1. La conoscibilità degli atti delle indagini preliminari nel codice del 1989
L'art. 114 c.p.p. detta, per la pubblicità degli atti del procedimento penale, una disciplina fondata sulla distinzione tra l'atto e il suo contenuto.
Fin quando l'atto è segreto, come prescritto dall’art. 329 comma 1, è vietata la pubblicazione anche del suo contenuto (art. 114 comma 1). Caduto il segreto, è vietata la pubblicazione dell'atto, ma non del suo contenuto (art. 114 comma 7).
Sennonché, la distinzione tra l'atto e il suo contenuto è alquanto problematica.
Come la dottrina riconosce da tempo, il solo criterio oggettivo cui è possibile ancorarla è quello che faccia riferimento al tenore letterale dell'atto, vietando la pubblicazione, tra virgolette, del testo dell'atto, ma non la pubblicazione e la diffusione delle informazioni che se ne possono ricavare[1].
Si tratta, però, all'evidenza, di un criterio difficilmente giustificabile.
Un'interpretazione più restrittiva della norma è stata proposta da chi ritiene che essa consenta la pubblicazione delle informazioni desumibili dall'atto, ma senza riferimenti né al processo in cui esso è stato compiuto né ai testimoni, ai periti, etc., le cui dichiarazioni processuali costituiscono fonte dell'informazione[2]. V'è da temere, però, che una notizia così pubblicata possa costituire un pericolo o determinare un danno ben maggiore di quella che ne specifichi i riferimenti e la fonte. Accade sovente, in realtà, che la notizia abbia un rilievo di interesse pubblico e assuma un preciso significato solo in quanto il fatto cui si riferisce sia oggetto di un ben individuato procedimento penale[3].
Salve le eccezioni previste dall'art. 329, l'art. 114 c.p.p., così inteso, vietava, comunque, la pubblicazione, anche parziale, del testo di qualsiasi atto delle indagini sino al termine dell'udienza preliminare o, se questa non viene celebrata, sino alla chiusura delle indagini preliminari(art. 114 comma 2 c.p.p.).
2. Le riforme del 2017 e del 2019
L'art. 2 comma 1, lettera b), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, apportò significative modifiche all’art. 114 c.p.p.
Si escluse innanzitutto la riferibilità alle ordinanze cautelari del divieto di pubblicazione di cui al secondo comma.
Al testo originario dell’art. 114 comma 2 c.p.p. («è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare») fu aggiunta la deroga per le ordinanze cautelari («fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292»).
A questa estensione dell’ambito di conoscibilità delle ordinanze cautelari furono tuttavia apposti due limiti.
L'art. 3 comma 1, lettera f) dello stesso d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, aggiunse all’art. 292 c.p.p. un comma 2 quater, esigendo che delle comunicazioni e conversazioni intercettate siano riprodotti soltanto i brani essenziali, quand’anche necessarie per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi.
All’art. 114 c.p.p. fu poi aggiunto dall’art. 2 comma 1, lettera a), del d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito nella l. 28 febbraio 2020, n. 7, un comma 2 bis, che vieta comunque, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite agli atti del procedimento previa selezione di quelle rilevanti e utilizzabili. Ma tra le modalità di selezione delle intercettazioni rilevanti deve includersi anche quella prevista dall’art. 92 comma 1 bis disp. att., aggiunto dall'art. 5 comma 1, lettera c), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, esigendo che contestualmente all’adozione dell’ordinanza cautelare vadano restituiti al pubblico ministero, per la conservazione nell'apposito archivio riservato, «gli atti contenenti le comunicazioni e conversazioni intercettate ritenute dal giudice non rilevanti o inutilizzabili»[4].
Sicché le ordinanze adottate dal giudice a norma dell’art. 292 c.p.p. sulle richieste di misure cautelari del pubblico ministero sono sempre pubblicabili testualmente e per esteso, dopo che siano state eseguite a norma dell’art 293 c.p.p., perché, potendo averne solo così conoscenza l’imputato, non sono poi coperte da segreto investigativo (art. 329 comma 1 c.p.p.).
Tuttavia queste ordinanze potranno riportare solo brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate e ovviamente previa selezione da parte del giudice tra quelle trasmessegli dal pubblico ministero con la richiesta di applicazione della misura cautelare.
3. Una programmata nuova riforma
La legge 21 febbraio 2024, n. 15, legge di delegazione europea 2022 – 2023, chiede ora al Governo di «modificare l'art. 114 del codice di procedura penale prevedendo, nel rispetto dell'art. 21 della Costituzione e in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343».
Va innanzitutto ricostruito l’effettivo significato dei riferimenti costituzionali ed eurounitari di questa direttiva, visto che in definitiva si tratta solo di ripristinare il testo originario dell’art. 114 comma 2 c.p.p., abolendone la sopravvenuta eccezione al divieto di pubblicazione del testo delle ordinanze di custodia cautelare[5].
L’invocato «rispetto dell'art. 21 della Costituzione», con l’evocazione della libertà di stampa, appare in realtà un mero espediente di preventiva difesa rispetto alle prevedibili proteste dei giornalisti, finendo però per legittimarne la definizione di questa norma come «legge bavaglio».
Infatti è discutibile che attenti alla libertà di stampa il divieto di pubblicazione integrale o parziale di un’ordinanza cautelare senza precludere la diffusione e il commento del suo contenuto[6]. Ma è certamente deplorevole questo strumentale richiamo a un principio costituzionale fondamentale per la tutela dell’ordinamento democratico.
È vero che anche il considerando (19) della invocata direttiva (UE) 2016/343 fa espressamente «salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media», ma con esclusivo riferimento all’esigenza di «informare le autorità pubbliche dell'importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media», in modo che «nel fornire informazioni ai media, le autorità pubbliche non presentino gli indagati o imputati come colpevoli, fino a quando la loro colpevolezza non sia stata legalmente provata». E infatti l’art. 4 della direttiva europea precisa che la tutela della presunzione di innocenza lascia impregiudicate «le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità», quali sono appunto le ordinanze cautelari[7], come precisato dal considerando (16) della stessa direttiva europea.
Sicché la presunzione di innocenza, evocata dal richiamo all’art. 27 Cost. e alla direttiva (UE) 2016/343, peraltro già attuata con l’art. 115 bis c.p.p., non ha nulla a che vedere con il programmato «divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare»[8].
Del tutto gratuito è anche il richiamo all’art. 24 Cost., perché il diritto di difesa attiene alle garanzie del processo, non ai limiti della sua conoscibilità da parte dell’opinione pubblica[9]. Infatti il considerando (16) della stessa direttiva (UE) 2016/343, nell’escludere che sia lesiva della presunzione di innocenza la pubblicazione delle decisioni «fondate sul sospetto o su indizi di reità, quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purché non presentino l'indagato o imputato come colpevole», auspica ovviamente che, oltre a garantire la difesa, l'autorità competente, prima di assumere tali decisioni, verifichi che «vi siano sufficienti prove a carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la decisione» che vi faccia riferimento.
Si deve dunque concludere che è quantomeno ridondante il quadro dei riferimenti costituzionali ed eurounitari di questo intervento normativo francamente modesto[10].
4. Gli effetti dell’ipotizzata riforma
Com’è noto, il divieto di pubblicazione degli atti del procedimento non più coperti da segreto è inteso a garantire una «corretta formazione del convincimento giudiziale»[11]. Infatti il principio di separazione delle fasi esige che al giudice del dibattimento sia di regola interdetta la preventiva conoscenza degli atti delle indagini preliminari. Ma è evidente che la distinzione tra l’atto e il suo contenuto è inadeguata allo scopo, perché, «oltre che difficilmente attuabile sul piano pratico, da simile distinzione scaturiscono non di rado distorsioni nocive sia sul piano del diritto all’informazione sul processo che su quello di tutela di imparzialità del giudice dibattimentale»[12].
Questa inadeguatezza risulta vieppiù grave per il divieto di pubblicazione integrale delle ordinanze cautelari, perché l’art. 432 c.p.p. prevede la trasmissione al giudice del dibattimento dei provvedimenti che abbiano disposto misure cautelari in corso di esecuzione, mentre l’art. 279 c.p.p. attribuisce allo stesso giudice del dibattimento la competenza a provvedere anche «sulla revoca delle misure nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive»[13]. Sicché il giudice del dibattimento viene a conoscenza del testo integrale delle ordinanze cautelari anche se non pubblicato su quotidiani o settimanali.
Si è correttamente rilevato che il legislatore delegante propone il «divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare», mentre nel vigente testo dell’art. 114 c.p.p. il divieto è riferito alla «pubblicazione, anche parziale, degli atti», oltre che a quella integrale[14].
Non è chiaro se questo arricchimento terminologico sia solo casuale o risponda a un imperscrutabile disegno. Conviene comunque segnalare che in ambito processuale la comunicazione o notificazione “per estratto” di un provvedimento o di un verbale è prevista per portare a conoscenza dei destinatari gli elementi essenziali di un testo in funzione dell’esercizio di specifici diritti; e dall’art. 171 c.p.p. si desume che l’estratto è appunto una riproduzione parziale (incompleta) del testo comunicato, mentre nell’art. 536 c.p.p. la pubblicazione per estratto è prevista come alternativa alla pubblicazione “per intero” della sentenza di condanna. Non pare dunque che siano prospettabili distinzioni tra “pubblicazione parziale” e “pubblicazione per estratto”.
D’altro canto non si comprende perché il divieto di pubblicazione debba riguardare solo le ordinanze di custodia cautelare e non le altre ordinanze cautelari, come ad esempio quelle applicative di una misura interdittiva, la cui motivazione può risultare di ben maggiore pregiudizio per l’onorabilità del destinatario.
Infine ciò che può risultare davvero lesivo dell’immagine dell’accusato è la notizia della misura cautelare custodiale, la cui divulgazione non è vietata. Mentre il fatto che se ne possa parlare solo per perifrasi, senza riportare l’effettivo testo del provvedimento, finisce per rimuovere l’unico effettivo limite all’eventuale verve interpretativa del giornalista[15].
Quando viene usata come arma ideologica, il garantismo finisce sempre per ritorcersi contro le persone che presume di garantire.
La propaganda non risolve i problemi, li complica.
[1] CHIAVARIO, La Riforma del processo penale, UTET, 1990, p. 240; GIOSTRA, Processo penale e informazione, Giuffrè, 1989, p. 350; UBERTIS, Articoli 109-116, in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da E.AMODIO e O. DOMINIONI, Giuffrè, II, 1989, p. 27; Cass., sez. I, 11 luglio 1994, Leonelli, m. 199918, commentata da R. ADORNO, Sulla pubblicazione del contenuto di atti di indagine coperti dal segreto, in, Cass. Pen., 1995, p. 2164, e M. CERASE, In tema di divieto di pubblicazione di atti processuali, in, Cass. Pen., 1996, p. 1179.
[2] F. CORDERO, Codice di procedura penale commentato, UTET, 1990, p. 138.
[3] A. NAPPI, Nuova guida al codice di procedura penale, §26.3, www.guidanappi.it
[4] A. NAPPI, op. cit, § 37.11.3.
[5] C. GABRIELLI, È la stampa, bellezza. Note critiche al cd. “emendamento Costa”, in www.questionegiustizia.it, 29 febbraio 2024, che peraltro ritiene fosse superflua l’eccezione inserita nel 2017 per le ordinanze cautelari, perché «da sempre, infatti, il provvedimento che dispone una misura cautelare è liberamente pubblicabile perché – non trattandosi né di un atto del p.m. o della p.g. né di un atto di indagine – risulta estraneo all’elenco necessariamente tassativo degli atti segreti contemplato dal/1-dell’art. 114». Ma in giurisprudenza si è al contrario ritenuto che «la notifica all'imputato dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere fa venir meno l'obbligo del segreto intraprocessuale, ma non esclude il divieto di pubblicazione» (Cass., sez. V, 3 ottobre 2002, Abate , m. 224273).
[6] Contra C. GABRIELLI, op. cit., che vi vede «una vistosa violazione» dell’art. 21 Cost.
[11] GIOSTRA, op. cit., p. 331 e s.
[12] ILLUMINATI, Divieto di pubblicazione e formazione del convincimento giudiziale, in AA. VV., Processo penale e informazione, Università di Macerata, 2001, p. 52.
[13] Cass., sez. VI, 22 giugno 2001, Bonaffini , m. 221207, ha perciò dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 432 cod. proc. pen. nella parte in cui prevede l'allegazione al fascicolo del dibattimento del provvedimento che abbia disposto la misura cautelare.