Sommario: 1. Premessa metodologica. 2. L’ordinanza cautelare nel “caso Equalize” – 3. L’approccio giornalistico alla vicenda – 4. La comunicazione degli eventi di rilevanza penale – 5. Una collocazione sistematica del decreto legislativo n. 198 del 2024: verso il dominio della “comunicazione di polizia”?
1. Premessa metodologica
L'articolo di commento all'ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa dal giudice per le indagini preliminari di Milano nel cosidetto “caso Equalize” avrebbe inteso (e, con i limiti di cui si dirà, intende) evidenziare due punti qualificanti del provvedimento, uno che riguarda la tutela dei terzi coinvolti, l'altro il rapporto tra addebiti provvisori elevati dal pubblico ministero ed estensione dell'ordinanza; per poi passare a considerazioni generali sull'incombere di limitazioni all’informazione che tenderanno a orientare - ancor più di quanto già sinora avviene - verso una pura e semplice "comunicazione di polizia" (come per l'ordinanza milanese si è verificato, per motivi non legati a divieti di pubblicazione ma per una già attuale predominanza delle fonti – e dello stile - di polizia).
Lo sviluppo di questa analisi giuridica avrebbe comportato - come per usuale costume - la citazione testuale di diversi passaggi dell'ordinanza: tantopiù rilevante trovandoci di fronte a un provvedimento improntato a elevato tasso di garantismo processuale e argomentatamente motivato in maniera utile a essere conosciuta e discussa nella comunità dei giuristi.
Il 23 dicembre 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 198 del 2024 («Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali») il cui articolo 2 modifica l'articolo 114 c.p.p.:
«Art. 2 - Modifiche al codice di procedura penale
1. All’articolo 114 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 2, le parole “fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall'articolo 292” sono soppresse; b) dopo il comma 6-bis, è aggiunto il seguente: "6-ter. Fermo quanto disposto dal comma 7, è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare"».
Il divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari introdotto con la novella riguarda anche il giurista che intenda commentarle, come in questo caso.
L'entrata in vigore della norma dopo la vacatio legis coincide con la riapertura di questa Rivista e la pubblicazione di questo contributo.
Opera il divieto: né da parte chi scrive, né da parte della direzione della Rivista, vi è intenzione di violare una norma vigente, quali che ne possano essere le criticità razionali e costituzionali[1].
Il testo di questo contributo è stato quindi modificato, e nel corpo dell’articolo le citazioni mancanti sono state sostituite dalla dizione: «contenuto vietato ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2024».
2. L’ordinanza cautelare nel “caso Equalize”
L’ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari di Milano nel cosiddetto “caso Equalize”[2] costituisce un’espressione elevata di garantismo processuale penale e, insieme, offre un punto di osservazione sulla situazione attuale (e del prossimo futuro) della comunicazione degli eventi di rilevanza penale.
Nell’esaminare le richieste del pubblico ministero di applicazione di misure cautelari, il giudice per le indagini preliminari ha dedicato una parte significativa delle motivazioni all’individuazione di limiti all’esercizio del potere cautelare e alle sue forme di espressione.
Il punto centrale è costituito dall’analisi del contenuto dell’articolo 292, comma 2, lett. c), c.p.p..
La norma dispone: «l’ordinanza che dispone la misura cautelare […] contiene […] l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato».
Il ragionamento del giudice del caso Equalize si fonda su una stretta lettura funzionale dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, nonché, in termini più ampi, dell’«intervento cautelare».
Si può cogliere da subito una tensione tra l’impostazione qui sintetizzata – anche a prescindere dalle soluzioni procedimentali poi in concreto adottate nel caso di specie – che, con nettezza e corrispondenza al dettato normativo, vede nella vicenda cautelare un “incidente” del procedimento penale, e, invece, la visione “punitivamente risolutiva” che della vicenda cautelare viene prevalentemente offerta sul piano della comunicazione pubblica e dell’informazione.
E’ coerente con la riconduzione della vicenda cautelare nel suo naturale ambito incidentale quanto il giudice scrive a proposito dello scopo dell’intervento cautelare:
[contenuto vietato ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2024].
In sintesi: non di anticipare una compiuta e completa valutazione su tutti gli elementi acquisiti in corso d’indagine, bensì di effettuare una valutazione nello stretto ambito delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p..
Più specificamente, per quanto riguarda la valutazione degli indizi di colpevolezza, il giudice individua, con corretto riferimento all’articolo 273 c.p.p., un nesso teleologico ineludibile, con riflessi significativi sul caso di specie:
[contenuto vietato ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2024].
In sintesi: la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza che il giudice compie deve essere strettamente funzionale a giustificare in concreto la misura disposta (come esige il citato articolo 292, comma 2, lett. c), c.p.p.); nel caso di specie, in cui ci si trova di fronte a indagini molto articolate, la valutazione del giudice chiamato a decidere su una richiesta di misura cautelare deve essere ristretta – pur a fronte di un elevato numero di fatti potenzialmente costituenti reato e di persone indagate - ai soli elementi necessari a quella valutazione; e, correlativamente, deve essere ristretta l’esposizione degli indizi nell’ambito della motivazione del provvedimento del giudice.
L’ordinanza contiene puntuali riferimenti costituzionali e sovranazionali che devono orientare alla lettura delle norme processuali penali:
[contenuto vietato ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2024].
In sintesi: il giudice perviene, condivisibilmente, ad affermare il fondamento costituzionale della necessità di non ricondurre le limitate finalità del provvedimento cautelare a una surrettizia anticipazione del giudizio di merito.
I riferimenti costituzionali vengono altresì collocati dal giudice nel contesto delle norme sovranazionali e collegati anche all’art. 115-bis c.p.p., introdotto con decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188:
[contenuto vietato ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2024: non sintetizzabile senza riferimenti testuali vietati].
Nel seguito dell’ordinanza vengono esaminati i presupposti cautelari e valutati gli indizi di colpevolezza, con riferimento al caso di specie e agli atti di polizia giudiziaria: si tratta tuttavia di contenuti la cui citazione, pur risultando di evidente interesse per lo sviluppo di questo commento, costituirebbe, anche se riportata in apparente sintesi, violazione dei divieti introdotti con il decreto legislativo n. 198 del 2024.
Ci limiteremo, quindi, a enunciare gli elementi principali del ragionamento giuridico del giudice per le indagini preliminari di Milano, senza poter citare le motivazioni del provvedimento, nelle quali sono sviluppati.
Come si è detto uno dei punti qualificanti del provvedimento commentato è quello che potremmo definire di “concentrazione della motivazione”: mediante il riferimento minimo necessario alle risultanze indiziarie ma anche alle singole posizioni degli indagati e ai singoli fatti potenzialmente costituenti reato, a fronte di un oggetto anche più ampio di addebiti provvisori.
Le premesse, sopra sintetizzate, di questa “concentrazione della motivazione” risultano condivisibili laddove tutelano in via indiretta ma efficace le posizioni delle persone coinvolte nell’indagine, indagati o terzi: si tratta di un serio e fondato sforzo per far sì che nessun contenuto ridondante o esondante possa fare dell’ordinanza applicativa di misure cautelari un provvedimento percepito come anticipazione di giudizio di merito, e potenzialmente lesivo della riservatezza delle persone comunque citate negli atti processuali.
La sensibilità garantista del giudice si colloca a pieno titolo – e come momento elevato - nel contesto di concreta attuazione anche per via giurisprudenziale dell’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza.
Una questione teoricamente rilevante si pone tuttavia con riferimento alla limitazione obiettiva della “risposta” del giudice rispetto all’ampiezza della “domanda” del pubblico ministero.
Ci si può cioè chiedere se vi sia, nella dialettica istituita dagli articoli 291, comma 1 («le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero») e 292, comma 1, c.p.p. («sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza») uno schema analogo a quello che lega il fatto contestato (i fatti contestati) nell’atto di esercizio dell’accusa, con la decisione di merito del giudice, che lo (li) deve coprire interamente: e dunque se sia previsto per il giudice della cautela l’obbligo di esaminare espressamente ciascuno degli addebiti provvisori elevati dal pubblico ministero in sede di richiesta di misura cautelare, e per ciascuno rispondere in termini di sussistenza o meno di gravi indizi di colpevolezza e di specifiche esigenze cautelari; così che l’ordinanza si possa leggere come decisione (e accoglimento o non della richiesta cautelare) su ciascuna incolpazione.
Soluzione questa – difforme da quella adottata dal giudice per le indagini preliminari di Milano - che si connette alle questioni, di decisiva rilevanza nella materia, di estensione del cosiddetto «giudicato cautelare»[3] ma anche di estensione dell’oggetto di un’eventuale riparazione per ingiusta detenzione[4].
Meno problematica, e senz’altro coerente con l’impostazione di massima garanzia per tutte le persone coinvolte nella vicenda cautelare, è la selezione, operata dal giudice per le indagini preliminari di Milano, delle fonti di prova da citare nell’ordinanza - in particolare le conversazioni e comunicazioni intercettate, in rigorosa applicazione dell’art. 291, comma 1-ter, c.p.p. - sulla base di argomentazioni che giustificano la riduzione al minimo dell’utilizzo dell’amplissimo materiale prodotto dal pubblico ministero e che si occupano anche della necessità di limitazione della comparsa nell’ordinanza cautelare di dati personali degli indagati e di terzi:
[contenuto vietato ai sensi del decreto legislativo n. 198 del 2024].
L’ordinanza, in uno sviluppo ampio e chiaro delle motivazioni, cita ripetutamente, analizzandole criticamente anche in funzione della significativa impostazione di cui qui si è dato conto (nei limiti consentiti dai divieti posti dal decreto legislativo n. 198 del 2024) le fonti di prova offerte dal pubblico ministero e compendiate, in particolare, in corpose annotazioni del R.O.N.I. dei Carabinieri di Varese.
Il commento al provvedimento giurisdizionale si deve arrestare qui, poiché qualsiasi forma di sintesi di un’ordinanza serratamente e analiticamente motivata si risolverebbe alternativamente in un tradimento dei contenuti o in una finzione che non impedirebbe la violazione dei divieti posti dal decreto legislativo n. 198 del 2024.
Tuttavia proprio la generica citazione dei principali atti di polizia giudiziaria ci introduce al tema della cesura che l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Milano segna.
Nello specifico: al massimo di garanzia per le persone espresso dal giudice in un provvedimento giurisdizionale, si associa il minimo di garanzia per le persone derivante dal prevalere della comunicazione di polizia sulla comunicazione di fonte giudiziaria.
Mentre, in termini generali, si deve osservare che, con singolare coincidenza temporale, nel momento in cui si esprime una giurisprudenza che eleva il provvedimento giurisdizionale a fonte di conoscenza dei fatti razionale, garantista, corretta, continente, interviene il divieto legislativo di conoscere quella fonte.
Il prevalere della comunicazione di polizia sulla comunicazione di fonte giudiziaria è fenomeno che si è verificato in forma specifica, e strumentale a legittime scelte degli organi di informazione, nei giorni successivi all’esecuzione dell’ordinanza cautelare di cui discutiamo; ma che è fenomeno già ampiamente presente nella comunicazione pubblica e istituzionale, e destinato a divenire strutturale, in forma di vero e proprio dominio (in via di ipotesi: espressivo di consapevoli scelte politiche) a seguito della recente modifica normativa.
3. L’approccio giornalistico alla vicenda
Nell’articolo relativo alla vicenda Equalize comparso sul Corriere della Sera il 30 ottobre 2024[5], Luigi Ferrarella fornisce un dato numerico: le informative dei Carabinieri di Varese assommano a circa quattromila pagine; la richiesta del pubblico ministero a milleduecento; l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari a cinquecento.
Chi ha esperienza di attività giurisdizionale in fase d’indagine sa che questo rapporto dimensionale si può ritenere fisiologico.
Ma nel caso di specie esso segnala anche il superamento della tecnica della “doppia riproduzione”, tale per cui le informative della polizia giudiziaria vengono (largamente) riprodotte nella richiesta del pubblico ministero che viene (largamente) riprodotta nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari[6].
Qui abbiamo invece – come si è cercato di dire nel paragrafo precedente – un provvedimento giurisdizionale caratterizzato dal massimo di garanzia per le persone e costituente fonte di conoscenza dei fatti autonoma, razionale, corretta, continente.
Gli organi di stampa, condizionati dal fascino dell’immediatezza e dell’estensione comunicativa, tendono a non apprezzare queste caratteristiche: e si sono interessati dunque, da subito, non di questo documento ma di quelli ben più ricchi che lo precedono: la richiesta del pubblico ministero, gli atti di polizia giudiziaria.
Quantunque, con criterio di trasparenza, l’Ufficio Gip-Gup del Tribunale di Milano, nel rispetto dell’art. 114, comma 2, c.p.p. (nel testo vigente sino alla modifica introdotta dal più volte citato decreto legislativo n. 198 del 2024) abbia portato a conoscenza pubblica il provvedimento giurisdizionale[7], la stampa ha ricercato a ritroso le proprie fonti informative.
Ecco quindi che la richiesta del pubblico ministero, solo limitatamente accolta e ancor più limitatamente citata dal giudice per le indagini preliminari, e le stesse informative di polizia giudiziaria, solo limitatamente utilizzate dal pubblico ministero, sono diventate la fonte privilegiata.
Si è andati a cercare i documenti in cui c’era “più roba”, in primo luogo gli atti di polizia giudiziaria, anche se non era la “roba giusta” (cioè vagliata progressivamente da due autorità giurisdizionali fino ad arrivare a un provvedimento motivato nel rispetto dell’articolo 111, sesto comma, della Costituzione).
Le citazioni di articoli e servizi così orientati sul “caso Equalize” potrebbero essere decine: fattore comune è il profluvio di nomi di soggetti (persone, aziende, enti) anche non citati nell’ordinanza del giudice, a cui vengono attribuite condotte enunciate talora solo negli atti di polizia giudiziaria ma non nel provvedimento giurisdizionale cautelare in quanto non supportate da indizi gravi ovvero in quanto non rilevanti; il tutto riproducendo e amplificando un’enfasi accusatoria[8] presente – con uno stile frequente e di per sé non direttamente censurabile - nelle informative di polizia ma assente, per coerente espressione di garanzia, nell’ordinanza del giudice.
Ma quell’approccio di massima garanzia adottato dal giudice per le indagini preliminari di Milano evapora nella rovente esigenza di servire un pasto abbondante e sapido all’opinione pubblica.
4. La comunicazione degli eventi di rilevanza penale
Quanto avvenuto nel caso Equalize costituisce solo una delle possibili forme di manifestazione di un approccio alla comunicazione – e in particolare alla prima rappresentazione - degli eventi di rilevanza penale che ha portato, nel corso di un lungo periodo, alla predominanza della “comunicazione di polizia” (in termini di contenuti e stile) nell’ambito della comunicazione pubblica e istituzionale e dell’informazione.
I messaggi quotidiani sono innumerevoli: quelli riportati nelle note che seguono ne sono un minimo esempio.
Dalla costante iconografia di auto e divise dei Carabinieri e Polizia di Stato[9] alla ritualità delle conferenze stampa[10]; dal facile copiaincolla redazionale di comunicati stampa delle polizie alla traduzione in termini di “operazione” o “blitz” a sirene spiegate degli esiti cautelari parziali di complesse attività di indagine, o, per altro verso, di normali attività di polizia[11], non v’è cittadino che non venga costantemente raggiunto da decine di repliche di quella rappresentazione.
La consultazione mediante un motore di ricerca in Rete di “operazioni polizia”, “operazioni carabinieri”, “blitz polizia”, “blitz carabinieri”, restituisce centinaia di esecuzioni di misure cautelari[12]: cioè di provvedimenti giurisdizionali motivati, frutto di un lavoro progressivo di attività di polizia giudiziaria e di autorità giudiziarie, fondati sull’applicazione di norme costituzionali, penali sostanziali e penali processuali. Poco o nulla ne rimane nel fascino dell’immediatezza propagandato e nello stile di polizia utilizzato – attraverso la pressoché costante mediazione di comunicati stampa – dagli organi di informazione.
Non si tratta di una rappresentazione semplice o ingenua, da poter guardare con distaccata ironia.
L’ordinamento costituzionale e legislativo italiano realizza un attento equilibrio del rapporto tra libertà e sicurezza; ma la comunicazione diffusa, orientata alla prevalenza dello stile di polizia, tende ad affermare che esiste efficacia sistemica solo dove esiste, nell’immediatezza, azione neutralizzatrice-eliminatrice di qualsivoglia devianza[13].
La prevalenza dello stile di polizia (l’arresto, le manette, i lampeggianti, i corpi variamente costretti) nella prima rappresentazione dei delitti – spesso decisiva nel formare le opinioni - produce, quale effetto complementare logico (atteso o deliberato, non inconsapevole) la percezione di apparati diversi da quelli di polizia come disfunzionali alla coesione e al controllo sociale.
Contestualmente vengono offerte rappresentazioni deboli o fuorvianti della realtà giurisdizionale, che hanno un punto di massima criticità nella visione del sistema sanzionatorio.
L’eccezionalità della privazione di libertà - proclamata dall’articolo 13 della Costituzione quale frutto diretto del rifiuto storico delle esperienze totalitarie, italiana ed europee - svanisce nella descrizione contrapposta di chi “mette dentro” (le polizie) garantendo l’ordine e chi “mette fuori” (i magistrati) mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini.
Storicamente i principi normativi contemporanei dei Paesi occidentali in questo campo sono frutto della scoperta illuministica del carattere “atroce” del diritto penale nell’epoca della morte come pena generale e dei supplizi come riaffermazione plateale del potere[14]. Le prime forme di reazione vengono espresse alla fine del Settecento negli intenti di mitigare le pene e di renderne legale l’applicazione. La successiva formulazione, nell’Ottocento, del principio di legalità, produce i suoi effetti di lungo periodo attraverso il già descritto rifiuto storico delle esperienze totalitarie del Novecento, nelle scelte delle Costituzioni europee contemporanee e delle Convenzioni internazionali in materia di diritti fondamentali, che affidano senza riserve e senza deroghe – se non strettamente limitate nelle forme e nei tempi – alla sola giurisdizione le decisioni di limitazione della libertà personale, che devono essere basate su tassative norme incriminatici preesistenti al comportamento destinato a produrle.
Il tentativo di alterare questo equilibrio del rapporto libertà-sicurezza, storicamente e civilmente raggiunto ma sempre esposto a pericolo, avviene in forme indirette ma penetranti anche attraverso la diffusione di informazioni non vere sul sistema sanzionatorio e sui compiti della giurisdizione.
Una forma di attacco praticata, parte da una premessa teorica che mutua quelle che fondarono il declino dei diritti fondamentali già storicamente verificatosi nel regime nazionalsocialista[15], ovvero in esperienze di apartheid e in dittature centro-sudamericane.
Essa consiste nel negare legittimazione al controllo giurisdizionale sulla privazione di diritti di libertà dei cittadini, ritenendo che i comportamenti dei soggetti appartenenti ad alcune categorie stigmatizzate non siano efficacemente contenibili con le forme articolate della giurisdizione, ma che quei soggetti possano e debbano essere privati della libertà personale o di diritti individuali in forma amministrativa, cioè di polizia; si propaganda, poi, l’efficienza di questo modello di compressione dei diritti.
E’ il caso, nelle vicende recenti del nostro ordinamento giuridico e nella correlativa attività di comunicazione-propaganda, degli stranieri, dei tossicodipendenti, dei tifosi di calcio; ma, per sua natura, ogni elenco di categorie socialmente deprivate – o piuttosto deprivabili – di diritti è solo provvisorio, e dunque “aperto”[16]; la direttiva sulle “zone rosse” di Capodanno 2025, emanata dal ministro dell’Interno e applicata da diversi prefetti, segue questa logica[17].
Correlata a questa forma di attacco è quella ulteriore che, premesse alcune erronee rappresentazioni del sistema penale, perviene a conclusioni intese a comunicare l’«inefficienza» dell’applicazione delle sanzioni mediante il processo penale, luogo della giurisdizione e delle sue garanzie, luogo di esercizio della razionalità nel tempo ad essa necessario[18].
Questo secondo livello di attacco si basa su premesse descrittive della vicenda penale non corrispondenti alla realtà del nostro ordinamento, modellata dalla Costituzione e alla quale si è pervenuti attraverso un’articolata elaborazione legislativa e una lunga evoluzione giurisprudenziale.
Si postula infatti che la reazione sanzionatoria penale sia esclusivamente quella privativa della libertà; che la pena [detentiva] sia una reazione stabile e intangibile dell’ordinamento all’accertamento della commissione di un illecito penale da parte di un soggetto; che questo accertamento, coincidente con la privazione della libertà, possa e debba utilmente intervenire esclusivamente nell’immediatezza del fatto ad opera di chi deve garantire l’ordine con la forza.
Cioè: le “forze dell’ordine” espressione atecnica e propagandistica, velenosamente usuale pur avendo un assonante antecedente storico nella Ordnungspolizei nazionalsocialista[19], deliberatamente usata in luogo di “polizia giudiziaria” espressione che invece, correttamente, rinvia a un lavoro interno al procedimento penale da parte di soggetti pubblici non esercitanti la “forza” bensì il diritto, nel quadro dell’articolo 109 della Costituzione; ovvero della onnicomprensiva, più estesa rispetto alle funzioni di polizia giudiziaria, ma sostanzialmente corretta, espressione “forze di polizia”[20].
Come si è detto, dunque, a fronte del quadro costituzionale e legislativo di equilibrio “alto” del rapporto tra libertà e sicurezza, quella comunicazione tende ad affermare che esiste efficacia sistemica solo dove esiste funzione neutralizzatrice-eliminatrice di qualsivoglia devianza; mentre un sistema giudiziario descritto come inefficiente non è in grado di “mettere in galera” gli autori di reati (o i devianti in genere), e anzi tende a “mettere fuori” tutti[21].
Correlativamente, se ragionevole e non censurabile è la richiesta di una razionale visibilità della reazione sanzionatoria, l’ulteriore deriva è verso una richiesta di “vistosità” che ci riporta a Michel Foucault[22].
L’affermazione della restrizione di libertà come normalità e valore e la proclamata inefficienza della giurisdizione, coincidono nel disegnare una percezione della risposta al delitto alternativamente congegnata come immediata, esclusivamente restrittiva e dunque ritenuta effettiva (i lampeggianti delle polizie, l’esibizione degli ammanettati, se possibile la crudeltà[23]) ovvero lungamente negoziata con esiti ineffettivi (lo spettacolo “incomprensibile” di pubblici ministeri e giudici descritti come neghittosi e deboli, di avvocati descritti come pateticamente cavillosi, sopravanzati, gli uni e gli altri, dalla rappresentazione televisiva di pseudoprocessi[24]).
5. Una collocazione sistematica del decreto legislativo n. 198 del 2024: verso il dominio della “comunicazione di polizia”?
L’attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza, avrebbe dovuto essere l’occasione per riallineare ai principi costituzionali e sovranazionali l’intera comunicazione di eventi di rilevanza penale.
In realtà la normativa attuativa più specifica, cioè il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188, negli articoli 2 e 3, si rivolge all’autorità giudiziaria, postulando una piena e concreta attuazione dell’articolo 109 della Costituzione: laddove, invece, le singole forze di polizia, ciascuna con il proprio ordinamento e i propri criteri di priorità e scelta di scopi - senza che possa dirsi esistente una organica “polizia giudiziaria” (tale non potendosi ritenere la somma delle sezioni di cui all’articolo 56, lett. b) c.p.p., né l’insieme dei servizi esterni, totalmente dipendenti dalle rispettive gerarchie, sino al livello governativo)[25] – tendono ad agire nel campo della comunicazione pubblica e istituzionale, come si è visto, a prescindere dalla dipendenza funzionale dall’autorità giudiziaria.
Il decreto legislativo n. 198 del 2024, vietando la pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali in materia di libertà personale, amplifica questa distonia, con paradossi pratici evidenti.
L’arresto o il fermo è un fatto che finisce in cronaca: l’ordinanza di mancata convalida, per difetto dei presupposti, che comunque applichi una misura ma che, motivatamente, potrebbe tutelare la dignità del cittadino arrestato o fermato, sarà inconoscibile; la richiesta di misure cautelari del pubblico ministero può essere citata: l’ordinanza del giudice che in fatto o in diritto, secondo una doverosa e fisiologica dialettica, attenui l’asserita gravità del fatto, limitando al minimo la compressione di libertà del cittadino, sarà inconoscibile; e sarà inconoscibile un’ordinanza che valorizzando le tesi difensive modifichi una misura cautelare; saranno sempre diffusi i comunicati stampa di forze di polizia che riassumono “risultati di servizio” («roboanti» o «rutilanti» come scrive Vittorio Manes) ma non più le ordinanze dei giudice per le indagini preliminari che motivatamente non confermano o riducono i risultati dei “blitz” e delle “operazioni”.
O meglio: i provvedimenti giurisdizionali verranno citati in sintesi, e la sintesi estrema sarà che il giudice ha “messo fuori” i cattivi che le polizie avevano giustamente “messo dentro”.
Con elevato grado di probabilità ci avviamo a passare dalla predominanza al dominio della comunicazione di polizia[26].
E’ ragionevole chiedersi se la scelta di privilegiare la comunicazione di eventi di rilevanza penale con uno stile di polizia, rispetto alla comunicazione di eventi di rilevanza penale fondata su atti giudiziari motivati, sia una calcolata scelta politica.
Se anche così non fosse, saremmo comunque di fronte agli esiti di una debole conoscenza diffusa del contenuto e del senso delle garanzie dei cittadini fondate sulla Costituzione: una situazione che chiama la comunità dei giuristi a un enorme impegno comunicativo.
[1] Andrea Zampini, Divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali: una scelta politica censurabile e costituzionalmente reprensibile, in questa Rivista, 13 dicembre 2024, https://www.questionegiustizia.it/articolo/divieto-pubblicazione-ordinanze
[2] Tribunale di Milano, Giudice per le indagini preliminari Filice, 4 ottobre 2024. L’ordinanza è attualmente soggetta a riesame.
[3] Elevato a elemento di diritto positivo con l’introduzione del comma 1-bis nell’art. 405 c.p.p., con legge 20 febbraio 2006, n. 96; poi dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte costituzionale n. 121 del 4 aprile 2009. In senso critico sulla norma si era espresso Michele Caianiello, voce Archiviazione (dir. proc. pen.), in Enciclopedia del Diritto, Annali II-1, 2008, pp. 67ss.; in giurisprudenza, da ultimo, sulla portata del «giudicato cautelare», Cass., V, sent. n. 12745 del 6 dicembre 2023 – 27 marzo 2024.
[4] Che deve riguardare «delitti per i quali è stata disposta la custodia cautelare, a nulla rilevando che il procedimento eventualmente prosegua in riferimento a reati ulteriori, per i quali l’interessato non sia stato assoggettato a restrizione detentiva della libertà» (Cass., IV, sent. n. 41714 del 23 ottobre – 13 novembre 2024).
[5] Luigi Ferrarella, I due 007 israeliani nella sede di Equalize: pronti allo scambio di dati. L’elenco a colori con giudizi su prefetti e magistrati, https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/24_ottobre_30/007-israeliani-sede-equalize-scambio-dati-940a7605-038f-49e3-bc42-e9aeeba88xlk.shtml
[6] Le parole «e l’autonoma valutazione» introdotte dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 nell’art. 292, comma 2, lett. c) c.p.p. non sono state idonee a eliminare del tutto questa prassi.
[7] Va anche ricordato che il 9 dicembre 2024 il Presidente del Tribunale di Milano, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, la Presidente della Camera penale di Milano e il Presidente dell’Ordine dei giornalisti di Milano, avevano firmato un articolato «Documento d’intesa in materia di informazione giudiziaria», orientato alla tutela delle esigenze dell’informazione nel puntuale rispetto «della presunzione di innocenza e della dignità dei soggetti coinvolti, nonché del giusto processo», https://tribunale-milano.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/P._17011_24.pdf
[8] «Evidente pericolo che corre la Sicurezza Nazionale»: è una premessa netta quella della maxi informativa del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Varese che ricostruisce in oltre quattromila pagine l’inchiesta sulle spie e sugli hackeraggi che sta scuotendo il mondo della politica e degli affari. Un pericolo, scrivono i Carabinieri, “per il potere eversivo delle attività criminali del gruppo denominato “Via Pattari 6” (indirizzo milanese in cui gli stessi hanno i loro uffici e la sede dei loro affari) e per il coinvolgimento di soggetti legati ad asset economici strategici per la Nazione”. Ma di mezzo, a quanto emerge, ci sarebbero anche i servizi segreti israeliani»; https://milano.repubblica.it/cronaca/2024/10/29/news/inchiesta_hacker_informativa_007_israele_pericolo_sicurezza_nazionale-423585838/; «Carmine Gallo, l'ex super poliziotto ai domiciliari nell'inchiesta sui presunti dossieraggi, "dispone di un cripto-fonino con tecnologia israeliana". Lo scrivono i Carabinieri di Varese», https://www.agi.it/cronaca/news/2024-11-02/inchiesta-dossieraggi-funzionari-palazzo-chigi-in-uffici-equalize-28555616/. L’enfasi la fa da padrone: un ex ispettore di polizia è un «superpoliziotto»; i reati comuni ipoteticamente commessi e valutati con sobria tecnicità dal giudice per le indagini preliminari sono un «pericolo che corre la Sicurezza Nazionale» (maiuscola). Ma soprattutto nomi e nomi desunti dagli atti di polizia giudiziaria: in un breve articolo online di Wired (Riccardo Piccolo, Equalize, le aziende che hanno commissionato dossier alla società al centro dell'inchiesta della Procura di Milano, 30 ottobre 2024) ne vengono citati ben ventotto, Vaticano compreso: https://www.wired.it/article/equalize-aziende-clienti-dossier-erg-barilla/
[9] Si sommano nella scelta di questa iconografia costante la prevalenza della comunicazione di polizia e la perdita di abitudine – o di possibilità, per i tempi della Rete - di giornalisti e fotografi di agire sul posto. Un incidente sospetto viene illustrato non con la situazione dei luoghi in cui si è verificato, ma con una divisa (Teleromagna, 5 luglio 2024): https://teleromagna.it/it/cronaca/2024/7/5/cremona-coppia-di-santarcangelo-morta-nel-po-ipotesi-femminicidio-suicidio. Il copiaincolla di un comunicato stampa di polizia sull’esecuzione di una misura cautelare per maltrattamenti e atti persecutori è l’occasione per esibire un’auto della Polizia di Stato (Zoom24-Dentro la Calabria, 30 dicembre 2024): https://www.zoom24.it/2024/12/30/stalking-calabria-arresto-5/
[10] Di «rutilanti conferenze stampa» e «roboanti azioni investigative di cui si diffondono le riprese» parla Vittorio Manes, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, Il Mulino, 2022, p. 33; Edmondo Bruti Liberati, Pubblico ministero. Un protagonista controverso della giustizia, Raffaello Cortina Editore, 2024, p. 87, richiama la diffusione da parte delle polizie di «filmati inviati alle televisioni sulla ‘brillante operazione’, magari con la ripresa degli arrestati in manette (più o meno celate) o, peggio, con notizie ispirate da “gli ambienti di…”».
[11] Fino a definire “blitz” la somma dei risultati di servizio dell’Arma in un intero periodo: ad esempio La Repubblica, il 4 aprile 2024: Droga, blitz dei carabinieri a Palermo: 12 arresti e sequestri per oltre un milione, https://palermo.repubblica.it/cronaca/2024/04/04/news/droga_carabinieri_palermo_12_arresti-422421769/. Gli esempi sono innumerevoli: la prevalenza dello stile di polizia opera anche “a valle” delle attività delle forze di polizia nazionali, con risultati quantomeno opinabili: il sequestro di qualche capo di abbigliamento contraffatto, ad alcuni giovani acquirenti, diventa “blitz” (Il Cittadino, 22 dicembre 2024, Blitz al mercato di Melegnano, la polizia locale sequestra a un gruppo di ragazzini vestiti “taroccati” presi dagli ambulanti. Intervento domenica mattina anche con le unità cinofile; i vigili diventano «forze dell’ordine locali») https://www.ilcittadino.it/stories/sudmilano/blitz-al-mercato-melegnano-polizia-locale-sequestra-gruppo-ragazzini-vestiti-o_135476_96/. Naturalmente la soglia dell’«operazione» si eleva se l’attività di polizia giudiziaria è appena più complessa: un reperto storico (del 2017) su un «maxi-blitz» (un ordinario arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti): Prima Como, 13 settembre 2017, Droga a Como: maxi blitz della Polizia locale, arrestato un 21enne, https://primacomo.it/cronaca/droga-como-maxi-blitz-della-polizia-locale-arrestato-un-21enne/. Anche la comunicazione istituzionale diventa “di polizia”: l’allontanamento di alcuni senza dimora che avevano trovato precario rifugio dal freddo nei locali caldaie di un palazzo di Firenze è un «blitz» per garantire la «sicurezza dei cittadini» in un comunicato del Comune del 14 novembre 2024 (https://www.comune.fi.it/comunicati-stampa/doppio-blitz-della-polizia-municipale-san-jacopino).
[12] Istruttive in questo senso sono anche le voci di Wikipedia «Operazioni di polizia contro Cosa Nostra» e «Operazioni di polizia contro la ‘ndrangheta».
[13] La prima riflessione su questi temi è contenuta in: Giuseppe Battarino, Prevenzione generale dei delitti contro la persona e immagine attuale di giustizia e sicurezza, in Rassegna italiana di criminologia, 1/2012, pp. 48 ss..
[14] Giorgio Marinucci, Emilio Dolcini, Manuale di diritto penale, Milano, 2009, III, p. 31; sul tema dello «splendore dei supplizi», ampiamente, Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975; in particolare pp. 18 ss.
[15] Giuseppe Battarino, L’attacco alla giurisdizione come elemento della politica nazionalsocialista. Una questione attuale?, in Questione Giustizia online, 4 settembre 2018, https://www.questionegiustizia.it/articolo/l-attacco-alla-giurisdizione-come-elemento-della-politica-nazionalsocialista-una-questione-contemporanea-_04-09-2018.php
[16] E’ più di una curiosità tra storia e cronaca la citazione in questa sede di una proposta risalente al 2010, quando ministro dell’Interno era Roberto Maroni e suo sottosegretario Alfredo Mantovano: è del dicembre di quell’anno l’«assaggio» da parte dell’esponente di governo dell’ipotesi di estendere il modello di compressione preventiva di diritti, a debole tutela giurisdizionale, sperimentati con i tifosi di calcio, ai partecipanti a manifestazioni di dissenso politico: https://www.corriere.it/politica/10_dicembre_18/daspo-manifestazioni-piazza-maroni-mantovano_4e59cb94-0ab1-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml; proposta sostenuta dall’Associazione nazionale dei funzionari di polizia (www.anfp.it/intervista-alladnkronos-bene-dapso-nelle-manifestazioni-ma-deve-essere-accompagnato-da-piu-tecnologia). Un richiamo alle dichiarazioni politiche si trova nell’articolo Maroni promuove la linea dura: Daspo per i violenti in piazza, Il Giornale, 19 dicembre 2010. E’ evidente che siamo qui di fronte a una linea politica criticabile ma non eversiva: ma la deriva – possibile in un contesto di morcelage dei diritti fondamentali – in direzione della eliminazione dei dissenzienti, richiama alla memoria l’idea, essa sì eversiva, di “arresto preventivo” degli “schedati” dalle Questure, corrispondente all’ordine di arrestare militanti politici, sindacalisti, intellettuali e giornalisti di sinistra che era stato dato in vista del tentato colpo di stato del 7 e 8 dicembre 1970: un piano concretamente avviato, anche con disponibilità di armi, ma non condotto a termine, di rovesciamento delle istituzioni democratiche, attribuito in primo luogo all’organizzazione di estrema destra Fronte nazionale, guidata da Junio Valerio Borghese, ma con connivenze in altre formazioni politiche di destra e apparati dello stato. Una ricostruzione ampia delle vicende del tentato colpo di Stato, basata anche su un’attenta lettura di fonti giudiziarie, in Fulvio Mazza, Il golpe Borghese. Quarto grado di giudizio, Luigi Pellegrini Editore, II, 2021.
[17] Critiche argomentate a questi provvedimenti amministrativi sono state rivolte dalla Camera penale di Milano Gian Domenico Pisapia e da Magistratura democratica, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/zone-rosse-i-soggetti-segnalati-e-le-liberta-costituzionali-di-tutti
[18] «Ogni parola – a eccezione del giudizio – dovrebbe poter essere contraddetta: in ciò risiede la saggezza irrinunciabile del processo […] Tale aspetto, decisivo per la giustizia moderna, urta talvolta contro l’ansia decisionista dell’opinione pubblica, che gradirebbe la sanzione far seguito immediato alla colpa, senza ulteriormente indugiare nei tempi imposti dal processo» (Antoine Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Milano, Cortina, 2007, p. 133; Bien juger. Essai sur le rituel judiciaire, Paris, Ed. Odile Jacob, 2001, trad. it. Daniela Bifulco).
[19] Giuseppe Battarino, L’attacco alla giurisdizione, cit.: «l’operazione di trasferimento alle competenze amministrative della privazione di libertà personale aveva trovato un successivo compimento, coerente con il Führerprinzip, nella creazione – siamo nel 1937 − di una “nuova” forza di polizia, la Ordnungspolizei, risultante dall’accorpamento delle SS alla polizia civile. Uso statuale della forza e uso di partito coincidono: Heinrich Himmler, capo della polizia e acuto conoscitore degli strumenti della propaganda, utilizza il termine «ordine» (Ordnung) per indurre un’adesione alla “forza”; del resto il fenomeno del valore propagandistico della “forza dell’ordine” è stato valutato in termini di «peso decisivo che un’immagine di forza e di efficienza esercitò nell’attrarre verso il partito nazista il consenso attivo dei ceti medi» (sul tema: William Sheridan Allen, Come si diventa nazisti. Storia di una piccola città 1930-1935, Einaudi, 2005 (titolo originale: The Nazi Seizure of Power. Experience of a single German Town 1930-35).
[20] L’inquietante richiamo storico si può completare con la lettura del proclama golpista di Junio Valerio Borghese, nella vicenda già citata alla nota 15. Nella notte del colpo di stato, radio e televisione avrebbero dovuto trasmettere un comunicato di tono ducesco, contenente anche un riferimento espressivo al discorso di Mussolini del 10 giugno 1940 sull’entrata in guerra dell’Italia («Combattenti di terra, di mare e dell’aria, camicie nere della rivoluzione e delle legioni»). Il testo del proclama golpista (riportato integralmente da Fulvio Mazza, Il golpe Borghese, cit., p. 141s.) così si esprime: «Soldati di Terra, di Mare e dell’Aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria» (dopo avere chiarito che «le Forze Armate, le Forze dell’Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono con noi» e che gli avversari della Patria «sono stati resi inoffensivi» dalle predette Forze).
[21] Non è casuale, ad esempio, che, ricorrentemente, nel linguaggio della comunicazione di polizia e nei comunicati stampa delle polizie, gli arresti domiciliari non siano una misura restrittiva della libertà del cittadino ma un "beneficio" (implicitamente: i magistrati "li mettono fuori"), https://www.ilrestodelcarlino.it/reggio-emilia/cronaca/arresti-domiciliari-visite-471ec623; https://www.brindisireport.it/cronaca/revocati-arresti-domiciliari-a-detenuto-di-Francavilla-Fontana.html. Talora la modifica in pejus di una misura cautelare, con revoca del "beneficio", viene attribuita dalle polizie a proprio intervento o richiesta e non, come in realtà, a richiesta del pubblico ministero e provvedimento del giudice: https://www.siracusaoggi.it/condannato-per-droga-allergico-ai-domiciliari-perde-il-beneficio-e-va-in-carcere/?print=pdf; https://www.informatorevigevanese.it/cronaca/2012/02/10/news/non-rispetta-i-domiciliari-i-carabinieri-lo-arrestano-532023/. Per un esempio recente (tra quelli, lo si ripete, innumerevoli) di comunicato stampa ripreso integralmente da un organo di informazione sui "risultati di servizio", che in certo modo sintetizza molte delle osservazioni svolte (Ekuo News, 28 dicembre 2024): https://www.ekuonews.it/28/12/2024/controlli-sul-territorio-operati-arresti-a-martinsicuro-giulianova-e-roseto-degli-abruzzi/.
[22] O piuttosto ci fa regredire alla condizione di «splendore dei supplizi» che Foucault dà per superata, ai giorni nostri: «la punition tendra donc à devenir la part la plus cachée du processus penal. Ce qui entraine plusieurs conséquences: elle quitte le domain de la perception quasi quotidienne, pour entrer dans celui de la conscience abstraite; son efficacité on la demande à sa fatalité, non à son intensité visible; la certitude d’etre puni, c’est cela, et non plus l’abominable théatre, qui doit détourner du crime» (op. loc. cit.)
[23] Le polemiche suscitate dalla dichiarazione di “intima gioia” di un sottosegretario alla Giustizia dell’attuale Governo (https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2024/11/15/non-lasciamo-respirare-chi-e-nel-blindato-bufera-su-delmastro_b901d0a6-0e42-4570-8e8c-1dfaa314fe27.html) non sembrano avere affrontato il tema dell’educazione/diseducazione dei cittadini ai principi costituzionali e democratici del sistema penale, e del conseguente uso politico di questa limitata conoscenza. In senso critico su quelle dichiarazioni si è espressa l’Unione delle Camere penali italiane https://www.camerepenali.it/cat/12757/liperblindato_ferox_del_sottosegretario_delmastro.html" https://www.camerepenali.it/cat/12757/liperblindato_ferox_del_sottosegretario_delmastro.html
[24] In cui gli effetti di spettacolarizzazione si combinano con un «surrogato mediatico della punizione come unica risposta contro l’impunità, autoattribuendosi i media una forma di impropria supplenza giudiziaria nell’ormai pienamente dispiegata fight against impunity» (Vittorio Manes, Giustizia mediatica, cit., p. 13).
[25] Può ritenersi consolidato, nonostante la successione di Codici di procedura penale, il non concretamente disambiguato coesistere di «rapporto di subordinazione meramente funzionale» rispetto all’autorità giudiziaria e «rapporto di dipendenza» rispetto al potere esecutivo, disegnato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del 1963. La stessa Corte, peraltro, in epoca più recente, con la sentenza n. 229 del 2018, ha risolto in senso sfavorevole al potere esecutivo il conflitto di attribuzioni provocato dalla forzatura compiuta dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, che interveniva nel rapporto polizia giudiziaria – autorità giudiziaria prevedendo che «il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale», e conseguentemente ha annullato tale disposizione.
[26] Un’analisi ulteriore, qui non sviluppabile, potrebbe riguardare l’effetto moltiplicatore che su questo fenomeno verrebbe prodotto dall’istituzione del “corpo degli accusatori” avvocati di polizia, in via costituzionale (una “separazione delle carriere”, in via ordinamentale, è stata già introdotta nella scorsa Legislatura, chiamare le cose con nomi non usurati e non rituali può servire a discuterne).