiuto concesso da uno Stato membro rafforza la posizione di un’impresa rispetto a quella di altre imprese concorrenti nell’ambito degli scambi intracomunitari, questi ultimi devono ritenersi influenzati dall’aiuto. Ne consegue che la garanzia statale produce l’effetto di rafforzare la posizione degli istituti di credito rispetto a quella di altri operatori del mercato e di rendere più difficoltoso, per gli operatori stabiliti in altri Stati membri, penetrare il mercato ungherese. Pertanto, tale garanzia è idonea ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri e a falsare la concorrenza, ai sensi del Trattato.
In conformità con il disposto dell’art. 108, par. 3, TFUE, i nuovi aiuti devono essere previamente comunicati alla Commissione e non vi può essere data esecuzione prima che tale procedimento abbia condotto ad una decisione finale. Secondo la giurisprudenza costante della Corte, una misura di aiuto attuata in violazione degli obblighi dettati dall’art. 108, par. 3, TFUE è illegittima (sentenza Distribution Casino France e a., da C‑266/04 a C‑270/04, C‑276/04 e da C‑321/04 a C‑325/04, EU:C:2005:657, punto 30). L’Ungheria non ha notificato la garanzia statale alla Commissione e pertanto la misura in oggetto costituisce un aiuto illegittimo.
Politica estera e sicurezza comune
Sentenza della CGUE (Quinta Sezione) 5 marzo 2015, causa C-585/13 P, Europäisch-Iranische Handelsbank AG contro Consiglio dell’Unione europea.
Tipo di procedimento: Impugnazione avverso decisione del Tribunale
Oggetto: Misure restrittive adottate nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran al fine di impedire la proliferazione nucleare - Congelamento di fondi.
Preoccupato dai vari rapporti del direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e dalle risoluzioni del Consiglio dei governatori dell’AIEA relativi al programma nucleare della Repubblica islamica dell’Iran, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato, in data 23 dicembre 2006, la risoluzione 1737 (2006) che elenca una serie di soggetti ed entità che parteciperebbero alla proliferazione nucleare ed i cui fondi e risorse economiche dovrebbero essere congelati.
La risoluzione 1737 (2006) è stata attuata, nella parte riguardante le competenze della Comunità europea, per mezzo del regolamento (CE) n. 423/2007, del 19 aprile 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran. A fronte della constatazione che la Repubblica islamica dell’Iran non rispettava le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, che essa aveva realizzato una centrale a Qom in violazione del proprio obbligo di sospendere tutte le attività connesse all’arricchimento nucleare rivelandolo solamente nel mese di settembre 2009, senza darne informazione all’AIEA e rifiutandosi di cooperare con detta agenzia, il Consiglio di sicurezza ha adottato, con risoluzione 1929 (2010) del 9 giugno 2010, misure più severe.
La ricorrente ha sostenuto, in particolare, che il fatto di imporre la designazione di qualsiasi entità identificata come ausiliaria a favore di un’altra entità sanzionata nella violazione o nell’elusione di sanzioni, nonostante un siffatto ausilio possa essere stato fornito per negligenza ed essere insignificante, violava il principio di proporzionalità ed era contrario alle disposizioni dell’articolo 32, paragrafo 2, del regolamento n. 961/2010, secondo il quale i divieti di cui a tale regolamento non comportano alcun genere di responsabilità per le persone fisiche o giuridiche o le entità interessate se esse non sapevano, e non avevano alcun motivo ragionevole di sospettare, che le loro azioni avrebbero violato tali divieti.
Al punto 205 della sentenza impugnata, il Tribunale ha disatteso tale argomento ricordando che, come risultava dalla risposta al secondo motivo dedotto dinanzi ad esso, le operazioni menzionate nelle motivazioni degli atti impugnati non erano lecite. Così facendo, il Tribunale non ha commesso errori di diritto. È fuor di dubbio, infatti, che il rigetto del motivo con il quale la ricorrente contestava talune misure restrittive adottate in quanto essa aveva aiutato entità designate come oggetto di misure restrittive a sottrarsi alle misure restrittive a loro carico è sufficiente per giustificare il rigetto di un argomento fondato su un’asserita ragionevole ignoranza del carattere illecito dell’aiuto fornito.
Pertanto, l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale è respinta dalla Corte.
Appalti
Sentenza della CGUE (Quinta Sezione) 12 marzo 2015, causa C-538/13, eVigilo Ltd contro Priešgaisrinės apsaugos ir gelbėjimo departamentas prie Vidaus reikalų ministerijos.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Lietuvos Aukščiausiasis Teismas - Lituania.
Oggetto: Principi di parità di trattamento e di trasparenza - Legame dell’offerente selezionato con gli esperti dell’amministrazione aggiudicatrice - Obbligo di tener conto di tale legame - Onere della prova circa la parzialità di un esperto - Insussistenza dell’incidenza di siffatta parzialità sul risultato finale della valutazione - Termini di ricorso - Contestazione dei criteri astratti di aggiudicazione - Chiarimento di tali criteri dopo la comunicazione dei motivi esaustivi di aggiudicazione dell’appalto - Grado di conformità delle offerte con le specifiche tecniche quale criterio di valutazione.
Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, che ha lo scopo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed efficace tra le imprese che partecipano ad un appalto pubblico, impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti (v., in tal senso, sentenze Commissione/CAS Succhi di Frutta, C‑496/99 P, EU:C:2004:236, punto 110, e Cartiera dell’Adda, C‑42/13, EU:C:2014:2345, punto 44).
L’obbligo di trasparenza, che ne rappresenta il corollario, ha fondamentalmente lo scopo di eliminare i rischi di favoritismo e arbitrarietà da parte dell’autorità aggiudicatrice nei confronti di taluni offerenti o di talune offerte (v., in tal senso, sentenze Commissione/CAS Succhi di Frutta, EU:C:2004:236, punto 111, e Cartiera dell’Adda, EU:C:2014:2345, punto 44).
Un conflitto d’interessi comporta il rischio che l’amministrazione aggiudicatrice pubblica si lasci guidare da considerazioni estranee all’appalto in oggetto e che sia accordata una preferenza a un offerente unicamente per tale motivo. Un conflitto d’interessi del genere è pertanto idoneo a costituire una violazione dell’articolo 2 della direttiva 2004/18. Sotto tale profilo, la circostanza che l’amministrazione aggiudicatrice abbia nominato degli esperti che agivano su suo mandato per valutare le offerte presentate non la esime dalla responsabilità di rispettare i requisiti del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza SAG ELV Slovensko e a., C‑599/10, EU:C:2012:191, punto 23). La constatazione della parzialità di un esperto richiede segnatamente la valutazione dei fatti e delle prove, che appartiene alla competenza delle amministrazioni aggiudicatrici e delle autorità di vigilanza amministrative o giurisdizionali.
Se l’offerente escluso presenta elementi oggettivi che mettono in dubbio l’imparzialità di un esperto dell’amministrazione aggiudicatrice, spetta a detta amministrazione aggiudicatrice esaminare tutte le circostanze rilevanti che hanno condotto all’adozione della decisione relativa all’aggiudicazione dell’appalto al fine di prevenire, di individuare i conflitti di interesse e di porvi rimedio, anche, eventualmente, chiedendo alle parti di fornire talune informazioni e elementi probatori.
Gli elementi come le affermazioni formulate nel procedimento principale riguardo ai legami fra gli esperti nominati dall’amministrazione aggiudicatrice e gli specialisti delle imprese vincitrici dell’appalto, in particolare la circostanza che dette persone lavorino assieme nella medesima università, appartengano allo stesso gruppo di ricerca o siano soggette a vincoli di subordinazione all’interno della stessa università, qualora fossero confermati, costituiscono siffatti elementi oggettivi tali da imporre di effettuare l’esame approfondito da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o, eventualmente, quello delle autorità di vigilanza amministrative o giurisdizionali.
Responsabilità ambientale
Sentenza della CGUE (Terza Sezione) 4 marzo 2015, causa C-534/13, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri contro Fipa Group srl e altri.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Consiglio di Stato – Italia.
Oggetto: Normativa nazionale che non prevede la possibilità per l’amministrazione di imporre, ai proprietari di terreni inquinati che non hanno contribuito a tale inquinamento, l’esecuzione di misure di prevenzione e di riparazione e che prevede soltanto l’obbligo di rimborsare gli interventi effettuati dall’amministrazione - Compatibilità con i principi del "chi inquina paga", di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dei principi del diritto dell’Unione in materia ambientale, segnatamente i principi del «chi inquina paga», di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, quali previsti all’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, ai considerando 13 e 24, e agli articoli 1 e 8, paragrafo 3, della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.
Dagli elementi del fascicolo a disposizione della Corte emerge che, nel periodo compreso tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80, la Farmoplant SpA e la Cersam Srl, due società appartenenti al gruppo industriale Montedison SpA, divenuto Edison SpA, hanno gestito un sito industriale di produzione di insetticidi e diserbanti ubicato in un comune della provincia di Massa Carrara, in Toscana (Italia). Poiché i terreni appartenenti a tale sito hanno subito una grave contaminazione causata da diverse sostanze chimiche, tra cui il dicloroetano e l’ammoniaca, una parte di essi è stata bonificata nel 1995. Risultata insufficiente tale «bonifica», detti terreni sono stati qualificati, nel 1998 come «sito di interesse nazionale di Massa Carrara» al fine del loro risanamento.
Mentre una parte della giurisprudenza, basandosi tra l’altro, sui principi di precauzione, dell’azione preventiva e del «chi inquina paga», propri del diritto dell’Unione, ritiene che il proprietario sia tenuto ad adottare le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica anche qualora non sia l’autore della contaminazione, un’altra parte dei giudici italiani esclude, al contrario, qualsiasi responsabilità del proprietario non responsabile della contaminazione e nega, di conseguenza, che l’amministrazione possa esigere da tale proprietario misure del genere.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato condivide quest’ultima opinione, dominante nella giurisprudenza amministrativa italiana. A tale proposito il giudice del rinvio, riferendosi alle sentenze della Corte ERG e a., (C‑378/08, EU:C:2010:126), e ERG e a., (C‑379/08 e C‑380/08, EU:C:2010:127), si basa su un’interpretazione letterale del codice dell’ambiente e sui principi della responsabilità civile i quali richiedono un nesso causale tra la condotta e il danno. L’esistenza di tale nesso sarebbe necessaria al fine di determinare vuoi una responsabilità soggettiva, vuoi una responsabilità oggettiva per il danno considerato. Il nesso suddetto mancherebbe nel caso in cui il proprietario non sia l’autore della contaminazione. Di conseguenza, la sua responsabilità sarebbe fondata unicamente sulla sua qualità di proprietario, non potendo essergli attribuita la contaminazione né in via soggettiva, né in via oggettiva.
La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi.