Sono 20.000, secondo un recente rapporto dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati, le donne ad aver chiesto l’asilo nell’Unione europea per timore di subire delle mutilazioni genitali nel loro paese d’origine. La Francia e l’Italia sono i paesi che esaminano il numero più elevato di domande di donne provenienti da paesi dove tali mutilazioni sono praticate.
È forse anche per questa circostanza statistica che i giudici francesi e italiani si sono recentemente interessati alla questione della protezione delle donne a rischio mutilazioni genitali in applicazione delle norme sull’asilo.
Due decisioni dei giudici di merito italiani (Corte d’appello Catania, 27 novembre 2012 e Tribunale Cagliari, ordinanza 12-08192) e la posizione espressa dal Conseil d’Etat in due importanti sentenze del dicembre scorso (Conseil d’Etat, Assemblée, 21 dicembre 2012, Mme Fofana n. 332491 e n. 332492) sembrano delineare un’evoluzione comune, in favore della possibilità di riconoscere la qualità di rifugiate alle minori che rischiano di subire delle mutilazioni genitali in caso di ritorno al Paese d'origine. Il Conseil d'État ha anche precisato a quali condizioni la protezione potrà essere estesa alla madre che rifiuta di sottoporre sua figlia alla mutilazione.
In Francia, l'esame delle domande d'asilo è riservato a un'amministrazione competente per l'intero territorio nazionale, l'Office français de protection des réfugiés et apatrides (OFPRA). Le decisioni prese dall’OFPRA sono degli atti amministrativi, contro i quali può essere presentato ricorso davanti a una giurisdizione amministrativa specializzata, la Cour nationale du droit d'asile (CNDA). Quest'ultima prende delle decisioni giurisdizionali contro le quali non è possibile sollevare appello. La sola contestazione possibile è il ricorso in cassazione, che deve essere portato davanti al Conseil d'Etat. Per quanto riguarda le regole in materia d'asilo, il quadro giuridico è molto vicino a quello italiano e si compone principalmente di disposizioni di livello costituzionale, della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e del diritto dell'Unione europea, contenuto in diversi regolamenti e direttive.
Nelle due decisioni citate, il Conseil d'État ha applicato l'articolo 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, che al paragrafo A, 2) prevede che è considerato rifugiato chiunque
" […] nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato […]".
Ed è in particolare la nozione di gruppo sociale che interessa il Conseil d'Etat. Delle precisazioni relative alla definizione di un gruppo sociale sono contenute nella direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, che all'articolo 10, §1, d) afferma che
"si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:
- i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e
- tale gruppo possiede un'identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante".
Il Conseil d'État doveva contrastare una giurisprudenza costante della CNDA, che escludeva la possibilità di far rientrare le donne a rischio mutilazioni nella nozione di gruppo sociale (per le decisioni più recenti, posteriori a quelle sottoposte al Conseil d’Etat nelle sentenze commentate, v. Recueil annuel de jurisprudence 2011, p. 77).
La soluzione di principio adottata dal Conseil d’Etat nelle sentenze del 21 dicembre 2012 costituisce sicuramente un importante progresso nella protezione delle donne, in particolari minori, a rischio mutilazioni genitali femminili (I). Allo stesso tempo, però, il Conseil d’Etat ha precisato i limiti a questa protezione, che riguardano in particolare la madre della minore (II).
- I. L'appartenenza a un gruppo sociale di minori esposte al rischio di mutilazioni genitali
- Le mutilazioni genitali femminili, una persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra
L’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è stata portata, a più riprese, sulla pratica delle mutilazioni genitali femminili e sulle conseguenze drammatiche di queste pratiche dal punto di vista fisico, psicologico e sociale. La qualificazione di queste pratiche come persecuzioni ai sensi della Convenzione di Ginevra è stata fortemente incoraggiata dall’Alto commissariato ai rifugiati dell’ONU, che ha pubblicato delle linee guida sulle domande d’asilo relative alle mutilazioni genitali femminili (UN High Commissioner for Refugees, Note d'orientation sur les demandes d'asile relatives aux mutilations genitales feminines, May 2009, available at: http://www.refworld.org/docid/4d70cff82.html)nel maggio 2009. L’Alto commissariato considera che le mutilazioni genitali femminili sono “una forma di violenza fondata sul genere che causa dei danni rilevanti, allo stesso tempo mentali e fisici, che equivalgono a una persecuzione” (p. 6). Inoltre, l’Alto commissariato ha aggiunto che “le mutilazioni genitali femminili possono anche essere considerate come una forma specifica di persecuzione del minore, dal momento che queste pratiche riguardano in proporzione largamente maggioritaria le giovani donne” (p. 8).
L’analisi dell’Alto commissariato è confortata da alcune decisioni delle giurisdizioni nazionali in materia d’asilo, che hanno riconosciuto alle mutilazioni genitali femminili il carattere di persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra. Tra questi è possibile citare gli Stati Uniti (United States Board of Immigration Appeals, 13 giugno 1996, In re Fauziya Kasinga, 3278, aff. A73 476 695), il Canada (Farah v. Canada, 1994), il Regno Unito (House of Lords, 18 ottobre 2006, [2006] UKHL 46, Fornah v. Secretary of State for the Home Department), la Spagna (Tribunal Supremo – contencioso-administrativo, 11 maggio 2009, n. 3155/2006), il Belgio (Conseil du contentieux des étrangers, 25 juillet 2007, n. 979) e la Germania (23 marzo 2005, Hess. VGH, 3 UE 3457/04.A).
La Corte europea dei diritti dell’uomo è giunta a una conclusione analoga, qualificando le mutilazioni genitali femminili come trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione (CEDU, 8 marzo 2007, aff. 23944/05, Collins et Akazebie c/Suède; CEDU, 17 maggio 2011, aff. n° 43408/08, Izevbekhai c/ Irlande; CEDU, 20 settembre 2011, aff. n° 8969/10, Omoredo c/ Autriche).
In diritto francese, inoltre, come nella maggior parte degli Stati aderenti alla Convenzione, queste pratiche costituiscono dei reati. L’articolo 222-9 del codice penale le sanziona penalmente in quanto “violenze che hanno causato una mutilazione”, con pene fino a 15 anni se la vittima è minore di 15 anni e fino a 20 anni se la mutilazione è praticata da un ascendente o da un’altra persona che ha autorità su di essa Inoltre, il code pénal pone un obbligo, in particolare per i medici, di segnalare mutilazioni riscontrate sui minori (art. 434-3).
Il riconoscimento dello status di rifugiato in quest’ipotesi è anche una conferma dell’applicabilità della Convenzione di Ginevra per degli atti persecutori che non provengono dalle autorità statuali, ma che lo Stato non è in grado di prevenire ed evitare. Questa soluzione risulta dalla lettura della Convenzione stessa, che si riferisce alle persecuzioni nel loro insieme, senza operare distinzione alcuna in funzione dell’identità e del ruolo dei persecutori. In diritto francese, inoltre, la legge n. 2003-1176 del 10 dicembre 2003 ha introdotto una disposizione specifica per prevedere che siano prese in considerazione, per il riconoscimento dello status di rifugiato, le persecuzioni messe in atto da agenti non statuali nel caso in cui le autorità rifiutino e non siano in grado di offrire una protezione (art. L. 713-2 del code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile).
- Il rischio di essere sottoposte a mutilazioni genitali, costitutivo dell’appartenenza a un gruppo sociale ai sensi della Convenzione di Ginevra
La CNDA aveva sempre rifiutato di considerare che una minore a rischio mutilazioni potesse essere esposta a delle persecuzioni in caso di ritorno al paese di cui ha la nazionalità. In particolare, la Cour considerava che una minore non potrebbe, a causa della sua età, manifestare la sua contrarietà a tale pratica e che, quindi, non apparterrebbe a un gruppo sociale ai sensi della Convenzione di Ginevra e non potrebbe richiedere, a questo titolo, lo status di rifugiata.
Il Conseil d’Etat aveva già avuto occasione di precisare la sua concezione della nozione di gruppo sociale nella sentenza n. 349824 del 27 luglio 2012, M. Mbwene, a proposito dell’appartenenza a un gruppo sociale in funzione dell’orientamento sessuale. In quest’occasione, era stato tenuto conto di due elementi: l’esistenza di caratteristiche oggettive, comuni ad un insieme di persone, e la percezione sociale dell’esistenza di un gruppo di persone accomunate da queste caratteristiche. Il Conseil d’Etat aveva considerato che:
“Un gruppo sociale, ai sensi delle stipulazioni del paragrafo A, 2) dell'articolo 1 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del protocollo firmato a New York il 31 gennaio 1967, nonché delle disposizioni della direttiva n° 2004/83 CE del Consiglio del 29 aprile 2004, è costituito de persone che condividono un carattere innato, una storia comune o una caratteristica propria alla loro identità e alla loro coscienza, alle quali può essere chiesto di rinunciare, o di un'identità propria percepita come diversa nell'ambito sociale o da parte delle istituzioni.”
Il Conseil d'État, nella sentenza n. 334391 del 21 dicembre 2012, ha ripreso questa definizione e aggiunto un elemento a quest’analisi, per dimostrare che le minori a rischio mutilazioni possono appartenere a un gruppo sociale:
“L'appartenenza a un tale gruppo è un fatto sociale oggettivo, che non dipende dal fatto che i suoi componenti, o, se essi non sono in grado di farlo, le persone vicine a questi ultimi, la rendano esplicita.”
Per fornire l'interpretazione più fedele della Convenzione di Ginevra, il Conseil d'État ha quindi riaffermato che l'atto di persecuzione non deve essere inteso come la minaccia percepita dai potenziali perseguitati, ma come la volontà di perseguitare un insieme di persone, che costituiscono un gruppo omogeneo agli occhi dei persecutori.
Lo sterminio perpetrato dalla Germania nazista durante la seconda guerra mondiale costituisce sicuramente uno dei principali riferimenti nell’elaborazione della Convenzione e permette di interpretarla in tal senso: quando la Convenzione è stata scritta, era molto forte la necessità di proteggere degli individui e dei gruppi che non avevano coscienza né rivendicavano l'appartenenza a una determinata etnia, religione o gruppo sociale, ma che, agli occhi dei persecutori, ne facevano parte e dovevano essere, per questo motivo, perseguitati.
Quest'affermazione di principio è quindi applicata alla fattispecie precisa delle minori a rischio mutilazione in caso di ritorno al paese d'origine:
"In una popolazione nella quale le mutilazioni genitali femminili sono correntemente praticate, al punto da costituire una norma sociale, le bambine e le adolescenti non mutilate costituiscono, per questo stesso fatto, un gruppo sociale".
È quindi abbandonata la posizione della CNDA, che fondava l'appartenenza al gruppo sociale sulla possibilità di rivendicare l’appartenenza al gruppo stesso. La sua concezione del gruppo sociale è quindi censurata tanto sul piano della definizione che su quello del legame tra l'individuo e il gruppo, che è un dato oggettivo e non dipende della volontà del singolo di farne parte – in questo caso, rifiutando la mutilazione.
- La protezione dei minori nati al di fuori del paese d’origine
Si può nascere rifugiati? Nell’immaginario collettivo, e nel contesto storico in cui la Convenzione è nata, il rifugiato è un oppositore politico o un perseguitato che ha dovuto allontanarsi dal suo Paese per sfuggire alle persecuzioni perpetrate da un regime o da un governo non rispettoso dei diritti umani (X. Domino, A. Bretonneau, Peut-on naître réfugié ?, in Actualité juridique – Droit administratif, 2013, 465). Il Conseil d’Etat si è quindi confrontato alla difficoltà di riconoscere lo status di rifugiato a delle minori, nate al di fuori dello Stato di cui hanno la cittadinanza, da genitori residenti regolarmente in Francia per motivi diversi dall’asilo.
Per la legislazione francese, i figli di stranieri nati in Francia non sono francesi, a meno che uno dei due genitori abbia la cittadinanza francese o sia nato sul territorio francese (articoli 17 ss. del code civil). Alla maggiore età, l’acquisizione della cittadinanza è sottoposta alla condizione di residenza continua in Francia per almeno cinque anni a partire dell’età di undici anni, salva l’ipotesi di genitori sconosciuti o apolidi. Fino alla maggiore età, quindi, i minori hanno in principio la cittadinanza dei loro genitori.
A ben vedere, però, nella Convenzione di Ginevra nulla si oppone al riconoscimento dello status di rifugiato a delle persone che non hanno mai vissuto nello Stato di cui hanno la cittadinanza. Al contrario, il principio di non respingimento si oppone al rimpatrio verso uno Stato in cui delle persecuzioni potrebbero essere possibili. Ed è proprio a proposito delle minori a rischio mutilazioni genitali che l’Alto comitato dei rifugiati aveva fatto riferimento per incitare gli Stati firmatari ad accettare delle domande di protezione provenienti da persone già residenti da molto tempo nello Stato cui chiedono protezione. Il riconoscimento dello status di rifugiato viene quindi implicitamente considerato come lo strumento più efficace per il riconoscimento di tale protezione.
- II. Le condizioni della protezione legata al rischio di mutilazioni genitali femminili
- Le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiata di una minore
Dopo aver affermato il principio secondo il quale il rischio di subire delle mutilazioni genitali può giustificare il riconoscimento dello status di rifugiata, il Conseil d'État ricorda però che la persona che lo sollecita deve sottoporre all'OFPRA gli elementi di natura familiare, geografica e sociologica relativi al rischio di essere sottoposta a tale mutilazione.
L’appartenenza al gruppo sociale, infatti, non permette di beneficiare automaticamente dello status di rifugiato. Come per gli altri criteri previsti all’articolo 2 della Convenzione, il richiedente asilo deve dimostrare i motivi per cui l’appartenenza al gruppo sociale potrebbe esporlo a delle persecuzioni. Quest’approccio del Conseil d’Etat è stato salutato positivamente dai commentatori, che hanno considerato che, in questo modo, l’OFPRA e la CNDA saranno meno reticenti a ricorrere al criterio del gruppo sociale, che prima veniva poco utilizzato nel timore di automatismi per tutti i richiedenti asilo provenienti da una determinata regione o una determinata etnia (cfr. C. Brice-Delajoux, Le Conseil d’Etat, le droit d’asile et l’excision : entre satisfaction et inquiétude, in La Semaine Juridique Edition Générale, 2012, n. 13, 357). Allo stesso tempo, la dimostrazione del rischio di persecuzioni può rivelarsi complessa quando la minore non ha mai vissuto nel territorio in cui le persecuzioni potrebbero essere messe in atto e risulterebbe, in tal caso, della semplice appartenenza a un gruppo o etnia.
Inoltre, il Conseil d'État non esclude che la protezione possa essere rifiutata nel caso in cui essa possa essere garantita in un'altra regione dello Stato del quale la richiedente asilo ha la cittadinanza. Quest’ipotesi, prevista dalla legislazione in materia d’asilo conformemente all’articolo 8 della direttiva del 2004 e approvata dal Conseil constitutionnel, può concretamente presentarsi in materia di mutilazioni genitali, per le quali le usanze possono variare in maniera consistente di regione in regione (si veda Cons. const. 4 dicembre 2003, n. 2003-485 DC: il Conseil constitutionnel ha considerato conforme alla Costituzione questa possibilità, a condizione che l’interessato possa, in condizioni di totale sicurezza, accedere a una parte sostanziale del territorio del suo paese d’origine, stabilirvisi e condurvi un’esistenza normale.)
- Le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato di un ascendente
La posizione del Conseil d’Etat è invece molto meno protettrice per gli ascendenti, e in particolare per la madre, di una minore esposta al rischio di mutilazioni genitali.
Nella decisione n. 332492 del 21 dicembre 2012, il Conseil d'État ha affermato che:
"L'opposizione di un richiedente asilo alle mutilazioni genitali alle quali sarebbe esposta sua figlia in caso di ritorno al paese d'origine non può giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato in nome dell'appartenenza a un gruppo sociale, tranne nell'ipotesi in cui sia dimostrato che, a causa di tale opposizione, l'interessato può essere personalmente esposto a delle persecuzioni ai sensi dell'articolo 1, §A, 2) della convenzione di Ginevra".
Su questo punto, il Conseil d’Etat ha un approccio simile a quello della CNDA, che si è espressa ancora recentemente nei termini seguenti (CNDA, 29 luglio 2011, Mme S. épouse S., n. 11007300):
"Nei paesi dove la pratica delle mutilazioni genitali è fortemente diffusa, le persone che hanno manifestato la loro opposizione a queste pratiche per loro stesse, o rifiutato di sottoporvi le loro figlie minori, hanno trasgredito delle norme consuetudinarie del loro paese d'origine e sono esposte, per questo motivo, a delle violenze e al rischio che le loro figlie minori siano mutilate contro la loro volontà; è possibile quindi considerare come fondato il loro timore di essere fatte oggetto di persecuzioni a causa della loro appartenenza a un gruppo sociali ai sensi delle stipulazioni dell'articolo 1, §A, 2) della Convenzione di Ginevra, quando non possono essere protette dalle autorità del loro paese ; ciononostante, i genitori di bambine nate in Francia, dove le mutilazioni genitali costituiscono un'infrazione penale, non possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale per il solo motivo che non hanno proceduto alla mutilazione delle loro figlie; se Mme S. non ha proceduto a fare mutilare sua figlia nata in Francia, non ha per questo solo motivo trasgredito alle regole consuetudinarie del suo paese e non può essere considerata come appartenente a un gruppo sociale per il fatto di non aver sottoposto sua figlia a mutilazione".
In questo modo, il Conseil d’Etat ha assunto una posizione particolarmente restrittiva per quanto riguarda la madre di una minore a rischio, anche rispetto alle decisioni adottate dai giudici italiani. Si tratta di un’asimmetria rispetto alla situazione del congiunto o dei figli di un rifugiato, rispetto ai quali il diritto a condurre una normale vita di famiglia (droit à mener une vie familiale normale) implica il riconoscimento automatico dello status di rifugiato, Nella sentenza Mme Agyeong (CE, Ass., 2 déc. 1994, Mme Agyepong, n. 112842, Lebon 523), il Conseil d’Etat aveva stabilito che:
“al fine di assicurare pienamente al rifugiato la protezione prevista dalla Convenzione, i principi generali del diritto applicabile ai rifugiati impongono che la stessa qualità sia riconosciuta alla persona della stessa cittadinanza unita in matrimonio a un rifugiato alla data alla quale quest’ultimo ha presentato la domanda, nonché ai figli minori del rifugiato”.
I destini della minore e della madre sono quindi separati, anche se il principio dell’unità della famiglia e l’interesse superiore del minore, che deve essere una considerazione preminente in tutte le decisioni delle istituzioni di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative (articolo 3-1 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre 1989), avrebbero potuto condurre alla soluzione opposta (F. Julien-Laferriere, Méconnaissance de l’intérêt de l’enfant et d’unité de la famille, in Actualité juridique – Droit administratif, 2013, 476).
In risposta a questa posizione del Conseil d’Etat, il ministre de l’intérieur ha adottato una circolare con la quale ha invitato i prefetti a dare ai genitori delle minori rifugiate un titolo di soggiorno “vita privata e familiare”. Su questo punto potrebbero intervenire le norme di recepimento della direttiva n. 2011/95/UE del 13 dicembre 2011 che allarga la definizione di famiglia di cui deve essere salvaguardata l’unità (art. 2j), in particolare, al padre, la madre o altro adulto che sia responsabile, in base alla normativa o alla prassi dello Stato membro interessato, del beneficiario di protezione internazionale, nei casi in cui tale beneficiario è minore e non coniugato.