Una parte di me capiva che un tempo doveva essere successo qualcosa di atroce.
È questo il clima in cui cresce Nora Krug giovane donna di Karlsruhe in Germania. La famiglia non le scioglie questo grumo oscuro in fondo al cuore durante l’infanzia. Ci pensa poi la scuola raccontandole gli orrori della Seconda Guerra mondiale e le responsabilità della Germania con filmati sui campi di concentramento. Ma ancora la conoscenza è intrisa di mistero greve: “Avevo capito che i capi di concentramento erano luoghi sinistri …ma avevo troppa paura di fare domande, intuivo che gli adulti discutevano sottovoce”.
Nora Krug in età ormai adulta si sposta a vivere a New York-Brooklyn per motivi di studio e qui, in contatto con persone non tedesche, avverte forte in sé il bisogno di sapere di se stessa e cioè se i suoi nonni e parenti si siano macchiati di colpe sotto il Nazismo. Per lei il peccato originario (detto in tedesco significativamente peccato ereditato) è un marchio che si tramanda di generazione in generazione: da qui il bisogno di sapere dei propri parenti.
A questo percorso di ricerca è dedicato questo bel libro, strutturato come una graphic novel, in cui le immagini e le foto restituiscono poeticità e concretezza di comunicazione.
Si intitola “Heimat” che significa patria cioè lo spirito, le radici, l’identità di un popolo, il senso di famiglia; la scelta del titolo è dettata dal fatto che Nora Krug sente che solo conoscendo il proprio passato famigliare potrà riavvicinarsi alle proprie radici tedesche. “Forse l’unico modo di trovare la Heimat che ho perso è voltarmi indietro; superare la vergogna astratta e fare le domande veramente difficili: sulla mia città natale, sulle famiglie di mio padre e di mia madre. Tornare nelle città dove loro due sono nati. Riandare alla mia infanzia, risalire all’inizio, seguire le briciole di pane [di Pollicino] e sperare che conducano a casa”.
È un sentimento comune nei giovani tedeschi, figli di genitori nati dopo la Guerra, all’oscuro delle responsabilità dei propri padri perché questi ultimi non hanno raccontato loro nulla di quanto successo. È un sentimento doloroso e oscuro che questo libro ben descrive.
La prima scoperta familiare che fa Krug è quella di uno zio, fratello del padre, morto diciottenne in guerra in Italia: durante una vacanza fatta con la famiglia, il padre di Nora la conduce in un cimitero ove è seppellito suo fratello e ritrova la sua tomba. Nora ricorda allora di aver ritrovato, da bambina, una scatola con foto e alcuni quaderni di prima media di questo zio: i temi erano tutti inneggianti alla propaganda nazista e sprezzanti nei confronti degli ebrei. La storia familiare intorno a questo zio si fa complessa perché solo dopo la sua morte i nonni hanno avuto il padre di Nora, che non a caso si chiama come il fratello morto, Franz-Karl.
L’attenzione di Nora si appunta sui nonni.
Quello materno, Willi, non amava Hitler (al saluto Heil Hitler rispondeva con un simile Drei Liter), ma giudicava esagerato il numero di 6 milioni di ebrei uccisi. Non era andato in guerra perché si era prestato a fare da istruttore di guida per i soldati. Lavoro che gli era stato permesso dall’aver acquistato un’automobile con il denaro che gli era stato regalato da un datore di lavoro ebreo quando era stato licenziato. Questo nonno si era iscritto al partito nazista per poter esercitare il suo lavoro di istruttore di guida ma non si era poi impegnato nella vita del partito. Per Nora questa scoperta comincia a lenire la vergogna ma non è ancora sufficiente. Ritrovare invece una dichiarazione di un uomo sposato con una ebrea che attesta che sua moglie era stata aiutata da Willi è vero balsamo per lei.
Il nonno paterno, Alois, contadino di Kulsheim, emerge dalla testimonianza di una zia che Nora va a trovare e che descrive un tedesco perfettamente a conoscenza della persecuzione degli ebrei ma non impegnato personalmente.
Tanti sono i tentativi di Nora Krug di approfondire la propria storia familiare: si va dalla ricerca di archivi, alla analisi delle foto familiari, all’ascolto di testimoni, alla ricerca sui elenchi telefonici dell’epoca per verificare l’ubicazione delle utenze. Ci sono scoperte clamorose ma ciò che attrae di più in questo libro è la tenacia della sua autrice che sente fortemente in sé l’inarrestabile desiderio di scandagliare a fondo il senso di vergogna che l’accompagna in quanto tedesca.
Parallela alla storia vi è una serie di oggetti che Krug disegna e descrive: sono oggetti della sua infanzia che ben rappresentano quel senso di famiglia e di nostalgia dell’ Heimat che Krug sente in maniera struggente.
Fra tutti il più significativo è la colla Uhu cui si riconosce una grande efficacia. Krug sa bene però che un oggetto rotto e rincollato non è come quello integro. Infatti, a fine libro, conclude Anche se la Uhu è la colla più forte che esista, non riesce a nascondere le crepe. Come a dire che, se anche la sua ricerca familiare le ha ormai restituito l’immagine della sua famiglia, la responsabilità per non essersi opposti al Nazismo rimarrà sempre presente in lei.
Krug sposa un ebreo, ma anche questo non la affranca dalla sua vergogna; sente che questa vergogna riguarda tutta la sua generazione. Forse solo quella futura ci riuscirà: lo fa intendere quando racconta che su un tram un ebreo la fa sedere, avendo capito dalla forma del suo ventre che aspetta un bambino. E descrive così questo bimbo: “Qualcosa che non ha consapevolezza. Qualcuno con uno stato d’animo puro e integro come una coltre di neve appena caduta”. Qualcuno senza vergogna.