Dal 2005 al 2013 si sono susseguite n. 17 modifiche del codice di procedura civile ed il costo per l’accesso alla giustizia è lievitato enormemente.
Il contributo unificato da pagare per iscrivere a ruolo una causa civile di primo grado è aumentato del 55,62% (riguardando anche settori che ne erano, fino ad allora, esentati) del 119,15% per le cause d’appello e del 182,67% per i giudizi di cassazione e le cose non vanno meglio per altre branche del diritto, come l’amministrativo.
Da ultimo è stato più che triplicato l’importo da pagare con la marca per l’iscrizione a ruolo delle cause civili.
Sono stati introdotti filtri alla proponibilità della domanda in primo grado ed in appello e si è ristretto il novero dei motivi di ricorso per cassazione.
La normativa si è convulsamente susseguita con inevitabili ripercussioni sulla certezza del diritto, ma il filo rosso è sempre quello: ostacolare in ogni modo l’accesso della domanda di giustizia alle aule giudiziarie nel dichiarato intento di “efficientare” il servizio giustizia sfoltendo il numero dei procedimenti e riducendo così i tempi per la definizione di quelli pendenti.
Si è anche pensato al reclutamento straordinario di giudici onorari chiamati a “smaltire l’arretrato”, ripercorrendo una strada pochi anni fa intrapresa con risultati quanto meno discutibili.
Si è detto e si continua a dire che la domanda di giustizia è eccessiva e la struttura non è in grado di evaderla in tempi accettabili e ciò comporta oltre alla proliferazione di richieste risarcitorie e sanzionatorie nei confronti dello Stato Italiano, la poca appetibilità dello stesso agli occhi degli investitori stranieri.
Si è quindi pensato da parte dello scorso governo di introdurre, tramite decretazione d’urgenza, norme mirate a conferire maggior attrattiva al Sistema Italia (c.d. D.L.”Destinazione Italia”) e ad approntare un ennesimo disegno di legge che, fra le altre cose, mirava ad accelerare la definizione del contenzioso tramite la cd. “motivazione a richiesta ed a pagamento” e a disincentivare ulteriormente la domanda con la previsione della condanna dell’avvocato, in solido col proprio assistito soccombente, per l’ipotesi di lite temeraria.
Nel rimandare a quanto da vari autori già scritto su queste ultime innovazioni proposte, preme in questa sede operare alcune considerazioni che, ad avviso dello scrivente, paiono dirimenti.
Ovvero occorre verificare se la congerie normativa sopra riassunta abbia sortito gli effetti sperati e quindi se l’Italia sia oggi un paese dove la giustizia civile è rapida ed efficace e se quindi siano state rimosse le cause che la rendono poco appetibile agli investitori stranieri.
La risposta negativa alle domande di cui sopra è purtroppo sotto gli occhi di tutti, da ultimo confermata dal recente Rapporto della Commissione Europea che ha certificato una situazione negli ultimi anni (2012) peggiorata.
L’unico vantaggio che lo Stato Italiano ha conseguito è consistito nell’aumento del gettito, che, purtroppo, solo in minima parte è stato re-impiegato per migliorare il comparto giustizia.
Fino ad oggi non sono state minimamente intaccate alcune delle principali cause del proliferare del contenzioso, quali l’inefficienza della Pubblica Amministrazione e l’incertezza del diritto (che è anzi aumentata).
I pochi tentativi di mettere mano alla riorganizzazione del servizio (quali l’embrionale previsione di strutture di supporto al giudice) sono state condizionate pesantemente dalla carenza di risorse e dall’esigenza di operare sempre “senza aggravi per le casse dello Stato”, mentre le innovazioni proposte per rendere maggiormente efficiente il comparto delle esecuzioni civili sono state sin qui connotate da eccessiva timidezza.
BASTA, FERMATEVI !
Invocammo inascoltati qualche anno addietro.
Con ciò non volevamo certo dire che “tutto va bene, madama la marchesa”, bensì segnalare che era sbagliato ed infruttuoso il metodo adottato di legiferare per spot a distanza ravvicinata, col risultato di destabilizzare del tutto un settore invece necessitante di riforme strutturali (organizzative, prima ancora di normative).
Solo attuando investimenti mirati a ri-organizzare il servizio giustizia in modo da adeguarlo alle sfide, anche tecnologiche, attuali, potranno trovare piena attuazione eventuali riforme procedurali; queste ultime inoltre dovranno essere pensate e realizzate in maniera ponderata ed uniforme e soprattutto sinergica allo sviluppo delle tecnologie.
L’oramai prossima entrata a regime del processo telematico è una sfida di modernità e non deve essere vista solo come un modo per risparmiare sul numero degli operatori amministrativi (i concorsi sono già da anni bloccati e l’età media dei cancellieri è ben oltre i cinquant’anni).
Occorre un deciso cambio di verso, che ci conduca dalla fase pioneristica ad una fase gestita dagli uffici centrali che (partendo dalle preziose esperienze locali) accetti la sfida, coordini e supporti l’introduzione di un vero e proprio nuovo modo di lavorare.
Ma la sfida non può essere raccolta a costo zero: occorrono investimenti in strutture (reti, cablaggi, assistenza tecnica) e personale (ri-qualificazione dell’esistente ed introduzione di forze fresche) affinché questa non si tramuti nell’ennesima occasione persa, o peggio…
Occorre che gli avvocati vengano adeguatamente supportati dalla propria rappresentanza istituzionale, che deve adoperarsi affinché tutti gli avvocati italiani siano messi in condizione di operare coi nuovi mezzi tecnologici.
L’introduzione delle nuove tecnologie dovrà accompagnarsi sia ad un ripensamento delle mansioni del giudice (supportato da professionalità adeguatamente retribuite) che ad un ripensamento delle regole procedurali, pervenendo finalmente alla codificazione del rito unico di cognizione ed a ricondurre tutte la congerie di norme sin qui regolanti le formalità telematiche nel processo in poche e certe regole codificate.
La capillare diffusione e la generalizzata accessibilità dei dati che potrebbe (con l’ovvia tutela della riservatezza) derivare dalla creazione di un’anagrafe unica nazionale potrebbe costituire un formidabile strumento di ausilio negli affari commerciali e, conseguentemente, anche uno strumento di prevenzione del contenzioso.
La gestione telematica dei fascicoli consentirà di dislocare risorse umane in settori sino ad oggi carenti (una su tutte: la verbalizzazione delle udienze).
Non si tratterebbe di lavorare meno, ma di lavorare meglio.
Una migliore gestione del fascicolo di causa consentirebbe al giudice una più agevole comprensione e direzione della stessa in tutto il suo dipanarsi e non (come spesso oggi accade) alla coagulazione di tutte le questioni nel collo di bottiglia della decisione finale (magari, come da taluno propugnato, da appaltare ad altri soggetti).
Infine, ma non da ultimo, i palazzi di giustizia dovrebbero essere destinati al contenzioso e liberati da tutta una serie di mansioni para-amministrative (volontaria giurisdizione) e da taluni procedimenti a contenzioso solo eventuale, che ben potrebbero essere gestiti dall’avvocatura per il tramite delle proprie istituzioni locali.
Salutiamo pertanto con aspettativa e fiducia il nuovo corso inaugurato dal ministro Orlando, che ha più volte ribadito di ritenere l’aspetto organizzativo preminente ed auspichiamo vivamente che sia questa la strada che la politica intenda oggi percorrere, abbandonando le scorciatoie che in passato ci hanno portato in un vicolo cieco.